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Biden, sovranità sempre più limitata con la Camera in mano ai repubblicani. Usa spaccati in due

Il Midterm ha consegnato una situazione ancora più caotica: se da una parte Biden può contare su un certo numero di repubblicani per il sostegno all'Ucraina, dall'altra c'è una fortissima tensione verso l'attacco alla amministrazione sul fronte Covid, sul fronte interessi extra della famiglia Biden, sulla problematica Giustizia con le perquisizioni ad hoc volute contro Trump.Infine la questione Ucraina con la sempre maggiore riottosità a votare pacchetti di aiuti da 40 miliardi di euro a botta, soprattutto perchè molto probabilmente la Casa Bianca dovrà RICHIEDERE L'ENNESIMO INNALZAMENTO DEL DEBITO, e quì i repubblicani SONO SUL PIEDE DI GUERRA FEROCEMENTE.

Tensione Italia-Francia: Parigi accoglie la Viking ma blocca l’arrivo di 3.500 rifugiati da Roma. E invita altri Paesi a fare lo stesso. Piantedosi: “Incomprensibile”

A seguito dell’accoglienza della nave Ocean Viking in Francia dopo il rifiuto italiano “è chiaro che ci saranno conseguenze estremamente gravi per le nostre relazioni bilaterali“. Lo ha affermato il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, dopo aver annunciato che la nave ong con a bordo 231 migranti arriverà domani di Tolone.La Ocean Viking verrà accolta in Francia, nel porto militare di Tolone, dove arriverà venerdì alle otto del mattino. Ad annunciarlo, mettendo fine a un braccio di ferro diversi giorni, è stato il ministro dell’Interno di Parigi Gérald Darmanin. Che però allo stesso tempo ha aperto a tutti gli effetti una crisi diplomatica con il governo di Giorgia Meloni, attaccando in modo frontale l’Italia per la “scelta incomprensibile di non rispondere alle diverse richieste di assistenza rivolte dalla nave, nonostante si trovasse senza alcuna contestazione possibile nella zona di ricerca e soccorso italiana”. Il ministro puntualizza che la decisione francese è stata presa solo “a titolo eccezionale“, per “ovviare al comportamento inaccettabile del governo italiano, contrario al diritto internazionale, alla solidarietà e agli impegni del governo italiano precedente”. E avverte: “È chiaro che ci saranno conseguenze estremamente gravi per le relazioni bilaterali ed europee“. 

 

La visita di Scholtz a Pechino e la forte irritazione USA.

La Cina sta sostituendo la Russia come principale dipendenza geoeconomica della Germania. Questo il senso della discussa visita di Olaf Scholz a Pechino, primo leader occidentale a incontrare Xi Jinping fresco di terzo mandato. Se la guerra d’Ucraina ha interrotto il legame russo-tedesco inaugurato cinquant’anni fa con i gasdotti, Berlino è determinata non solo a proteggere ma a intensificare il legame sino-tedesco.

Dalla Ostpolitik alla Fernostpolitik (Fernost è tedesco per Estremo Oriente).

Per la Germania l’accesso al mercato cinese è questione esistenziale. Non può essere altrimenti per un paese che fonda quasi metà del suo benessere sulle esportazioni. Saltato il nesso del gas, se saltassero anche i rapporti con la Cina nella Repubblica Federale andrebbero contemporaneamente in fumo la manifattura, la principale fonte di sostentamento e il collante sociale.

È così che Scholz prova a giustificarsi con gli Stati Uniti, furibondi perché sanno che i cinesi dai tedeschi non vogliono soltanto tecnologie preziose (vedi l’appello di Xi a un’alleanza per l’intelligenza artificiale).

Al di là delle rassicurazioni, se la posta in gioco non fosse così esistenziale, Scholz non avrebbe commesso il madornale errore di recarsi a Pechino da solo, senza nemmeno il presidente francese Emmanuel Macron, che pure implorava una gita a due nonostante tutte le altre difficoltà sull’asse renano. Così facendo, i tedeschi hanno concesso a tante altre cancellerie europee di fare i bravi allievi di Washington criticando la mossa che molti di loro avrebbero voluto compiere. Ciò suggerisce che Berlino vuole negoziare con urgenza accordi economici prima di un’ulteriore stretta della guerra economica americana alla Repubblica Popolare.

Per esempio, Berlino vuole proteggere l’industria automobilistica dalla rivoluzione dell’elettrico, che minaccia di stravolgere il mercato del lavoro europeo. La presenza di Volkswagen nella delegazione pechinese di Scholz dimostra questa preoccupazione.

04-10-2022

 UCRAINI A 40 KM DA KERSON. IL PRIMO BASTIONE A DIFESA DELLA CRIMEA A FORTISSIMO RISCHIO CADUTA. Incredibilmente si apprende dell'incredibile inferiorità dell'Armata Russa che non ha uomini per tenere intere sezioni di fronte.

 

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 IN QUESTO MOMENTO SOLO Il ritorno della rasputitsa, o il “generale fango”, questa volta causata non dal disgelo primaverile ma dalle precipitazioni, potrebbe pertanto bloccare qualsiasi iniziativa terrestre su ampia scala, facendo diventare il conflitto una guerra di posizione con piccoli cambiamenti della linea del fronte E SOLO QUESTO SALVEREBBE MOSCA DA UNA SPAVENTOSA RITIRATA DALLE REGIONI APPENA ANNESSE IN ATTESA DELL'ARRIVO DEI RISERVISTI E DELLO SCOMPARSO DEL TERZO CORPO D'ARMATA RUSSO in assemblamento a Mosca.

Il Ministero della Difesa russo (MoD) ha riconosciuto che le forze ucraine sono penetrate nelle difese russe in direzione di Zolota Balka (circa 82 km a nord-est di Nova Kakhovka) e le truppe russe si sono ritirate in posizioni difensive preparate.[23] Il filmato sui social media pubblicato il 1° ottobre mostrava anche le forze ucraine che operavano nella parte settentrionale dell'autostrada T0403. [24] I blogger russi hanno affermato che i russi si sono ritirati per la prima volta in posizioni difensive a Mykhailivka (circa 8 km a sud di Zolota Balka) il 1 ottobre, ma probabilmente sono caduti più indietro a Dudchany (circa 24 km a sud di Zolota Balka) il 2 ottobre.[25] Le forze ucraine hanno continuato ad avanzare a sud in direzione di Nova Kakhovka e filmati geolocalizzati hanno mostrato che hanno liberato Mykhailivka, Havrylivka e Novooleksandrivka lungo la T0403.[26] I filmati dei social media e il discorso dei milblogger russi hanno anche indicato che le forze ucraine hanno fatto progressi a ovest dell'autostrada T0403. ] Il Ministero della Difesa russo ha anche affermato che le forze ucraine sono entrate nelle posizioni russe a Oleksandrivka (circa 35 km a ovest della città di Kherson), ma ha affermato che le forze russe stanno continuando a sparare con l'artiglieria contro le forze ucraine in avanzamento.[31]

 

 

Le forze ucraine hanno continuato a ottenere guadagni nell'oblast di Kharkiv orientale in direzione del confine con l'oblast di Luhansk il 2 e 3 ottobre. Il ministero della Difesa russo (MoD) ha inavvertitamente confermato che le truppe ucraine sono avanzate a est di Kupyansk il 2 ottobre e ha affermato che le forze russe hanno colpito Posizioni ucraine a Petropavlivka (8 km a est di Kupyansk) e Synkivka (10 km a nord-est di Kupyansk).[11] Un blogger russo ha riferito il 2 ottobre che le forze ucraine si stanno preparando per ulteriori avanzamenti verso est dall'area di Kupyansk-Petropavlivka e ha affermato il 3 ottobre che le truppe ucraine hanno condotto una ricognizione in forza vicino a Zahorukivka, 16 km a est di Kupyansk.[12]

Le forze ucraine hanno inoltre ottenuto guadagni vicino al confine tra Kharkiv e Luhansk Oblast a ovest di Svatove il 3 ottobre. Il filmato geolocalizzato mostra le truppe ucraine a Borova e Shyikivka, entrambe entro 35 km a ovest di Svatove, cosa che è stata successivamente confermata dal Consiglio comunale di Borova e da vari blogger russi. [13] Fonti ucraine hanno inoltre riferito che le truppe ucraine hanno ripreso Izyumske e Druzhelyubivka, a circa 25 km a sud-ovest di Svatove.[14]

Le truppe ucraine hanno continuato a consolidare le conquiste intorno a Lyman il 2 e 3 ottobre e probabilmente hanno ottenuto guadagni in direzione del confine con l'Oblast di Luhansk. Il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che le truppe russe hanno colpito le posizioni ucraine a Yampolivka il 2 ottobre, confermando che le truppe ucraine controllano il territorio a circa 15 km a nord-est di Lyman e entro 10 km a ovest del confine con l'Oblast di Luhansk.[15] Fonti russe hanno anche affermato che le truppe ucraine hanno preso il controllo di Terny e Torske, rispettivamente 15 km a nord-est e 13 km a est di Lyman.[16] Secondo quanto riferito, le truppe ucraine sono avanzate verso un segmento di autostrada vicino a Chervonopopivka e Pishchane, che si trovano entrambe lungo la strada Svatove-Kreminna entro 5 km a nord di Kreminna. [17] Fonti russe hanno discusso con grande preoccupazione di questi progressi ucraini a est di Lyman e hanno suggerito che le truppe ucraine si sposteranno probabilmente verso il confine dell'oblast di Luhansk e attaccheranno Kreminna, 30 km a est di Lyman.[18] Le truppe russe, inclusi elementi del distaccamento BARS-13 e della 20a armata di armi combinate, si sono ritirate dall'area di Lyman prima del 2 ottobre e si sono ristabilite a Creminna, dove fonti russe affermano che si trova la nuova linea del fronte.[19]

Il rappresentante della milizia della Repubblica popolare di Luhansk (LNR) Andrei Marochko ha confermato che le truppe ucraine hanno attraversato il confine dell'oblast di Luhansk in un'area non specificata il 3 ottobre e hanno preso piede da qualche parte in direzione di Lysychansk.[20] Marochko ha affermato che le forze russe hanno distrutto la colonna ucraina che ha attraversato il confine amministrativo.[21] Fonti russe sono apparentemente sempre più preoccupate per il fatto che le truppe ucraine continueranno a spingersi verso est per attaccare gli insediamenti vulnerabili nell'oblast di Luhansk.

 

  FRONTE DI BAKHMUT

il 2 e 3 ottobre che le forze ucraine hanno respinto gli assalti di terra russi a Bakhmut, a nord-est di Bakhmut vicino a Bakhmutske (10 km a nord-est di Bakhmut) , e a sud di Bakhmut vicino a Zaitseve (8 km a sud-est di Bakhmut), Odradivka (9 km a sud di Bakhmut), Mayorsk (20 km a sud di Bakhmut) e Vesela Dolyna (6 km a sud-est di Bakhmut).[38] Diverse fonti russe hanno affermato che le truppe ucraine si sono ritirate dalle loro posizioni vicino a Bakhmut e che i combattenti del gruppo Wagner si sono trincerati alla periferia della città, sebbene l'ISW non possa confermare le affermazioni del ritiro ucraino. [39] Lo stato maggiore ucraino ha anche notato che le forze ucraine hanno respinto gli assalti di terra russi a sud-ovest di Avdiivka vicino a Pervomaiske (13 km a sud-ovest di Avdiivka), Nevelske (15 km a sud-ovest di Avdiivka) e Pobieda (30 km a sud-ovest di Avdiivka) il 2 e 3 ottobre. [40] Un blogger russo ha affermato che le forze ucraine hanno tentato senza successo di sfondare le posizioni russe tra Optyne e l'aeroporto di Donetsk nella notte tra l'1 e il 2 ottobre.[41] 

LE ANNESSIONI DI PUTIN SOLO COME GRIMALDELLO LEGISLATIVO PER INDIRE LA MOBILITAZIONE PARZIALE E SPEDIRE ALMENO 300.000 UOMINI PER TAMPONARE LA FALLA: BRUTTISSIMA SITUAZIONE DELL'ARMATA RUSSA SUL FRONTE NORD DONETZ-LUHANSK E A NORD-EST DI KERSON. IVI GLI UCRAINI HANNO SFONDATO LE LINEE RUSSE.

Le località di Kherson riprese da Kiev erano già da considerarsi, secondo la visione di Mosca, come parte integrante del territorio russo. Quella che per il Cremlino era una linea rossa da non valicare, a nord di Nova Kakhovka invece gli ucraini l’hanno già violata. E probabilmente a breve accadrà la stessa cosa est di Lyman, quando le truppe agli ordini di Zelensky arriveranno nel territorio di Lugansk. Gli ucraini del resto stanno cercando di massimizzare i vantaggi dati dall’inferiorità numerica dei russi nei fronti attaccati, non facilmente colmabile a breve con la mobilitazione parziale annunciata da Putin, così come la totale mancanza di azione da parte dell’aviazione di Mosca.

I combattimenti starebbero adesso andando avanti nelle zone limitrofe. L’arretramento russo in quest’area ha permesso l’allontanamento del fronte dall’importante città di Kryvyj Rih, ma soprattutto l’avvicinamento degli ucraini lungo le sponde del Dnepr. Fonti di Kiev hanno parlato su Twitter di un’avanzata giunta a circa 40 km da Nova Kakhovka, ossia la prima importante località conquistata dai russi nel primo giorno di guerra, il 24 febbraio scorso. Difesa a nord dal fiume Dnepr, riprenderla per gli ucraini non dovrebbe essere affatto semplice, ma darebbe loro importanti effetti strategici: la città di Kherson sarebbe infatti così aggirabile da est. Probabile quindi che la prossima battaglia venga svolta all’interno di questo quadrante.

Russi in difficoltà a est del fiume Oskil

Ma le novità nelle ultime ore sono arrivate anche dal fronte più sotto i riflettori nell’ultimo mese, quello cioè dove la controffensiva ucraina ha sortito i suoi principali effetti. A sud di Kharkiv infatti si sta continuando a combattere. Dopo la presa di Lyman, avvenuta lo scorso sabato, i soldati di Kiev sembrano voler spingere oltre il proprio contrattacco. Si è avuta notizia infatti della conquista della località di Torske, a est di Lyman. Il fronte si sta avvicinando a Kreminna, cittadina all’interno dell’oblast di Lugansk e a pochi chilometri dalla periferia di Severodonetsk.

Cosa potrebbe accadere adesso

Nonostante dopo la controffensiva di settembre per i russi difendere Lyman è apparso un vero miraggio, Mosca ha deciso di non ritirare le sue truppe. I soldati agli ordini di Putin, affiancati da separatisti e membri della Wagner, hanno resistito fino alla fine. La ritirata si è avuta soltanto la scorsa notte. Il perché di questa mossa è data proprio dall’importanza strategica di Lyman. I russi hanno voluto prendere tempo per riorganizzarsi a nord e a est della cittadina.

Senza infatti adeguate linee difensive, con la presa di Lyman gli ucraini potrebbero spingersi fino alla periferia di Lysychansk e Severodonetsk. Due città cioè conquistate dopo mesi di sacrifici e di uomini persi sul campo dai russi. Non essendoci più grossi ostacoli naturali, le truppe di Kiev potrebbero adesso dilagare in territori considerati da ieri parte integrante della federazione russa. Dunque nei prossimi giorni si capirà meglio il valore della conquista di Lyman. E se quindi, in particolare, i russi siano riusciti a organizzare adeguate difense oppure se gli ucraini si sono guadagnati la possibilità di continuare con la controffensiva.

 

 NEL GIORNO DELLA PROCLAMAZIONE DELL'ANNESSIONE RUSSA DEI QUATTRO OBLAST UCRAINI, 30-09-2022, CADE LYMAN,LA PORTA D'INGRESSO DEL LUHANSK. L'ARMATA RUSSA IN INFERIORITA' CONTINUA A RITIRARSI. PROSSIMO ASSEDIO E' SYVERSKYDONEC, DISINTEGRATA NELLE BATTAGLIE DI GIUGNO IN ATTESA DEI RINFORZI DEI RISERVISTI E DELLE PIOGGE.

Le parole di Putin

Quello che più conta, nella cerimonia odierna, è quel “non vogliamo un ritorno all’Urss” con ennesimo riferimento malevolo all’operato di Gorbaciov, ma soprattutto quel “Kiev rispetti la volontà popolare, cessi il fuoco e torni al tavolo del negoziato, noi siamo pronti“. “Noi siamo pronti” è una frase importante, che non era mai apparsa nella retorica putiniana nella quale torna il discorso sui negoziati. Un ritorno al dialogo in cui però l’aggredito dovrebbe arrendersi per primo: quello che la logica e il diritto internazionale non comprendono e accettano, deve essere però valutato nell’ottica di Putin. E per il comandante in capo di questa “operazione militare speciale”, anche solo aver pronunciato quelle parole è segno di una rivoluzione copernicana nella conduzione della guerra, che segna uno spartiacque da qui in poi.

Putin ha vinto o perso?

Putin ha vinto? In parte. Ha coronato il sogno del Donbass e di creare un abbondante cuscinetto territoriale infarcito di pretesti etnici, linguistici e-nella sua logica-storici. Sta creando le premesse affinché, pur avendo sottratto queste aree in barba al diritto internazionale, nessuno in Occidente possa sognarsi di contrattaccare nelle zone annesse, pena l’aggressione nucleare. Sta creando i presupposti affinché Zelensky sia spinto ad abdicare a questi territori e possibilmente subire l’onta di dichiarare il cessate-il-fuoco per primo.

Putin ha perso? Anche. Pensare che l’aggressione iniziata nel febbraio scorso fosse volta a sparare 100 per avere 10 (cioè il Donbass) sarebbe da ingenui. Nei piani di Mosca prendere l’Ucraina e rovesciarne il regime era un obiettivo reale e primario. Non è riuscito, inaspettatamente: a questo hanno concorso la resistenza interna, il sostegno militare indiretto della Nato, i problemi del sistema militare russo. Adesso, però, securizzata l’area realmente conquistata, Putin e il suo cerchio magico sanno bene che oltre non si potrà andare. Prendere Kiev è impensabile con un esercito allo sbaraglio e i mobilitati in fuga. Riprovarci nell’immediato futuro? Sarebbe la Terza Guerra Mondiale. E forse prende piede l’ipotesi, paventata da molti giorni fa, che la mobilitazione parziale realmente serva a creare il cordone di sicurezza attorno agli (e negli) oblast conquistati. E Odessa? Difficile immaginarlo. Un obiettivo strategico, che si allontana, e che rappresenterebbe l’estremo pericolo del contatto reale e diretto tra Nato e Russia.

Le difficoltà di Mosca

Putin forse teme più la Russia stessa che la Nato. Come a tutti noi, le immagini di un Paese diviso giungono anche al Cremlino. Così come le pressioni dei falchi della guerra, scontenti dell’andamento del conflitto e, forse, anche di questo “magro risultato” che ha persino suscitato una lavata di testa da parte di uno come Kadyrov.

Vladimir Putin ha ufficialmente proclamato l’annessione alla Russia delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, in Donbass, e dei territori occupati di Kherson e Zaporizhzhia a seguito dei referendum a senso unico tenutisi sotto l’occhio vigile delle truppe russe tra il 23 e il 27 settembre. Anche dopo la controffensiva ucraina e le schermaglie politiche con l’Occidente, Mosca ha accelerato nel formalizzare l’annessione.

Ma dal 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, c’è chi lavora attivamente e con costanza per plasmare a immagine e somiglianza di Mosca le regioni che sono entrate sotto il controllo delle forze armate russe: Sergej Kirienko. 60anni, con alle spalle un lungo curriculum che per pochi mesi, nel complicatissimo 1998, lo ha portato a diventare il più giovane premier della storia russa da marzo a agosto, salvo poi essere travolto dal default del Paese, Kirienko si è da tempo ricostruito un ruolo nello Stato profondo russo.

L’ex tecnocrate liberale e economista ha ottenuto in questi mesi una notevole centralità politica partendo da un ruolo strategicamente valorizzatosi mano a mano che Vladimir Putin ha accentrato sul Cremlino il processo decisionale. Dopo undici anni alla guida del colosso del nucleare, Rosatom (2005-2016), sei anni fa è stato nominato da Putin primo vice-capo di gabinetto del presidente, ma ha assunto con la guerra in Ucraina maggiore influenza del titolare della carica, Anton Vajno.

Kirienko dall’inizio del conflitto ha avuto il compito di supervisionare e consigliare le autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk nell’omologazione graduale delle leggi e deglii ordinamenti ai dettami dell’amministrazione presidenziale. Da sempre figura moderata, Kirienko si sta scrollando di dosso un’immagine a lungo coltivata di un tecnocrate d’apparato senza ambizioni politiche. Il rapporto diretto con Putin gli ha dato il potere di essere nominato, di fatto, suo proconsole in Ucraina.

Senza dubbio, la guerra lo ha aiutato a diventare il frontman più visibile e di alto rango del “partito della guerra“. E in primavera è stata formalizzata la sua scelta come commissario dei territori occupatiMeduza.io ha svelato i retroscena della sua nomina: “è stata il risultato di un incontro personale tra Kirienko e Putin, durante il quale Kirienko ha presentato la sua visione per “l’operazione militare speciale” (lo pseudonimo del Cremlino per la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina) – e ha lanciato idee su come le autorità russe dovrebbero gestire i territori appena occupati”. Per Kirienko “i loro residenti dovranno vedere che la Russia non è venuta temporaneamente e resterà”. Da qui la corsa alla russificazione accelerata, con l’introduzione del rublo e la spinta referendaria, immaginante da Kirienko.

La legge sulla cittadinanza, altra emanazione della sua influenza, ha teso a consolidare la russificazione. Il legame con le forze di sicurezza dato dal controllo sull’amministrazione civile ha fatto il resto. Nel frattempo, sul fronte interno, Kirienko sta anche lavorando a stretto contatto con gli interessi degli uomini forti (siloviki) della burocrazia statale per consolidare l’annessione.

L’amministrazione presidenziale vuole costruire una rete di potere nei ministeri, dipartimenti, società statali e grandi imprese statali russe integrando rapidamente i cittadini delle neoannesse terre ucraine per fondere lo Stato con le sue nuove propaggini. Lavoratore instancabile e fedelissimo, Kirienko, un tempo vicino ai moderati della cerchia di Elvira Nabiullina, governatrice della Banca centrale, per necessità o per ambizione ha speso ogni sua fiche puntando sul “partito della guerra” ed è la figura in maggiore ascesa nel sistema di potere russo. 

Una centrale lungo la linea del fronte

É nota come centrale di Zaporizhzhia, ma in realtà l’impianto si trova nella località di Enerhodar, circa 30 km più a sud della città capoluogo dell’omonima regione. In tempo di pace ha fatto poca differenza distinguere tra Zaporizhzhia ed Enerhodar. Del resto, che si tratti di un impianto industriale o di un’opera infrastrutturale, spesso il nome è dato in base alla grande città più vicina e non alla vera località di periferia in cui una determinata struttura è situata. Ma oggi, in pieno tempo di guerra, questa distinzione è più che mai necessaria.

Questo perché fino a Zaporizhzhia il territorio è controllato dagli ucraini. Oltre invece ci sono i russi. Anche a Enerhodar si è tenuto il referendum che, secondo quanto riconosciuto dal Cremlino, ha sancito l’annessione della zona alla federazione. Di conseguenza, la centrale nucleare è situata esattamente sulla linea di contatto dove converge il fronte di Zaporizhzhia. Da un lato ci sono i soldati fedeli a Kiev, dall’altro quello fedeli al Cremlino. In mezzo, ci sono i tecnici della centrale che stanno continuando a lavorare, anche se ora rispondono a Mosca.

Il braccio di ferro tra Kiev e Mosca

La centrale è contesa e non solo dal punto di vista militare. L’impianto produce circa la metà dell’intera energia nucleare usata annualmente dall’Ucraina, corrispondente a un quinto dell’intero fabbisogno energetico ucraino. Controllare l’impianto vuol dire avere in mano un’immensa risorsa. Per Kiev lo spettro è rappresentato dal fatto che i russi possano provare a scollegare definitivamente l’impianto dalla rete nazionale. Spegnendo di fatto intere città e aggravando ulteriormente una situazione economica già in stallo per via del conflitto e per i danni prodotti dalla guerra ad altre importanti infrastrutture. Per Mosca invece, vorrebbe dire avere un’arma in più contro il governo ucraino. Non solo, ma i tecnici russi potrebbero usare in futuro l’energia per alimentare i territori occupati e la Crimea.

Entrambe le parti in causa quindi vogliono il controllo della centrale. Il problema, da adesso in poi, è che sia ucraini che russi ritegnono l’impianto all’interno del proprio territorio nazionale. Lo è per Kiev, il cui obiettivo è quello di riprendere in mano il controllo dei territori occupati. Lo è per Mosca, il cui governo dopo i referendum dei giorni scorsi ha annesso le aree in questione.

I timori per la sicurezza

Il rischio molto forte è che il braccio di ferro per la centrale si trasformi in una battaglia a tutto campo. I reattori, già oggi non al sicuro in quanto situati a pochi metri dalla linea del fronte, potrebbero rappresentare l’inquietante palcoscenico di un conflitto in campo aperto.

 

La cittadina in questione è tra le più strategiche dell’area. Situata a nord degli argini del Siversky Donetsk, fiume le cui acque delimitano parte del Donbass, conquistarla vuol dire avere le chiavi dell’intera area circostante. Non a caso i russi hanno impiegato molti mezzi e uomini per prenderla a maggio. Per Mosca mettere gli scarponi a Lyman ha significato solidificare la propria presenza a nord del Siversky Donetsk e puntare decisamente su Slovjansk e Kramatorsk, le due grandi città del Donbass in mano ucraina.

Mercoledì mattina un gruppo di soldati su Twitter ha mostrato le bandiere ucraine issate nuovamente nel municipio di Novoselivka, a nord di Lyman. Una conquista in grado di rappresentare una sorta di preludio ad ulteriori avanzate.

L’impressione è che dalla capitale ucraina, anche su indicazione dei servizi di intelligence alleati, sia arrivato l’ordine di avanzare il prima possibile. Kiev infatti adesso può sfruttare due fattori a sua favore: la superiorità numerica e le strade non ancora investite dal fango. Vantaggi che a breve potrebbe non avere vista la mobilitazione parziale ordinata da Mosca e l’arrivo imminente della stagione delle piogge.

Dopo la presa di Lyman e il consolidamento del fronte di Kupyansk, si potrebbe assistere quindi ad ulteriori avanzate ucraine e ad ulteriori indietreggiamenti da parte dei russi. Più località conquista Kiev in questa fase, più il governo ucraino potrà in seguito rivendicare il diritto di riprendere in mano per intero il proprio territorio.

Le cellule pro Kiev avranno un ruolo in una futura controffensiva?

Anche perché se da un lato a Mosca si parla di annessione, a Kiev invece la parola d’ordine è “controffensiva“. Per le autorità ucraine è più che mai vitale tenere vive le cellule presenti nelle province in cui la Russia è pronta ad issare la propria bandiera. Dopo il successo del contrattacco a Kharkiv e la riconquista di località importanti quali Izyum, gli ucraini vorrebbero accelerare anche a sud e in particolare a Kherson. Anche perché dopo le riconquiste nel nord est del Paese, le reti di informatori e sabotatori nelle regioni occupate sono ancora più in fibrillazione.

Il ruolo dei gruppi ucraini potrebbe essere, in primo luogo, quello di indebolire e mettere in difficoltà le forze russe presenti. Questo in prospettiva soprattutto dell’arrivo dei riservisti richiamati da Mosca nell’ambito della mobilitazione parziale. Le azioni di sabotaggio potrebbero riguardare la logistica, con la distruzione, come in parte avvenuto nei mesi scorsi nella zona di Melitopol, delle ferrovie e delle vie di comunicazione usate dai russi. Così come potrebbero prendere di mira altri personaggi delle nuove amministrazioni comunali e regionali. Ulteriori azioni invece potrebbero avere come principale bersaglio le basi militari russe e i depositi di munizioni. Aiutati dall’intelligence occidentale, i sabotatori ucraini sarebbero pronti quindi a ritagliarsi un ruolo importante nelle future possibili controffensive di Kiev.

Usa ed Europa stanno esaurendo le scorte di munizioni

Il primo a lanciare l’allarme è stato Josep Borrell, alto rappresentate dell’Ue per gli affari esteri, quando a inizio settembre ha affermato che “le scorte militari della maggior parte degli Stati membri sono state, non direi esaurite, ma impoverite in proporzione elevata, perché abbiamo fornito molto agli ucraini”. Successivamente gli ha fatto eco lo stesso segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che martedì 27 ha ha tenuto una riunione speciale dei direttori degli uffici armamenti dell’Alleanza per discutere le modalità di riempimento dei magazzini di armi dei Paesi membri. Anche negli Stati Uniti la situazione non è diversa: Dave Des Roches, professore e membro militare senior presso la National Defense University si è detto “molto preoccupato” per il rapido esaurimento delle scorte, a meno che non cominci “una nuova produzione, che richiede mesi per andare a regime”, quindi è possibile che in breve tempo non ci sarà più la capacità di rifornire gli ucraini.

I limiti dell’industria bellica

L’industria degli armamenti Usa è in grado di produrre, in tempo di pace, 30mila proiettili di artiglieria per obici da 155 millimetri: l’esercito ucraino impiega poco meno di due settimane per esaurire quella quantità di munizioni.

Esiste quindi un problema di fondo, che abbiamo già avuto modo di evidenziare nei mesi scorsi: l’attuale capacità industriale bellica delle nazioni occidentali non è sufficiente per garantire il regolare afflusso di munizionamento in grado di sostenere un conflitto d’attrito, o ad alta intensità, soffrendo anche – ma non solo come vedremo – la decisione di ridurre la produzione di massa e di fabbricare armi solo se necessario. Una decisione dettata dal contesto storico: la fine della Guerra Fredda ha fatto crollare la produzione di armi e munizioni. Inoltre alcune linee di produzione sono state chiuse una volta terminato il contratto di acquisto, pertanto alcuni armamenti che stanno esaurendosi non vengono più prodotti, e per ricominciare sarebbe necessaria manodopera ed esperienza altamente qualificate, cose che da anni scarseggiano nel settore manifatturiero statunitense.

Occorre quindi reinvestire nella base industriale del settore degli armamenti, come affermato dallo stesso Stoltenberg, ma si tratta di un processo lungo e difficoltoso, pertanto il regolare afflusso di armamenti all’Ucraina potrebbe essere messo a rischio qualora il conflitto dovesse protrarsi per anni.

I limiti imposti dal Pentagono

A fronte dell’esaurimento delle scorte e della necessità di non privarsi di armamenti utilizzati dalle proprie forze armate – il Pentagono ha detto un secco “no” alla possibilità di privare l’esercito Usa di quelle armi che servono alle operazioni statunitensi – risulterà difficile per Washington mantenere la promessa fatta a Kiev di sostentamento dell’esercito ucraino “per tutto il tempo necessario” per sconfiggere la Russia, dato che si prevede che il conflitto potrebbe durare anche tre anni (o forse più).

Gli Stati Uniti sono stati il più grande fornitore di aiuti militari all’Ucraina – se escludiamo quelli abbandonati dai russi e incamerati dall’esercito ucraino – , fornendo fino ad oggi 15,2 miliardi di dollari in pacchetti di armamenti da quando è cominciata l’invasione russa alla fine di febbraio. Molte delle armi di fabbricazione americana sono state decisive per gli ucraini: in particolare gli obici da 155 millimetri, gli Himars, gli Atgm (Anti Tank Ground MissileJavelin e i missili antiradiazioni Agm-88 Harm.

Sostenere Kiev “sino alla vittoria” significa, materialmente, fornire molte più armi e munizioni, e l’esercito ucraino sta letteralmente fagocitando le scorte di queste ultime. Parlando di Atgm, ad esempio, il rateo di produzione dei missili Javelin della Lockheed-Martin è di 2100 pezzi l’anno (ma sembra che si potrebbe arrivare a 4mila) e l’Ucraina ha affermato di utilizzarne 500 al giorno. In sostanza basterebbero 14 giorni di uso intensivo per esaurire le scorte ucraine, e la produzione statunitense non basterebbe a rimpiazzarli. Anche gli obici M-777 sono diventati merce rara: gli Stati Uniti ne hanno sostanzialmente esaurito il surplus, e per inviarne altri dovrebbe attingere alle proprie scorte riservate alle unità militari statunitensi, qualcosa che non è possibile perché il Pentagono ha bisogno di mantenere scorte per sostenere i propri piani di guerra nella possibilità di un conflitto con la Cina per Taiwan o per il Mar Cinese Meridionale, oppure per un’improvvisa escalation per la Corea del Nord o anche nella stessa Europa.

La carta degli armamenti più obsoleti

Pertanto, al momento, l’unica soluzione è quella di attingere ai depositi di armamenti più obsoleti, che dopo essere adeguatamente messi in condizione di poter operare, verrebbero inviati in Ucraina, ma questo azzererebbe il vantaggio tecnologico rispetto alle forze armate russe. In questo senso si vedono già alcuni segnali: i carri armati forniti all’Ucraina da alcuni Paesi della Nato sono di vecchio tipo – se pur modernizzati – e negli Stati Uniti si pensa di fornire Mbt (Main Battle Tank) tipo M1 Abrams delle prime serie.

Anche se la produzione industriale statunitense ed europea passassero a un regime “di guerra” – e non c’è nessuna indicazione in tal senso sulle due sponde dell’Atlantico a differenza di quanto sta accadendo in Russia – comunque il tempo necessario per attivare le linee sarebbe lungo, e nel frattempo l’esercito di Kiev si troverebbe a corto di munizioni e armamenti.

Il vero problema, però, non è come continuare a rifornire l’esercito ucraino – che potrebbe affidarsi ad altri fornitori come la Corea del Sud – bensì un altro: l’esaurimento rapido delle scorte dimostra quanto sia fondamentale riprendere la produzione di munizionamento e armamenti per riempire nuovamente i depositi e i magazzini delle forze armate. Essenzialmente, ci duole ricordarlo, si tratta di un’annosa questione: il conflitto in Libia, quello in Iraq contro lo Stato Islamico, e lo stesso Afghanistan, avevano già fatto emergere la stessa problematica – in campo aeronautico. Ora si è preso coscienza che, col ritorno delle minacce simmetriche di tipo convenzionale, l’approvvigionamento di munizioni è fondamentale, ma, come già affermato, ci si deve muovere ora per riavviarne la produzione, e non (solo) per sostenere l’Ucraina.

 

 GERMANIA; DOPO I 100 MILIARDI DI EURO PER IL RIARMO, 200 MILIARDI DI EURO PER L'ABBATTIMENTO DEI COSTI ENERGETICI

La svolta della Germania

Compatta, anche se con distinguo sulle priorità, la maggioranza. Robert Habeck, vicecancelliere e Ministro dell’Economia in rappresentanza dei Verdi ha parlato di necessità di reagire alla “guerra energetica” della Russia. Ma la svolta più importante è quella di Christian Lindner, “falco” rigorista dei Liberali che, da Ministro delle Finanze, solo pochi giorni fa proponeva in Europa il ritorno al Patto di Stabilità e ora ha corretto le sue posizioni preparandosi, sul fronte interno, a dare il via libera alle spese massicce del governo ma mantenendo, a parole, il sostegno alla necessità di tornare nel 2023 alla disciplina di bilancio.

“In passato”, nota La Stampa, “durante la pandemia, il governo sospese la regola del “freno al debito” per ridare fiato all’economia. Si tratta di una costituzionale che permette di derogare al pareggio di bilancio per lo 0,35% del Pil annuale e che può essere sospesa in caso di situazioni di eccezione e di catastrofi naturale”. La guerra in Ucraina è lo stato d’eccezione dopo la catastrofe pandemica che in questo caso può, anche negli anni a venire, giustificare comunque eventuali prese di posizione in controtendenza con questo auspicio. E Lindner nel frattempo mira a mettere in campo aiuti attraverso il Fondo di stabilizzazione economica introdotto durante la pandemia.

Il maxi-fondo su cui puntano Scholz e Lindner

Lo scopo del Fondo di stabilizzazione economica (Fse) era quello di stabilizzare l’economia in risposta alla pandemia di Covid. L’Fse è stato creato con l’obbiettivo di fornire sostegno sotto forma di misure di stabilizzazione per aiutare le imprese di tutti i settori a rafforzare la loro base di capitale e ad affrontare le carenze di liquidità. Si rivolge alle imprese dell’economia reale la cui scomparsa avrebbe un impatto significativo sul mercato del lavoro tedesco o sull’attrattiva della Germania come sede di attività. L’Fse agisce per mezzo di due strumenti di stabilizzazione (che possono essere applicati in combinazione) da un lato, promuove garanzie federali sui prestiti, comprese le linee di credito, e sui prodotti del mercato dei capitali; dall’altro, promuove misure di ricapitalizzazione come mezzo diretto per rafforzare il patrimonio netto delle imprese in difficoltà.

Fse ha fino ad oggi promosso operazioni di ricapitalizzazione per 9 miliardi di euro e si prevede il suo utilizzo anche per operazioni come quella di Uniper che raddoppierà tale cifra. Può inoltre promuovere manovre di sostegno alla banca pubblica KfW, la Cassa Depositi e Prestiti tedesca, a cui fino ad ora ha concesso 30 miliardi di euro. Dunque, il Fse creato nel 2020 è di fatto ben al di là dal raggiungere le quote di risorse stanziate: di fatto esso è stato “armato” con 600 miliardi di euro di risorse, corrette a 250 miliardi nel 2022. Una somma che Lindner spera di poter orientare per coprire le spese per la crisi energetica. Ma occultare una spesa pari al 5% del Pil in un fondo che copre la metà dei 1.300 miliardi messi in campo da Angela Merkel e da Scholz, ai tempi Ministro delle Finanze, è complesso.

La “Cdp” tedesca

Così come è complesso operare con KfW. Negli anni la KfW è diventata la più grande banca pubblica per lo sviluppo al mondo e gestisce asset per 500 miliardi di euro. Durante la pandemia le risorse sono state orientate per fare in grande ciò che in Italia è stato affidato a Sace con il programma Garanzia Italia: aprire alla concessione di prestiti alle imprese in crisi mediate dalla garanzia pubblica.

Due settimane fa il governo federale ha chiesto che KfW si rafforzi, in modo che le società energetiche possano esser sostenute con ancora più garanzie e supporto alla liquidità. Si tratta di autorizzazioni di credito per un importo di circa 67 miliardi di euro, che ricadranno alla fine nel piano del Fse.

Il nuovo debito inevitabile

Sulla carta Berlino avrebbe i numeri per coprire dunque i 200 miliardi con fondi già stanziati. Ma il diavolo è nei dettagli e riporta alla considerazione che per la Germania sarà necessario fare deficit. In virtù del nuovo regolamento Ue sugli aiuti di Stato, infatti, la Germania ha promosso misure di sostegno alle imprese tramite Fse e KfW, ma non può mettere in campo con il loro ausilio i piani che Scholz ha in mente per abbattere il prezzo del gas nella loro interezza. Scholz ha intenzione di sterilizzare diverse imposte, calmierare i prezzi del gas, finanziare gli importatori, accelerare sugli investimenti in transizione per superare la dipendenza dall’oro blu. Tutte misure per cui un ricorso alla leva della spesa pubblica è necessaria, in quanto politiche omnicomprensive e non mirate su un singolo obiettivo come un’operazione di salvataggio aziendale.

Quando Lindner è subentrato all’inizio di dicembre, si è trovato a lavorare con un progetto di bilancio per il 2022 scritto dal suo predecessore (ora cancelliere) Olaf Scholz prima dello scoppio dell’ondata di omicron della pandemia di coronavirus. Tale progetto includeva circa 100 miliardi di euro di nuovo debito. E dopo aver assunto nuovi debiti per quasi 140 miliardi di euro quest’anno, il bilancio nazionale della Germania per il 2023 prevede solo 17 miliardi di euro di nuovo debito. Ipotesi irrealistica, in virtù dell’adesione al freno costituzionale, di fronte a tale onerose necessità. Semplicemente, il gioco delle tre carte potrebbe essere l’assunzione di una forte quota di nuovo debito negli ultimi mesi dell’anno per poi tornare alla disciplina sulla carta l’anno prossimo. Anche se restano “elefanti nella stanza” come il fondo per il riarmo da 100 miliardi di euro annunciato da Scholz a febbraio e ancora da strutturare operativamente, che sicuramente convoglierà risorse pubbliche in un Paese che viaggia verso una dura recessione.

E sulla necessità di fare debito si è espressa criticamente anche la prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung, che in un articolo ha puntualizzato: “La Costituzione consente di aggirare il tetto all’indebitamento solo se lo Stato non ha avuto alcuna influenza sulla causa. Per questo Olaf Scholz e Christian Lindner hanno parlato di guerra energetica che la Russia sta conducendo contro la Germania”, osserva la Faz, che attacca: “In effetti, la Germania non può fare nulla per questa guerra, anche se deve essere considerato criminalmente negligente che questo Stato non abbia corretto la sua dipendenza unilaterale da una Russia che da anni si comporta in modo più aggressivo, ma, al contrario, l’ha smaccatamente perseguita”.

Più probabile che si arrivi a un regime ibrido, ma se anche la metà delle risorse fosse utilizzata per compensare il caro-bollette, finanziare tagli fiscali e aumentare le reti di protezione sociale Berlino è in grado di arrivare a 240 miliardi di nuovo debito nel 2022, una quota pari al 6% del Pil. Alla faccia di ogni prospettato ritorno all’austerità. Dal 58,9% del 2019 la quota debito/Pil è salita al 68,3% nel 2021; ora l’indebitamento netto lo potrebbe portare, come minimo, al 70,9% a fine anno con prospettive di peggioramento connesse alla prossima recessione. Per Berlino si fa dura e giustamente Scholz mette in campo tutte le carte superando ogni possibile tentazione austeritaria di ritorno. 

Mentre in Italia si tentenna nel varare un intervento da una decina di miliardi, il governo tedesco si è accordato sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas pagato da famiglie e imprese. La differenza sarà a carico dello stato nell’ambito di un intervento dal valore compreso tra i 150 e i 200 miliardi di euro. Il governo attingerà al Fondo di stabilizzazione economica, che non fa parte del normale bilancio federale. Un gruppo di esperti elaborerà i dettagli del limite di prezzo. “Il prezzo del gas deve andare giù”, ha detto il cancelliere tedesco Olaf Scholz, annunciando il provvedimento. Alla luce di quel che è accaduto ai gasdotti Nord Stream è chiaro che “presto il gas non sarà più rifornito dalla Russia. Questo significa anche che scomparirà la prevista “Gasumlage”, il supplemento gas in bolletta che doveva aiutare le aziende energetiche in difficoltà. La misura doveva entrare in vigore il 1 ottobre, ma sarà annullata perché “non serve più”, come ha detto oggi il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck. Il governo vuole ora aiutare direttamente le aziende. Il colosso Uniper, maggior importatore tedesco di gas russo, è del resto già in corso la nazionalizzazione.La Germania è però ben preparata al cambiamento della situazione” ha aggiunto il cancelliere tedesco. “Ci troviamo in una guerra dell’energia“, ha detto il ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner. “Con l’attacco ai gasdotti la situazione si è decisamente inasprita”, ha aggiunto. Putin vuole “distruggere molto di quello che le persone per decenni hanno costruito” in Germania. “Noi non possiamo accettarlo e ci difenderemo“, ha scandito Lindner. Il freno al prezzo del gas deciso oggi “è una chiara risposta a Putin, ma anche una chiara segnalazione al Paese. Noi siamo economicamente forti, e questa forza economica la mobilitiamo, quando serve, come adesso”.Secondo l’Agenzia tedesca delle reti, nell’ultima settimana il consumo di gas di famiglie e piccole imprese è stato significativamente superiore al consumo nello stesso periodo dello scorso anno. La settimana è stata anche più fredda. I dati sono “molto preoccupanti”, perché “senza un considerevole risparmio, anche nel settore privato, sarà difficile evitare una carenza di gas in inverno”, ha affermato il presidente dell’Agenzia, Klaus Mueller. Secondo Mueller, grazie ai serbatoi gas ben riempiti (al 92%, ndr), si potrà superare l’inverno senza danni, ma, appunto, sarà necessario risparmiare e “questo dipenderà da ogni singolo individuo”.Il fronte europeo – La mossa tedesca spiazza gli altri paesi europei. Domani è in programma il vertice straordinario dei ministri dell’Energia dell’Ue in cui dovrebbero essere decisi provvedimenti da adottare congiuntamente ma Berlino ha deciso di muoversi da sola. Le trattative erano già prima complicate. “La proposta di un price cap allo stesso livello per tutto l’import del gas è una misura radicale che comporta rischi significativi legati alla sicurezza di forniture di energia”, hanno sottolineato fonti Ue spiegando il testo presentato ieri sera dalla Commissione sugli interventi sul mercato dell’energia. “E’ una valutazione di bilanciamenti, vantaggi e rischi. Non credo che stiamo dicendo ‘no a 15 Paesi membri, diciamo che è meglio mettere un price cap al gas russo e negoziare” con i singoli fornitori i prezzi dell’energia, aggiungono le stesse fonti.Diversi paesi membri” tra quelli che da settimane chiedono una proposta Ue sul price cap su tutte le importazioni di gas, “stanno diventando sempre più nervosi per la mancata reazione della Commissione europea, è un dato di fatto”, afferma un alto funzionario europeo alla vigilia della riunione straordinaria dei ministri dell’Energia. La richiesta di un price cap generalizato contenuta in una lettera indirizzata all’esecutivo Ue firmata da 15 stati, tra cui l’Italia, è stata avanzata “per esercitare pressioni sulla Commissione”, tuttavia – sottolinea la stessa fonte – “al tavolo” dei Paesi membri “non c’è una voce univoca”.

La Commissione Ue proporrà “entro metà ottobre”, dopo aver raccolto i pareri dei governi, un aggiornamento del quadro temporaneo di crisi degli aiuti di Stato per continuare a sostenere l’industria e le aziende. Lo scrive la Commissione europea nel documento presentato ai paesi membri. “La Commissione garantirà” che le attuali disposizioni in vigore “rimangano adeguate alla luce della situazione di mercato altamente instabile e continuino a consentire agli Stati membri di fornire il sostegno necessario e proporzionato alla loro economia, anche mediante garanzie statali”. “Siamo in modalità di crisi e quindi contiamo che con l’aiuto degli operatori potremo costruire un indice complementare dei prezzi del gas in tempi ragionevoli“. Lo affermano fonti della Commissione europea circa i piani per diminuire i prezzi del gas, che prevedono anche un intervento per ridurre l’influenza del Ttf olandese sulla formazione delle quotazioni del combustibile in Europa. Nelle proposte che saranno illustrate domani ai ministri dell’energia, la Commissione proporrà di costruire un nuovo indice basato sulle transazioni di Gnl, che dovrebbe essere disponibile agli operatori prima dell’inverno.

 

LA GUERRA D'UCRAINA DAL 1 LUGLIO 2022 AL 27 SETTEMBRE 2022: dallo stallo al tentativo di Putin di smuovere la linea inglobando nella Russia i territori conquistati con un Referendum dichiarando lo "stato di mobilitazione parziale" a difesa dei nuovi territori russi. Una volta annessi quei territori, la profondità a lungo reclamata dall'Ucraina potrebbe avere come conseguenza una risposta atomica.

Il 12 maggio 2022, Vi relazionavamo sulla grave situazione dell'esercito Russo in Ucraina, sull'allarme dato dai vertici della Wagner che parlavano dell'incombente necessità di reclutar più uomini, almeno un milione, per andare a mettere una toppa in un gorgo nero ucraino. A furia di cannonate e grazie alla capacità russa di ovviare all'inferiorità numerica concentrando il fuoco su una linea abbastanza vicina e corta, il 1 luglio 2022, l'Armata Russa conquistava tutto il Donbass, eccezion fatta per la parte centro meridionale del Donetsk. Tuttavia a quel punto, come le linee incominciarono ad allungarsi, la catena dei rifornimenti russi iniziò immediatamente a mostrare sfilacciamento e farraginosità, subito sfruttate dagli ucraini che attraverso l'invio di cospique armi da parte degli Usa e della Gran Bretagna, attraverso l'analisi di intelligence occidentale, riusciva immediatamente ad interrompere l'avanzata ed a contrattaccare in due punti: il sud ovvero Kerson, allo scopo di spostare ivi parte dell'Armata da parte dei russi, in modo da scatenare a nord, a Kharkhiv, una fulminea offensiva che costrinse i russi, dal 6 al 16 settembre, a sgomberare l'intero Oblast e ripiegare sul fiume Oskil nel Luhansk, allo scopo di non essere insaccati. La ritirata non si è trasformata in rotta perchè ora sono gli ucraini che soffrono degli stessi difetti dei russi: le linee si sono allungate ed è difficile mantenerle sotto il fuoco a ripetizione dei russi.

La Russia probabilmente ha rafforzato il Vovchansk-Kupyansk-Izyum-Lyman con elementi del 20° esercito di armi combinate (CAA). Fonti russe hanno riferito che elementi non specificati della 20a CAA russa e "sottounità individuali di altre formazioni" stanno conducendo la difesa a Lyman e che elementi della 144a divisione di fucili a motore (della 20a CAA) stanno difendendo il fiume Oskil e Svatove, nell'oblast di Luhansk, contro gli attacchi ucraini.[32] Le precedenti descrizioni russe delle forze russe che difendevano Lyman menzionavano i distaccamenti della BARS dalla riserva dell'esercito di combattimento speciale russo e in particolare non menzionavano elementi della 20a armata combinata. L'attuale forza e composizione di questi elementi della 20a armata di armi combinate non sono chiare.

Fonti russe hanno affermato che le forze ucraine continuano a condurre attacchi a nord di Kupyansk attraverso il fiume Oskil. Fonti russe hanno riferito che le forze ucraine hanno iniziato ad avanzare da Horobivka e Dvorichna in direzione di Tavil'zhanka (18 km a nord-est di Kupyansk) il 25 settembre e sono riuscite a stabilire un punto d'appoggio non specificato vicino ai binari della ferrovia vicino a Tavil'zhanka.[33]

Le forze ucraine hanno mantenuto la loro campagna di interdizione, prendendo di mira le linee di comunicazione di terra russe (GLOC) e le posizioni chiave. Funzionari militari ucraini hanno riferito che le forze ucraine hanno continuato a prendere di mira ponti e attraversamenti alternativi emergenti sul fiume Dnipro.[35] Le forze ucraine hanno continuato a prendere di mira le posizioni russe nella città di Kherson e, secondo quanto riferito, hanno colpito un obiettivo non specificato di Rosgvardia all'interno della città.[36] Fonti ucraine e russe hanno anche riferito che un attacco ucraino in un hotel nella città di Kherson ha ucciso un collaboratore ucraino, Oleksiy Zhuravko.[37] Funzionari ucraini e rapporti sui social media hanno notato che le forze ucraine hanno colpito un convoglio militare, abbattuto un aereo d'attacco Su-25 e distrutto un magazzino di munizioni e un posto di comando a Beryslav Raion.

Fonti ucraine e russe hanno identificato tre aree di attività cinetica: a sud del confine tra Kherson e Dnipropetrovsk Oblast, vicino alla testa di ponte ucraina sul fiume Inhulets e ad est della città di Mykolaiv. Le forze ucraine e russe si sono scambiate dichiarazioni di tentativi di ricognizione falliti nell'area di Arkhanhelske, a sud del confine tra Kherson e Dnipropetrovsk Oblast e lungo il fiume Inhulets.[40] Lo stato maggiore ucraino ha anche osservato che le forze russe hanno colpito posizioni ucraine a Potomkyne e Osokorkivka, mentre il ministero della Difesa russo ha anche affermato di aver colpito un posto di comando ucraino a Vysokopillya e posizioni a Osokorkivka. [41] Il ministero della Difesa russo ha affermato di aver preso di mira con successo le forze ucraine a Bezimenne (circa 13 km a sud-est della testa di ponte) e di aver distrutto gli UAV ucraini su Davydiv Brid sull'autostrada T2207.[42] Tuttavia, filmati geolocalizzati mostravano le forze ucraine che lanciavano esplosivi sull'equipaggiamento militare russo a Davydiv Brid.[43] Un blogger russo ha affermato che le forze russe stanno continuando a prendere di mira le posizioni ucraine a est della città di Mykolaiv.[44]

 Zelensky e gli Alleati Occidentali non si aspettavano la mossa di Putin.

Putin si rese conto del pericolo che incombeva, perchè la sua linea del fronte faceva fatica a stabilizzarsi a causa del panico crescente che faceva sbandare i reparti. Così il 21 settembre indiceva il REFERENDUM sui 4 OBLAST OCCUPATI, allo scopo di inglobarli nella Russia, a prescindere dalle condanne occidentali, rendendoli quindi parte attiva e partecipa della NUOVA DOTTRINA RUSSA DI DIFESA, che prevede l'USO DI ARMI NUCLEARI TATTICHE, ovvero con una potenza distruttiva leggermente inferiore ALL'ARMA STRATEGICA. Ora gli Occidentali rimangono in attesa di vedere quale saranno le vere dimensioni del RICHIAMO ALLE ARMI PARZIALI voluto per difendere i nuovi territori. ALLO STESSO MODO ATTENDONO I RUSSI, i quali vogliono vedere quali saranno le gittate dei cannoni ucraini , PER AVERE L'AGOGNATO PRESTESTO DELL'UTILIZZO DELL'ARMA ATOMICA DI RISPOSTA. "

Ciò significa, considerando la dottrina d’impiego russa delle armi atomiche recentemente aggiornata dal Cremlino, che in caso di “minaccia vitale” all’integrità della Federazione, Mosca potrebbe ricorrere a un primo attacco nucleare tattico come ultima ratio, che, possiamo dirlo con elevata certezza, sarebbe un singolo colpo per avere parimenti eguale effetto dimostrativo e operativo.

Andando a leggere il nuovo documento russo che regola l’uso di armamenti atomici, è interessante ai nostri fini ricordare l’articolo 17 comma D, che sostiene la possibilità di utilizzare ordigni atomici qualora avvenga un’aggressione alla Federazione Russa con l’uso di armi convenzionali quando l’esistenza stessa dello Stato è minacciata. Questo passaggio risulta alquanto aleatorio, in quanto non è possibile definire con esattezza il grado di minaccia per l’esistenza dello Stato: la perdita del Donbass o della Crimea sarebbe vista come minaccia esistenziale? Probabilmente sì, ma non ne abbiamo la certezza in quanto si tratta di meccanismi non automatici soggetti all’interpretazione della politica di governo. "

Se infatti Mosca dovesse decidere per un primo uso di un ordigno atomico tattico, la Nato si troverebbe davanti a un dilemma non indifferente: rispondere con una reazione “uguale e contraria” oppure limitarsi all’azione nel campo della diplomazia internazionale con l’aggiunta di maggior sostegno militare a Kiev?

Premesso che la Russia alzando l’asticella dello scontro sino al livello nucleare ne verrebbe ritenuta unica responsabile agli occhi del mondo e quindi quasi istantaneamente otterrebbe il risultato di essere ancora più isolata in ambito internazionale, possibilmente mettendo a dura prova anche l’amicizia con la Cina – che più volte ha dimostrato di mal sopportare il conflitto in Ucraina – o il partenariato commerciale con l’India, ora più che mai vitale, il rischio per la Nato (e quindi nella fattispecie gli Stati Uniti) è insito nel dare una risposta che da altri attori internazionali verrebbe letta come debole, quindi sdoganando l’uso di armi nucleari.Vogliamo essere molto chiari: stiamo dipingendo il peggiore tra tutti i possibili scenari, ma è qualcosa che in analisi e predizione/previsione del rischio si deve tenere in considerazione. Del resto c’è stato almeno un precedente, se pur di ordine di grandezza molto inferiore: il frettoloso ritiro statunitense dall’Afghanistan ha sollevato molti dubbi, in Estremo Oriente, sulla reale intenzione di Washington di ergersi a difesa di Taiwan oppure dello stesso Giappone. Senza considerare che lo stesso meccanismo si è visto anche più di recente e proprio nell’intorno russo: il rifiuto di Mosca di intervenire per porre fine ai recenti attacchi azeri in Nagorno Karabakh come richiesto dall’Armenia secondo i principi del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) ha portato con sé la definitiva decisione del Kazakistan di uscire dallo stesso a partire dal 2023.

LA risposta statunitense è l'invio dei carri Abrams e dei T-55 sloveni modificati con la solita triangolazione occulta tedesca....

Le considerazioni riguardanti l’invio di possibili armi offensive – come potrebbero essere gli Mbt – a un Paese belligerante che avevano caratterizzato il dibattito politico europei nei primi mesi di guerra sembra però che siano state accantonate: sappiamo infatti che la Slovenia ha annunciato di essere pronta a consegnare all’esercito ucraino circa 28 M-55S (la versione modernizzata dei vecchi T-55) in cambio del trasferimento dalla Germania di 40 nuovi veicoli militari da trasporto.

Sebbene il T-55 non sia sconosciuto al personale ucraino, la sua modernizzazione ha comportato l’adozione di nuovi sistemi di bordo, che quindi richiedono adeguata formazione del personale per il loro utilizzo al meglio. La notizia diffusa dal governo sloveno nella giornata del 19 settembre, fa quindi ritenere che, in realtà, l’addestramento degli equipaggi ucraini sia stato già ultimato o stia per esserlo. Gli M-55S, modernizzati negli anni ’90, hanno ricevuto un cannone da 105 millimetri standard Nato al posto degli originali D-10T da 100 millimetri e hanno sistemi di controllo del fuoco e ottiche nuove, oltre alla possibilità di essere equipaggiati con corazzatura reattiva.

Se a prima vista può sembrare folle inviare in Ucraina la versione migliorata di un T-55 per affrontare i T-72 e i (pochi) T-80 e 90 russi, bisogna ricordare che anche l’esercito di Mosca ha schierato in combattimento i vecchi T-62 prelevandoli dai depositi di seconda e terza linea, e dalle immagini che ci sono giunte da osservatori occasionali, si può notare come buona parte di essi non abbia subito lavori di modernizzazione.

La mobilitazione parziale ha scaraventato la Russia ufficialmente in guerra a 34 anni dall'Afghanistan.

Con l’entrata ufficiale dell’intero paese in guerra, contro l’Ucraina e il suo sponsor – il blocco occidentale –, giungono al capolinea la farsa dell’operazione militare speciale e la Pax putiniana che, per ventidue anni, aveva permesso ai russi di vivere da free rider. Beneficiari in termini economici e di sicurezza dell’assertiva politica estera del Cremlino, alla quale però non partecipavano e che osservavano, anzi, con un certo distacco.

La Pax putiniana, il contratto sociale post-eltsiniano siglato tra Vladimir Putin e la società nel 2000, è venuta meno con l’annuncio della mobilitazione parziale. Che implicherà una trasfigurazione del sistema economico a supporto dello sforzo bellico e, soprattutto, l’ingresso della guerra nelle case dei russi. Non più come un sentito dire nei talk show, ma come lettera di richiamo al servizio. Una differenza di sostanza, oltre che di forma, che alza la posta in palio del conflitto – sottoponendo l’Ucraina (e l’Occidente) a maggiori pressioni – e che, allo stesso tempo, rischia di aggravare le tensioni sociali in lungo e in largo la Federazione.

Le letture catastrofistiche e disfattistiche lasciano il tempo che trovano, che è un tempo privo di memoria e astruso, perché la storia insegna che piazze in agitazione e fughe all’estero sono fenomeni tipici di ogni paese che entra in guerra. Oggi è il turno della Russia, come ieri lo è stato dell’Ucraina – testimone di una (dimenticata) emorragia umana all’indomani della proclamazione della mobilitazione generale – e l’altroieri lo è stato degli Stati Uniti – casa di proteste partecipate da milioni di persone durante le guerre in Vietnam e in Iraq. Fisiologia della guerra, non per forza produttrice di effetti politicamente rilevanti.

Non sopravvalutare. Perché dalla Russia, numeri alla mano, sta principalmente emigrando via aereo l’élite del ceto medio-alto e di estr

azione liberal-borghese – i cui facoltosi membri possono permettersi di pagare fino a 10000 dollari per un biglietto di sola andata verso Doha o Dubai – e, secondariamente e via terra, una piccola marea di cervelli, giovani e famiglie ordinarie.

Non sottovalutare. Il fenomeno di resistenza alla mobilitazione è ai primordi e, per quanto caratteristico di ogni paese ed epoca storica, potrebbe avere dei riverberi politicalmente rilevanti nel prossimo futuro. Un po’ perché la Pax putiniana è venuta meno, e ciò obbligherà la società a riflettere sul proprio ruolo e sui propri desideri – passivo adattamento o richiesta di cambiamento –, e un po’ perché, a differenza del passato, la reticenza è trasversale, accomunando slavi e minoranze, giovani e adulti. La stabilità sociale della Russia appesa a un filo chiamato guerra in Ucraina.

Il Macellaio di Mariupol a capo della logistica russa

In una fase di mobilitazione delle truppe con la guerra sostanzialmente paralizzata, modificare l’assetto della logistica, che è stata considerata per molto tempo il vero tallone d’Achille dell’avanzata russa, è un segnale da non sottovalutare. La Russia ha mostrato enormi lacune nel campo della logistica, dei rifornimenti e dell’organizzazione dei convogli sin dalle prime settimane di invasione, quando si sono palesati problemi anche nella catena che collegava il territorio russo alla linea del fronte. La scelta di sostituire Bulgakov conferma la necessità di un cambio di passo che corre in parallelo alla volontà di Putin di imprimere una svolta netta al conflitto.

Infine, è interessante anche il fatto che sia stato promosso un uomo, Mizintsev, che ha guidato una delle più importanti vittorie dell’esercito russo (appunto l’assedio alla città martire di Mariupol), che ha coordinato un altro assedio a Severodonetsk e che a suo tempo si era già reso noto per la conduzione delle operazioni ad Aleppo, in Siria. Mizintsev può essere considerato, a oggi, uno dei pochi comandanti ad avere ottenuto risultati che per Putin possono essere visti non solo come tangibili ma anche realmente utili alla sua “operazione militare speciale”. 

La seconda risposta statunitense: i missili anti radar

Ora siamo venuti a sapere che ci sono voluti solo un “paio di mesi” agli appaltatori della Difesa Usa per equipaggiare i caccia MiG-29 “Fulcrum” e Su-27 “Flanker” ucraini con gli Agm-88, grazie alle dichiarazioni rilasciate il 19 settembre dal capo delle forze aeree statunitensi in Europa. “È stato un vero sforzo”, ha detto il generale James Hecker durante una conferenza dell’Air Force Association. “Ci sono alcuni dei primi appaltatori che sono stati in grado di renderlo possibile. Ora [il missile n.d.r.] è integrato come su un F-16? Ovviamente no. Quindi non ha tutte le capacità che avrebbe come su un F-16”.

La questione può sembrare del tutto marginale nel più ampio contesto del conflitto ucraino, ma così non è. Innanzitutto le caratteristiche del missile lo rendono un’arma particolarmente temibile sul campo di battaglia: l’Agm-88 è un vettore ad alta velocità aria-superficie (ma Israele ha effettuato sperimentazioni per il lancio da piattaforme terrestri mobili) progettato per cercare e distruggere i sistemi di difesa aerea dotati di radar. L’Harm può rilevare, attaccare e distruggere un bersaglio con il minimo input da parte dell’equipaggio: il sistema di guida si concentra sulle emissioni radar del nemico utilizzando un’antenna fissa e una testa di ricerca nel muso del missile. Attualmente l’F-16C è l’unico aereo nell’inventario dell’U.S Air Force ad utilizzare il missile, che però viene usato anche dall’Aeronautica Militare Italiana e dalla Luftwaffe tedesca sui Tornado ECR e presto lo vedremo a bordo anche degli F-35A.

In combattimento, l’unica misura efficace per evitare di essere colpiti dal missile (eccezion fatta l’abbattimento prima del lancio dei caccia che lo trasportano) è lo spegnimento dei radar da difesa aerea: questa tattica però può avvantaggiare comunque l’aeronautica ucraina, in quanto, come detto dal generale Hecker, “anche se non ottieni l’eliminazione cinetica, puoi ottenere la superiorità aerea locale per un periodo di tempo in cui puoi fare ciò che devi fare”. Sempre che, ovviamente, i MiG-29 o Su-27 di Kiev non vengano intercettati dai caccia russi.

La vera notizia di settembre è passata inosservata

Negli stessi momenti in cui Putin, il 21.9.22, annunciava in un messaggio alla nazione la fine del camuffamento dell’operazione militare speciale, decretando l’avvio dell’attesa mobilitazione parziale, nel cuore mackinderiano dell’Asia profonda avveniva qualcosa di geoeconomicamente significativo: l’inaugurazione di una nuova rotta commerciale, di tipo multimodale, unente i mercati del rinato Impero celeste e di ben tre –stan.

Della rotta Cina-Kirghizistan-Uzbekistan-Afghanistan si discuteva da tempo, trattative e preparativi avevano costellato il 2021, ma è stato soltanto con lo scoppio della guerra in Ucraina che le parti hanno sveltito i lavori al banco negoziale, benedicendo la partenza sperimentale del primo carico di merci alla vigilia del vertice di Samarcanda. Partenza in sordina, curiosamente, di cui i giornali hanno cominciato a parlare soltanto a partire dal 21 settembre.

La tratta, la cui efficienza nella riduzione dei tempi e dei costi di trasporto verrà testata nel corso di un periodo di prova della durata di tre mesi, è stata costruita su richiesta esplicita di Biškek e Taškent, desiderose di ridurre la loro dipendenza commerciale e infrastrutturale da Mosca, e dovrebbe consentire il transito annuale di circa quattromila container.

La rotta – al momento stradale – potrebbe essere affiancata, qualora il comitato di giudici le desse pieni voti, da una serie di linee ferroviarie confluenti, in grado di unire lo Xinjiang al Pakistan via Kirghizistan, Uzbekistan e Afghanistan, permeando l’intera regione dell’olezzo della Belt and Road Initiative. Terrorismo, pressioni di rivali e dispute territoriali, si intende, permettendo.

L’impantamento russo fa gola a molti

La guerra in Ucraina, a meno di radicali inversioni di tendenza, potrebbe rivelarsi il rischio calcolato male di Putin. E non è soltanto per il lancio di nuove rotte commerciali sino-centriche in Asia centrale, ma per l’insieme degli eventi provocati e/o catalizzati. La definitiva ascesa di Pechino quale leader incontrastato dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, palesata in occasione del vertice di Samarcanda – protagonizzato da Xi Jinping per quantità e qualità di accordi siglati e per spirito di iniziativa. Il divenire del Caucaso meridionale un condominio turco-russo sempre più esposto alle manovre destabilizzatrici di Ankara e Washington. L’addormentamento dell’autonomia strategica europea, unica speranza per Mosca (e Bruxelles) di impedire la trasformazione dell’Unione Europea in un 51esimo stato sito nell’estremità occidentale dell’Asia. Le tensioni crescenti con gli –stan, in particolare con l’indispensabile Astana.

 

 

 

 

 

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 LA GUERRA D'UCRAINA DAL 1 LUGLIO 2022 AL 27 SETTEMBRE 2022

Il 12 maggio 2022, Vi relazionavamo sulla grave situazione dell'esercito Russo in Ucraina, sull'allarme dato dai vertici della Wagner che parlavano dell'incombente necessità di reclutar più uomini, almeno un milione, per andare a mettere una toppa in un gorgo nero ucraino. A furia di cannonate e grazie alla capacità russa di ovviare all'inferiorità numerica concentrando il fuoco su una linea abbastanza vicina e corta, il 1 luglio 2022, l'Armata Russa conquistava tutto il Donbass, eccezion fatta per la parte centro meridionale del Donetsk. Tuttavia a quel punto, come le linee incominciarono ad allungarsi, la catena dei rifornimenti russi iniziò immediatamente a mostrare sfilacciamento e farraginosità, subito sfruttate dagli ucraini che attraverso l'invio di cospique armi da parte degli Usa e della Gran Bretagna, attraverso l'analisi di intelligence occidentale, riusciva immediatamente ad interrompere l'avanzata ed a contrattaccare in due punti: il sud ovvero Kerson, allo scopo di spostare ivi parte dell'Armata da parte dei russi, in modo da scatenare a nord, a Kharkhiv, una fulminea offensiva che costrinse i russi, dal 6 al 16 settembre, a sgomberare l'intero Oblast e ripiegare sul fiume Oskil nel Luhansk, allo scopo di non essere insaccati. La ritirata non si è trasformata in rotta perchè ora sono gli ucraini che soffrono degli stessi difetti dei russi: le linee si sono allungate ed è difficile mantenerle sotto il fuoco a ripetizione dei russi.

 

 

L’Inter ci ha messo tanto ad arrivare fino a qui, a tornare grande, rivincere lo scudetto. Lo deve soprattutto ad Antonio Conte. E ai bistrattati cinesi, perché sono loro ad aver ricostruito il club dalla macerie. Dopo la gioia per lo scudetto, però, rimane un’angoscia di fondo: i nerazzurri hanno tutto per continuare a vincere, ma resta lo spauracchio di un addio del tecnico e di una smobilitazione.

 

Undici, lunghissimi anni. Tre proprietà diverse, da Moratti a Suning, passando per Thohir. Addirittura 15 allenatori, calciatori neanche a contarli, svariate rifondazioni, delusioni in serie, a volte proprio figuracce, brevi illusioni di rinascita (come le cavalcate iniziali di Stramaccioni e Mancini) e rovinose cadute, sofferte riconquiste (il ritorno in Champions con Spalletti) e ancora sconfitte (la finale di Europa League dell’anno scorso). Alla fine, la gioia. L’Inter ci ha messo tanto ad arrivare fino a qui, a tornare grande, rivincere lo scudetto. Lo deve soprattutto ad Antonio Conte. E ai bistrattati cinesi, perché sono loro ad aver ricostruito l’Inter dalla macerie. Adesso che però il titolo è in bacheca, il dominio della Juventus sulla Serie A è spezzato, l’incubo finito, rimane un’angoscia di fondo, una serie di domande assillanti a rovinare la festa nerazzurra: Conte resterà o se ne andrà? La rosa verrà rinforzata o smantellata? Suning venderà e a chi? Insomma, questo scudetto sarà il primo di una lunga serie, l’inizio di un nuovo ciclo, o solo il canto del cigno, prima di un altro declino?I tifosi oggi dovrebbero solo gioire. L’Inter ha vinto. E avrebbe tutto per continuare a farlo. Innanzitutto è la squadra nettamente più forte, come dimostra il distacco sulle rivali. Poi è una squadra giovane: l’età media di 28,1 anni per l’undici titolare, la terza più vecchia di tutto il campionato, inganna. La alzano sensibilmente Handanovic, e poi i vari Young, Vidal, Kolarov, l’usato sicuro preteso da Conte per dare esperienza, ma in realtà l’ossatura, che è quella che conta, non supera i 25 anni: da Skriniar a Bastoni, passando per Barella e Hakimi, e poi Lukaku-Lautaro, coppia del presente e del futuro, c’è un telaio già pronto e buono per almeno 5 anni a venire, che va solo potenziato. Persino dal punto di vista contabile l’Inter non sarebbe messa troppo male: al netto degli imbarazzi societari dei cinesi, può contare su un ricco parco calciatori, non ha grossi riscatti da onorare e prima delle perdite dovute al Covid cominciava a mostrare un trend in miglioramento.Tutto questo in un panorama generale in cui le rivali annaspano: la Juventus dovrà affrontare una rivoluzione tecnica e forse anche societaria, il Milan se manca ancora l’ingresso il Champions si ridimensiona nuovamente, l’Atalanta è una realtà meravigliosa ma di una dimensione oggettivamente inferiore, Roma e Napoli hanno progetti interessanti ma sono le incognite di sempre. Non serve molto per proseguire il cammino. Certo, i vari Psg, City, Bayern viaggiano su un altro pianeta, dove si fanno investimenti impensabili in questo momento. Ma per puntare a vincere ancora in Italia ed essere competitivi in Europa basterebbe puntellare e allungare la rosa, 3-4 giocatori, uno per reparto, magari un innesto davvero di qualità come fu Hakimi l’estate scorsa.Poi però c’è quello che succede fuori dal campo. C’è una proprietà distante, inaccessibile, legata a doppio filo al governo cinese che ha deciso di smobilitare gli investimenti sul pallone. C’è la prospettiva di un mercato a saldo zero, che vuol dire nessun rinforzo, o peggio ancora cessioni pesanti per finanziare gli acquisti. C’è lo spauracchio dell’addio di Conte (uno che non si è mai fatto problemi ad andarsene sbattendo la porta, se non ha ciò che vuole) e persino di Marotta. Il sogno che finisce proprio quando inizia, dopo tutta la fatica fatta per arrivare fino a qui. Nel suo discorso di festeggiamento, alla domanda sul futuro il presidente Zhang ha parlato della missione dell’Inter di portare “energia positiva” alle persone. Sarebbe stato meglio dare una semplice garanzia sull’intenzione di non smantellare la squadra. L’ultima volta che l’Inter ha vinto, fu la conclusione di un ciclo, quello del Triplete di Mourinho, straordinario e irripetibile, che infatti non si è ripetuto. Adesso ci sono le condizioni per aprirne un altro. O per ripetere la stessa storia.

 

Ceferin su Agnelli:"UNA FACCIA DI MERDA!!"Cairo su Marotta:"Uno schifoso traditore asservito agli interessi della Cina comunista!!"

 

 
 

 


 

L'Inter e quelle lacrime sulla sconfitta col Cagliari del 1974

Il tifo per Mazzola, la fotografia firmata da Boninsegna e quel calcio sognato aspettando Novantesimo Minuto

“A Milano, Cagliari batte Inter uno a zero…”. Era il tardo pomeriggio di lunedì 21 gennaio dell’anno 1974. Era un lunedì e non so dire perché si fosse giocato il campionato proprio quel giorno. Era ben lontano nel futuro il tempo del calcio spezzatino televisivo, ma tant’è, Paolo Valenti elencando i risultati del campionato di Serie A in apertura di “Novantesimo minuto” mi aveva appena rovesciato addosso la più inaspettata débâcle casalinga della mia Inter. Non avevo ancora compiuto 10 anni, ignoravo del tutto l’esistenza delle radiocronache. Così, ogni santa domenica con qualche rara eccezione, come quell’infausto lunedì, ripetevo il masochistico rito di aspettare trepidante davanti alla tv “Novantesimo”  per apprendere cosa avesse fatto la mia squadra del cuore. Da bravo bambino, la mattina andavo anche al catechismo e subito dopo a messa, onestamente più per dovere che per autentico credo. Qualcosa di simile alla fede, allora, era racchiuso solo in quei due colori, il nero e l’azzurro.

Ebbene, quel lunedì di 45 anni fa la mia fede calcistica vacillò davvero, perché quel risultato, Inter-Cagliari 0-1, al ritorno a scuola il giorno dopo mi avrebbe esposto a qualcosa di molto simile alla gogna. Pur non essendone originario, stavo crescendo in un paesino del Sud, lontano da grandi centri urbani e squadre locali di autentico riferimento. I ragazzini erano automaticamente portati a innamorarsi dei grandi club del Nord, perché vincevano. E siccome a nessuno piace perdere, era chiaro perché quasi tutti i miei coetanei fossero juventini. La Juventus, anche allora, era garanzia di successo. Costante, prevedibile, certo. Anche Inter e Milan erano club di grandissimo prestigio, nel decennio precedente avevano dominato il calcio europeo e mondiale. Ma di quei trionfi, a chi era bambino nei primi anni Settanta, arrivava solo un’eco dal passato. Il presente di Inter e Milan era racchiuso in un’unica parola: decadenza, per l’inevitabile parabola discendente dei loro campioni e la lunga attesa per un ricambio generazionale all’altezza di chi era stato mito.

Perché non era prevalso anche in me l’istinto di sopravvivenza, in questo caso il puro calcolo delle probabilità di successo rispetto all’andare incontro a sofferenza certa? Ancora oggi non so darmi una risposta. L’Inter aveva vinto il suo ultimo scudetto nel 1970-71, quando ero ancora troppo piccolo per viverlo con consapevolezza. Forse il gusto estetico: per me la maglia dell’Inter è la più bella del mondo. O il fresco clamore dei Mondiali di Mexico 70 e il gran parlare del dualismo tra Mazzola e Rivera. Il “Baffo” mi sarà stato più simpatico. “Papà, in che squadra gioca?”. O forse un inconscio desiderio di contrapposizione con un ambiente di cui faticavo a comprendere anche la lingua, col risultato di fraintendimenti continui e tante scazzottate. Allora, petto in fuori e “io sono dell’Inter”.

“Petto in fuori”, per l’intero decennio dei 70 l’Inter aveva in serbo per me solo dolori. Con la Juve si perdeva quasi sempre, in casa e fuori. Col Milan ci si dividevano i derby, ma fu un colpo durissimo la sconfitta patita ad opera dei cugini nella partita in cui ci si giocava davvero qualcosa, la finale di Coppa Italia 1976-77: Rivera, all’ultimo confronto con un Mazzola al passo d’addio, pennellò un assist perfetto per Maldera, Braglia chiuse i conti con un fulminante contropiede nel finale di partita. Nel frattempo io mi avviavo a diventare un fuoriclasse nella giustificazione dei fallimenti, nella ricerca del rigore non concesso, dello sbaglio dell’arbitro, della sfortuna delle occasioni mancate. La verità era che la grande Inter non c’era più e io avevo scelto il tempo più sbagliato per diventarne tifoso.

Lunedì 21 gennaio del 1974 mi ero illuso di poter vivere una giornata calcistica tranquilla. Il Cagliari di Gigi Riva era ormai l’ombra della squadra che Manlio Scopigno aveva condotto a uno storico scudetto nel campionato 1969-70. Ora l’allenatore dei sardi era Beppe Chiappella, che più tardi avrebbe onorevolmente servito anche la causa nerazzurra. Riva era ancora in campo dopo le resurrezioni seguite a infortuni terribili, ma viveva il suo personale crepuscolo lottando con i compagni per evitare la retrocessione in B. A Milano invece era tornato in panchina nientemeno che Helenio Herrera, il “mago” dell’Inter che dieci anni prima diventava euromondiale mentre io venivo al mondo. Di quella squadra leggendaria, erano ancora titolari Mazzola, Facchetti e Burgnich.
Prima di Inter-Cagliari, l’illusione di un ritorno alla gloria del passato era ancora viva solo negli ottimisti a tutti i costi, come me. Dopo quei 90 minuti non se ne trovò più traccia. Il Cagliari aveva resistito all’assalto nerazzurro, le frecce spuntate dell’attacco interista, l’ex cagliaritano Roberto Boninsegna, Peppiniello Massa e Carlo Muraro, erano rimbalzate sui guanti di Enrico Albertosi. Finché, al 76mo minuto, proprio Gigi Riva aveva bucato quelli di Ivano Bordon con un tiro da fuori area, credo su calcio di punizione dal limite. Ed io, il fuoriclasse degli alibi quando si trattava di motivare la sconfitta contro Juventus o Milan, non ero preparato a una tale rovinosa caduta. Valenti a Novantesimo non aveva neanche terminato la lettura dei risultati che la mia mente era già proiettata al domani. Immaginai il ritorno a scuola e l’impietosa presa in giro per la quale, in quello stesso istante, tutti i miei compagni di scuola juventini e milanisti si stavano fregando le mani. Ebbi un crollo emotivo e piansi.

“Ma stai piangendo?”. Era la voce di mio padre. Fui assalito dal pudore, non ebbi il coraggio di rispondere, trattenni i singhiozzi e mi sforzai di ricompormi. Non riuscii a essere sincero con mio padre, non lo credevo in grado di comprendere la portata del dramma esistenziale in cui quell’Inter-Cagliari 0-1 mi aveva sprofondato. Perché mio padre era l’adulto più distaccato dal calcio che io conoscessi. Seguiva Novantesimo soltanto per verificare i risultati sulla schedina del Totocalcio. Lui non studiava le partite per indovinare il risultato. Nelle due colonne allineava sempre sempre la stessa sequenza di uno, due, ics ed era felice quando scopriva di aver puntato su esiti contrari alla logica. Se la dea bendata del pallone un giorno lo avesse assistito, avrebbe incassato la vincita milionaria che gli avrebbe cambiato la vita. Un agnostico del calcio, non poteva capire.

E invece no, la realtà era molto diversa. Mio padre era stato un bambino esattamente come me. Appassionato di calcio, tifoso della Roma e stregato dal Grande Torino. Scoprii anni dopo con quale cura avesse custodito una ingiallita copia del “Calcio Illustrato”, un numero monografico dedicato proprio al più grande undici della storia granata consegnato alla leggenda dal disastro aereo di Superga. Fu la vita a strappare via l’innocenza di mio padre, proprio quando aveva la mia età, dieci anni. Nel 1938 si trovò improvvisamente senza papà. Il nonno era morto nella catastrofe che devastò uno stabilimento chimico destinato in epoca fascista alla produzione di esplosivi. C’era stata una prima deflagrazione, lui fu tra i primi ad accorrere in soccorso degli operai rimasti intrappolati tra il fuoco e le macerie, fu investito da una seconda esplosione.

La tragedia familiare e la guerra cambiarono mio padre e il suo destino. Oltre a essersi preso la vita di mio nonno, quello stabilimento chimico fu obiettivo di martellanti bombardamenti. Con la comunità sfollata, papà percorse più volte chilometri di campagna disseminata di orrori per scambiare qualcosa con carne e uova al mercato nero. Nei suoi occhi di ragazzo rimasero impressi non solo cadaveri in divisa e mostrine, anche la meschinità e la disonestà di cui può essere capace l’essere umano in tempi difficili. Con questo fardello, terminato il conflitto e primo figlio maschio, prese la via dell’emigrazione. Dopo dieci anni di Brasile, tornò per rivedere sua madre e non ebbe la forza di lasciarla ancora. Ma non restò in paese. La sua storia di emigrazione continuò in Italia, finché un giorno, da marito e padre, non decise di fermarsi in quel paesino del Sud. Dove ogni sabato avrebbe giocato la stessa schedina, sperando nella vincita che avrebbe cambiato quella sua difficile vita.

Dunque, anche mio padre era stato un bambino, solo meno fortunato di me. E quel pomeriggio del 21 gennaio di 45 anni fa, aveva compreso le mie lacrime. Di fronte al mio chiudermi a riccio non aveva insistito. Ma non aveva lasciato cadere la cosa, come scoprii con grande sorpresa qualche mese dopo.

Era un assolato giorno di primavera, il dolore di Inter-Cagliari 0-1 era ormai metabolizzato e l’Inter, affidata alla guida di Enea Masiero dopo l’improvviso ricovero di Herrera, era protagonista di un finale di stagione scoppiettante, impreziosito da un derby vinto addirittura per cinque a uno. Quel giorno tornavo a casa dopo la scuola particolarmente soddisfatto. Avevo la tasca del grembiule piena di figurine: in una bustina avevo trovato quella, rarissima, di William Vecchi, proprio il portiere del Milan che aveva raccolto cinque palloni in fondo al sacco. Lo avevo scambiato senza esitazioni (mai completato un album in vita mia) e ne avevo ricavato un bel pacco di doppioni senza valore ma perfetti per giocare sui marciapiedi con gli amici.

Affamato, mi sedetti a tavola davanti a un piatto di minestra fumante. “Non ti sei accorto di nulla?” sentii dire a mio padre, illuminato da un sorrisetto furbo. Lo guardai perplesso. Lui mi fissò e con lo sguardo mi rivolse un chiaro invito a scrutare sotto il piatto. Toh, una busta da lettera arancione. “Che cos’è?”. “Apri e guarda”. Aprii e guardai. Dentro c’era una foto. La estrassi con delicatezza. Uno scatto in bianco e nero. Un calciatore dell’Inter fissava l’obiettivo finendo col guardarmi negli occhi, in una posa che simboleggiava il suo ruolo di bomber: le braccia infilate tra le maglie di una rete da calcio. Sulla foto l’autografo vergato con un pennarello blu: “Roberto Boninsegna”. Dietro, il timbro del fotografo ufficiale dell’Inter, Marco Ravezzani.

Non so quanto tempo restai a osservarla. Devono essere stati lunghi minuti di felicità, se quando distolsi lo sguardo dalla foto per rivolgerlo verso mio padre la minestra non fumava più e il colpaccio delle figurine nemmeno lo ricordavo. Quel pomeriggio del 21 gennaio, commosso dal mio pianto di piccolo tifoso innocente e impotente, il mio papà aveva preso carta e penna per scrivere una lettera che avrebbe spedito all’indirizzo “Inter, Milano”, raccontando l’accaduto. Credevo che il mio papà non mi capisse, invece sapeva tutto del mio tifo per l’Inter e del conto da pagare all’amore per una squadra di calcio. Sapeva persino chi fosse il giocatore che ammiravo di più, Boninsegna.

Centravanti piccolo e robusto, combattivo, il "Bonimba" era dotato di spiccate doti acrobatiche e grande elevazione, i suoi gol di testa erano sempre capolavori di tempismo, potenza e bellezza. Capocannoniere con l’Inter campione d’Italia 1970-71, Boninsegna resta nella storia dell'Inter e nell'epica del calcio europeo anche per la lattina che lo centrò alla testa negli ottavi di finale della Coppa Campioni 1971-72 in casa del Borussia Moenchengladbach. Il match si trasformò in una corrida e finì 7-1 per i tedeschi (prima di andare ko e abbandonare la sfida Boninsegna aveva segnato il gol del momentaneo pareggio). Grazie al fattaccio della lattina l'Inter ottenne la ripetizione, vinse a San Siro 4-2 (altro gol di Boninsegna) e passò il turno pareggiando 0-0 la replica dell'andata, giocata stavolta a Berlino. Il cammino europeo dell'Inter sarebbe proseguito quell'anno fino alla finale, persa per 2-0 contro l'Ajax a Rotterdam, il 31 maggio 1972. Ma Boninsegna fu anche l'uomo che servì a Rivera la palla del 4-3 alla Germania nella leggendaria semifinale dei Mondiali in Messico del 1970, oltre a segnare l'unico gol azzurro, l'illusorio pareggio, nella finale stravinta per 4-1 dal Brasile di Pelè.

Guerriero di mille gloriose battaglie, Boninsegna era entrato nel mio cuore e nella mia fantasia. E ora era lì, tra le mie dita, che mi fissava infilando le mani nella rete. Così Inter-Cagliari 0-1, una sconfitta, è diventata la mia “partita della vita”. Perché a lei è legato uno dei ricordi più belli e struggenti della mia infanzia. Perché dopo quella batosta qualcuno all’Inter lesse la lettera del mio papà e accontentò la sua richiesta di fare qualcosa per consolare il suo bambino. Se la mia fede nerazzurra aveva vacillato il 21 gennaio del 1974, quel gesto aveva reso “umana” e mi aveva fatto sentire vicina una squadra di calcio che fino a quel momento avevo vissuto solo attraverso una tv in bianco nero da un piccolo paese del Sud. Perché mi ha insegnato che nessun risultato è già scritto e il fallimento non è un destino ineluttabile. Che la tristezza accudisce il seme dell'allegria e i fiori sbocciano anche nel deserto, come un dono miracoloso. Soprattutto, capii che mio padre era il mio miglior amico e lo avrei avuto sempre accanto, nelle piccole e grandi cose della vita.

Nel 1973-74 la Lazio allenata da Tommaso Maestrelli vinse il suo primo campionato, il centravanti biancoceleste Giorgio Chinaglia incoronato capocannoniere con 24 gol, solo uno in più del mio Boninsegna. Anche grazie a quella insperata vittoria a San Siro, il Cagliari si salvò, ma la sua retrocessione era solo rimandata. Accadde al termine della stagione 1975-76, durante la quale Gigi Riva subì l'ennesimo grave infortunio e disse addio al calcio giocato. Nell’estate del 1974 l’Italia di Valcareggi affondò ai Mondiali in Germania e i reduci della finale di Mexico 70, che ancora costituivano l’ossatura della nazionale, compresero che il loro tempo volgeva al termine. Boninsegna avrebbe vinto ancora lo scudetto nel 1976-77, ma con la maglia della Juventus. Albertosi passò al Milan e con Rivera non avrebbe mollato prima di aver consegnato al Diavolo lo scudetto della stella, campionato 1978-79.

Proprio allo scadere del decennio, finalmente Inter. Guidati dall'allenatore Eugenio Bersellini, i nerazzurri risposero ai cugini rossoneri vincendo invece quello che le cronache sportive consegnarono agli annali come lo “scudetto dei giovani”. L'Inter 1979-80 era una squadra formata soprattutto da calciatori cresciuti nel settore giovanile nerazzurro: il portiere Ivano Bordon, i difensori Nazareno Canuti e Beppe Baresi, il libero e capitano Graziano Bini, il velocissimo attaccante Carlo Muraro e il "veterano" Lele Oriali a cui, all'età di 19 anni, era toccata la missione impossibile di marcare sua maestà Johan Cruijff nella finale di Coppa Campioni persa nel 1972. Nel giro di un paio di stagioni si erano perfettamente inseriti giovani talenti emersi dalla serie B, come il centravanti Alessandro “Spillo” Altobelli, il fantasista Evaristo Beccalossi e il tornante Giancarlo Pasinato. Ma il gol del dodicesimo scudetto interista, sigillo al definitivo 2-2 casalingo con la Roma il 27 aprile 1980, lo segnò un reduce: Roberto Mozzini, stopper del Torino campione d'Italia 1975-76.

Fu l’ultimo campionato senza stranieri e la prima vera gioia da interista per sempre. Non ho più pianto per il calcio, nella sconfitta come nella vittoria. Unica eccezione,  il 22 maggio 2010. La Champions e il Triplete, solo lacrime di gioia nella notte che 36 anni prima, disperato davanti alla tv per Inter-Cagliari 0-1, mai avrei immaginato di vivere. Papà era ancora con me. L’alzheimer ormai gli aveva sbriciolato i ricordi, ma nei suoi occhi credetti di scorgere il lampo di una luce che ero io ad aver dimenticato. Forse aveva capito tutto anche quella volta.

 

 

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Giustizia e Impunità

Crack Veneto Banca, cade in prescrizione l’accusa di aggiotaggio a carico dell’ad Consoli. Pm: “Fallimento dello Stato”.

“La prescrizione del reato di aggiotaggio è il fallimento dello Stato”. Il sostituto procuratore Massimo De Bortoli è il pubblico ministero nel processo in corso a Treviso per il crack di Veneto Banca, che ha mandato sul lastrico decine di migliaia di risparmiatori. Con queste parole amare commenta, in una pausa dell’udienza, il fatto che il 26 ottobre uno dei reati di uno dei procedimenti a carico dell’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli venga cancellato dal troppo tempo trascorso. “Se avessimo avuto più risorse, il processo si poteva fare prima. Se io, per più di un anno, non avessi dovuto fare il procuratore facente funzioni, si poteva fare prima. Se avessimo avuto più personale amministrativo, più magistrati, si poteva fare prima. Ma se mancano le risorse è evidente che questi sono i tempi. Poi c’è stato il disguido del processo andato e tornato da Roma. È un fallimento dello Stato”.Se uno dei reati cade ora, per gli altri non si tratta che attendere il 25 dicembre e la prescrizione colpirà anche le accuse di ostacolo alla vigilanza e di falso in prospetto. Questi sono i tempi della prescrizione previsti dal Codice che dimostrano di valere come patente di impunità quando i casi sono complessi e le parti civili numerose. In questo caso, poi, gli incartamenti finirono a Roma, che però si dichiarò incompetente, rimandandoli in Veneto. Il magistrato ha spiegato: “A Treviso siamo dieci sostituti su 13 della pianta organica, non abbiamo il procuratore, abbiamo carenza di personale amministrativo e carenze di personale di polizia giudiziaria. Siamo un Tribunale piccolo, anche come giudici. I giudici penali sono troppo pochi e più di così non possono fare. Per poter svolgere questo processo, hanno rinviato udienze al 2023”. De Bortoli aveva lanciato un appello all’inizio dell’anno. “A febbraio avevo chiesto la copertura di due posti da sostituto, non ho avuto risposta. Dovevamo avere di diritto anche un procuratore aggiunto che invece, all’ultimo momento, il ministero ha dato a Venezia che adesso ne ha tre e noi nemmeno uno. Siamo stati bistrattati”.

Intanto il dibattimento continua. Consoli ha dichiarato: “Voglio farmi interrogare per poter replicare alle tante falsità che ho sentito”. L’avvocato Ermenegildo Costabile, che lo assiste, non considera la prescrizione una vittoria: “Tra i miei parametri non c’è l’asticella che dice quando si consuma un’accusa, ci sono altri parametri, ad esempio i testimoni da portare in aula”.

All’esterno del Tribunale ha manifestato un gruppetto di persone, con al collo cartelli con la scritta “Risparmiatore veneto” e “Giustizia negata”. “Dobbiamo commentare con amarezza le tante speranze tradite – dice l’avvocato Andrea Arman, presidente del Coordinamento Don Torta – Dispiace non riuscire a ricostruire la storia vera di questi crac”. E spiega che il Fir, il Fondo indennizzo risparmiatori, a fronte di 100mila pratiche ne ha evase solo 40mila.

Se l’esito di questo primo processo appare segnato, sono aperti altri due filoni. Quello per associazione per delinquere finalizzata alla truffa (da 100 milioni di euro) a carico di un gruppo di manager della banca aveva subìto rallentamenti in estate per l’incapacità dei server di caricare la mole imponente di documenti da notificare alle difese in vista della chiusura delle indagini. Il terzo filone, relativo alla bancarotta fraudolenta, ha teoricamente le maggiori possibilità di evitare la prescrizione, ma è al momento arenato in attesa che la Cassazione decida su un ricorso riguardante la dichiarazione di stato di insolvenza della banca.

 

Ruby-ter, l'assoluzione di Berlusconi chiude il primo troncone. Ecco gli altri processi aperti e le inchieste in corso

Giovedì 21 Ottobre 2021

Per Silvio Berlusconi la sentenza di assoluzione pronunciata questo pomeriggio dai giudici del Tribunale di Siena - con l'ampia formula che il fatto non sussiste in relazione all'accusa di corruzione in atti giudiziari - chiude il primo dei tre processi sul caso Ruby-ter, ossia su quei presunti versamenti a ragazze ospiti delle serate del «bunga-bunga» di Arcore e ad altri testimoni, come il pianista di Villa San Martino Danilo Mariani, anche lui assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari e condannato nei mesi scorsi solo per falsa testimonianza.

Testi pagati - questa l'ipotesi d'accusa cancellata per ora a Siena - per portare la versione delle «cene eleganti» nei processi sul caso Ruby. Per l'ex premier, però, sono ancora in corso i dibattimenti di altri due filoni, quello principale a Milano e un altro a Roma. Altri guai giudiziari pendenti per il Cavaliere sono il processo a Bari per la vicenda 'escort-Tarantini' e l'inchiesta a Firenze per le stragi di mafia.

La tranche principale dell'inchiesta Ruby ter, chiusa nel 2015 e poi 'spacchettata' per competenza territoriale anche in altre sedi giudiziarie, ha portato al processo che si tiene a Milano davanti alla settima penale, dove vengono contestati al leader di FI pagamenti per circa 10 milioni di euro in totale. Nel dibattimento Berlusconi è imputato con altre 28 persone, tra cui molte 'olgettine', la stessa Karima El Mahroug, ma anche il giornalista Carlo Rossella e la senatrice Maria Rosaria Rossi. Nelle scorse settimane l'ex presidente del Consiglio con una lettera molto dura inviata ai giudici ha rinunciato alla perizia medico legale, disposta dopo l'ennesima istanza di impedimento per motivi di salute, contestando soprattutto gli accertamenti psichiatrici. È quasi conclusa la fase dei testi dell'accusa e il 3 novembre verrà stilato il calendario degli esami degli imputati. Tre giovani, Barbara Guerra, Alessandra Sorcinelli e Marysthell Polanco, si sono dette pronte a dire la «verità» in aula, dopo aver attaccato l'ex premier con dichiarazioni alla stampa.

Il Ruby-ter in corso a Roma

 

A fine maggio la seconda sezione penale del Tribunale di Roma ha stralciato per motivi di salute la posizione del Cavaliere, separandola da quella dell'altro imputato, il cantante e amico storico Mariano Apicella. Secondo l'accusa, Berlusconi avrebbe pagato anche il cantante per indurlo alla falsa testimonianza e la prima dazione di danaro sarebbe avvenuta a Roma. In totale, il musicista napoletano - che aveva partecipato ad alcune serate del 2010 finite al centro del caso Ruby, da cui Berlusconi è poi stato assolto - avrebbe percepito illecitamente 157mila euro per mentire.

Il processo "escort" a Bari

 

Intanto, il 5 ottobre scorso, quasi due anni e mezzo dopo la prima udienza e a oltre 12 anni dai fatti contestati, è ricominciato il processo barese nei confronti di Berlusconi, nel quale è imputato per induzione a mentire, con l'accusa di aver pagato le bugie dette dall'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini (di recente condannato in via definitiva a 2 anni e 10 mesi) nelle indagini sulle escort. Secondo l'accusa, Berlusconi avrebbe fornito a Tarantini avvocati, un lavoro e centinaia di migliaia di euro proprio perché mentisse ai pm baresi che indagavano sulle escort, portate nelle residenze estive dell'ex premier fra il 2008 e il 2009.

 

Le stragi di matrice mafiosa

 

Nei mesi scorsi si è saputo che nuovi accertamenti della Procura di Firenze sono in corso nell'indagine che coinvolge Berlusconi e Marcello Dell'Utri e con al centro le stragi di mafia del 1993 a FirenzeRoma e Milano. Si tratta di un'inchiesta aperta e chiusa più volte a partire dagli anni '90. Nuove verifiche sono state disposte dopo che Giuseppe Graviano, capo del mandamento di Brancaccio di Palermo, ha parlato davanti alla Corte di Assise di Reggio Calabria nel processo alla «'Ndrangheta stragista». Graviano ha accusato il leader di Forza Italia di aver fatto affari con suo nonno, che avrebbe consegnato a Berlusconi 20 miliari di lire per investirli nel campo immobiliare. 

 

Nicolino Grande Aracri si è pentito: da oltre un mese le rivelazioni del boss di ‘ndrangheta fanno tremare i colletti bianchi del Nord Italia,16-04-21

Ilva, maxi condanne al processo Ambiente svenduto: per i fratelli Riva 42 anni in totale, 21 per Archinà. All’ex governatore Nichi Vendola tre anni e sei mesi,31-05-21

 

Il tramonto di Berlusconi, il naufragio di Renzi e la sconfitta di Salvini alle Regionali: Verdini, da mister Wolf a “mister flop” dei leader politici

Dopo aver guidato il Pdl nell'ultima stagione dell'uomo di Arcore al potere, dopo aver inventato il Patto del Nazareno trasformandosi nell'alleato fondamentale dell'ex segretario del Pd (sconfitto subito poco al referendum del 2016), ora l'ex senatore toscano è diventato il consigliere del compagno di sua figlia. Che in 13 mesi è passato dal governo con la Lega data al 36%, all'opposizione e il Carroccio che ha perso 12 punti percentuali. Dicono i bene informati che quando Denis Verdini venne a sapere della relazione tra la figlia Francesca e Matteo Salvini non ne fu troppo felice. Troppo diverso lo stile del leader della Lega da quello suo, che in gioventù fu tagliatore di manzi appena macellati – è vero – ma poi pure banchiere, editore, pluri imputato e soprattutto gran tessitore di trame di potere. Nato socialista e cresciuto repubblicano, è passato da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, ma sempre con le bretelle rosse sotto la giacca. Quel milanese troppo spesso in felpa, invece, con i suoi slogan e le sparate anti migranti non sembrava adatto agli eleganti tavolini di Pastation, il ristorante aperto da Verdini junior col rampollo dei Gucci in piazza di Campo Marzio a Roma, due passi da Montecitorio.

È noto, però, che al cuore non si comanda: con qualche felpa in meno e un paio di giacche in più, Salvini a casa Verdini ha messo le tende. Di foto con la figlia di Denis sono pieni i rotocalchi scandalistici; i giornali politici, invece hanno messo in pagina le immagini del leader della Lega in mezzo ai fiori di zucca nella vigna del “suocero”. Erano i giorni successivi al mojito del Papeete, alla rottura con i 5 stelle e alla richiesta dei “pieni poteri”: in tanti oggi nella Lega considerano quell’azzardo l’errore più grosso commesso fino a oggi dal segretario. Sono gli stessi che dopo l’Europee hanno cominciato a pressarlo: volevano far cadere il governo e capitalizzare il 36% accreditato dai sondaggi al Carroccio. È andata diversamente.

All’epoca, però, si disse pure Salvini optò per quell’azzardato all-in perché fu consigliato anche da qualcun altro. Qualcuno molto più esperto nel gioco del poker rispetto ai peones leghisti. “Vuole tornare al voto per modificare la riforma della prescrizione. L’influenza di Denis Verdini, va detto, non gli fa bene“, sibilò Luigi Di Maio. Nessuno smentì: che il “genero” Salvini, astro nascente della politica italiana e vincitore indiscusso delle Europee del 2019, attingesse qualche consiglio dal “suocero” Verdini, tra le altre cose regista del patto del Nazareno, sembrava una cosa assolutamente normale. In fondo il Partito della Nazione, idea incomputa partorita dall’ex senatore di Forza Italia, non è poi così diverso dal partito nazionalista in cui da anni il leader della Lega tenta di trasformare il Carroccio.

 

Mafia, Graviano parla ancora di Berlusconi: "Volevo ricordargli il suo debito"

Al processo 'Ndrangheta stragista, il boss spiega perché nelle intercettazioni diceva di voler contattare "persone vicine" al Cavaliere: "Non aveva dato il 20 per cento dell'investimento di mio nonno. Ma di tanto in tanto arrivavano dei soldi". Lo accusa pure di avere tradito Dell'Utri. Sul figlio, nato mentre era in carcere, dice: "Non posso dire cosa è successo, ci fu un momento di distrazione degli agenti, però mia moglie non è entrata in carcere".

 

 

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Società , clima ed economia

Clima, 10 anni di escalation di eventi estremi. “L’Italia è l’unico Paese in Ue senza un piano”. E Cingolani come risponde? Attacca Greta....23-11-21

11 AGOSTO – Caldo record in Italia, a Siracusa toccati i 48,8 gradi: è la prima volta in Europa

14 NOVEMBRE – Pioggia e temporali in Sardegna e Sicilia: 80enne muore trascinato via dall’acqua,Catania inondata

 

Emergenza climatica, Biden: "E' il decennio decisivo, dobbiamo agire". Draghi: "Insieme vinceremo questa sfida" | Dossier 22-04-21

 

L'Onu: "Limitare il riscaldamento climatico non basta, bisogna adattarsi. Alcuni danni sono irreversibili"

La sesta edizione del "Rapporto 2021 sul gap di adattamento: la tempesta in arrivo", elaborato dall'Unep, getta sul tavolo della Cop26 una nuova sfida. Finanziamenti e progetti devono procedere velocemente in due direzioni: per contenere le emissioni e per adattarsi a una situazione ormai compromessa.

È un inseguimento: l'impatto del cambiamento climatico corre, i decisori politici che cercano di arginarlo varano misure che restano sempre indietro. La sesta edizione del Rapporto 2021 sul gap di adattamento: la tempesta in arrivo firmato dall'Agenzia per l'ambiente dell'Onu (Unep) sottolinea che quella corsa l'abbiamo già persa perché alcune conseguenze della crisi climatica in atto sono irreversibili: quindi, oltre a cercare di limitare il riscaldamento globale a 1,5 C°, sarà indispensabile adattarsi. Sono previsioni che prendono in considerazione anche gli ultimi impegni presi dalla comunità internazionale, ma spronano ad avere obiettivi ancora più ambiziosi, perché "sebbene una forte mitigazione sia la via verso impatti più bassi e costi più a lungo termine, aumentare l'ambizione nell'adattamento, in particolare per quanto riguarda il finanziamento e l'attuazione, è fondamentale per evitare che i divari esistenti si allarghino".

LA DIRETTA DELLA GIORNATA

Più soldi e più azioni pratiche, subito, perché seppure "i soldi ci sono", come ha detto tre giorni fa il presidente del Consiglio Mario Draghi proprio in apertura del vertice di Glasgow, i finanziamenti e l'attuazione sono molto indietro. Di fronte alla velocità impressionante con cui il clima cambia, è il messaggio che il Rapporto Unep lancia durante le trattative della Cop26, le nostre reazioni sono oltre che in ritardo anche diseguali, soprattutto nella capacità di risposta. A questo ritmo, alcuni Paesi che gli effetti devastanti della crisi climatica li stanno già subendo rischiano di restare sempre più indietro. Nello specifico, l'agenzia Onu scrive che ci sono prove che indicano come l'obiettivo di rimanere entro +1,5 gradi centigradi entro fine secolo sarà probabilmente mancato, ma anche se lo centriamo alcuni impatti del cambiamento climatico sono già irreversibili e ci accompagneranno per molti decenni.

 

Le politiche di adattamento, indica ancora il Rapporto, devono prevedere interventi prioritari in vari settori, per prevenire e contenere i danni provocati dagli eventi meteo estremi causati dai cambiamenti climatici. Tra gli ambiti dove tali interventi sono più urgenti la gestione del territorio con attenzione alla biodiversità, la razionalizzazione e conservazione dei sistemi idrici, l'elaborazione di mappe di pericolosità e gli interventi per contrastare le ondate di calore, soprattutto in ambienti urbani. Insieme agli strumenti per adattarsi ai cambiamenti già in atto, servono poi  politiche di mitigazione per non accelerare ancor di più l'impatto e la priorità e ridurre l'emissione dei gas serra.

L'Unep ricorda che "il 2021 è stato l'anno in cui il cambiamento climatico si è manifestato chiaramente come una seria minaccia per l'umanità, non solo a lungo termine, ma nel qui e ora" e rileva che "gli impatti climatici colpiscono il mondo con una nuova ferocia". L'Agenzia per l'ambiente ricorda che, sempre quest'anno, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) ha avvertito che esiste una maggiore possibilità di un aumento della temperatura globale superiore a 1,5 gradi centigradi entro i prossimi due decenni. Gli attuali contributi determinati a livello nazionale (Ndc), cioè gli impegni di ciascuno Stato, come previsti dall'accordo di Parigi puntano al momento verso un riscaldamento globale di 2,7 gradi centigradi entro la fine del secolo. Quindi, "anche se il mondo cerca di intensificare gli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra - sforzi che non sono ancora neanche lontanamente abbastanza incisivi - la crescita degli impatti climatici sta superando di gran lunga il nostro sforzo per adattarvisi" avverte l'Agenzia per l'Ambiente dell'Onu.

Il Rapporto fa poi un esempio concreto su come i "soldi che non sono un problema" non sono stati usati "in modo intelligente e velocemente", sempre per citare Draghi. "I pacchetti di stimolo alla ripresa dopo il Covid-19 presentano una finestra di opportunità per intervenire con misure verdi e resilienti, ma queste non vengono attualmente realizzate", rimarca l'Unep, precisando che 16.700 miliardi di dollari di stimolo fiscale sono stati distribuiti in tutto il mondo, ma solo una piccola parte di questi incentivi sono stati indirizzati all'adattamento, cioè a interventi per prevenire i danni degli eventi meteo estremi (come siccità, tempeste, incendi, alluvioni) favorendo quindi anche la crescita economica verde. Quindi "l'occasione è stata ampiamente persa", dice l'Unep.

Meno di un terzo dei 66 Paesi presi in esame fino a giugno 2021 hanno studiato misure per affrontare i rischi climatici, dice il rapporto. Circa il 79% dei Paesi ha adottato almeno uno strumento di pianificazione dell'adattamento a livello nazionale, come un piano, una strategia, una politica o una legge. Si tratta di un aumento del 7% dal 2020, calcola l'Unep, ancora troppo poco vista l'emergenza in atto. Il 9% dei Paesi che non dispongono di uno strumento di questo tipo ne sta sviluppando uno. Almeno il 65% dei Paesi, osserva il rapporto, dispone di uno o più piani settoriali e almeno il 26% dispone di uno o più strumenti di pianificazione subnazionale. Nel frattempo, l'attuazione delle azioni di adattamento continua a crescere lentamente. I dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), ricorda l'Unep, rivelano che i primi dieci donatori a livello globale hanno finanziato più di 2.600 progetti con un focus principale sull'adattamento tra il 2010 e il 2019. Anche i progetti stanno diventando più grandi, e molti attirano finanziamenti superiori a 10 milioni di dollari.

I costi stimati per l'adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo sono da cinque a dieci volte superiori agli attuali flussi finanziari pubblici (quasi 80 miliardi nel 2019) e i dati disponibili indicano che il divario finanziario per l'adattamento si sta ampliando. Secondo l'Adaptation Gap Report 2021 i nuovi costi - rispetto a quelli del rapporto del 2016 - solo per i Paesi in via di sviluppo si avvicinano alla parte più alta della forchetta 140-300 miliardi di dollari all'anno entro il 2030 e 280-500 miliardi di dollari all'anno entro il 2050.

Il nuovo rapporto dell'Ipcc, il comitato scientifico dell'Onu, registra gli effetti del global warming. "La grandezza di questi cambiamenti della criosfera è destinata ad aumentare"(agosto 2019)Tutti noi dipendiamo direttamente dagli oceani e oggi, mai come prima, la loro salute è estremamente danneggiata a causa delle nostre emissioni. Nei prossimi anni crescerà l'innalzamento dei livelli del mare portando a scenari catastrofici con milioni di persone sfollate. Gli eventi climatici estremi colpiranno almeno una volta l'anno entro il 2050. Gli oceani vedranno un aumento senza precedenti della temperature e della acidificazione, un calo dell'ossigeno, ondate di calore sempre più forti e frequenti, piogge e cicloni devastanti e una costante diminuzione degli animali marini e dei coralli che già sta avvenendo.

Gli esperti sostengono che l'innalzamento del livello del mare stia accelerando in maniera drammatica e senza riduzioni drastiche delle emissioni si innalzerà dieci volte più velocemente entro il 2100 rispetto al XX secolo. Potrebbe crescere anche di un metro entro il 2100.

Ghiacciai sciolti e mari più caldi

Ciò significa che i ghiacciai perderanno in media più di un terzo della loro massa e alcune catene montuose perderanno l'80% del ghiaccio entro il 2100. Altri ghiacciai scompariranno del tutto. Il permafrost rilascerà sempre più carbonio accelerando i processi del riscaldamento globale. La vita marina continuerà a diminuire. Già ora è stato registrato che le lastre di ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartico si stanno sciogliendo rilasciando oltre 400 miliardi di tonnellate di acqua all'anno. L'area dell'Artico coperta di neve ogni estate si sta invece riducendo di oltre il 13% in un decennio.
L'intero oceano si sta trasformando: le ondate di calore marine sono diventate due volte più comuni, più calde e di più lunghe, mentre le acque stanno perdendo ossigeno e diventando più acide.

"La perdita di massa globale dei ghiacciai, la fusione del permafrost e il declino nella copertura nevosa e nell'estensione dei ghiacci artici è destinata a continuare nel periodo 2031-2050, a causa degli aumenti della temperatura di superficie, con conseguenze inevitabili per straripamenti di fiumi e rischi locali", si legge nel rapporto "Oceano e criosfera in un clima che cambia" (la criosfera è l'estensione dei ghiacci).

"L'oceano sta perdendo la sua capacità di sostenere se stesso e noi umani - commenta nel comunicato dell'Ipcc la ricercatrice Lisa Speer, della ong internazionale National Resources Defence Council -. Dobbiamo, con la massima urgenza, ridurre le emissioni di gas serra, e al tempo stesso proteggere larghe aree dell'oceano globale da attività umane dannose. Il 30% al 2030 sarebbe un buon inizio".

Il rapporto diffuso oggi dal Principato di Monaco, dove sono riuniti da giorni i ricercatori per la stesura finale va ad integrare quello uscito a maggio ("Cambiamento climatico e territorio") e quello su "Riscaldamento globale a 1,5°C" uscito nell'ottobre del 2018, e disegna scenari ben più cupi rispetto agli ultimi studi.

Senza mezzi termini gli scienziati scrivono che nel ventunesimo secolo saremo soggetti a "condizioni senza precedenti di aumento di temperature, maggiore stratificazione dei livelli superficiali, ulteriore acidificazione, declino dell'ossigeno e alterata produzione primaria netta (la produzione di pesci e alghe, ndr). Ondate di calore marine ed eventi estremi come El Nino sono destinati a diventare più frequenti. Eventi estremi di livello del mare che erano storicamente rari (uno al secolo nel passato) sono destinati ad avvenire più di frequente (almeno una volta all'anno) in molte zone al 2050, specialmente nelle regioni tropicali. L'aumento del livello del mare continuerà anche oltre il 2100".

Il declino della biodiversità

Ci avviamo verso "una diminuzione nella biomassa globale degli animali marini, nella loro produzione e nel potenziale di pesca, e un cambiamento nella composizione delle specie è previsto nel XXI secolo negli ecosistemi oceanici. I cambiamenti futuri nella criosfera sulla terraferma (i ghiacciai montani e le coperture polari) sono destinati a colpire le risorse idriche e i loro usi, come l'idroelettrico e l'agricoltura. Gli incendi si prevede che aumenteranno in modo significativo per il resto del secolo nella tundra e nelle regioni boreali, così come in alcune regioni montane".

Bisogna ricordare che quasi 2 miliardi di persone vivono sulle coste. Anche se il riscaldamento sarà limitato a soli 2° C, gli scienziati prevedono che l'impatto dell'innalzamento del livello del mare causerà danni per diversi miliardi di dollari all'anno e costringerà a spostarsi milioni di migranti

I ghiacci dell'Artico ridotti del 38%: il monitoraggio dal satellite dal 1979

Addio Venezia: come apparirebbe il mondo se si sciogliessero tutti i ghiacci

Se il mondo continuerà a bruciare combustibili fossili e a usare il carbone a tempo indeterminato, il cambiamento climatico potrebbe arrivare a sciogliere tutto il ghiaccio dei poli e quello sulle montagne, secondo il National Geographic.

Ci sono oltre 21 milioni di km cubi di ghiaccio sulla Terra. Secondo molti scienziati ci vorrebbero più di 5.000 anni per scioglierlo tutto. Ma nell’arco di vita della prossima generazione, alcune città potrebbero già cessare di esistere se il mondo non ridurrà drasticamente le emissioni di carbonio.

Questo farebbe salire il livello del mare di approssimativamente 66 metri, sommergendo città che si affacciano sul mare come Venezia, Buenos Aires e Il Cairo.

Business Insider ha creato una mappa animata che mostra come sarebbe il mondo se questo futuro apocalittico dovesse avverarsi.

Già alla fine di questo secolo, secondo gli scienziati, diverse parti della terra diventeranno inabitabili. I rischi che implica il cambiamento climatico includono carestie, siccità, vasti allagamenti, epidemie, avvelenamento degli oceani e ondate di calore record.

Lo scioglimento sempre più rapido delle calotte polari e dei ghiacciai sta facendo salire i livelli del mare e cambiando le coste nel mondo. Ecco cosa succederebbe alle coste del Nord America se tutto il ghiaccio del mondo si sciogliesse: Miami e tutta la Florida scomparirebbero e Washington diventerebbe una città di mare. L’Europa direbbe addio a Londra, Venezia e ai Paesi Bassi,In Asia, l’acqua inghiottirebbe l’intero Bangladesh, attualmente abitato da 160 milioni di persone, e Kolkata (Calcutta), con una popolazione di 4,6 milioni.L’Australia perderebbe gran parte della fascia costiera dove vivono circa l’80% dei suoi abitanti.In estremo oriente Shanghai finirebbe in mezzo al Mar Cinese Orientale, che arriverebbe a lambire Bejing (Pechino).In Sud America, il mae si impadronirebbe del bacino dell’Amazzonia e di quello del fiume Paraguay, distruggendo Buenos Aires e gran parte del Paraguay.L’Africa perderebbe meno terra rispetto ad altri continenti. Tuttavia, le ondate di calore insopportabili renderebbero inabitabile gran parte dell’area.

Clima, il Mar Caspio sta evaporando. ''A questo ritmo la parte Nord sparirà in 75 anni''

Clima, il Mar Caspio sta evaporando. ''A questo ritmo la parte Nord sparirà in 75 anni''

Non è la prima volta che il più grande lago del mondo perde acqua, ma ora lo sta facendo a un ritmo doppio rispetto al minimo degli anni '70, la scoperta si deve alle osservazioni satellitari. Secondo gli scienziati se non aumenterà l'apporto dei fiumi o delle piogge, tutta la sua parte meno profonda potrebbe andare perduta. ANCHE il Mar Caspio sta perdendo acqua, evapora a causa delle temperature sempre più alte: il suo livello è sceso di un metro e mezzo in circa 20 anni e continua ad abbassarsi. Il lago più grande del mondo soffre dunque l'eccessiva evaporazione e l'apporto da piogge e fiumi che è sempre più scarso. A questo ritmo tutta la sua parte settentrionale potrebbe sparire nel giro di tre quarti di secolo.

A preoccupare gli studiosi non è tanto il livello attuale delle acque, non è stato infatti ancora raggiunto il record negativo fatto registrare alla fine degli anni '70, quanto piuttosto il trend in picchiata, un calo di quasi sette centimetri all'anno, il doppio rispetto a 40 anni fa. La tendenza non sembra diminuire, anzi, dal 1995 al 2015 la curva è diventata sempre più ripida. Metà della colpa, secondo un team internazionale di ricercatori guidati dall'Università del Texas, autori dello studio pubblicato su Geophysical Research Letters, è da attribuire alle temperature, che sono cresciute in media di un grado centigrado tra i due periodi di riferimento (1979-1995 e 1995-2015). E che continueranno ad alzarsi, secondo gli scienziati, guidate dai cambiamenti climatici in atto. A influire però sono anche la riduzione delle precipitazioni e il contributo dei fiumi, il più grande dei quali è il Volga.

REPORTAGE Nel deserto dell'Aral, dove il lago è un ricordo

La scoperta che il mar Caspio si sta riducendo è avvenuta quasi per caso, calibrando gli strumenti dei satelliti Grace (Gravity recovery and climate experiment) della Nasa, sonde che misurano accuratamente il campo gravitazionale della Terra e che riescono a individuare e misurare la quantità di acqua presente, anche nel sottosuolo. Come una bilancia che riesce però a pesare mentre è in orbita, a quasi 500 chilometri di distanza.

LEGGI Marche, scomparso Pilato: il 'lago con gli occhiali'

Lo specchio d'acqua, di gran lunga il più grande del pianeta con una superficie pari a circa 371.000 chilometri quadrati (più della Germania), ha sperimentato molte fluttuazioni nella sua profondità media negli ultimi decenni. La più importante delle quali, appunto, si è conclusa alla fine degli anni 70.

Il Caspio è anche uno dei laghi più profondi, l'abisso arriva a oltre un chilometro nella sua parte meridionale, è salato e può essere considerato come un piccolo mare. Il rischio riguarda però soprattutto la parte settentrionale, quella meno profonda: "L'evaporazione - scrivono gli scienziati - avrà l'impatto più grande nella porzione nord del Mar Caspio, perché molta dell'acqua in quell'area è inferiore ai cinque metri di profondità". A questo ritmo, sette centimetri all'anno, tutta quella zona si prosciugherà in circa 75 anni, come è già successo con il lago d'Aral, con un danno economico e ambientale incalcolabile.

 2019

 

 

2108

 

2017: crisi bancarie,guerra Vivendi-Mediaset,fuga di Exxsor, fine del salotto buono,crollo industriale

 

LA DECRESCITA PERENNE di Bifo Berardi

"USAMI COME VUOI" 
("E PER IL TEMPO CHE TI SERVE")

La lettera-zerbino di Christine Lagarde

 a Nicolas Sarkozy che imbarazza

 il Fondo Monetario Internazionale 
BLOG Armeni: "Lagarde-Sarkozy, il

 bondage del potere" 

 


Concorso scuola, Giannini: E' passato chi era preparato su metodi di insegnamento

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Craco la città fantasma che ha stregato il cinema

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Zelensky ribadisce che la guerra continua fino alla vittoria ed alla distruzione totale. Sarà accontentato: i russi si  accordano con l'Iran per la produzione di droni.19-11-22

Ucraina, distrutto il 50 per cento del sistema elettrico. Mosca accusa Kiev: “Giustiziati 10 soldati prigionieri, è stata una esecuzione”. Onu: “Esamineremo i video”,18-11-22

I missili non erano russi, ma Zelensky ha insistito continuamente mandando su tutte le furie Biden: le false accuse hanno seriamente rischiato lo scoppio della terza guerra mondiale.Il Financial Times, infatti, riporta che un diplomatico di un Paese dell’Alleanza non meglio precisato, a Kiev, ha dichiarato che “sta diventando ridicolo. Gli ucraini stanno distruggendo la (nostra) fiducia in loro. Nessuno sta incolpando l’Ucraina e stanno apertamente mentendo. Questo è più distruttivo del missile” lasciando trasparire una certa insofferenza per l’atteggiamento ucraino che potrebbe anche essere legata alle continue e pressanti richieste da parte di Kiev di maggiore impegno della Nato. L’amministrazione Biden non sta abbandonando l’Ucraina, terra che le grandi logiche geostrategiche rendono irrinunciabile: le sta illustrando la via da seguire per massimizzare il profitto ricavabile dal momento di difficoltà della Russia. E questa via difficilmente implicherà paci cartaginesi, alla Versailles, sia perché gli Stati Uniti hanno già conseguito gli obiettivi prefissati – dal ricompattamento della NATO alla spaccatura della GeRussia – sia perché gli sforzi di tornare allo status quo ante bellum potrebbero spianare la strada a scenari da hic sunt leones.Il tavolo negoziale è pronto. Attende soltanto che i commensali prendano posto. Milley, con le sue dichiarazioni, ha invitato russi e ucraini a sedersi. Lo ha capito Mykhailo Podolyak, il consigliere di Volodymyr Zelensky, che la mattina del 18 ha parlato della possibilità che il conflitto si fermi senza che i russi si ritirino dai territori occupati. E dovrebbe capire che il momento propizio per scendere in campo è giunto, o manca poco, anche la grande assente di questa fase: l’Europa.

 

Cnn: “Usa a corto di armi dopo rifornimenti all’Ucraina”

 

Gli Stati Uniti sono “a corto” di armi e munizioni dopo aver rifornito per mesi le forze dell’Ucraina. Lo riferiscono tre funzionari alla Cnn. Dall’inizio dell’invasione della Russia, lo scorso febbraio, Washington ha inviato a Kiev assistenza militare per 18 miliardi di dollari. Il Pentagono ha sempre assicurato che le scorte Usa sono rifornite e qualche giorno fa ha annunciato di aver aggiudicato contratti per un valore di oltre 520 milioni di dollari al gigante della difesa Lockheed Martin per sostituire i sistemi missilistici inviati in Ucraina. 

"Kiev ha poche possibilità di vincere la guerra". Il Pentagono gela Zelensky

Il capo di stato maggiore Usa Mark Milley: "L'inverno è una buona finestra per negoziare la pace"

La guerra in Ucraina continua da ormai 10 mesi, ma l'episodio dei missili esplosi in Polonia ha provocato un cambiamento di strategia da parte degli Stati Uniti. Dopo la scoperta che l'ordigno lanciato non era russo ma ucraino, il Pentagono ha deciso di accelerare per far cessare il conflitto. "La probabilità di una vittoria militare ucraina che cacci via tutti i russi dal Paese, inclusa la Crimea, è molto bassa".

 

 

 

Due missili russi colpiscono la Polonia (Paese Nato). Varsavia convoca d’urgenza il Consiglio di Sicurezza. Pentagono: pronti a difendere i territori dell’alleanza (15-11-22)

 

LA RITIRATA DI KHERSON,10-11-22

Dopo 3 mesi e mezzo, il generale Surovikin decide che la città al di là del Nipro non si può difendere a causa dell'assenza delle linee di rifornimento necessarie, così dopo averla svuotata dei civili, sta procedendo a ritirare l'esercito in buon ordine dietro le nuove linee di difesa approntate ( come da foto) molto in profondità in attesa del da farsi. Centomila proiettili di artiglieria. Li acquisteranno gli Stati Uniti dalla Corea del Sud per fornirli all'Ucraina. Lo rivelano funzionari americani al Wall Street Journal. Se confermato, si tratterebbe di un fatto senza precedenti, segno della difficoltà anche di Washington di reperire armi per sostenere Kiev nella guerra contro la Russia. Ma Seul precisa: la vendita è destinata agli Usa e non alle truppe ucraine.

Cnn, immagini satellite mostrano danni a diga vicino Kherson
 

Nuovi danni sarebbero stati inflitti nelle ultime 24 ore alla diga della centrale idroelettrica di Kakhovka che attraversa il fiume Dnipro a Nova Kakhovka nella regione di Kherson in Ucraina, secondo le immagini satellitari della Maxar Technologies ottenute dalla Cnn. L'acqua continua a scorrere da tre paratoie della struttura. Tuttavia l'emittente precisa che al momento non è chiaro come sia stato causato l'ultimo danno vicino alla riva occidentale del fiume, sebbene ieri sera siano state riportate su Telegram voci di esplosioni intorno alla diga.

 

Un'immagine satellitare sulla diga di Nova Kakhovka a Kherson (reuters)

Ucraina: media Kiev, il ponte Antonovsky è crollato

Il ponte Antonovsky, che collega la città di Kherson alla sponda orientale del fiume Dnipro, dove si sono ritirate le forze russe, è crollato in alcuni tratti e non sarebbe più utilizzabile. È quanto riferisce l'emittente ucraina Suspilne, che ha mostrato immagini dove l'infrastruttura presenta intere sezioni mancanti. Non è noto cosa avrebbe causato il parziale collasso del ponte, che era stato attraversato nei giorni scorsi dai convogli russi in ritirata. Nelle settimane scorse il ponte era stato martellato ripetutamente dall'artiglieria ucraina, che aveva così complicato ulteriormente la già difficile situazione logistica delle truppe russe.

Ucraina: Kiev ha costruito un muro al confine con Bielorussia

Le autorità ucraine stanno costruendo un muro al confine con la Bielorussia, alleato di Mosca nella guerra contro Kiev. Lo ha detto il vice capo dell'ufficio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Kyrylo Tymoshenko, condividendo le foto del muro sui social. Finora, ha detto Tymoshenko, sono stati costruiti tre chilometri di muro e i lavori continuano nelle regioni di Volyn, Rivne e Zhytomyr.

ma Putin prepara il piano B

Il Cremlino ha trasferito 150 mila uomini alla frontiera in Bielorussia e nelle zone di Kursk e Bryansk. Se non ci sarà una tregua, attaccheranno.

I veicoli militari, così come le truppe russe, sono arrivati in treno.
I convogli hanno passato il confine con la Bielorussia per raggiungere i campi di addestramento allestiti da Minsk.
Sono circa 9mila i soldati di Mosca dislocati in Bielorussia. 

Germania, il Bundestag approva la riforma che trasforma il sussidio sociale in reddito di cittadinanza

Aumento degli assegni, promozione dell’apprendimento permanente, riduzione della pressione sui disoccupati perché trovino un lavoro qualsiasi a tutti i costi, copertura dei costi dell'alloggio: il 'Burgergeld' entrerà in vigore nel 2023, potenziando il sistema di sussidi attualmente in vigore. Ma l'opposizione frena: "Lo bloccheremo in Senato"

In Italia si pensa a come ridimensionarlo, in Germania a come potenziarlo. Il 10 novembre, il Bundestag ha approvato la riforma del ‘Burgergeld’, il nuovo reddito di cittadinanza tedesco. Il sistema di aiuti ‘Harz IV‘, introdotto circa 18 anni fa dall’amministrazione dell’ex cancelliere Gerhard Schroder, dovrebbe essere sostituito dal nuovo sussidio a partire dal 2023. Ma l’opposizione ha già annunciato di voler provare a bloccare la legge il 14 novembre al Bundesrat, il Senato tedesco. La proposta, avanzata dalla coalizione di governo, composta da socialdemocratici, ambientalisti e liberali, è ritenuta dai partiti d’opposizione un freno alla ricerca del lavoro da parte dei percettori. Il ‘Burgergeld’ è stato approvato dal parlamento federale tedesco con 385 voti favorevoli, 261 contrari e 33 astensioni.

Se passasse anche al Bundestrat, a partire dal prossimo anno, le persone sole con un reddito molto basso o disoccupate da tempo riceveranno 502 euro al mese, invece dei 449 euro percepiti finora. Gli adulti che vivono con il proprio partner riceveranno 451 euro, i giovani di età superiore ai 14 anni 420 euro, i bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni 348 euro e i bambini di età inferiore ai 6 anni 318 euro. Anche il meccanismo di aggiustamento è stato modificato in considerazione dell’elevata inflazione ed è stato stabilito che in futuro dovrà riflettere l’andamento dei prezzi in modo più rapido ed efficace.

Inoltre, la misura prevede di ridurre la pressione sui disoccupati negli uffici di collocamento. L’idea che sta alla base della riforma è quella di promuovere l’apprendimento permanente, anziché dare priorità all’inserimento lavorativo. In questo modo i percettori potranno concentrarsi maggiormente sul ricevere una qualifica, aggiornarsi e cercare un lavoro duraturo, e non accontentarsi di un’occupazione temporanea.

Tra le altre novità introdotte c’è il fatto che il reddito di cittadinanza coprirà i costi dell’alloggio nei primi due anni. Nello stesso periodo sarà possibile anche mantenere risparmi fino a 60.000 euro. Oltre a ciò, non ci saranno multe nei primi sei mesi in caso di rifiuto di un’offerta di lavoro. Il ‘Burgergeld’, quindi, si allontana decisamente dal sussidio di disoccupazione attualmente in vigore, aspramente criticato, anche con dure proteste di piazza, all’epoca della sua formulazione, perché troppo costringente nei confronti dei disoccupati.

“In Italia il governo di Giorgia Meloni vuole smantellare il reddito di cittadinanza, mentre oggi il Bundestag tedesco lo ha approvato”, ha commentato il capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera, Francesco Silvestri. “L’obiettivo di questo nuovo strumento – continua – è mettere i percettori nelle condizioni di riqualificarsi, attraverso l’apprendimento permanente, per trovare un lavoro dignitoso. Esattamente la filosofia che ha da sempre animato il nostro reddito di cittadinanza”. E conclude: “Fino a dove vuole spingersi il governo pur di assecondare le proprie pulsioni punitive? Meloni e Co. guardino piuttosto a ciò che sta facendo la Germania e la smettano di fare propaganda sulla pelle dei poveri“.

Oltre la linea di Kherson i russi demoliscono ponti, posizionano mine e scavano linee di trincee. Se sia questo il primo confine fisico tracciato dalla Federazione lo diranno le prossime settimane. Perché la ritirata, messa in discussione al momento solo dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, delle truppe di Vladimir Putin dalla città snodo cruciale per il trasporto del grano e porta d’accesso occidentale alla Crimea non ha solo un valore simbolico altissimo: è quella che fonti dell’amministrazione americana, citate da diversi media internazionali, hanno indicato come l’ultimo passo nel personale piano di Washington per poter intavolare trattative di pace con il Cremlino.Politicamente, territorialmente, propagandisticamente E' UNA SCONFITTA PESANTISSIMA PER I RUSSI: Kherson è la città capoluogo di regione caduta il 3 marzo, chiave d'ingresso verso Mikolaiv, Odessa, Transnistria, nonchè scudo per la Crimea. La sua perdita significa per Mosca pregiudicarsi l'iniziativa per il futuro da quel settore. Sul terreno di combattimento tuttavia il generale Surovikin si è convinto che la situazione, dopo il disastro di Kharkhiv-Izyum-Lyman, è talmente compromessa e difficile che è molto meglio lasciare l'iniziativa agli ucraini e trincerarsi in profondità sfruttando proprio il Dnipro, un fiume gigantesco che ora diventerà un ostacolo per l'avanzata degli ucraini. Zelensky in vista della campagna invernale ha deciso di richiamere un altro milione di uomini probabilmente convinto dagli statunitensi che è possibile un ulteriore sforzo vincente e questo a dispetto della propaganda che parla della possibilità di intavolare trattative ora che anche Mosca le chiede. In realtà, di fronte anche alla tenuta politica delle elezioni del Midterm, sotto traccia, l'amministrazione USA sta spingendo per un altro sbalzo. I russi dall'altra parte hanno deciso di "murare" il Lughansk, di "murare" il corridoio di Mariupol e di congelare il fianco sud-ovest sfruttando il Dnipro. Nella nuova ridistribuzione delle truppe si darà priorità al Donetsk, dove da 5 mesi si sta combattendo la battaglia di Bakhmut, senza che i russi riescano a rompere la noce ucraina. Le perdite su entrambi i fronti incominciano a farsi pesanti: gli istituti di studio della guerra occidentali parlano per entrambi i fronti di oltre 100.000 soldati persi, in realtà per gli ucraini le perdite sono decisamente superiori ed è per questo che Zelensky è costretto a richiamare altre persone. Ci si chiede se i 320.000 riservisti richiamati dal Cremlino siano sufficienti per riprendere l'iniziativa (in pieno inverno??) essendo, numeri alla mano, ancora insufficienti per pareggiare il gap numerico con l'Ucraina.

 

Ucraina, “ora anche gli Usa sono pronti a trattare”: Washington aspetta la riconquista di Kherson per sedersi al tavolo con Putin,07-11-2022, 257° giorno di guerra-- Da una parte la stanchezza degli europei preoccupa l'amministrazione stelle e strisce, dall'altra preoccupa ancora di più il ribaltone alle Elezioni di Mediotermine con lo spauracchio Trump "filo.putiniano" alle porte...

Il punto di equilibrio sul campo di battaglia potrebbe essere vicino. Mentre la mappa del conflitto ucraino continua, seppur lentamente, a modificarsi ogni giorno che passa, gli alleati dell’Ucraina, con gli Stati Uniti in testa, tornano a considerare la possibilità di colloqui di pace. E l’elemento che potrebbe far sedere tutti al tavolo sarebbe la riconquista di Kherson da parte dell’esercito di Volodymyr Zelensky. Lo aveva scritto domenica il Washington Post citando fonti della Casa Bianca e oggi lo ribadisce anche Repubblica, secondo cui proprio la città annessa dalla Federazione con un referendum illegale sarebbe l’ultimo successo ucraino considerato necessario prima di intavolare trattative con il Cremlino.La principale preoccupazione di Kiev e Washington era quella di poter arrivare a eventuali contrattazioni da una posizione di forza. E questo giustifica la strategia tenuta fino ad oggi dal blocco filo-Ucraina, ossia quella di rifornire l’esercito con più armi possibili al fine di arginare l’avanzata russa, prima, e dare il via alla controffensiva che ha riportato sotto la bandiera gialloblu numerosi territori finiti in mano alle truppe del Cremlino dopo il 24 febbraio. Adesso, però, sono gli Usa che cercano di far capire a Zelensky che battere l’esercito russo in una delle più importanti porte d’accesso al Mar d’Azov e alla Crimea può portare a un primo vero negoziato con Mosca. Ma dai rapporti citati da Repubblica e in mano all’amministrazione americana, oltre che agli alleati Nato e dell’Unione europea, emerge che le armate russe sono ormai sotto pressione, incapaci di reagire all’avanzata ucraina, e questo le obbligherebbe ad accettare un’offerta di pace, anche a condizioni impensabili fino a qualche settimana fa, proprio per evitare una disfatta che non sarebbe ‘rivendibile’ dal governo in patria. Lo testimonierebbe anche il cambio di strategia sul campo di battaglia: l’esercito è ormai concentrato nel distruggere infrastrutture civili strategiche per l’Ucraina e sulla costruzione di una tripla linea di trincee, oltre all’uso di barriere naturali. Una di queste è il fiume Dnipro, oltre il quale i filorussi, poi smentendosi da soli, avevano fatto sapere di volersi ritirare proprio a Kherson. Una strategia esclusivamente difensiva.Ed è per questo che, come emerso, i ‘buoni rapporti’ tra Washington e Mosca non si sono interrotti e sono continuati sottotraccia anche negli ultimi mesi. Per la Russia, una trattativa a questo punto del conflitto significherebbe cercare insieme al blocco filo-Ucraina una soluzione che permetta a Putin di rivendere in patria le conquiste ottenute, di “non perdere la faccia”, come detto nei primi mesi di conflitto. Per il blocco occidentale vorrebbe dire invece mettere fine a un conflitto sanguinoso, sia da un punto di vista umano che economico, con Zelensky che diventerebbe il presidente che ha difeso l’indipendenza del Paese dall’invasore e l’Ucraina che potrebbe così richiedere e ottenere non la neutralità, come ipotizzato inizialmente, ma garanzie di sicurezza ben più importanti, oltre a una graduale integrazione nella Nato (?????) e nell’Unione europea. Un grande punto interrogativo rimane sulle sorti della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa: in questo momento rimane in mano all’esercito russo, ma rappresenta un’enorme fonte di approvvigionamento energetico per Kiev. Resta da vedere chi, tra Russia e Ucraina, sia disposta a fare concessioni sull’impianto conteso.

20-10-2022, 240° giorno di guerra

Kiev: “Attacco russo a sito idroelettrico sarebbe un disastro” Continua l'afflusso di uomini, armi pesanti, caccia bombarieri e carri armati in Bielorussia. Si teme un secondo schieramento pronto a partire a dicembre, mentre in Russia la leva dei riservisti si chiude forse il 31 ottobre. Con l'elevamento della legge marziale lo stato russo subentra nell'economia delle regioni interessate limitando gli spostamenti esteri delle persone. Kerson probabilemte verrà sacrificata per la ridefinizione di una linea difensiva più massiccia dietro il fiume Dnipro. Bisogna altresì ricordare che a Belgorod è stata schierata la divisione atomica pronta ad intervenire assieme al "Belgorod", il super sommergibile grande quanto una portaerei in grado di scagliare missili ipersoniti a testata nucleare da oltre 10.000 km di distanza.

 

19-10-2022, 238° giorno di guerra

Leader Repubblicani Usa alla camera: “Se vinciamo, stop assegni in bianco a Kiev” Zelensky costretto a correre: attacco immediato a Kerson. Surovikin risponde: " Difficile mantenere la posizione in questo momento".Avviata l'evacuazione della città. Si usa il Dnepr come vallo??

 

Il leader dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy, ha avvertito che se il Grand Old Party conquisterà la maggioranza alle elezioni di Midterm, non ci saranno “assegni in bianco” all’Ucraina esprimendo il crescente scetticismo del suo partito sul sostegno finanziario a Kiev. McCarthy, molto vicino all’ex presidente Donald Trump, è in lizza per diventare speaker della Camera se i repubblicani avranno la maggioranza (ruolo attualmente ricoperto dalla democratica Nancy Pelosi). La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, alla richiesta di un commento sulle affermazioni del deputato, si è limitata a ringraziare i leader del Congresso per il lavoro bipartisan per “sostenere l’Ucraina a difendersi dai crimini di guerra e dalle atrocità della Russia”.

Mosca: “Cinque milioni di ucraini rifugiati in Russia”

 

“Circa cinque milioni di residenti del Donbass e delle regioni del sud-est dell’Ucraina hanno trovato rifugio in Russia”. Lo ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza di Mosca, Nikolaj Patrushev, al termine della riunione odierna dell’organismo, presieduta da Vladimir Putin, come riporta Interfax.

 

14-10-2022, 233° giorno di guerra

Mosca insiste nella pressione su Bakmut,  (https://www.youtube.com/watch?v=wIYIhoXu7vI  )   al centro di Donets,ma si ritrova i fianchi debolissimi soprattutto a sud.Kerson ora è sulla linea di tiro ed è stata decretata l'evacuazione. Disastrosa la mobilitazione: i coscritti mandati al macello senza ordini, armi ed addestramento.

13-10-2022,232° giorno di guerra

Il blocco NATOinvia un sistema anti-missile parziale

il generale statunitense Mark Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff, ha affermato che l’Ucraina vuole che i suoi partner occidentali le forniscano un sistema di difesa aerea completo per far fronte agli aerei da guerra e ai missili russi. La dichiarazione di Milley è avvenuta dopo la riunione del Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina, formato da circa 50 nazioni che si incontrano regolarmente per valutare le esigenze di Kiev e rifornirla di attrezzature. “Ciò che l’Ucraina chiede, e ciò che pensiamo possa essere fornito, è un sistema integrato di difesa antimissile. Quindi questo non controlla tutto lo spazio aereo sopra l’Ucraina, ma è progettato per controllare obiettivi prioritari che l’Ucraina deve proteggere”, ha poi precisato il generale.

Non si tratta, quindi, della “chiusura” dello spazio aereo ucraino come affermato troppo entusiasticamente da Yermak. Del resto, per poterlo fare, l’Occidente dovrebbe schierare un numero elevato di moderni sistemi antiaerei e soprattutto utilizzare i propri caccia, qualcosa che, come abbiamo avuto modo di raccontarvi nei mesi scorsi, la Nato ha sempre palesemente negato di voler fare, in quanto rappresenterebbe un coinvolgimento diretto nel conflitto in corso.

Nonostante questo l’Alleanza si prepara a rafforzare le difese aeree ucraine, e alcuni Paesi sono già da tempo in prima linea da questo punto di vista: i primi sistemi Iris-T messi a disposizione dalla Germania sono giunti in Ucraina proprio in queste ore.

Il giorno dopo che il ministero della Difesa ucraino ha annunciato l’arrivo del primo dei quattro Iris-T promessi da Berlino, il ministro della Difesa olandese ha dichiarato che il suo Paese consegnerà missili da difesa aerea per un valore di 14,5 milioni di dollari. Gli Stati Uniti dovrebbero fornire due ulteriori Nasams nelle prossime settimane.

Questo particolare sistema ha una buona capacità di ingaggio contro aerei, droni e missili da crociera, ma si limita a colpire obiettivi entro una distanza di circa 32 chilometri, ovvero meno della metà della portata dell’S-300. Anche l’Iris-T ha una portata massima di 25 chilometri (stimata) mentre il francese Crotale arriva sino a 12. Il problema è che la portata si riduce in caso di rilievi orografici, dietro i quali i missili da crociera o i caccia si potrebbero “nascondere”, e pertanto le capacità di ingaggiare e contrastare efficacemente gli attacchi russi potrebbe essere menomata per questioni legate al tempo di reazione.Si tratta di sistemi per la difesa di punto, quindi, come affermato dal generale Milley, non in grado di coprire tutto lo spazio aereo ucraino, ma che possono essere efficaci nel proteggere le città e le infrastrutture strategiche, se forniti in numero sufficiente. Ancora una volta ci sarà bisogno di tempo per addestrare il personale ucraino, anche se, per quanto riguarda Iris-T e Nasams riteniamo che esso sia già stato adeguatamente formato per considerazioni legate alla tempistica della loro consegna, diversa rispetto ai Crotale, ad esempio, per i quali si parla genericamente di “prossime settimane”.

I timori di Kiev, in particolare dopo la nomina di Serghei Surovikin, è che l’azione di Mosca di oggi non sia un intervento spot, ma possa continuare in modo più esteso nelle prossime settimane, riportando le lancette dell’orologio alle prime settimane della guerra quando l’intero paese era sotto il tiro dell’aviazione e dei missili russi. Zelensky, nota Politico, teme che la Russia punterà in modo più attivo alle infrastrutture energetiche e industriali del Paese in vista dell’inverno e proprio per questo non ha nascosto i malumori ucraini ai partner europei.

Il passo avanti della Germania

La prima a rispondere all’appello a stretto giro è stata proprio la Germania. Il ministro della Difesa Christine Lambrecht ha dichiarato che entro pochi giorni il primo di quattro sistemi di difesa aerea IRIS-T SLM verrà consegnato a Kiev: “I nuovi lanci su Kiev e su molte altre città mostrano quanto sia importante fornire rapidamente all’Ucraina sistemi di difesa aerea”, si legge in una nota delle forze armate tedesche. Come riporta l’Agi, i missili impiegati dal IRIS-T SLM hanno una gittata di 40 km, capaci di ingaggiare bersagli aerei, elicotteri e droni nemici che volano fino a 20 km di altezza, e sono in grado di contrastare anche i missili da crociera.

La nota sulla gittata non è banale, dato che meno di 24 ore fa Mosca ha confermato che le linee rosse da non superare per allargare il conflitto riguardano proprio la fornitura di missili a medio e lungo raggio a Kiev, un asticella, che anche gli Usa non hanno al momento voluto superare. Tra i più timidi in questi mesi c’è stata soprattutto la Francia di Emmanuel Macronche fino all’ultimo ha mostrato di essere tra i più attivi nel cercare di tenere aperto un canale diplomatico con il Cremlino. Oggi quel sentiero, già stretto, sembra non più percorribile, quindi anche Parigi dovrà capire come e soprattutto cosa fornire a Kiev.

La posizione della Francia

Al telefono Macron ha confermato a Zelensky l’intenzione di aumentare le forniture militari, ma Kiev ancora non si fida. Stando all’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute for the World Economy la Francia è uno dei Paesi che ha speso meno per rifornire gli arsenali ucraini rispetto ad altri Paesi Ue come Estonia e Repubblica Ceca. Complessivamente Parigi è solo l’undicesimo stato tra i fornitori globali di aiuti militari a Kiev.

Kiev punta ad avere dall’esercito francese un sistema SAMP/T, il sistema missilistico terra-aria sviluppato dal consorzio europeo Eurosam. Per Le Monde l’Eliseo sarebbe molto timido nel rispondere alla richiesta perché il Paese ha una scorta limitata di batterie di lancio. Parigi dal canto suo dice di aver appoggiato Kiev fornendo 18 obici semoventi CAESAR, numero che potrebbe crescere nei prossimi mesi inviando alcuni pezzi precedentemente destinati alla Danimarca.

Il Wp nota come l’appoggio militare francese a Kiev rimanga un nervo scoperto a livello europeo. Non a caso Macron, nel corso del vertice Ue di Praga, ha promesso di creare un fondo da 100 milioni di euro per gli acquisti militari di Kiev. Con questo i fondi stanziati dall’Eliseo per Zelensky salirebbero a 230 milioni, una cifra notevole, ma lontana dalle cifre monstre degli Stati Uniti che in 8 mesi hanno staccato assegni da 17 miliardi di dollari. Saliti a 20 miliardi con l'ultima trance di aiuti......( sugli 83 miliardi complessivi bruciati dall'Ucraina in 7 mesi di guerra....)

A livello Ue la prima a non smuoversi è stata l’Austria. Vienna, in un comunicato molto asciutto, ha spiegato che in quanto Paese neutrale resta fuori questione la fornitura di dispositivi letali. “In quanto Paese militarmente neutrale, le consegne di armi alle parti in guerra sono fuori questione per l’Austria”, ha detto al Post la portavoce del ministero degli Esteri Antonia Praun. “Tuttavia, l’Austria sostiene pienamente gli sforzi dell’UE per fornire assistenza non letale all’Ucraina”.

I prossimi passi

Un’idea dei prossimi sviluppi potrebbe arrivare dalla riunione del gruppo di contatto tra Ucraina e alleanza internazionale patrocinato dalla Nato, il cosiddetto formato Ramstein, che si terrà il 12 ottobre. Intanto, mentre l’amministrazione Biden ragiona su come affrontare l’escalation ed evitare di mettere Putin spalle al muro, non arrivano retromarce sull’annuncio di settembre con cui il Pentagono confermava la conferma di due sistemi antiaerei NASAMS, dispositivi con un raggio di circa 100-120 km. Mentre per ora resta il veto sui Atacams, dalla gittata di oltre 200km.

 

10-10-2022, 229° giorno di guerra

Mosca incomincia lentamente ad aumentare i giri: quasi l'intero territorio d'Ucraina bombardato.

Putin torna a colpire Kiev. Altre sei città sotto attacco. Moldavia: “Missili attraverso il nostro spazio aereo”. Zelensky chiede riunione urgente dei Paesi del G7. L’attacco sulla capitale è partito alle 7.15 italiane. Colonne di fumo dopo una decina deflagrazioni: “Almeno 8 i morti e 12 i feriti”. Sotto attacco anche Zaporizhzhia, Leopoli, Dnipro, Zhytomyr e Mykolaiv. Sirene anche a Odessa. Intanto Lukashenko annuncia “truppe comuni con la Russia” contro la “minaccia ucraina”. La situazione dei fronti: Bakmut dopo mesi è ora linea del fronte. Se i russi sfondano possono attaccare Izium e Lyman da sud-ovest. Con la Bielorussia in allerta risulta ora probabile l'apertura di un ulteriore fronte a nord con i russi che hanno ora iniziato a colpire le linee di rifornimento in profondità. Situazione a Kerson: https://www.youtube.com/watch?v=yoM5eikrXu4

L'Intelligence britannica: "Sul terreno Mosca torna ad avanzare"

Gli attacchi missilistici russi di queste ore su varie città ucraine avvengono mentre le forze di Mosca restano sul terreno "sotto la pressione" di Kiev a sud e a nord-est, secondo l'intelligence militare britannica: che nel suo bollettino di guerra segnala tuttavia ora una nuova avanzata russa di almeno 2 chilometri lungo due direttrici verso la strategica città di Bakhmut (Ucraina orientale). Stando a Londra, in questa operazione "potrebbero essere coinvolti" anche ex detenuti reclutati dalle prigioni, sullo sfondo di "una campagna logorante" legata alla necessità "imperativa di conseguire un successo operativo".

Kadyrov minaccia Zelensky: "Fugga in Occidente"

Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha minacciato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: con un post su Telegram, gli ha raccomandato di fuggire in Occidente al più presto. "Ti abbiamo avvertito - ha scritto Kadyrov - che la Russia non ha ancora iniziato, smettila di lamentarti,  corri via prima che arriviamo. Corri, Zelensky, corri senza voltarti indietro verso l'Occidente". Secondo Kadyrov, il presidente ucraino si è lamentato degli attacchi a Kiev e in altre città, senza considerare che "per otto anni ha bombardato civili e distrutto infrastrutture" nei territori rivendicati dai russi nel Donbass, oltre a "far saltare per aria ponti": "solo tu puoi e gli altri no?" si chiede provocatoriamente.

 

 

09-10-2022  ,228° giorno di guerra

La rappresaglia di Mosca all'attacco di Kerc

Kiev: “A Zaporizhzhia riempita di missili 13 morti e 60 feriti, anche bambini”

 

È di almeno 13 morti e 60 feriti il bilancio aggiornato dell’attacco missilistico della scorsa notte su Zaporizhzhia. Lo ha riferito la polizia regionale su Facebook, precisando che “tra i feriti e i morti ci sono bambini”. Sempre secondo la polizia, sono stati sparati 9 missili S-300 e X-22 contro i quartieri residenziali della città nel sud dell’Ucraina. Decine di case private, due condomini e altre infrastrutture civili sono state colpite.

 

La Bielorussia convoca ambasciatore ucraino: “Kiev pianifica attacco”

 

Il ministero degli Affari esteri della Bielorussia ha convocato l’ambasciatore dell’Ucraina a causa della presunta preparazione di un attacco al territorio della Bielorussia. E’ quanto si legge – come riporta l’agenzia Unian – in una nota del Ministero ucraino degli Affari Esteri. In dettaglio l’ambasciatore dell’Ucraina a Minsk, Ihor Kyzym, è stato invitato al ministero degli Affari esteri della Bielorussia nella serata dell’8 ottobre e gli è stata consegnata una nota diplomatica. “La parte bielorussa – sottolinea il Ministero di Kiev – afferma che l’Ucraina starebbe pianificando un attacco al territorio della Bielorussia. Questa informazione non corrisponde alla verità. Respingiamo categoricamente le insinuazioni del regime bielorusso. Non escludiamo che la consegna della nota diplomatica possa rientrare nel piano della Federazione Russa di portare avanti provocazioni”.

 

“Oltre 700.000 ucraini senza elettricità, 620mila senza gas”

 

Sono oltre 700.000 gli ucraini senza elettricità a causa della guerra da parte della Russia. La maggior parte di loro nelle regioni di Donetsk, Kharkiv, Luhansk e Mykolaiv. Lo comunica il Ministero dell’Energia ucraino, aggiungendo che 621.500 ucraini sono invece rimasti senza gas. 

 

08-10-2022,227° giorno di guerra

Ponte di Crimea, Kiev fa marcia indietro: ‘Faida tra servizi russi’. Stampa Usa: ‘È stata intelligence di Kiev’. Mosca, chi è il nuovo capo delle operazioni militari. Il ponte collega la penisola di Kerk alla Crimea, realizzato nel 2018 all'indomani dell'annessione, è una via di comunicazione fondamentale per la Russia per il controllo della penisola strategica e dell'intero Mar Nero. Situato molto in profondità dalla linea del fronte sembrerebbe un attacco delle quinte linee ucraine in territorio russo. Kiev prima rivendica – “E’ solo l’inizio” – poi parla di conflitti interni tra Fsb e Difesa di Mosca. Parzialmente ripristinata la viabilità verso la Russia (ora per ora). L’attacco e la possibile reazione di Putin: cosa sappiamo (leggi)

Shoigu sollevato dall'incarico.

il generale “Armageddon” Serghei Surovikin nuovo comandante delle forze armate in Ucraina

Era il comandante delle forze russe in Siria e ha condotto le operazioni in Donbass. Ora il generale Serghei Surovikin “è stato nominato al comando del gruppo congiunto delle forze impegnate nell’operazione militare speciale” in Ucraina. L’annuncio arriva dal il ministero della Difesa russo, citato dalla Tass. A fine giugno l’intelligence britannica aveva già riferito della nomina di Surovikin a capo del gruppo dell’esercito meridionale (Sgf), al posto del generale Alexander Dvornikov. Considerato un falco, il 55enne colonnello generale è stato finora a capo delle forze aerospaziali. Secondo Londra il nuovo responsabile militare dell’offensiva è “da trent’anni bersaglio di accuse di corruzione e brutalità”. E anche perché capace di perdere pochi uomini in battaglia.

07-10-2022, 226° giorno di guerra

Biden lancia l’allarme sul disastro nucleare: “Putin non scherza, si rischia un Armageddon atomico”. Blinken: “Aperti alla via diplomatica”Joe Biden non usa toni rassicuranti per descrivere l’attuale escalation in corso tra Russia e blocco filo-Ucraina. Nel corso di un evento elettorale a New York, prendendo la parola il presidente americano ha gelato i presenti spiegando che “per la prima volta dai tempi della crisi dei missili a Cuba c’è la minaccia di un Armageddon nucleare“. Ospitato nella residenza di James Murdoch, uno dei figli del magnate dei media, l’inquilino della Casa Bianca ha poi aggiunto che tutta questa situazione “è colpa di una persona che io conosco abbastanza bene, il suo nome è Vladimir Putin. Ci ho passato un po’ di tempo assieme”. Ma poi apre ai colloqui: “Dobbiamo capire quale può essere una via d’uscita per lui“.

Chi sottovaluta le minacce del Cremlino sull’uso di un arma nucleare tattica, spiega Biden, commette un grave errore di valutazione che potrebbe portare a uno scontro atomico irreversibile: “Putin non scherza quando parla del possibile uso di armi nucleari, chimiche o biologiche perché il suo esercito è in difficoltà”. Il timore di diversi analisti è proprio questo: il capo del Cremlino, messo alle strette, con una guerra che doveva sancire il suo trionfo e rischia invece di trasformarsi in una disfatta, potrebbe optare per un gesto estremo con lo scopo di shockare la controparte ucraina e frenarne l’avanzata verso est, salvando così la faccia in patria.

È proprio questo l’interrogativo al quale la Casa Bianca non riesce, stando alle parole del presidente, a dare una risposta: “Quale può essere la via d’uscita per Putin? Come la troverà? Come si ritroverà dopo aver perso la faccia e il potere?”. Via d’uscita che, per la verità, il capo del Cremlino aveva offerto nei giorni scorsi dichiarandosi aperto a sedere al tavolo delle trattative con Kiev dopo l’annessione illegale e unilaterale delle quattro aree che hanno votato i referendum ‘farsa’. Ma poche ore dopo era arrivata la risposta dell’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha firmato un decreto presidenziale con il quale si vieta per legge qualsiasi trattativa con Vladimir Putin: “Non discuteremo di pace fino a quando lui sarà presidente della Russia”, ha dichiarato.

Il segretario di Stato, Antony Blinken, sostiene comunque che da parte degli Usa la porta del dialogo rimane sempre aperta e che sono disposti a cercare una “soluzione diplomatica” per porre fine al conflitto in Ucraina, ma solo a patto che ci sia una “volontà seria” da parte del presidente russo.

“Nato dovrebbe attaccare preventivamente la Russia”: scontro su parole di Zelensky. Mosca: “Vuole guerra mondiale”. Kiev: “Parlava al passato”

Un’intervista-intervento di Volodymyr Zelensky all’Australian Lowy Istitute, think-thank che conduce ricerche politiche, ha scatenato polemiche e la dura reazione di Mosca. Il presidente ucraino ha detto per “escludere la possibilità dell’uso di armi nucleari da parte della Russia”, la Nato “dovrebbe colpire preventivamente”. La traduzione delle sue parole è riportata, tra gli altri, da StanaUkrinform e Meduza in inglese. “Cosa dovrebbe fare la Nato? Escludere la possibilità di utilizzo di armi nucleari da parte della Russia. Ma la cosa importante, mi rivolgo ancora alla comunità internazionale, è com’era prima del 24 febbraio: attacchi preventivi, in modo che sappiano cosa accadrà se la usano. E non il contrario, aspettare che la Russia colpisca per dire ‘oh, è che sei sei, ora puoi togliercelo’. Riconsiderare il modo in cui applichi la pressione, l’ordine di applicazione”.L’ambiguità delle sue parole, in particolare il termine “strikes”, traducibile con attacco, ha provocato l’immediata reazione del Cremlino. Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, che ha definito il discorso di Zelensky come “una appello a iniziare una guerra mondiale” con “conseguenze imprevedibili e mostruose”. Per Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, “l’Occidente sta alimentando una guerra nucleare”. E ha quindi definito il presidente ucraino un “burattino” e “personaggio squilibrato”, che “si è trasformato in un mostro che può distruggere il pianeta”. 

 

06-10-22,225° giorno di guerra

Filorusso: “Il ministro della Difesa potrebbe spararsi per essere colui che ha lasciato che le cose arrivassero a questo punto”

 

Il numero due dell’amministrazione filorussa della regione di Kherson, Kirill Stremousov, se la prende con il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, per i fallimenti delle forze di Mosca in Ucraina, suggerendogli di uccidersi. “Molte persone dicono che, come ufficiale, il ministro della Difesa potrebbe semplicemente spararsi per essere colui che ha lasciato che le cose arrivassero a questo punto”, ha affermato citato dal New York Times Stremousov, vice governatore della regione nel sud dell’Ucraina dove l’esercito di Kiev sta conducendo una controffensiva.

L’aumento dell’appoggio militare, si legge nel testo approvato dagli eurodeputati, deve avvenire con particolare attenzione nelle aree richieste dal governo ucraino, con i Paesi Ue esitanti che devono invece fornire la loro parte di assistenza militare necessaria. Una presa di posizione netta, quella dell’Eurocamera, che si allinea a quella tenuta fin dall’inizio dai principali partner del governo di Volodymyr Zelensky, ossia Stati Uniti e Gran Bretagna. E che non si lascia intimidire dalla possibile escalation nucleare messa sul tavolo da Vladimir Putin. A questo proposito, invece, i deputati sottolineano come “le recenti minacce russe di usare armi nucleari sono irresponsabili e pericolose e invitano i Paesi Ue e i partner internazionali a preparare una risposta rapida e decisiva nel caso in cui la Russia dovesse condurre un attacco nucleare contro l’Ucraina”.

 

05-10-22:

Cremlino: “Riprenderemo i territori”

 

Mosca riprenderà i territori delle nuove regioni annesse temporaneamente abbandonate dalle truppe russe. Lo afferma il Cremlino citato dalla Tass.

 

 COME?? CON L'ATOMICA....

 

Centrale Zaporizhzhia sotto supervisione russa

 

La centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa nel sud dell’Ucraina, funzionerà sotto la supervisione russa dopo che Mosca ha annesso i territori circostanti tramite quello che Kiev e la comunità internazionale ha bollato come ”referendum farsa”. Lo ha dichiarato il ministero degli Esteri russo citato dall’agenzia di stampa Ria Novosti. L’annuncio arriva mentre il direttore generale dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) Rafael Mariano Grossi ha valutato la possibilità di condurre una nuova visita alla centrale di Zaporizhzhia. Inoltre Grossi sarà nei prossimi giorni a Kiev e poi a Mosca per discutere della creazione di una zona di sicurezza attorno alla centrale.
Ieri l’Aiea ha spiegato che il direttore dell’impianto nucleare di Zaporizhzhia Ihor Murashov, arrestato e poi rilasciato dalle autorità russe, non proseguirà incarico. “Non è chiaro chi sarà il nuovo responsabile della centrale di Zaporizhzhia”, ha aggiunto l’Aiea sul proprio account di Twitter.

Kellogg: “Nucleare potrebbe essere mossa disperata di Putin”

 

In un’intervista al Corriere, il generale Keith Kellogg – già veterano, consigliere di Trump e ora co-presidente del Center for american security – spiega che l’uso da parte di Putin delle ami nucleari “potrebbe essere la mossa disperata per tentare di rovesciare la situazione”, visto l’arretramento dei russi in Ucraina. Inoltre critica l’amministrazione Biden per non avere detto con chiarezza “che, in caso di attacco nucleare, gli Usa reagiranno come se l’Ucraina facesse parte della Nato” e i Paesi europei, che “non hanno contrastato abbastanza Putin come avrebbero dovuto fare fin dal 2014, con il primo attacco all’Ucraina”. E ricorda la priorità di un coinvolgimento politico nella Cina per la soluzione del conflitto. 

 

IL TRENO NUCLEARE

 

Un treno nucleare russo è partito in direzione dell’UcrainaVladimir Putin sta organizzando un test atomico al confine? A parlare di un convoglio gestito dalla divisione nucleare segreta di Mosca in movimento verso Kiev è stato ieri il Times. Il quotidiano britannico ha citato l’analisi dell’esperto polacco Konrad Muzyka. Secondo il quale il treno è responsabile delle munizioni nucleari, del loro stoccaggio, del trasporto e della consegna alle unità. Il tutto andrebbe collegato a una serie di informazioni ricevute dai paesi della Nato su una prova con le armi nucleari tattiche che lo Zar avrebbe in preparazione. Ma, come vedremo, la questione sembra essere più complessa. E quello della Russia sembra più essere un segnale all’Occidente che un segno della volontà di colpire a breve.

Un segnale all’Occidente

La presenza del treno atomico russo e i suoi movimenti non indicano per forza un test nucleare in arrivo. Il carico del treno è sì rappresentato da mezzi del 12mo Direttorato, che si occupa della custodia delle testate nucleari. Lo si vede dal carico: ci sono per esempio le autoblindo Kamaz 43269 “Vystrel”, con torretta e cannoncino da 30 millimetri. In più, il filmato che mostra il treno nucleare è stato geolocalizzato a Sergiyev Posad, a nord di Mosca. Sulla linea ferroviaria che porta anche al Vologda 20, il magazzino centrale degli ordigni al plutonio. Ma ad ottobre in Russia, come ricorda lo stesso analista polacco, si tengono le esercitazioni Grom. «Il video mostra i preparativi per uno strike nucleare? – dice Muzika -. Non proprio. Ci sono altre spiegazioni più probabili. Potrebbe essere una forma di segnalazione all’Occidente del fatto che Mosca sta innalzando il confronto. Oppure la Russia potrebbe condurre la consueta esercitazione autunnale di deterrenza strategica in ottobre. Quindi questo treno potrebbe mostrare una preparazione per questa esercitazione»

L’esperto bulgaro Boyko Nikolov ha invece fornito un’altra spiegazione. Che parte proprio da una delle foto del treno pubblicate su Telegram. Che mostrano, secondo l’esperto, un veicolo KAMAZ BPM-97 4 × 4 in una versione più moderna rispetto a quella degli Anni Novanta. Si chiama Vystrel-M e il motivo degli spostamenti è proprio il suo utilizzo nella guerra in Ucraina. L’esperto sostiene anche che alcuni di questi mezzi siano stati già visti per le strade di Cherson. Mentre altre versioni sono in azione in AzerbaigianSiria Kazakhistan. Ma intanto secondo un altro video mostrato due giorni fa 17 missili Iskander sono in viaggio verso il confine. Nei giorni scorsi si era anche parlato del sottomarino K-329 Belgorod. Che sta effettuando delle prove con i missili Poseidon, secondo un’informativa della Nato. Ovvero una testata nucleare che può arrivare a viaggiare per diecimila chilometri. Ed esplode nella vicinanza della costa provocando uno tsunami radioattivo. Lo stesso effetto dei missili balistici intercontinentali già usati nelle esercitazioni russe

Il test atomico di Putin

Il 3 ottobre scorso il sottomarino ha lasciato la sua posizione ed è «scomparso». Ma ieri sera la portavoce della Casa bianca Karine Jean-Pierre in un briefing con la stampa ha detto che non ci sono indicazioni che la Russia stia per usare l’atomica: «Prendiamo molto sul serio qualsiasi minaccia nucleare. Al momento non abbiamo alcuna indicazione che la Russia si stia preparando nell’immediato a usare quel tipo di armi». Ovvero quelle tattiche e strategiche che Mosca possiede. Ma da tempo il Pentagono, i laboratori nucleari americani e le agenzie di intelligence stanno facendo simulazioni al computer su quanto potrebbe accadere. E su come gli Stati Uniti potrebbero rispondere. Il New York Times ha spiegato nei giorni scorsi che avere la simulazione di un test atomico non è facile.

Perché le bombe tattiche presentano dimensioni diverse. Anche se prevalentemente hanno una piccola frazione del potere distruttivo di quelle sganciate dagli Usa su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. E sono più sofisticate di quelle entrate nell’immaginario collettivo con i film sugli 007. E così gli scenari strategici variano a secondo della scelta di Mosca. La Russia potrebbero sparare una bomba larga 15 cm con un cannone di artiglieria su suolo ucraino. O una testata nucleare da mezza tonnellata con un missile lanciato dai confini russi. I target potrebbero essere una base militare più meno remota o una piccola città ucraina, ma non è esclusa una esplosione dimostrativa sopra il Mar Nero. I bersagli ideali individuati dalla Nato nei giorni scorsi sono l’Isola dei Serpenti e Odessa.

Cosa succede se lo Zar lancia la bomba

Nel suo arsenale Mosca ha circa 2.000 bombe nucleari tattiche. La più temuta è la testata atomica montata sui missili Iskander. Che possono raggiungere anche le città europee occidentali. In questo caso la risposta americana e della Nato sarebbe quella di attaccare la base che ha lanciato il missile o l’unità. Oppure scegliere come bersaglio le forze russe in Ucraina e in Crimea. Oltre alla flotta sul mar Nero. Ma c’è un piano anche per l’escalation. Che costituirebbe anche un punto di non ritorno per la Russia. La quale perderebbe gli scarsi appoggi internazionali che ancora ha. E potrebbe anche finire per far male a sé stessa. Visto che non c’è alcuna certezza che una nube radioattiva generata dall’uso di un’arma atomica non colpisca anche il territorio russo o la Bielorussia. «Sarebbe un rischio enorme per vantaggi limitati che non conseguirebbero il dichiarato obiettivo di Putin, al massimo l’uso del nucleare russo congelerebbe le linee del fronte nelle attuali posizioni e consentirebbe al Cremlino di preservare i territori occupati», avvisa l’Institute for the Study of War.

Perché il sottomarino russo Belgorod ha preso il mare

Ha destato particolare allarme, nella stampa internazionale, l’uscita in mare del sottomarino russo per compiti speciali K-329 “Belgorod”.

La preoccupazione è stata motivata dalla possibilità, da parte del battello, di poter lanciare il supersiluro a propulsione e carica nucleare 2M39 Poseidon (già noto come Status-6 o Kanyon, per la Nato). Molto è stato scritto su questa particolare arma subacquea, e molto spesso si sono date informazioni sbagliate basate esclusivamente sulle prime dichiarazioni russe che tendevano a esagerarne le prestazioni. Il siluro Poseidon è un’arma strategica pensata per effettuare attacchi di rappresaglia: significa che il suo lancio viene effettuato solo dopo un primo attacco nucleare nemico (o first strike in gergo tecnico). Le sue caratteristiche ne fanno uno strumento bellico particolarmente temibile in quanto la propulsione atomica lo rende virtualmente capace di colpire obiettivi ovunque nel globo – quindi con un’autonomia illimitata – mentre la carica bellica, costituita da una testatatermonucleare da 2 o 5 Megatoni (Mt), è sufficiente, una volta avvenuta la detonazione, a contaminare una vasta area. Le prime informazioni davano la carica atomica del Poseidon pari a circa 50 Mt, ma analisi successive ne hanno ridimensionato notevolmente la potenza, che tuttavia potrebbe essere regolabile, quindi anche inferiore. La sua velocità, come riferito da alcuni, non è di 100 nodi: per raggiungere tali prestazioni in immersione, un siluro – come il russo Shkval a supercavitazione – deve avere una propulsione a razzo, ed il Poseidon, dalle fotografie diffuse, non ne è dotato, avendo un set di eliche in coda con normali timoni di direzione. Si ritiene che il reattore nucleare imbarcato sul siluro possa sviluppare velocità di punta di 70 nodi, e gli permetterebbe di viaggiare a profondità che si aggirano intorno ai mille metri, fattori che ne fanno, di fatto, un’arma quasi impossibile da intercettare con gli attuali strumenti antisom. L’arma comunque è in grado di essere rilevata, in quanto, oltre a unità di superficie e subacquee dotate di sonar, la Nato e gli Stati Uniti possono disporre del sistema fisso Sosus per sorvegliare le profondità marine.

Il “supersiluro” detonando non è quindi in grado di generare un maremoto apocalittico, con onde “di decine di metri”, come spesso è stato erroneamente riportato dalla stampa non specializzata, e soprattutto non è ancora operativo, essendo appena cominciata la sua integrazione sul sottomarino “Belgorod”, a oggi l’unico battello in grado di poterlo trasportare in forza alla marina russa (Vmf – Voenno-Morskoj Flot).

Il K-329 merita una trattazione a parte. Il battello è entrato ufficialmente in servizio a luglio 2022, dopo una lunga gestazione (il progetto risale al 2010) e diversi mesi di prove in mare: è stato varato infatti il 23 aprile del 2019 ed è un sottomarino derivato da quelli di classe Oscar II (Project 949A Antey in Russia) ma ampiamente modificato. L’unità, infatti, si differenzia molto da quelli appartenenti a questa classe di Ssgn (lanciamissili da crociera). Innanzitutto lo scafo è più grande: le sue dimensioni sono di 178 metri di lunghezza (a fronte dei 154 degli Oscar II, più lungo quindi dei vecchi classe Typhoon) per 15 metri di larghezza massima (più stretto di tre metri), che portano il dislocamento totale, in immersione, a 24mila tonnellate standard (30mila a pieno carico) invece di, rispettivamente, 16.400 e 24mila delle altre unità. Si ritiene che la sua velocità massima sia inferiore ai 32 nodi e che la profondità operativa sia la stessa degli Ssgn da cui deriva, ovvero intorno ai 500/520 metri. L’equipaggio, stimato, è più numeroso rispetto agli Oscar II: 110 uomini invece di 94.

Le modifiche più importanti hanno riguardato l’eliminazione del compartimento coi tubi di lancio dei missili da crociera per fare spazio ad un nuovo settore, lungo circa 18 metri, in grado di accogliere i sottomarini per operazioni speciali come il Losharik o il Paltus. Questa è forse la caratteristica più interessante – e più preoccupante – del Belgorod. L’unità nasce, come accennato, per le operazioni speciali a grandi profondità, e infatti, sebbene faccia parte della Vmf, opera per conto del Gugi, il Direttorato Principale per la Ricerca Marina Profonda, inquadrato nel Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie) il servizio informazioni delle Forze Armate russe. Queste missioni sono coperte dal massimo livello di segretezza e avvengono anche in tempo di pace: si tratta di posare reti di sensori sul fondo del mare e di agganciare strumenti di intercettazione ai cavi sottomarini che corrono per milioni di chilometri sui fondali. Il Belgorod, quindi, è prima di tutto un “sottomarino madre” che ospita una serie di battelli più piccoli, alcuni con equipaggio come i sovracitati Paltus e Losharik, altri del tutto automatici.

Il sottomarino può trasportare, ad esempio, un veicolo subacqueo autonomo (Auv) tipo Klavesin-2R-PM (Клавесин-2Р-ПМ), un complesso robotico progettato per il lavoro subacqueo come la manutenzione di impianti di perforazione, studio del battente d’acqua, il monitoraggio delle linee di comunicazione sottomarine e sondaggi del suolo, che si ritiene possa avere anche applicazioni militari.

Il Belgorod, insieme alla seconda unità per missioni speciali, il sottomarino Bs-64 “Podmoskovye (classe Delfin), può anche trasportare i batiscafi di salvataggio tipo Dsrv (Deep Submergence Rescue Vessel).

La peculiarità del K-329, però, è sicuramente l’utilizzo dei Poseidon, che ha richiesto profondi lavori di modifica allo scafo del battello. A prua della falsatorre – anche questa più lunga rispetto ad una normale di un classe Oscar II – è presente infatti un nuovo compartimento (lungo 38 metri sino all’estrema prora) che serve per operare con i nuovi siluri atomici: il Belgorod sembra avere sei tubi lanciasiluri rotanti – come in una pistola “revolver” – in grado di accoglierli. Izvestia aveva riferito, a febbraio 2021, che il Belgorod era in preparazione per effettuare test con il Poseidon, ma successivamente era arrivata la smentita da parte dei russi. Potrebbe comunque trattarsi solo di disinformazione, in quanto immagini satellitari commerciali risalenti al 10 febbraio dello stesso anno ritraenti il porto di Severodvinsk, hanno mostrato il battello con i portelloni dei tubi lanciasiluri aperti, e si ritiene che, date le dimensioni, siano quelli per il supersiluro. Le riprese da satellite hanno mostrato chiaramente due grandi aperture a prua ciascuna larga circa sei due metri, ovvero tre volte il diametro delle aperture per i normali siluri da 533 millimetri. Questo perché il Poseidon è circa 20-30 volte più grande di un siluro pesante tradizionale.

Pertanto l’uscita in mare del Belgorod, avvenuta recentemente, non è stata effettuata per compiere una prima missione di pattugliamento ma verosimilmente per testare le modifiche allo scafo, e possibilmente per lanciare in immersione un primo simulacro inerte del Poseidon. Ricordiamo ancora una volta che l’attività più preoccupante – in questa fase di sviluppo del sistema d’arma – è quella relativa allo spionaggio/sabotaggio di linee sottomarine: il K-329 potrebbe infatti rilasciare i suoi Auv o i battelli con equipaggio più piccoli per posizionare strumenti per spiare i cavi sottomarini o per tranciarli. Del resto il recente attacco a tre delle quattro linee dei gasdotti Nord Stream, e il troncamento del cavo di fibra ottica che collega le Svalbard alla Norvegia a inizio di quest’anno, hanno dimostrato la fragilità di queste infrastrutture e la serietà della minaccia portata da strumenti di guerra sottomarina come questi.

Il leader del Cremlino incomincia a sbandare. L'imperatore si ritrova a comandare un esercito ridicolo imbrigliato altresì dalle leggi del suo stesso stato che permettono la fuga di massa dei coscritti mentre dall'altra parte si fatica a rastrellare uomini per il fronte. Disegnato ad ovest come un dittatore, Putin in realtà mostra una debolezza cronica dovuta ad un muro legislativo che non permette una guerra da lui voluta. Le annessioni sono state obbligate dall'incapacità spaventosa di foraggiare l'Armata Russa in pesantissima inferiorità numerica. Anche le armi scarseggiano.

L’intelligence britannica ha già definito la perdita di Lyman un grave fallimento politico per il presidente russo Vladimir Putin: la città si trova nella regione di Donetsk che la Russia avrebbe annesso il giorno prima della ritirata. Questa situazione ha causato un’altra ondata di critiche pubbliche al comando militare russo e minaccia di intensificarsi. Infatti, nonostante la propaganda di Stato continui a trovare spiegazioni per i fallimenti dell’esercito, le critiche alla leadership sia militare che politica del Paese si fanno sempre più forti.

Subito dopo la resa di Lyman, il capo della Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha pubblicamente accusato il comandante del distretto militare centrale, il colonnello generale Alexander Lapin, di incompetenza e codardia. Kadyrov è stato pubblicamente sostenuto dal creatore del Gruppo Wagner, l’oligarca Yevgeny Prigozhin. Anche se corrispondenti militari e soldati sono venuti immediatamente in difesa di Lapin, non è tanto questo che è importante, quanto il fatto che le critiche alla strategia militare russa siano state espresse per la prima volta “dall’alto”.Corrispondenti militari e canali filorussi su Telegram accusano anche Shoigu, Gerasimov, Lapin e altri comandanti militari, ma per lo più criticano il sistema nel suo insieme. “È iniziato un colpo di Stato informativo contro la leadership del ministero della Difesa e il comando a terra”, scrive Rybar, uno dei canali militari pro-Russia più popolari su Telegram. “Tutti non sono soddisfatti di una cosa, dell’effetto cumulativo di tanti anni di rapporti ‘di successo’ da parte del comando locale. Ora questo ha provocato un altro fallimento al fronte”.In risposta a un’ondata di critiche senza precedenti, i militari stanno spostando la responsabilità sull’amministrazione politica del Paese e quindi alla fine su Putin. Questo è tanto più facile da fare in uno Stato autoritario come quello russo, dove tutto dipende dalla volontà del vertice, ritiene Gallyamov, POLITOLOGO RUSSO. Ad esempio, ora alle autorità vengono ricordate le vecchie accuse di chiusura delle scuole militari in tutto il Paese, mentre il colonnello di riserva e politico Viktor Alksnis incolpa direttamente le decisioni di Putin come comandante in capo: “Questa è la radice delle nostre sconfitte di oggi”. “Dobbiamo ricordare che Putin è rispettato solo perché è forte. Non ha altre fonti di legittimità”, afferma il politologo. È un leader di tipo militare: dopo ogni sconfitta, la sua legittimità si indebolisce, quindi da un punto di vista militare ora agisce in modo irrazionale, insistendo sul fatto che l’esercito non si ritiri. Ma, come vediamo, si ritira lo stesso. “Alla gente non piacciono né le sconfitte in sé, né la reazione di Putin a esse. Il Cremlino sta perdendo terreno sotto i suoi piedi – sostiene Gallyamov – Sono tutti insoddisfatti. I sostenitori del regime sognavano qualcosa come la Crimea, non una guerra lunga e sanguinosa e certamente non una sconfitta. Mentre gli oppositori del regime sono in generale contrari a tutte le sue azioni, quindi le sconfitte dell’esercito li hanno ispirati: stanno diventando più attivi”. Così, martedì la squadra di Alexey Navalny ha annunciato che avrebbero rianimato la rete delle loro sedi dell’opposizione, distrutta dopo l’arresto del politico.

 LA RIMOZIONE O AVVICENDAMENTO DI PUTIN ENTRO LE ELEZIONI DEL 2024

Anche il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky allude alle tensioni nelle élite russe dopo le sconfitte militari: “Lì hanno già iniziato a mordersi, cercano i colpevoli, accusano alcuni generali dei fallimenti. Questa è la prima campana che devono sentire a tutti i livelli delle autorità russe”. Zelensky propone di “risolvere il problema con colui che ha iniziato questa guerra”, suggerendo che l’Ucraina è pronta al dialogo con la Russia, ma con un presidente diverso.

Allo stesso tempo, il capo dell’intelligence ucraina afferma che i preparativi per la rimozione di Putin dal potere sono già in corso. Forse questo è solo un tentativo di provocare conflitti interni e la ricerca di traditori al Cremlino. Ma non si può escludere che gli ucraini abbiano ricevuto delle informazioni interne. “Molte persone intorno a Putin stanno già pensando al proprio futuro, quindi perché non ottenere la lealtà dell’intelligence ucraina – suggerisce Gallyamov – Ovvio, hanno molta paura di Putin, ma ora sta perdendo e si sta ritirando. A un certo punto, inizieranno a temere l’intelligence ucraina più di Putin”.

Secondo il politologo, Putin è ben consapevole di poter essere rovesciato dalla sua cerchia ristretta. Non si tratta però di una cospirazione vera e propria: cercheranno semplicemente di convincere Putin che deve andarsene e presentare alla società russa un successore. Hanno ancora speranza di salvare il sistema sostituendo Putin con qualcun altro, crede Gallyamov. La vera cospirazione maturerà se si rifiuterà di partire e deciderà di candidarsi alle elezioni del 2024. È allora che l’intero sistema di potere crollerà. “Ma penso che Putin non sogni più di essere rieletto nel 2024 – conclude il politologo – Spera solo di durare fino alla fine del suo attuale mandato. Ma per farlo, deve smettere di perdere“.

Ucraina, la “camera degli orrori” nel villaggio occupato dai russi. “Una mini Auschwitz”

Ucraina, la “camera degli orrori” nel villaggio occupato dai russi. “Una mini Auschwitz”

Un contenitore pieno di denti d’oro estratti e una maschera antigas “messa sulla testa di una vittima, coperta con uno straccio che bruciava e sepolta viva”. Nella città di Pisky-Radkivski, precedentemente occupata dai russi e ora ripreso dagli ucraini, nella regione nord-orientale di Kharkiv, la polizia ucraina ha dichiarato di aver scoperto una “camera di tortura” nella quale gli occupanti russi tenevano in “condizioni disumane” i residenti locali.

“Dopo la liberazione del villaggio di Pisky-Radkivski – ha scritto su Facebook Serhiy Bolvinov, capo del dipartimento investigativo della polizia nazionale nella regione di Kharkiv – i residenti locali hanno riferito alla polizia che nel seminterrato di una delle case, da cui provenivano costantemente urla, erano tenuti prigionieri residenti locali, soldati della Zona operativa antiterrorismo e prigionieri di guerra delle forze armate ucraine. Investigatori e pubblici ministeri stanno lavorando per stabilire tutti i fatti che hanno avuto luogo in questa camera di tortura“. Il ministero della Difesa ucraino ha inoltre diffuso le due foto del contenitore e della maschera antigas definendo la stanza in cui sono stati rinvenuti gli oggetti “una mini Auschwitz. Quante altre se ne troveranno nell’Ucraina occupata?”, si legge nel post.

“Sono stati gli ucraini ad uccidere Darya Dugina”: le rivelazioni dell’intelligence americana al New York Times

Darya Dugina è stata uccisa da infiltrati ucraini in Russia. È questa la conclusione alla quale è arrivata, secondo quanto scrive il New York Times, l’intelligence americana sull’esplosione dell’auto che ha provocato la morte della figlia dell’ideologo di estrema destra, Alexander Dugin. Le fonti riservate vicine al dossier citate dal quotidiano americano hanno anche spiegato che gli Stati Uniti “non hanno preso parte all’attacco, né fornendo informazioni né altre forme di assistenza”. Aggiungendo che i servizi Usa non erano a conoscenza dell’operazione e si sarebbero opposti se fossero stati consultati. In seguito, i funzionari americani si sono lamentati con gli omologhi ucraini per l’assassinio, visto che quell’episodio può essere considerato uno dei tanti elementi che rischia di allargare e inasprire ulteriormente lo scontro tra Mosca e Kiev, dando il via a una pericolosa stagione di omicidi politici commessi da ambo le parti.

Una versione, quella di Washington, che si scontra con le dichiarazioni rilasciate dai vertici del governo ucraino nelle ore immediatamente successive all’assassinio della giovane reporter e attivista di ultradestra, quando avevano smentito ogni coinvolgimento respingendo le accuse mosse da Mosca. Nel frattempo, il governo russo aveva fatto circolare le immagini video di quella che sostenevano essere l’agente dell’intelligence ucraina che era riuscita a infiltrarsi in territorio russo, compiere l’attentato e poi fuggire oltre il confine con l’Estonia.

Oggi, secondo le rivelazioni dei funzionari al Nyt, ai vertici dell’intelligence americana c’è fastidio nei confronti di Kiev per la mancanza di trasparenza dimostrata in questa e in altre azioni, nonostante gli ucraini continuino a negare ogni coinvolgimento nell’assassinio di Dugina. Dall’inizio della guerra, i servizi di sicurezza ucraini hanno dimostrato la loro capacità di raggiungere i territori russi per condurre operazioni di sabotaggio, ma l’uccisione dell’attivista di estrema destra russa rappresenta una delle azioni più estreme compiute fino a oggi. Anche perché il sospetto è che fosse il padre il vero obiettivo dell’operazione, una delle voci che più di tutte ha assunto posizioni favorevoli alla guerra contro Kiev.

“Qualsiasi omicidio durante la guerra in un Paese o in un altro deve portare con sé una sorta di significato pratico”, aveva detto il consigliere del presidente Zelensky, Mykhailo Podolyak, in un’intervista proprio al New York Times martedì. Parole che smentivano nuovamente l’ipotesi di un coinvolgimento ucraino, anche per ciò che Podolyak ha detto dopo: “Un omicidio dovrebbe soddisfare uno scopo specifico, tattico o strategico. Una come Dugina non è un obiettivo tattico o strategico per l’Ucraina. Abbiamo altri obiettivi sul territorio dell’Ucraina, intendo collaborazionisti e rappresentanti del comando russo che potrebbero avere valore per i membri dei nostri servizi speciali che lavorano in questo programma, ma certamente non Dugina”.

Cgil in piazza a Roma, Landini: ‘Costruiamo la pace. Non si può aspettare che la guerra diventi nucleare’. Vertice centrodestra, ‘passi importanti’ per il governo

08-10-2022


 

 

 

LO SFASCIO TOTALE DELLA SINISTRA ITALO-ISPANO-FRANCESE

Enrico Letta ha contraddistinto la campagna elettorale sulla totale continuità e sulla rivendicazione di una superiorità morale rispetto agli avversari, da conseguire nei confronti del centrodestra e di Giorgia Meloni per la dicotomia tra post-fascisti e sinceri democratici e verso Giuseppe Conte e il Movimento Cinque Stelle per la scelta di difendere fino all’ultimo Mario Draghi. Il risultato? Un disastro, con il Pd che è stato staccato di quasi 2 milioni di voti e sette punti percentuali da Fratelli d’Italia ed è riuscito a rivitalizzare il Movimento Cinque Stelle consegnandogli la tutela degli emarginati, del lavoro, della sicurezza sociale.

Tutto mentre c’è chi attacca il segretario uscente Enrico Letta: “Per me è stata una catastrofe. Alleanze? Uno tra Giuseppe Conte o Carlo Calenda bisognava tenerlo dentro, nessuno dei due mi pare che l’alleanza fosse davvero piccola”, punge Alessia Morani, rimasta fuori dal Parlamento.

La debacle del Pd segue di pochi mesi l’ennesimo flop del Partito Socialista francese che alle presidenziali ha candidato il sindaco di Parigi Anne Hidalgo legittimando una retorica che lo vuole lontano dall’animo popolare e che si è trovato egemonizzato da Jean-Luc Mélenchon e dalla sua Nuova Unione Popolare (Nupes) fortemente radicale nel successivo voto parlamentare.

Per la Sinistra liberal che “mima” le dinamiche culturali del Partito Democratico americano e si fa portavoce delle istanze delle élite urbane, dei professionisti e di quelle che in Italia vengono chiamate le “Zone a traffico limitato” la fase attuale è di forte regresso politico, ideologico, financo culturale.Poco prima della sconfitta del Pd in Svezia a perdere nonostante il primo posto è stato il Partito Socialdemocratico, che ha visto la sua coalizione minoritaria rispetto a quella ungherese guidata nei sondaggi dai Democratici Svedesi, alleati di Fratelli d’Italia; a fine 2021 Klara Dobrev, candidata di Coalizione Democratica che in Europa è col Pd nel gruppo dei Socialisti e Democratici, non è riuscita a sconfiggere in Ungheria il centrista cattolico Peter Marki-Zay nelle primarie per la scelta dell’avversario di Viktor Orban da parte dell’opposizione unita, poi travolta da Fidesz nel voto di aprile. In precedenza, dall’Andalusia erano arrivate pessime notizie anche per il ben più spigliato Partito Socialista Spagnolo, battuto alle elezioni regionali in una roccaforte rossa di Spagna dal Partito Popolare. E anche in Slovenia il partito Socialdemocratici – Sinistra Unita non ha toccato palla al voto d’aprile. In Italia, fenomeni come il nuovo Movimento Cinque Stelle tutto ambiente, welfare e pacifismo uniscono tradizione progressista e nuovo populismo, creando un mix a cui il Pd non reagisce se non con malcelata alterigia. Tutti segni di un cambio di paradigmi e coordinate che la Sinistra liberal non ha saputo intercettare in un mondo in cui la domanda di sicurezza (economica, energetica, ambientale, sociale e via dicendo) è aumentata esponenzialmente e su cui in tutta Europa, Italia compresa, le formazioni a lungo rappresentanti delle classi popolari non hanno saputo riflettere attivamente.

 

QUESTIONE COSTI ENERGETICI  ITALIOTI

Ad oggi, con il Decreto Aiuti bis sono già stati messi sul piatto 17 miliardi, di cui 8,4 solo per fronteggiare il caro energia. In particolare il decreto prevede: l’estensione a tutto il quarto trimestre di quest’anno dell’azzeramento degli oneri di sistema, del taglio dell’Iva al 5% sul gas, il potenziamento del 2022 il bonus sociale, agevolazioni per i più vulnerabili compresi disabili e over 75, lo stop alle modifiche unilaterali per i contratti nel “mercato libero” a prezzo bloccato. Misure che – è evidente ancor di più oggi – non basteranno e che il governo entrante dovrà potenziare e incrementare. Tra le ipotesi che circolano un intervento da 20 miliardi di euro prima della legge di bilancio, utilizzando i fondi relativi al periodo 2014-2020 non ancora spesi.

Ma il primo ottobre, oltre a scattare gli aumenti annunciati dall’Autorità, inizia anche l’anno termico e scadono i contratti con cui i rivenditori al dettaglio si riforniscono dai grandi produttori e importatori: molti non hanno ottenuto un rinnovo, altri hanno dovuto accettare condizioni onerose. Così se il fornitore va in default, i clienti finiscono nel mercato di ultima istanza, che garantisce la continuità del servizio ma con tariffe generalmente anche più alte di quelle del mercato tutelato, che appunto da sabato lieviteranno. Altro rischio è che, con queste tariffe e con i fornitori in difficoltà che non riescono più a concedere rateizzazioni, aumenteranno i morosi per i quali è previsto invece il distacco dell’energia. “Un raddoppio delle bollette avrebbe potuto spingere all’aumento della morosità, mettendo ulteriormente in difficoltà le famiglie e il sistema energetico”, afferma il presidente di Arera, Stefano Besseghini.Andando al gas, c’è invece ancora un mese di tempo per prendere aria. L’Autorità per l’energia ha deliberato un nuovo metodo di determinazione delle tariffe per il mercato tutelato, che prevede l’aggiornamento dei valori ogni mese, comunicandoli alla fine di quello successivo. Il nuovo metodo sarà in vigore fino al termine della tutela gas per i clienti domestici, previsto per gennaio 2023, termine sul quale l’Autorità oggi stesso, ha inviato una segnalazione a governo e Parlamento ribadendo la richiesta che la scadenza venga posticipata. Nella stessa segnalazione, l’Autorità ha chiesto di posticipare anche per l’elettricità la fine della tutela per le microimprese (prevista per il prossimo primo gennaio) e di conseguenza anche quella per i clienti domestici.

Con il nuovo meccanismo di calcolo del prezzo del gas – spiega Arera – “si riduce il rischio che i venditori non siano in grado di garantire la propria operatività e le forniture, minimizzando il pericolo che le famiglie debbano ricorrere ai servizi di ultima istanza e gli stessi venditori al servizio di default, pregiudicando l’intero equilibrio economico della filiera gas italiana con costi aggiuntivi che verrebbero socializzati”. Nei giorni scorsi il nuovo meccanismo annunciato da Arera ha visto il supporto di Unione nazionale consumatori mentre ha trovato contrarie Assoutenti, Consumerismo e Codacons preoccupate che in realtà la misura provocherà ulteriori rincari e farà perdere alle famiglie la reale percezione della spesa sostenuta.

 

44 a 26 come percentuale ma nei due rami del parlamento i DarthFener NON HANNO I 2/3 DEI SEGGI, NECESSARI PER APPROVARE LA "TERZA NUOVA COSTITUZIONE in doppia lettura"

Come previsto questa estate, l'armata delle tenebre già LORDISCE PER LA MODIFICA COSTITUZIONALE IN SENSO DITTATORIALE ricevendo immediatamente il placet dalle MERDE RENZI-CALENDA. Renzi ci ha già provato nel 2016 facendosi aiutare nella scrittura da GOLDMAN SACS, LA MUMMIETTA PEDERASTA DI ARCORE ci provava nel 2006 con BOSSI. I referendum li fermarono. Ora siamo al terzo tentativo. Si parte con i numeri: per attuare una modifica costituzionale la legge deve passare in doppia lettura tra camera e senato con una maggioranza DEI DUE TERZI. In questo caso la riforma di legge costituzionale diventa tale SENZA PASSARE PER IL REFERENDUM. Se tale riforma passa invece con una maggioranza semplice, E' OBBLIGATORIO IL QUESITO REFERENDARIO SENZA QUORUM. Ad oggi, nonostante l'attuale LEGGE DI MERDA ELETTORALE ABBIA STRAPREMIATO UNA COALIZIONE DI MINORANZA ( il 44 per cento del 62 per cento che è andato a votare ovvero circa 14 milioni di destrorsi su un totale di 51 milioni di aventi diritto.....), quest'ultima tuttavia NON RAGGIUNGE LA MAGGIORANZA DEI DUE TERZI IN PARLAMENTO, NEMMENO CON I SEGGI DELLE MERDE RENZI-CALENDA. Alla Camera, anche con i voti delle fogne arrivano a 263 voti, ne mancano 5 per la maggioranza dei due terzi. Al Senato i voti che raggiungono sono 128, ne mancano 9 per la maggioranza dei due terzi. Nonostante il sonno mostruoso degli italioti, l'armata delle tenebre ha un primo problemino da risolvere......

Nel crollo di luglio titolavamo: Partito della Diossina arrogante contro il M5S, con la mezza calzetta Letta ad idolatrare Draghi. Oggi, 27 settembre ci ritroviamo con una fattucchiera nera al governo e Letta a (non)rassegnare le dimissioni dopo uno sfascio alla Occhetto.La sua "gioiosa macchina da guerra" si schianta nella merda assieme ad una paccottiglia di politicanti pseudo-sinistrorsi che da quarant'anni non fanno altro che stare a rimorchio dei partiti del danaro destrorsi. L'unica vera Seconda Forza è quel M5S dato per sepolto: è vero che ha dimezzato i suoi consensi in 4 anni, tuttavia minato da una diaspora mostruosa di rincoglioniti (Di Maio, Azzolina.....) che trovarono il terno al lotto quando furono eletti, con il Padre rimasto che fa il capriccioso rompendo i coglioni, con le vedove Casaleggio a lanciare strali perchè la creatura è sopravissuta anche senza di loro e senza il loro super link liquido impastato da GianRoberto.

da un articolo di Franco Pellizzetti: "Da un articolo di Pierfranco Pellizzetti, una delle pochissime penne con un po' di sale in zucca: "Caos calmo o imprevisto prevedibile? Il risultato elettorale balzato fuori dalle urne del 25 settembre si direbbe l’apoteosi dell’ossimoro: la Meloni si allinea alle previsioni e stravince; ma nel contesto di una destra altamente instabile, con Salvini che incassa la metà dei consensi di cui era accreditato (e la mina vagante Berlusconi, dato per l’ennesima volta defunto, che risorge dal sacello). Per cui la leader di Fratelli d’Italia si ritrova a dover fare i conti, prima ancora delle incombenti questioni di governo, che vanno dalla crisi energetica a quella sociale ed economica, con la bomba ad orologeria rappresentata dalla furia egolatrica dei due partner, elettoralmente e politicamente ridimensionati eppure irrimediabilmente capricciosi: la pretesa strombazzata da Matteo Salvini di riottenere il Ministero degli Interni; quella di insediarsi alla presidenza del Senato (anticamera per la Presidenza della Repubblica) avanzata come un diritto incontrovertibile dal Nosferatu di Arcore.Sul fronte dell’opposizione il Pd si conferma primo partito, ma nel modo peggiore possibile. Intanto la Bonino scompare mentre Calenda e soci di Azione-Italia Viva, dal basso del loro 7,7%, il tanto vagheggiato risultato a due cifre se lo scordano. Luigi Di Maio, l’Houdini di Pomigliano d’Arco, precipita nel suo stesso cilindro insieme al coniglio, mentre i Cinquestelle di Conte, desaparecidos annunciati, diventano in rimonta la vera Terza Forza della politica italiana.Alla luce dei risultati numerici (centro-sinistra 25,5%, 5S 15,4%, Calenda &C. 7,7% = 45,9 complessivo; a fronte del 44% raggiunto dalla destra), va ribadito (a futura memoria) che se l’opposizione avesse varato il “campo largo”, predicato da Pier luigi Bersani, Goffredo Bettini e altri ragionevoli analisti, non ci avrebbe consegnati incaprettati mani e piedi a una premier selezionata e cresciuta nella cantera del Fronte della Gioventù, la palestra giovanile missina.

Resta la soddisfazione – tutto sommato modesta – di esserci liberati, insieme a un po’ di peones grazie alla sfoltitura dei seggi parlamentari, anche di alcune presenze tanto per esserci, sopravvalutate e sostanzialmente moleste; gente particolarmente versata nel far perdere tempo con la loro ansia di protagonismo: l’ultra sponsorizzato dallo star system vetero-sinistro (Jean-Luc Mélenchon, Pablo Iglesias, Jeremy Corbyn) Luigi De Magistris, rimasto fermo all’1,4% con la sua “Unione Popolare”, Gianluigi Paragone nell’imitazione padana della Brexit, inchiodata al 2%, e senza dimenticare il rieccolo Marco Rizzo, la cui “Italia sovrana e popolare” ribadisce il proprio peso all’1%. L’apoteosi dell’inutilità narcisistica. Cui si aggiunge la mattanza dei furbetti maldestri: i vari scissionisti ex Cinquestelle turlupinati dal magliaro Di Maio (tra cui Vincenzo Spadafora, Laura Castelli e Lucia Azzolina) che speravano di sfangare il vincolo del doppio mandato e ora si ritrovano a spasso.Non meno da compiangere delle Veneri di Forza Italia alla ricerca di nuovi set: Mara Carfagna, che poi è stata recuperata nel “corso di riparazione” del proporzionale, e la geografa Mariastella Gelmini, pronta a raccogliere l’invito del National Geographic per esplorare il tunnel di collegamento tra il Gran Sasso e il Cern di Ginevra di cui è la ben nota scopritrice.Ma ora si sente dire che queste elezioni segnano un passaggio storico nella storia nazionale. E perché? Perché una frequentatrice da tre lustri dei Palazzi della politica romana diventa Presidente del Consiglio in una situazione altamente problematica e che rischia di stritolarla appena mette piede a Palazzo Chigi? Sicché è presumibile che vorrà ripartire i rischi del governare attraverso una qualche forma di ammucchiata all’insegna del tutti insieme appassionatamente. Al tempo stesso, pensiamo ipotizzabile che un periodo di opposizione (come non ha mai sperimentato) possa far essudare al Pd gli umori maligni che l’affliggono? Allora vuol dire che non si è capita la sua reale natura: non un partito, bensì il comitato che gestisce un patrimonio elettorale e un capitale di potere in costante contrazione; team costituito da una ristretta oligarchia notabilare di modesto livello (Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, Andrea Orlando), alla faccia dell’ingrigito popolo boccalone che ancora se la beve.

Insomma. E se invece della svolta storica fossimo in presenza della solita saga del Gattopardo, ripitturata di nero?

DAL CROLLO DI DRAGHI ALLE ELEZIONI AL 25 SETTEMBRE: CENTRODESTRA

APPARENTEMENTE

IN VANTAGGIO

,PARTITO della DIOSSINA ARROGANTE verso il M5S

E che dire del sollievo, rendendoci conto che allo sgombero del premier aggiusta-tutto, di cui non c’è memoria di un’operazione che sia una condotta in porto, si affiancherà inevitabilmente l’uscita di scena di un bel po’ di fancazzisti della politica: dal macrochiappico per usucapione di poltrona ministeriale Luigino Di Maio al buffo gergale confindustrialese Carlo Calenda, per giungere all’inarrivabile quintessenza dell’antipatia trombonesca e tirapacchi Matteo “stai sereno” Renzi. Ma, in materia di gente inutile, che dire di Enrico Camomilla Letta (che però rischia di continuare a galleggiare per rendita di posizione piddina; a differenza del trio precedente, che per nostra fortuna è destinato ad andare a spasso).

Altrettanto dovrebbe smammare il pool, ministeriali o meno, alla corte draghiana solo per fare danni: il peggio di tutti è certamente Roberto Cingolani, maestro nel gioco delle tre carte applicato a una materia drammaticamente seria come ambiente ed energia. Ma non scherzano neppure i profeti di un liberismo giurassico, ormai fuori tempo massimo nella corsa al retrò (Milton Friedman imperversava negli anni Ottanta) che rispondono ai nomi di Franco Giavazzi e Vittorio Colao, il titolare del portafoglio digitale per rifilare allo stato italiano gadget che fanno sbellicare l’economista premio Nobel Paul Krugman (“viviamo nell’epoca di i-Phone, i-Pad e i-Quelchetipare, più divertenti che indispensabili”).A far buon peso dovremmo gioire perché le presumibili prossime elezioni ottobrine faranno sparire anche un bel po’ di inutili fantasmini, da ministri tappezzeria tipo il bancaditalia Daniele Franco, del dicastero degli Affari Economici, alla folla di candidati alla disoccupazione intellettuale, impersonata dai cancellati dalla rendita elettorale per la soppressione di inutili poltrone parlamentari.

Ultima ma non ultima la soddisfazione di poter dichiarare tranquillamente che se abbiamo dovuto sorbirci l’imbevibile spettacolo della crisi surreale di queste ultime settimane, un giusto merito va attribuito anche al nostro deludente presidente della Repubblica. Sergio Mattarella è sembrato a lungo una figura che si muoveva in punta di piedi perché affetto dalla sindrome dell’ospite in casa d’altri e poi, quando invece ha preso un’iniziativa, ci ha regalato l’obbrobrio di un governo di unità nazionale nato con lo stigma che lo ha fatto durare persino meno – per qualche giorno – della precedente ammucchiata presa in carico da Mario Monti. Operazione mattarelliana nata certamente per assecondare stampa padronale e Confindustria, che non ritenevano abbastanza condiscendente il precedente governo (Conte due) per quanto riguardava l’assegnazione dei miliardoni del Recovery Fund.

Ebbene, di tutta questa paccottiglia (e qualche schifezza) la crisi di cui ci si straccia le vesti è stata la benemerita scopa manzoniana. Evviva.

Semmai – se proprio volessimo lamentarci – il bicchiere mezzo vuoto è rappresentato dalla totale mancanza di alternative per il dopo: visto che l’impresentabile Giorgia Meloni e il Signor Tentenna Giuseppe Conte non lo sono.

 

Draghi verso le dimissioni. Sì del Senato alla fiducia ma Fi, Lega e 5S non votano. Domani il premier alla Camera. Letta: "Parlamento contro l'Italia".  Conte: "Messi alla porta". Meloni esulta.20-07-22

CLAMOROSA CRISI DI GOVERNO ITALIOTA, IL LEADER DEL M5S STUFO DI STARE NEL GOVERNICCHIO DEI BANCHIERI CHE NON VEDONO L'ORA DI METTERE LE MANACCE UNTUOSE SOPRA I 200 MILIARDI DEL PNRR GARANTITI DA CONTE SOTTO IL SUO GOVERNO,Draghi rassegna le dimissioni, Mattarella le respinge: “Si presenti in Parlamento per valutare la situazione”. Mercoledì il discorso alle Camere – Scenari possibili..14-07.2022

04-07-2022, 131° GIORNO DI GUERRA

L'INTERA REGIONE DEL LUGHANSK SOTTO CONTROLLO DEI RUSSI E FILO-RUSSI. KIEV PROVA A RENDERE IL CONFLITTO ASIMMETRICO NEL SUD CON L'IRAKIZZAZIONE DEL CONFLITTO.

 

02-07-2022. 129° GIORNO DI GUERRA

Ceceni filorussi a Lysychansk: ‘Abbiamo il controllo’. Kiev nega. Lukashenko: ‘Sventato un attacco ucraino’. Gli equilibri: Mosca e l’annessione silenziosa di Minsk. Nel frattempo nell'Ucraina del sud ( Kerson-Melitopoli),una forte resistenza ucraina mette in forte difficoltà l'occupazione russa.

44° GIORNO DI GUERRA---08-04-22

La guerra in Ucraina è il primo banco di prova dell’asse Mosca-Pechino

Dal 1989 la narrativa occidentale non è cambiata: è rimasta trionfalista. Anche davanti all’offensiva militare russa in Ucraina, l’atteggiamento dei leader occidentali è vittorioso. La lotta è tra il bene e il male, noi siamo il bene, Putin è il male e l’esito è certo: vinceremo noi. Nessuno si domanda come sia possibile che la dicotomia degli anni Trenta e Quaranta sia tornata a tormentarci, nessuno ha il coraggio di fare autocritica e chiedersi dove abbiamo sbagliato, dal momento che non siamo riusciti a contenere o a rimuovere il male sul crescere. I media giustamente celebrano l’eroismo e il patriottismo degli ucraini, ma si guardano bene dall’analizzare gli errori di politica estera commessi dalla peggiore classe politica dell’era moderna da quando il blocco comunista è imploso. Non c’è nulla di meglio di un po’ di storia per confrontarci con la realtà.Non è la prima volta che Vladimir Putin attacca militarmente un’altra nazione – il male non si materializza in poco tempo: se incontrastato cresce, si rafforza, si consolida. Lo ha fatto nel 2008 in Georgia, ad esempio. Non è neppure la prima volta che l’esercito russo letteralmente rade al suolo intere città: è successo in Siria nel 2012. Vi ricordate le immagini di Aleppo dove non era rimasto in piedi neppure un edificio? Chi pensate che guidasse i carri armati russi e chi dava gli ordini? Certo non l’esercito siriano. È successo anche durante la seconda guerra in Cecenia, iniziata nel 1999 con la repressione brutale dei moti di indipendenza.In tutte queste nazioni, come in Ucraina oggi, colonne di milioni di profughi si sono mosse come formiche sul mappamondo. Mentre marciavano, spesso l’aviazione russa radeva al suolo le loro case, gli ospedali, le scuole, le chiese, le moschee. Edificio dopo edificio, tutto veniva centrato dai missili e si trasformava in macerie. La tattica di Putin è sempre stata la stessa: radere tutto al suolo, fare tabula rasa, cancellare il passato. Queste offensive militari si sono materializzate sotto gli occhi del libero e democratico Occidente, il blocco di nazioni che ha vinto la guerra fredda ma che non ha saputo gestire la pace. E così le guerre di Putin si sono moltiplicate intorno a noi, avvicinandosi sempre di più. Guerre in cui l’esercito russo agiva come i barbari di Attila. A volte, come nel caso dello Stato Islamico, queste guerre ci hanno anche fatto comodo e segretamente siamo stati contenti delle vittorie di Putin.Inebriati dall’euforia della vittoria della guerra fredda, come scrisse Francis Fukuyama, ci siamo davvero illusi che la storia fosse finita, che eravamo riusciti ad annientare la guerra. E così negli ultimi quindici anni non ci siamo accorti che, mentre Putin vinceva le sue guerre di conquista territoriale, molte cose cambiavano sullo scacchiere mondiale. Nonostante l’espansione della Nato verso est, ad esempio, l’immagine degli Stati Uniti quale potenza mondiale, il cui compito è garantire i principi democratici e la libertà nel mondo, si è via via lacerata. Le menzogne per invadere l’Iraq, gli insuccessi in Siria e Libia e, più recentemente, l’abbandono dall’Afghanistan hanno offerto a nuovi dittatori come Putin una potente narrativa politica antiamericana, diversa da quella della guerra fredda: una narrativa moderna. All’ombra del declino americano, che culmina con l’assalto al Congresso del 6 gennaio dietro incitamento del presidente uscente Trump, questa narrativa ha permesso alla Russia e alla Cina, potenze autoritarie, di avvicinarsi, di formare un blocco ideologico-politico che contrapponga alla decadenza del modello democratico americano la stabilità di quello autocratico.La risposta dell’Occidente è stata di spingere Putin e Xi fuori del circolo magico dell’élite politica internazionale e di accerchiarli con alleanze e patti a carattere militare. Anche la Cina, dunque, negli ultimi dieci anni è stata allontanata da Washington. La politica diretta a tenere a distanza Pechino, iniziata da Obama, è culminata nella guerra tariffaria di Donald Trump, seguita dal divieto di accesso delle imprese cinesi alle tecnologie più innovative americane. Nonostante le pressioni cinesi, Joe Biden non ha rimosso le restrizioni di Trump, né ha abbandonato il piano strategico dei suoi due predecessori, e cioè di creare la versione asiatica della Nato, che va dall’India al Pacifico.

Invece di seguire il motto romano divide et impera, l’Occidente trionfalista ha fatto di tutto affinché i nemici si coalizzassero, un’unione che ha funzionato bene per una serie di motivi. A livello economico le due nazioni sono complementari: la Russia produce materie prime di cui necessita la Cina e la Cina prodotti ad alta tecnologia, oltre a investire in un settore di cui la Russia ha bisogno. Tra i progetti, ad esempio, la produzione di aerei che faranno concorrenza a Boeing e Airbus. Tutto ciò spiega perché nel 2021 il commercio tra le due nazioni è cresciuto del 37%.

Tra i due leader esiste anche un’intesa, una simpatia a carattere personale che scaturisce dalla condivisione di un’infanzia dura e dal desiderio comune di riportare le proprie nazioni alla gloria del passato. Obiettivo di Putin, lo zar, e di Xi, l’imperatore, è costruire un nuovo ordine mondiale di cui Russia e Cina siano le incontrastate icone. La guerra in Ucraina è il primo banco di prova dell’asse Mosca-Pechino: se la Russia riesce a sopravvivere economicamente grazie al mercato e all’economia cinese, una volta che tutti i legami con l’Occidente saranno recisi, allora accanto alle macerie delle città ucraine ci saranno anche i detriti di molte multinazionali occidentali. E chi pensa che Putin e Xi non abbiano pianificato a tavolino la loro strategia è ancora affetto dalla sindrome del trionfalismo occidentale.

39° GIORNO DI GUERRA

NAZIONAL-ESOTERISMO, iper-tradizionalismo (RODNOVERIA)e nazione spirituale (NARODA), Evola e scontro tra Mondi escatologici:la mostruosa fusione dell'ideologia che muove Putin. Dugin e LA QUARTA TEORIA POLITICA

Tra la fine degli anni 1980 e il 1992, Dugin visse a Parigi dove stabilì contatti con Alain de Benoist, il principale ideologo della Nouvelle Droite francese; i due si distanziarono dal 1993, poiché De Benoist non condivideva le mire imperiali dell'eurasiatismo, anche se rimane il pensatore più simile a Dugin in Europa occidentale.[24] Nel 1992 Dugin iniziò a pubblicare il suo giornale, Elementy, il cui titolo riproduceva quello del giornale Élements della Nouvelle Droite debenostiana.[25]

Nel 1990-1991 Dugin fondò l'Associazione Arktogaia, che nel 1993-1994 confluì come nucleo ideologico nel Partito Nazional-Bolscevico che lo stesso Dugin fondò insieme allo scrittore Ėduard Limonov.[23] Negli stessi anni Dugin si dedicò allo studio delle origini dei movimenti nazionali e alle attività dei gruppi esoterici a essi correlati insieme al giornalista di estrema destra Christian Bouchet all'epoca membro dell'Ordo Templi Orientis.[26] Celebrò sia lo zarismo sia la prassi politica di Stalin, oltre a Julius Evola,[7] e fu uno dei collaboratori più prolifici al settimanale Den (Il giorno), uno dei centri ideologici dell'anti-cosmopolitismo russo, attraverso il quale disseminò le teorie eurasiatiste.[23]

In quegli anni Dugin studiò la semiotica geopolitica e le teorie esoteriche del controverso pensatore tedesco Herman Wirth (1885–1981), co-fondatore della Ahnenerbe. Il risultato confluì nel libro La teoria iperborea (1993), in cui Dugin supporta le teorie di Wirth come base per la sua visione eurasiatica che propone come possibile soluzione per colmare il vuoto ideologico lasciato dall'esaurimento di comunismo, liberalismo e democrazia in Russia.[27] Dugin inoltre contribuì alla diffusione della leggenda secondo cui Wirth avesse scritto un'opera fondamentale sulla storia degli Ebrei e sull'Antico Testamento, il cosiddetto Palestinabuch, che avrebbe cambiato la storia del mondo se non fosse andato perduto.[28]

Le differenze ideologiche con Limonov si fecero nel frattempo incolmabili e portano Dugin a uscire dal Partito Nazional-Bolscevico insieme ai militanti più accesamente nazionalisti. Dugin si spostò quindi ancora più a destra, con la fondazione di organizzazioni anti-liberali e anti-progressiste che sempre mantennero un basso profilo, tra le quali il Fronte Nazionale Bolscevico. Dopo la rottura con Limonov, nel 1998 Dugin si avvicinò a Evgenij Primakov e, in seguito, alla cerchia di Vladimir Putin.[29]

Anni 2000: il Movimento Internazionale Eurasiatista[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2000 Dugin fondò un nuovo movimento, il Partito Politico Panrusso Eurasia, che nel 2003 divenne organizzazione non governativa con il nome di Movimento Internazionale Eurasiatista (Mezhdunarodnaye Evraziyskoye Dvizhenie, MED). Ha insegnato all'Università statale di Mosca dal 2008 al 2014, dove era a capo del Dipartimento di Sociologia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Sociologia, mentre dal 2018 ha insegnato all'Università Fudan di Shanghai, in Cina.[30]

Dugin è stato descritto dalla francese Marlène Laruelle, storica dell'eurasiatismo, come senza dubbio il principale ideologo dell'eurasiatismo contemporaneo o neo-eurasiatismo.[31] Nei primi anni 1990 condivise tale primato con Aleksandr Panarin; in un primo momento i due erano in opposizione, in quanto Panarin criticava l'approccio pagano dell'eurasiatismo dughiniano, il quale vede l'uomo come principalmente integrato nel mondo naturale e la civiltà urbana come organismo tendenzialmente parassitario distaccato dal mondo naturale.[31] Panarin si riavvicinò a Dugin nei primi anni 2000, poco prima di morire di malattia, entrando nel Partito Eurasia e scrivendo un preambolo al libro Political Philosophy di Dugin.autore=Matteo Luca Andriola|

Nel 2019 Dugin e Bernard-Henri Lévy — considerati esponenti ideologici di spicco degli opposti sovranismo e mondialismo — si confrontarono sul tema di quella che è stata definita "la crisi del capitalismo" e l'insurrezione dei populismi nazionalisti.[32]

Filosofia di Dugin[modifica | modifica wikitesto]

Fonti da cui Dugin attinge e che sintetizza e supera sono:[33] 1) il tradizionalismo integrale o perennialismo (GuénonEvola e anche il cosiddetto tradizionalismo "morbido" di Eliade e Jung[34]); 2) l'esoterismo occidentale, mediato dall'esperienza del Circolo Yuzhinsky (con MamleyevGolovin e Dzhemal), inclusa l'ariosofia neopagana germanica (specialmente Wirth[35]); 3) Nietzsche e la rivoluzione conservatrice (HeideggerJüngerNiekischSchmitt); 4) il postmodernismo francese (Deleuze e GuattariLacanBaudrillardFoucault); 5) la teologia ortodossa eurasiatista anti-occidentalista (Leont'evDanilevskiGumilëv, Alexeyev); 6) autori di sociologia e antropologia (ŠirokogorovWeberTönniesSombartBoasDurkheimLévi-StraussDurand).[33]

Il pensiero di Dugin è in molti aspetti simile a quello di Alain de Benoist, spesso citato da Dugin stesso, e della Nouvelle Droite francese, e i due ebbero dei contatti tra la fine degli anni 1980 e i primi anni 1990; grandi differenze constano nel fatto che De Benoist non condivide l'idea di un "impero eurasiatico" che saldi l'Europa occidentale alla Russia, e si appoggia solo parzialmente al tradizionalismo integrale, che è invece fondamento imprescindibile per Dugin.[25] Oltre che principale ideologo dell'eurasiatismo contemporaneo,[36] Dugin è elencato tra i circa trenta più influenti ispiratori della rodnoveria (neopaganesimo slavo-russo).[37] Jafe Arnold, uno dei principali studiosi accademici del dughinismo e delle sue radici esoteriche, ha definito il filosofo russo come il pioniere della giunzione tra eurasiatismo, tradizionalismo e geopolitica geofilosofica risultante in un capitolo del tutto nuovo nella storia del tradizionalismo integrale,[38] parte di quello che lo studioso Pavel Nosachev ha definito un nuovo "tradizionalismo russo".[39] Lo studioso Michael Millerman ha messo in luce la centralità del pensiero filosofico-politico di Heidegger nell'opera di Dugin, ritenendo l'heideggerismo il vero cuore del dughinismo a cui eurasiatismo e tradizionalismo sarebbero ancillari.[40] Lo studioso Mark Sedgwick ha definito al contempo il dughinismo come una prassi che unisce in sé sia il tradizionalismo "duro" (orientato all'azione politica radicale; à la Evola) che il tradizionalismo "morbido" (orientato alla contemplazione; degli altri autori tradizionalisti).[41]

Dugin è stato variamente definito da accademici e giornalisti dell'Occidente come il "filosofo più pericoloso al mondo",[42] "uno dei più pericolosi esseri umani sul pianeta", tra i cento "maggiori pensatori al mondo", nonché il "cervello di Putin", il "Rasputin di Putin", il "folle mistico russo", il "guru del Cremlino", e con vari altri epiteti definiti dalla Laruelle come indice di una "ossessione dell'Occidente nei suoi confronti".[43] Il giornalista americano Charles Clover lo ha definito nel suo libro Black Wind, White Snow, basato su un'ampia intervista a Dugin stesso, come "inventore, architetto e impresario del'Eurasia" che ha contribuito alla concezione e alla costruzione della politica russa contemporanea orientandola verso una "conquista della realtà".[44]

Nazionalbolscevismo e quarta teoria politica (4pt)[modifica | modifica wikitesto]

Nel nazionalbolscevismo, "nazione" è da intendersi, come ben esplicito nel russo narod, come un ente integrale, organico, per sua essenza refrattario a qualsiasi suddivisione anatomica, dotato di un suo destino particolare e di una sua struttura unica. Nella dottrina tradizionale ogni nazione è manifestazione di un principio divino, sprituale, angelico. Esso è "al di fuori del tempo e dello spazio" e "purtuttavia costantemente presente nelle vicissitudini storiche della nazione", è un essere di luce, un "pensiero di Dio", la cui "struttura è visibile nelle realizzazioni storiche della nazione, nelle istituzioni sociali e religiose che la caratterizzano, nella sua cultura", nei re divini, nei grandi eroi, nei pastori, nei santi. Esso è l'Assoluto particolarizzato.[45]

"Bolscevismo" è da intendersi come il "marxismo di destra" o "comunismo di destra", "le cui origini risalgono alle antiche società iniziatiche e alle dottrine spirituali di età remote", che conserva le basi mistiche, spirituali, e gnostiche presenti in Marx ma non nel marxismo successivo. Esso è al contempo scevro delle componenti decadenti del marxismo successivo, quali progressismo e umanismo. Tale bolscevismo trovò terreno fertile in Russia e presso altri popoli tradizionali non ancora "alienati dallo Spirito", come la Cina.[45]

Più di recente (dalla pubblicazione di La quarta teoria politica nel 2009), Dugin ha utilizzato il nome di "quarta teoria politica" (abbreviato "4pt") per la sua idea. Quarta in quanto oltrepassante le tre teorie politiche precedenti, che si sono alternate plasmando il mondo moderno—fascismo, comunismo e liberalismo—; quarta in quanto "il numero 4 è il segno di Giove, il pianeta dell'ordine e della monarchia. È un simbolo indo-europeo patriarcale del Dio del Cielo — DyausZeusDeus".[46]

«La Quarta Teoria, nelle parole stesse di Dugin, è un recupero del nazionalbolscevismo che rappresenta "il socialismo senza materialismo, ateismo, modernismo e progressivismo". È altresì un recupero della Tradizione spirituale gnostica ed esoterica originaria e un invito al dialogo costruttivo fra la sinistra radicale e la Nuova Destra debenostiana, oltre che con i vari movimenti Verdi ed ecologisti, superando vecchi steccati ideologici ed approdando a nuove sintesi ideali.[47]»

Secondo Dugin stesso, i sistemi politici-culturali dell'Iran e della Cina odierni sono già delle manifestazioni storiche della quarta teoria politica.[48]

L'asse del sacro e il ciclo escatologico[modifica | modifica wikitesto]

«... la meccanica del processo ciclico, nel quale la corruzione dell'elemento terra (e della corrispondente coscienza umana), la desacralizzazione della civiltà ed il moderno "razionalismo" con tutte le sue logiche conseguenze, sono considerati come una delle fasi della degenerazione.[45]»

Per Dugin, "il centro di gravità della Tradizione si colloca entro una sfera non soltanto non razionale, ma persino non umana"; esso è l'"asse del sacro". L'anello di giunzione tra tradizionalismo e ideologie anti-liberali (molte delle quali storicamente furono anti-tradizionaliste, prefiggendosi la distruzione non solo dei rapporti capitalistici ma di tutte le istituzioni tradizionali — monarchia e chiesa), per Dugin (e per il nazional-bolscevismo) si trova nella concezione tradizionalista della ciclicità delle ere, per cui nella modernità tutte le istituzioni tradizionali "perdono la loro forza vitale, e pertanto l'auto-realizzazione metafisica deve trovare metodi e vie nuove".[45]

Dugin stesso paragona il nazionalbolscevismo e l'eurasiatismo alla filosofia di Julius Evola, alla via della mano sinistra dell'esoterismo occidentale, nonché al buddhismo esoterico e al tantra delle tradizioni di matrice indiana, ossia alle vie di "trascendenza distruttiva", utili per una purificazione del mondo dalla corruzione data dalla degenerazione dell'Occidente liberale-globalista, per una cosciente azione di distruzione delle istituzioni degenerescenti, in un'ottica accelerazionista della fine dei tempi.[45]

Dugin fa proprio il misticismo escatologico indo-ariano conservato dalle tradizioni dell'India e non solo, relativo alla discesa dell'umanità prisca (ariana, successivamente divisasi in rami indoeuropei e turanici) dall'Iperborea (il polo nord, il cui primo centro spirituale fu in Russia, nelle regioni settentrionali della Siberia e degli Urali, da cui gli Ariani si propagarono in tutta l'Eurasia),[53] la corruzione demonica e degenerazione bestiale dell'umanità nell'era corrente (Kali Yuga) determinata da un'apertura, in seno all'apparato tecnocratico della civiltà occidentale, dell'"uovo cosmico" non più dalle altezze del Cielo (polo nord) che permea il mondo con gli spiriti divini, ma dalle bassezze della Terra (polo sud) che permea il mondo con forze ctonie dissolutrici,[54] e il ristabilirsi futuro della giustizia celeste sulla Terra per opera di una nuova incarnazione del Dio supremo del Cielo (il Kalki indù, il Maitreya buddhista, la seconda venuta dell'escatologia cristiana, e la figura equivalente in tutte le altre tradizioni):

«Nella tradizione indo-aria la fine dell'era corrente assisterà al ritorno di Dio sulla Terra. Una nuova gloriosa Età dell'Oro sorgerà. La Sua venuta inizierà una Grande Guerra, dopo la quale Egli fonderà il suo regno millenario. Questa sarà l'era descritta come Krita Yuga negli antichi testi indù — un'età di giustizia, dovere, virtù e felicità; un tempo nel quale il "Grande Dio Bianco" del Cielo regnerà supremo sulla Terra. Nella religione indù sarà il decimo e finale avatāra del Signore ViṣṇuKalki il Distruttore.[55]»

L'escatologia indiana degli yuga è equivalente ad altre escatologie indoeuropee quali la teoria delle ere della tradizione greca formulata da Esiodo e il Ragnarǫk della tradizione germanico-scandinava (eddica).[56] Dugin compara e combina le tradizioni indo-ariane anche con l'escatologia biblica, di derivazione mesopotamica (e quindi essa stessa di matrice ariana, per linea turanico-sumera[57]), per cui secondo Dugin l'era contemporanea rifletterebbe gli eventi narrati nell'Apocalisse di Giovanni, per cui l'Occidente guidato dagli Stati Uniti sarebbe il "Regno dell'Anticristo" guidato da Babilonia la Grande, la Bestia, madre di tutte le prostitute e gli abominii della Terra.[58]

«Gli USA sono una cultura chimerica, anti-organica, trapiantata che non ha né tradizioni statali sacrali né una base culturale, ma che, tuttavia, cerca di imporre il suo modello "babilonico" anti-etnico, anti-tradizionale, anche in altri continenti.[58]»

Ortodossia, cristianesimo e paganesimo[modifica | modifica wikitesto]

Nel solco di altri pensatori tradizionalisti, in una linea di pensiero già tracciata in Russia — rappresentata tra gli altri da Konstantin Nikolaevič Leont'ev —, il cristianesimo, specialmente quello occidentale (cattolico e protestante), è per Dugin e per i pensatori della quarta teoria politica causa e veicolo dell'utilitarismo economico e moralistico e delle forze dissolutorie dell'Occidente morente, per cui Leont'ev affermava che "per noi Russi è più conveniente una fusione con i popoli asiatici e di religione non-cristiana per il semplice fatto che tra di essi non è ancora irrimediabilmente penetrato il moderno spirito europeo".[59] Dugin afferma che le radici dell'ideologia individualista liberale-globalista e del mondo che ha prodotto siano da trovarsi nel nominalismo che prese piede nella teologia cristiana scolastica medievale (cattolica e poi protestante), vale a dire l'idea che i nomi degli enti e delle categorie di enti siano "suoni vuoti" e non rappresentazioni di essenze collettive, prevalendo sul realismo, ossia l'idea che i nomi siano rappresentazioni di essenze spirituali reali che generano gli enti e le categorie di enti.[60]

Il cristianesimo occidentale è vuota "anti-tradizione", a differenza dell'ortodossia russa che ha conservato una tradizione iniziatica esoterica;[61][62] secondo Dugin l'ortodossia russa preserva una connessione con l'antica religione russa, slavo-ariana, con le linee iniziatiche pre-cristiane, che la rendono una continuazione cumulativa di tutta la tradizione spirituale russa che sia pre-cristiana, cristiana o post-cristiana, una tesi sostenuta anche da Mircea Eliade nei suoi ripetuti riferimenti a una "religione cosmica popolare" persistente nell'Europa orientale.[63] Teologicamente, l'ortodossia russa ha mantenuto una visione "manifestazionista" della realtà che permette la continuità tra umano e divino, e la possibilità di deificazione dell'umano, al contrario della visione "creazionista" della realtà che è prevalsa nel cristianesimo occidentale portandolo all'esaurimento.[64] Dugin è per questo vicino sia al movimento della rodnoveria — il recupero neopagano della fede slava indigena — che ai vecchi credenti ortodossi, dei quali è anche un membro iniziato.[62] I vecchi credenti sono quegli ortodossi russi che si distaccarono dalla Chiesa ortodossa russa nel XVII secolo perché contrari alle riforme occidentalizzanti operate dal patriarca Nikon (1605–1681), che volle allineare la Chiesa russa, nella dottrina e nella pratica, alla Chiesa ortodossa greca, sceverandola dai suoi elementi slavo-russi paganizzanti; secondo Dugin entro l'ortodossia russa sarebbero quindi i vecchi credenti i rappresentanti più genuini della continuità della tradizione spirituale russa, slavo-ariana, integrata con la gnosi escatologica del cristianesimo originario che identifica i Russi come la "Terza Roma" e il Katechon che contrasta l'Anticristo.[65] Secondo la Laruelle, Dugin propone una fusione dell'ortodossia russa con il neopaganesimo in modo tale che la prima si separi definitivamente dal cristianesimo occidentale e si identifichi con la forza nazionale del paganesimo ancorato alla terra russa.[62]

Nel suo testo The Metaphysical Factor in Paganism (1990/1999), Dugin, che segue in ciò Julius Evola, ritiene che siano le religioni pagane (gentili, etnico-indigene; in russo yazychestvo, che letteralmente significa "pratica della lingua [nativa]"), e non le tre religioni monoteistiche, le più adatte a realizzare l'idea imperiale, in quanto permettono quella coesistenza di unità e molteplicità, la molteplicità degli dèi, spiriti o angeli, visti come emanazioni o espressioni dell'Uno cangiante, e quindi la complementarità di immanenza e trascendenza, che è necessaria in un sistema di tipo imperiale.[66]

La Siberia e la restaurazione della civiltà celeste[modifica | modifica wikitesto]

La Siberia è prevista da Dugin avere un ruolo centrale nella nuova identità e nel destino della Russia eurasiatica imperiale; terra di irradiazione nel mondo degli Ariani, ultimo "impero del Cielo" dopo Thule-Iperborea, la Siberia è rimasta "cuore immacolato" dell'Eurasia ai margini dello sviluppo della storia del mondo verso la civiltà occidentale e la sua degenerazione finale assorbita dalla saturazione del polo sud della Terra, preservandosi da essa, e le sue popolazioni, "teofore" (portatrici di Dyeus, TengriDingir), hanno conservato intatta la sapienza estatica originaria degli Ariani,[68] pronte a re-irradiarla e riattivarla nel mondo mentre essa è scomparsa in Occidente, si è indigenizzata in India con l'assorbimento degli Ariani nelle popolazioni nere dravidiche, e si è isolata in un solipsismo contemplativo nell'autosufficienza collettiva della civiltà cinese.[49] I re-sacerdoti dei popoli ariani (indoeuropei-turanici) sono tali per diritto divino, "figli del Cielo", in quanto nascono da madri vergini fecondate dallo Spirito di Dio procedente dal polo nord, o discendono da linee di sangue con tali origini, e sono caratterizzati da capelli biondi o fulvi (biondo-rossi) e occhi azzurri.[49] La Siberia è per Dugin il centro spirituale della Russia-Eurasia dove avviene la messa a terra delle forze del polo nord, la giuntura tra Cielo e Terra; prevalentemente nordica nella genealogia e prevalentemente orientale nella religione, la Russia centrata in Siberia ha per Dugin il destino cosmico di risvegliare tutti i popoli alla rivolta contro l'Occidente e al recupero delle proprie tradizioni religio-politiche, imperiali e indigene,[69] in alleanza con la Cina, con il mondo dell'Islam (specialmente quelle frange, soprattutto sciite iraniane ma anche sunnite turche, che hanno chiaramente identificato il nemico di Dio della fine del mondo, il Dajjal, nell'Occidente), e potenzialmente con l'India, e con un'America meridionale e un'Africa decolonizzate e reintegrate nelle loro essenze autentiche.[70]

La quarta teoria politica apre una lotta escatologica contro tutto ciò che l'Occidente liberale-globalista incarna di nefasto, e apre al recupero di tutto ciò che non è moderno né occidentale: "il pre-moderno, il post-moderno, l'anti-moderno, l'Asia, la tradizione romana".[48] Dugin teorizza la possibilità di una riorganizzazione della società nell'antica tripartizione indoeuropea di sacerdoti, guerrieri e contadini, affinché il Cielo riconquisti la Terra,[6] in quello che identifica come un "socialismo indoeuropeo",[48] o un verticale "platonismo politico".[33] Si tratterebbe di invertire "il processo della modernità che iniziò con il posizionare, all'opposto, il materiale al di sopra dello spirituale, la Terra sopra il Cielo".[6] Come identificate da Georges Dumézil, le caste tradizionali sono tre, mentre la quarta casta, le moderne masse urbane, borghesi nel loro dualismo tra capitalisti e proletari, sono il frutto dell'unione dei rifiuti delle caste tradizionali.[48]

 

Carta di Laura Canali - 2022

“Prudenza. Trenta giorni non fanno una guerra”. E se a invocarla è un generale di corpo d’armata, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della Nato, forse vale la pena interrompere per mezz’ora il bombardamento di notizie, dispacci e propaganda che arrivano dal fronte per ascoltarlo. Specie se a spezzare gli entusiasmi occidentali sulle probabili difficoltà incontrate dai russi è Antonio Li Gobbi, 68 anni, milanese, ufficiale della Difesa italiana, che è cresciuto sotto le insegne delle Nazioni Unite e della Nato ma era anche presente sul campo quando, nel 1999, le forze oggi su opposti fronti operavano insieme. E ha poi collezionato missioni su missioni, dalla Siria a Israele, poi Bosnia, Kosovo e Afghanistan.Allora generale, come sta andando l’offensiva di Putin?
Stabilirlo in questa fase è quantomeno velleitario. Ci basiamo su informazioni che sono tutte, dico tutte, incomplete e tendenziose, da una parte e dall’altra. Anche quelle rilasciate con una certa abbondanza dall’intelligence Usa a supporto dell’Ucraina vengono comprensibilmente rese disponibili a fini propagandistici, essendo gli USA schierati e non neutrali. Inoltre, le cose sul campo di battaglia possono cambiare anche repentinamente.In che senso?
Ovviamente tutti noi ci augureremmo un fallimento dell’offensiva russa, ma siamo sicuri che sia ciò che sta avvenendo? Noi non conosciamo quali fossero i reali piani russi e non possiamo essere certi che Mosca avesse pianificato una guerra lampo. Comunque, se guardiamo quel che accade sul campo, occorre purtroppo constatare che l’esercito russo procede sul terreno con una velocità che è discreta. Si dice che la Russia stia combattendo in ritardo una guerra del XX secolo, è vero. Allora rifacciamoci ad esempio alle grandi campagne in Europa del secondo conflitto mondiale. Ci ricordiamo noi italiani che gli alleati sbarcarono in Sicilia a luglio del ’43 e arrivarono alla pianura padana nell’Aprile del ’45? E questo con una superiorità di forze consistente, specie aerea. Quindi no, purtroppo, non stanno procedendo così piano.Ma è un fatto che nessuna delle principali città ucraine è caduta, la stessa Mariupol resiste, a Kherson si combatte…
E chi ha detto che l’obiettivo fosse prenderle adesso? Leggo da giorni notizie e bollettini che enfatizzano la resistenza incontrata sul campo dall’esercito russo grazie alla “capacità di reazione” ucraina, superiore a quel che si pensava. Insieme ad analisi che accreditano per questo il fallimento dell’offensiva-lampo che “era nei piani di Putin”. Ancora una volta: ma chi lo ha detto?

Perché secondo lei non è così?
Io non posso sapere quali fossero i piani del Cremlino. Quello che penso è che se l’intendimento fosse stato condurre una “guerra lampo” verosimilmente l’intera campagna sarebbe stata impostata in maniera diversa. Ad esempio tentando di sfruttare il fattore sorpresa e puntando decisamente su Kiev per “decapitare” da subito la leadership ucraina ed imporre la resa. Ma molti dati oggettivi sembrano smentire che questo fosse l’intendimento.

Ad esempio?
Oggi si dice che la guerra è iniziata da un mese. In realtà è iniziata nel 2014 se non prima. La cosiddetta “operazione militare speciale” di Putin è la sua evoluzione. Del resto, quando si pianifica una guerra lampo non si fanno per mesi grandi manovre sul confine che provocano da subito l’approntamento dell’avversario per la difesa. Inoltre l’avvio stesso dell’operazione potrebbe far sorgere sospetti. In che senso?
Putin ha impiegato all’inizio circa 200mila uomini, una componente importante, ma le sue forze terrestri ammontano a 850mila uomini, contro un esercito ucraino che da solo ammonta anch’esso a quasi 200mila uomini, ma che può contare su una riserva mobilitabile di 900mila. Ovvero sembra non si sia neppure tentato di ottenere quella superiorità numerica, che era un must per chi attaccava in una guerra “classica”. Inoltre i russi, anziché concentrare le proprie forze per condurre un poderoso attacco decisivo, le hanno diluite in una manovra avvolgente a Nord, Est e Sud dell’Ucraina, fornendo agli ucraini l’importante vantaggio tattico di “manovrare per linee interne”. Né all’inizio abbiamo visto il massiccio impiego dell’arma aerea indispensabile a supportare una campagna lampo. Invece forse se avessero voluto fare una campagna lampo avrebbero tentato una rapida e potente puntata offensiva corazzata dalla Bielorussia dritto su Kiev, per ottenere una rapida capitolazione.E perché ha fatto diversamente?
Beh questo bisognerebbe chiederlo ai russi. Comunque con una campagna lampo, ove questa avesse avuto successo, si sarebbero poi trovati alle prese con una nazione ostile e ancora motivata a combattere. Una situazione ingestibile anche per un eventuale governo fantoccio installato a Kiev. Il mio parere è che i russi stiano tentando di guadagnare un’area sul confine per inglobare le zone russofone e per creare una separazione tra loro e la parte di Ucraina a loro ostile, ma soprattutto che tendano ad occupare tutta la zona costiera fino a Odessa e possibilmente ricollegarsi alla Transnistria, in modo da interdire all’Ucraina l’accesso al mare (e in prospettiva contenere la presenza NATO nel Mar Nero). Ciò al fine di guadagnarsi una posizione di forza da cui negoziare un cambio di confini.E allora perché attaccare altri centri, colpire civili etc?
Perché in quest’ottica, Putin potrebbe avere interesse a terrorizzare le popolazioni per farle scappare, soprattutto quelle che potrebbero essergli in futuro ostili. Presumo per due ordini di motivi. È più facile controllare e gestire aree occupate quasi disabitate che non trovarsi popolazioni, spesso ostili, tra i piedi. Inoltre il biblico movimento retrogrado di profughi intralcia i movimenti delle truppe ucraine che manovrano per difendersi e crea problemi organizzativi non indifferenti all’Ucraina e ai suoi alleati. Infine, quel movimento di gente disperata dà anche un’idea di disfatta che nuoce al morale dei difensori.In sostanza ci sta dicendo che stiamo prendendo un abbaglio, non stiamo capendo nulla di quel che succede?
C’è una tendenza culturale nostra, occidentale a considerare militarmente poco capace e sottovalutare le forze di chi non ha i nostri stessi valori o a cui arbitrariamente attribuiamo, in base ai nostri standard, un livello di civiltà inferiore al nostro. Succede da quando Publio Quintilio Varo si fece massacrare dai barbari nella Foresta di Teutoburgo. Questa sottostima se viene smentita sul campo spesso fa effetto catapulta e ci proietta in modo schizofrenico verso la presunzione opposta: presi dall’angoscia finiamo a pensare di avere di fronte il Dottor Stranamore, o un pazzo. Potrebbe essere, certo, ma anche questa potrebbe essere una semplificazione pericolosa. Anche quanto si parla del rischio nucleare agitato da Putin andrei cauto.Non crede alle minacce di Putin?
Quando ha dichiarato di aver messo in stato di massima allerta le forze nucleari era, a mio avviso, un messaggio per la stampa, il grosso pubblico. Non possiamo pensare che non lo fossero prima, mica fanno orari da ufficio. Voleva far sapere ai popoli dell’occidente che se i loro governi insistono a fare la guerra con le sanzioni lui può arrivare anche a quello. Idem per il pubblico interno, per dire che nonostante tutto restiamo una potenza nucleare. Nell’ultima intervista rilasciata dal suo portavoce Peskov il tema è tornato…
Ha detto che in caso la Russia dovesse soccombere potrebbe ricorrervi. Ma questo è nella dottrina russa. Peraltro, anche se i russi hanno capacità e dottrina, a meno di una degenerazione totale del conflitto credo sia abbastanza remota l’eventualità che la usino, quando dall’altra parte hanno una potenza nucleare. Perché è vero che l’Ucraina non fa parte della Nato e ha rinunciato alle sue armi nucleari con gli accordi del 1994, ma è altrettanto evidente che a un attacco nucleare russo in Ucraina inevitabilmente corrisponderebbe una risposta nucleare Usa contro la Russia. E i russi non possono non saperlo.

Si vedono queste scene di militari russi che piangono, disperati, disinformati: può partire da loro una rivolta?
Ho avuto ripetuti contatti con il contingente russo impiegato in Kosovo nel 1999 perché era contermine al mio settore e i russi allora operavano sotto la Nato. Da un punto di visto logistico, dell’equipaggiamento e del vettovagliamento dei soldati era disastroso. Ma loro sono abituati a un sistema dove il soldato è poco considerato, sono abituati all’idea che possa soffrire. Era un altro mondo, è vero. Comunque riterrei una rivolta militare poco probabile.

E le sanzioni possono portare a una rivolta interna?
Sarebbe certamente una soluzione invidiabile, ma forse ottimistica in tempi brevi. Certo noi possiamo forse avere resoconti dello scontento nelle grandi città europee come Mosca e San Pietroburgo, ma cosa sappiamo veramente delle informazioni accessibili al resto dei 145 milioni di russi che abitano magari in centri più piccoli o in aree rurali? Al netto di contromisure e sponde che la Russia può tentare dobbiamo essere prudentemente pessimisti e considerare che possa volerci molto tempo prima che si manifesti un fronte interno solido. Esistono precedenti?
Noi siamo stati oggetto di sanzioni nel 1935 per l’improvvida occupazione dell’Etiopia. Non così forti, certo, ma non è che hanno provocato la caduta del regime. Ci sono voluti otto anni e tutta una serie di eventi perché cadesse Mussolini: ci sono voluti la perdita tutti i possedimenti coloniali, tre anni di guerra disastrosa, l’occupazione della Sicilia e i bombardamenti su Roma!Ancora non si spegne la polemica sulle armi, era giusto darle?
Il problema è complesso e può essere valutato sotto due diverse prospettive: politiche ed etiche. Dal punto di vista “politico” è chiaro che una tale decisione comporta uno schieramento, ovvero anche se non “combattiamo” direttamente veniamo considerati come “nemici” da uno dei due (senza peraltro essere considerati veri “alleati” dall’altro). Schieramento che ci impedisce oggi e, temo anche in futuro, di assolvere un ruolo di mediazione. Certo un tale ruolo poteva eventualmente essere assolto dall’UE nel suo complesso e non dall’Italia da sola. Quindi la decisione “politica” doveva necessariamente essere assunta a livello europeo. È un peccato che, nonostante gli sforzi di Macron, l’UE non sia riuscita ad imporsi come arbitro tra Russia e Ucraina in relazione ad un conflitto in piena Europa. Questa è una valutazione politica che trascende dall’aspetto etico. Dal punto di vista “etico” è certamente giusto aiutare Davide contro Golia. Ma se è veramente l’etica e non la real politk a guidare le nostre scelte allora non si capisce perché non intervenire anche militarmente. Quindi, in fondo quella assunta dall’UE, su pressione statunitense, è una posizione di compromesso tra interesse politico e difesa dei valori etici. Forse l’unica soluzione possibile, oggi, ma forse non soddisfacente né sotto l’aspetto politico né sotto quello etico.Lei le avrebbe date le armi?
Ripeto è una decisione politica. Certo se l’Europa fosse riuscita a imporsi come elemento neutrale di riferimento per negoziare, sarebbe stato molto meglio. Non si è stati in grado di assolvere un tale ruolo, che sarebbe spettato all’Europa, e allora è inevitabile dare le armi, anche per tranquillizzare, forse ipocritamente, la nostra coscienza . Ma resta sempre una soluzione di compromesso.

Perché l’Europa ha perso la possibilità di mediare?
Perché forse non ha affrontato problema ucraino come UE dal 2014 ad oggi, nonostante due nazioni europee, Francia e Germania, avessero un ruolo nell’ambito degli accordi di Minsk. Forse ci sarebbe stata la possibilità di fare di più per prevenire, ma ormai è inutile fare recriminazioni

C’è chi, guardando ai più grandi interessi in campo, tira in ballo l’espansione della Nato inizia e pensa che agli Stati Uniti questa guerra per procura faccia comodo su altri piani
La NATO si è espansa verso est anche perché molti paesi ex patto di Varsavia e alcune ex repubbliche sovietiche volevano entrare nell’alleanza perché percepivano la minaccia russa… E’ vero che c’è stato per anni un avvicinamento dell’Ucraina alla NATO, sponsorizzato dagli Usa. Nel 2008 si era parlato di un ingresso insieme alla Georgia che saltò per l’opposizione di Francia e Germania. La Nato poi fa quello che i suoi membri, che ora sono 30, decidono di fare. Le decisioni sono prese all’unanimità, ogni nazione membro dell’alleanza ha la possibilità di bloccare decisioni con cui non concorda.Biden usa l’Europa per indebolire Russia e Cina?
Non credo si possa affermare che ci fosse un piano Usa architettato in quest’ottica. Peraltro, una crisi che impegna militarmente la Russia e indebolisce economicamente l’UE, inevitabilmente danneggia due dei maggiori competitor degli Stati Uniti su scala globale. Tra l’altro in un momento i cui si parlava di autonomia strategica europea, con un Macron che diceva “la Nato è morta”. Con la percezione di una minaccia militare da Est si rinsalda la Nato, che era uscita malconcia dall’Afghanistan e si rafforza il legame Europa-Usa, che era un po’ deteriorato sin dall’epoca Trump. Inoltre, inevitabilmente, il progetto di difesa europea, per il momento, rischia di essere rimesso in naftalina.La difesa comune è già morta?
Si inizia dai piedi non dalla testa. Ha senso, ma deve partire da una comune concezione di difesa e di politica estera. Non è che se metti insieme lo strumento hai una difesa comune. Altrimenti finisce in uno strumento debole, da utilizzare giusto per le parate. Si parla ora di questa prima forza d’intervento da 5mila uomini. Erano quelli all’aeroporto di Kabul. Non ci vai da nessuna parte. Servono solo a dire “c’è questa situazione, ci mando qualcuno, faccio qualcosa”. Ma poi quali sono le missioni comuni? Bisogna individuare le aree dove la Nato non c’è e domandarsi cosa si vuole fare, nel Mediterraneo, in Africa ad esempio. Importante è che le forze nazionali siano interoperabili e con una struttura di comando.

Cosa pensa degli scontri sull’aumento delle spese per la difesa?
Sono sorpreso del clamore. Otto anni fa un premier italiano ha sottoscritto questo accordo, su pressione di Obama. Quindi presuppongo che se siamo seri dovesse già esserci un piano per raggiungere tale obiettivo. Oltre a vedere quanto si spende, occorre veder come si spende e tentare di ottimizzare e razionalizzare le spese, puntando sull’ammodernamento in ottica interforze e di collaborazione con i partners europei. Insomma il bilancio della difesa non deve essere un tesoretto con cui acquistare prodotti dell’industria nazionale he non si riescono a vendere all’estero e che magari alle nostre forze armate non servono.

Insomma prima di spendere sarebbe meglio sapere come…
Lo stesso reclutamento nell’esercito dagli anni Novanta è stato usato come leva occupazionale e non per garantirne l’efficienza e l’operatività. Non a caso abbiamo inglobato un surplus di personale con contratto a tempo indeterminato che non è commisurabile a quanto avvenuto in altri paesi. Ora molti si avviano verso i 50 e non sono più idonei a fare gli assaltatori sono sempre caporali e caporalmaggiori, tutti fucilieri sulla carta, ma con un età che non lo fai più Alla fine si scoprirà che non si tratta neppure di spendere di più ma solo di spendere meglio.

21° GIORNO DI GUERRA

Negoziati, Mosca annuncia: Kiev è disponibile a status neutrale come Austria e Svezia. Lavrov dopo l’apertura di Zelensky: “Vicini ad accordo, anche su sicurezza”--16-03-22

 Bombardate Odessa e Mariupol, i principali porti ucraini, esplosioni anche a Kiev e a Kharkiv. Ottimismo da entrambe le parti sui colloqui. Il presidente ucraino: “Ora sono più realistici”. Il ministro di Putin: “Compromesso possibile”

Lo spettro del ’98: “Soldi come carta straccia, li buttavamo via”

Sanzioni, oggi scade il debito. Se Mosca paga in rubli sarà default

Ventiquattro anni fa la crisi e la svalutazione dei risparmi aprì la strada al primo mandato di Putin.

Primo rimborso di obbligazioni in dollari: un test sulle misure dell'Occidente

 

Macchine carbonizzate e crateri enormi: Kharkiv ridotta a un cumulo di macerie

La vicepremier Iryna Vereshchuk: "Il dolore diventerà acciaio e sarà la spada che trafiggerà il nemico"

Gli ucraini: "Ucciso Oleg Mityaev, è il quarto generale russo morto"

 

20° GIORNO DI GUERRA--15-03-22

Zelensky: “Non entreremo nella Nato, va ammesso”

 

Bisogna ammettere che l’Ucraina non entrerà a far parte della Nato. È questo il concetto espresso dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una riunione online dei leader della Joint Expeditionary Force, secondo quanto riportano l’agenzia di stampa russa Ria Novosti, ma anche l’agenzia di Kiev Unian. “L’Ucraina si rende conto che non è nella Nato. Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo”: queste le parole di Zelensky.

 

Il leader ceceno Kadyrov: "Sono vicino a Kiev, arrendetevi o vi finiremo". Ex parlamentare ucraino promette casa a chi lo uccide

Il 'Martello di Stalin' colpisce Kiev

Forze ucraine del battaglione nazi AZOV aprono il fuoco contro un blindato russo a Mariupol

La giornalista che ha interrotto in diretta il tg russo: "Mi vergogno di aver fatto propaganda per Putin"

Putin cerca in Siria nuove forze per l'attacco alle città ucraine: mille dollari al mese per andare a combattere

Notte di missili sui palazzi di Kiev: almeno 4 morti. Imposto il coprifuoco per 36 ore: “Momento difficile”. I premier polacco, ceco e sloveno vanno da Zelensky

18° GIORNO DI GUERRA

L’attacco russo alla base al confine polacco: 35 morti. Lunedì i negoziati, Kiev ottimista: ‘Mosca più sensibile alla nostra posizione’. L’Ue rimanda ancora le sanzioni-- 13-03-22

Nel raid feriti dei soldati olandesi (video). Il ministero russo: “Uccisi mercenari stranieri”. Bombe a Mykolaiv, scuola rasa al suolo: “Almeno due vittime”. Si tenta di evacuare Mariupol. Il negoziatore: “Ci aspettiamo risultati concreti”.

Proteste contro la guerra in decine di città russe: a Mosca 300 arresti, “oltre 14.200 da inizio conflitto”

Dal gruppo Wagner al battaglione Azov, ecco le milizie parallele di Mosca e Kiev. Il caso dei ceceni: gruppi schierati su entrambi i fronti

16° GIORNO DI GUERRA

Alla fine il ‘secolo breve’ di Hobsbawm non è stato così fugace: quello che sta accadendo con l’Ucraina, come negli ultimi decenni è avvenuto in Georgia con l’Abkhazia e l’Ossezia o nel conflitto tra armeni e azeri, dimostra che il sogno socialista non si arrende alla propria fine: speriamo si svegli prima del punto di non ritorno.

11-03-2022

Ucraina, la guerra arriva anche a ovest. Kiev denuncia: “La Bielorussia potrebbe invaderci stasera”. L’Onu: “Credibili i report sulle bombe a grappolo di Mosca”

I raid di Mosca si allargano a Dnipro, Lutsk e Ivano-Frankovsk. Mariupol completamente circondata. Rapito il sindaco di Melitopol. Sirene nella capitale. Biden: “Putin aggressore, deve pagare un prezzo” | ORA PER ORA 

Iran, “pausa” nei colloqui sul nucleare. La Russia non vuole il petrolio di Teheran sul mercato

“Putin scontento del Fsb: arrestati i capi del reparto che ha raccolto le informazioni per l’invasione”..“16mila miliziani dal Medio Oriente pronti a sostenerci. Molti combatterono contro l’Isis”

 

Covid, 53.127 positivi e 156 morti. Il tasso di positività è al 12,5%. Brusaferro: ‘Inversione nell’andamento della curva. Cresce Omicron 2’

 

14° GIORNO DI GUERRA

Mosca: la risposta alle sanzioni colpirà aree sensibili. La Cina: “Nato e Usa sono responsabili della guerra”. Allarme ucraino: “Chernobyl lasciata senza corrente”Nuovo tentativo di corridoi umanitari da 6 città dopo le bombe della notte che hanno causato 10 morti: ieri in 5mila sono fuggiti da Sumy. Kiev segnala altri raid intorno alla capitale | ORA PER ORA. Intanto la Cina alza i toni contro gli Usa: “Stop petrolio aumenta divisioni”.LA MAPPA – Le forze in campo (di Amato e Milone)

La guerra di Putin a Kiev trascina nel baratro economico i paesi post-sovietici dell’Asia centrale. E la Cina è pronta ad approfittarne.

Draghi snobbato in Europa: il “successore di Merkel” è escluso dai vertici dei grandi leader. E ora anche il premier polacco gli dà buca

A Mariupol è una carneficina: “Almeno 1300 morti”. Bombe sull’ospedale: “Donne e bimbi tra le macerie”. Mosca insiste: dialogo? Zelensky riconosca il Donbass

 

12° GIORNO DI GUERRA

A Kiev l’ennesimo fallimento dei corridoi umanitari. Turchia ospiterà incontro tra ministri russi e ucraini. “Carri armati di Mosca tra i condomini della capitale”--07-03-22

I russi aprono sei corridoi umanitari, ma Kiev rifiuta di evacuare i civili: “Portano in Russia e Bielorussia”.  Alle 15 il terzo round dei negoziati in Bielorussia. Il ministro degli Esteri turco annuncia che il 10 marzo ospiterà un incontro tra Lavrov e Kuleba. La Cina si propone come mediatrice |

Mosca vara la lista di “Paesi ostili”: c’è anche l’Italia. Cosa prevede il decreto sui pagamenti in rubli

Gli Usa ora trattano col nemico Maduro: “Biden vuole isolare Putin e riprendersi il petrolio di Caracas”

L’altra emergenza, prezzi del grano ai massimi. A rischio le forniture per paesi che dipendono da Kiev

La Russia ha approvato la lista di “Paesi ostili”: così verranno pagati tutti i creditori esteri. Aumentano i timori per un default di Mosca

 

’ipotesi di uno stop al petrolio russo trascina Piazza Affari e le altre Borse europee in rosso. La benzina sfonda i due euro anche al self

PD

Letta: "È duro dirlo, ma sul piano militare l'Italia non può fare UN CAZZO di più dell'invio di armi all'Ucraina, PERCHE' PRATICAMENTE, IN STO NAZIONE DI MERDA NON ESISTE UN FOTTUTO ESERCITO."

 

DECIMO GIORNO DI GUERRA-05-03-22

Ucraina, riprende l’offensiva dei russi su Mariupol. Israele prova a mediare: Bennett va da Putin a Mosca, poi vola da Scholz e telefona a Zelensky e a Macron--tentativo di cessate il fuoco temporaneo: stop ai corridoi umanitari. Scambio di accuse tra Mosca e Kiev, mentre riprende l’offensiva russa a Mariupol. Lunedì terzo round dei negoziati. Putin: “Sanzioni? Dichiarazione di guerra”. La Cina agli--

L’analista: “Tregua? Solo il preludio dei raid a tappeto. Putin non vuole i colloqui adesso”.

 

NONO GIORNO DI GUERRA- 04-03-22

Attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia: cosa si sa della battaglia e qual è la situazione. In Ucraina 4 impianti con 15 reattori operativi.

Putin minaccia: ‘Altre sanzioni peggioreranno le cose’. La Nato: anche Georgia, Moldavia e Bosnia corrono dei rischi. Il sindaco di Kharkiv: “Qui 2mila morti”. LA GUERRA DI MOSCA – Colloquio tra il presidente russo e Scholz per i corridoi umanitari. Cremlino: “Unirsi intorno a Putin”. Stoltenberg: “La No fly zone non è nei piani” (leggi). L’esercito entra a Mykolayiv, aumentano le vittime a Kharkiv | ORA PER ORA

Jp Morgan: “Mosca verso il collasso economico peggiore di sempre”. Il gas a 204 euro/Mwh, petrolio a 111 al barile. Piazza Affari perde il 6%

 

OTTAVO GIORNO DI GUERRA- 03-03-22

SETTIMO GIORNO DI GUERRA

Ucraina, Mosca annuncia: “Presa la città di Kherson”.

L'avanzata a Sud |

nonostante le forti perdite dei russi. Altre bombe su Kiev, a Kharkiv assaltato un ospedale. Biden: “Putin un dittatore. Deve pagare o ci sarà caos” 02-03-22 Raid anche sui quartieri residenziali. Sventato l’omicidio di Zelensky per mano dei ceceni. Improbabili nuovi negoziati oggi.

SESTO GIORNO DI GUERRA

 Città sotto attacco. Distrutta la sede del governo a Kharkiv Video | Colonna di mezzi russi lunga 60 km verso Kiev, missili su Mariupol-1-03-22

L'OFFENSIVA

Le truppe di Mosca dirigono su Kiev: le immagini del convoglio lungo 60 chilometri

Fila di blindati entrano a Kherson. Il video degli abitanti nascosti dentro le case

 

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QUARTO GIORNO DI GUERRA

Ucraina, Putin mette in allerta il sistema di deterrenza nucleare. Stati Uniti e Nato: ‘Irresponsabile escalation’. Kiev accetta i negoziati. Nuove sanzioni dall’Europa-

Diretta Da domani colloqui coi russi. Esplosioni a Kiev, il sindaco: "Siamo circondati". Di Maio: "Impossibile evacuare gli italiani".

27-02-22

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TERZO GIORNO DI GUERRA:

Ucraina, ancora raid russi su Kiev, Kharkiv e Leopoli. Trincee e cartelli divelti: guerra urbana nella capitale. Germania, Belgio e Olanda inviano artiglieria e missili.26-02-22OFFENSIVA A TUTTO CAMPO’ – Il Paese affronta la quarta notte di guerra. Imposto coprifuoco dalle 17 fino a lunedì mattina. Il Cremlino: “Il governo ha rifiutato il negoziato”. Kiev: “Falso”. Per l’Unhcr già 150mila persone hanno lasciato il Paese. Biden: “Oltre le sanzioni c’è solo la terza guerra mondiale”

Da comico-presidente a capo della resistenza: storia di Zelensky, presidente che sfida Putin: ci si prepara al combattimento all'abbraccio casa per casa. In campo aperto non esiste un esercito ucraino.

 

Ucraina, Kiev: assalto russo al ministero della Difesa

Ucraina, carro armato russo distrutto sulla riva del Dnepr: i corpi dei soldati giacciono a terra

La Russia ha iniziato l’invasione: manovra a tenaglia, blitz da Bielorussia e Crimea, missili su Kiev – La ricostruzione dell’attacco-24-02-22

L’annuncio di Vladimir Putin, probabilmente registrato già lunedì, è stato trasmesso poco dopo le 4 italiane (le 6 a Mosca) mentre a New York era in corso per la seconda volta in tre giorni un Consiglio di sicurezza dell’Onu di cui la Russia è presidente di turno. “Ho deciso per un’operazione militare speciale. La possibilità che l’Ucraina abbia armi tattiche nucleari costituisce una minaccia strategica per la Russia”, ha sostenuto il presidente russo dando ufficialmente il via all’invasione dello Stato nel cuore dell’Europa orientale che a sua detta è “parte integrante della storia russa”. L’attacco è partito da più fronti, con una manovra a tenaglia su larga scala a differenza di quanto ci si aspettava nei giorni scorsi. I media locali hanno riferito che forze russe sono entrate nel Paese sia dal confine russo sia da Bielorussia e Crimea. Forti esplosioni sono state sentite nei maggiori centri, da Kharkiv a Leopoli a Mariupol e nella capitale Kiev, su cui sono stati lanciati missili prendendo di mira i caccia ucraini in un aeroporto fuori Kiev ma colpendo anche palazzi e strutture commerciali.La Cnn – citando fonti del governo di Kiev – ha dato notizia di “centinaia di vittime” tra feriti e morti. Al momento, intorno a mezzogiorno ora italiana, si contano alcune decine di morti tra la capitale (una quarantina di vittime) e Odessa (18). Mentre suonavano le sirene, auto della polizia con i megafoni hanno invitato i passanti nel centro di Kiev “a rifugiarsi nei sottopassi” e poi rientrare immediatamente nelle proprie case, racconta l’Ansa. Secondo Bloomberg la Russia ha usato “armi di alta precisione per distruggere infrastrutture militari ucraine”. Il ministero della Difesa russo ha poi fatto sapere che “le difese aree dell’Ucraina sono state soppresse“. Le forze armate di Kiev dal canto loro rivendicano di aver abbattuto 5 aerei russi e un elicottero. Mosca smentisce. Navi da guerra russe pattugliano le acque al largo di Odessa .L’annuncio di Putin durante il Consiglio di sicurezza Onu – Per giustificare l’attacco, Putin ha detto che Mosca vuole “smilitarizzare e de-nazificare” l’Ucraina. La responsabilità dello spargimento di sangue a suo dire sarà nelle mani del “regime ucraino“. I soldati ucraini sono stati invitati a deporre le armi e a tornare a casa. “I vostri padri e i vostri nonni non hanno combattuto per poter aiutare poi i neo-nazisti”, la sua esortazione. L’obiettivo dichiarato dell’invasione di un Paese è “proteggere la popolazione” del Donbass separatista “che per otto anni è stata soggetta a maltrattamenti e genocidio”, stando alla versione di Mosca. Poi il presidente ha avvertito gli altri paesi che qualsiasi tentativo di interferire con l’azione russa porterebbe a “conseguenze che non hanno mai visto“. Secondo il Guardian il messaggio era registrato. I metadati mostrano infatti che il file del video è stato caricato sul sito del Cremlino il 21 febbraio. Putin appare nella stessa posizione e con gli stessi abiti che indossava durante il discorso di lunedì durante il quale ha annunciato il riconoscimento delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.

Putin riconosce in diretta tv il Donbass: “Ucraina non è un Paese, ma parte della nostra storia”. Accuse alle Nato: “Russia obiettivo dei loro missili”21-02-22

Vladimir Putin ha riconosciuto le Repubbliche separatiste del Donbass. Il capo del Cremlino ha anticipato la decisione in una telefonata con Olaf Scholz e Emmanuel Macron comunicando di voler “firmare a breve” un decreto. Cosa che poi ha fatto in diretta televisiva, dopo un lungo discorso alla nazione. Un nuovo passo che sostanzialmente apre le porte all’ingresso delle truppe di Mosca nei territori, in quanto non ritenuti dell’Ucraina, e quindi fa scivolare la crisi verso una possibile guerra. “L’Ucraina non è un Paese confinante, è parte integrante della nostra storia, cultura, spazio spirituale. È stata creata da Lenin”, ha detto Putin nel suo discorso alla nazione, accusando anche l’ambasciata statunitense di “controllare direttamente alcuni giudici” e affermando che “l’Ucraina ha già perso la sua sovranità”, definendola serva dei “padroni occidentali”. Altro che incontro imminente tra Joe Biden e il presidente russo, la tensione nell’est Europa vive un’altra giornata di fibrillazioni, iniziata con l’annuncio di un “imminente” bilaterale Usa-Russia, secondo l’Eliseo, e trasformatasi nel nuovo punto più basso della crisi con il Cremlino che ha riconosciuto gli indipendentisti del Donbass. L’annuncio ha scatenato la reazione immediata di GermaniaFrancia e Ucraina che hanno convocato un vertice d’urgenza e in aggiunta Macron riunirà in serata il Consiglio di difesa francese. La Casa Bianca, dove Biden ha riunito il Consiglio di sicurezza nazionale, ribadisce che un attacco “estremamente violento contro l’Ucraina è possibile nei prossimi giorni o ore”. Poi ha fatto sapere che il presidente “firmerà presto un ordine esecutivo che proibisce nuovi investimenti, attività commerciali e finanziarie da parte degli americani per, da o nelle cosiddette regioni separatiste dell’Ucraina”. Dopo il discorso di Putin, Biden si è intrattenuto in una telefonata lunga 35 minuti col presidente ucraino Zelensky. Kiev, da parte sua, chiede una riunione urgente del Consiglio di sicurezza Onu. 

ALLARME COVID 5A ONDATA ALL'INTERNO DEL LIBERI TUTTI:86.334 nuovi casi: incidenza al 27,3%. Morti in 72, nei reparti 238 contagiati in più. Quasi un milione di attualmente positivi,01-07-22.Covid, Iss: Rt in aumento a 1,30 da 1,07. In 4 regioni ricoveri oltre la soglia del 15%.I dati del monitoraggio settimanale. Otto regioni a rischio alto. In Calabria, Sicilia, Umbria e Val d'Aosta occupazione dei reparti sopra la media nazionale del 10%- 02-07-2022

Covid, 38.095 nuovi casi e 210 morti. I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 629--04-03-22

Altri 434 morti: mai così tanti da aprile scorso. Nuova impennata dei contagi: sono oltre 228mila--18-01-22

Covid, -15 per cento di nuovi ricoveri in una settimana. Ma le vittime sono il 50% in più. Rallentano i contagi.

 Dati del 15-01-22: 180mila casi e 308 morti.Secondo l’ultimo bollettino diffuso dal ministero della Salute, sono 180.426 le persone risultate positive ai test, contro le 186mila circa di ieri. Un calo che si registra a fronte di un numero maggiore di tamponi processati, 1,2 milioni, circa 100mila in più del giorno precedente

In 24 ore oltre 220mila casi e quasi 300 morti. Quasi un milione di positivi in più in una settimana. Ma nasce il fronte di chi non vuole il conto dei contagi.....Oltre 700 ricoverati in ospedale, occupati altri 71 letti in rianimazione (i numeri). L’Oms: “Da qui a due mesi oltre il 50% degli europei contagiato da Omicron” (leggi).......tra saldi e scuole rischio zone rosse tra un mese” (di G. Trinchella).....

Oms: entro due mesi il 50% degli europei contagiato da Omicron. Usa, record mondiale: 1,13 milioni di contagi in 24 ore

Nuovo record di contagi in Francia: 368mila casi e 270 morti. In Gran Bretagna sono in calo: 120mila.....11-01-22

Dati – 78.313 nuovi positivi, +154% rispetto a 7 giorni fa. 202 le vittime, oltre un milione i tamponi analizzati. Superata la soglia dei 10mila ricoverati nei reparti   Quasi un nuovo positivo su tre è stato individuato in Lombardia, che tocca la quota record di 28.795 casi in un giorno. Continuano a peggiorare anche i dati ospedalieri, con 1.145 ricoveri nelle terapie intensive, 19 in più di ieri nel saldo tra entrate e uscite, con 119 nuovi ingressi. Tasso di positività al 7,5%--28-12-21

Covid Italia, il bollettino del 24 dicembre: 50.333 nuovi casi su oltre un milione di tamponi

In un giorno 44.595 nuovi casi: mai così tanti. Morti in 168. Mille ricoverati in più in 4 giorni.
Iss: “Omicron al 28% e raddoppia ogni 48 ore”--23-12-21

L’impatto di Omicron in Lombardia: è caos tamponi. Test esauriti e portale delle prenotazioni a singhiozzo. Stop tracciamento, sospeso quello dei focolai a scuola

 

Il bollettino: 30.798 nuovi casi e 153 morti nelle ultime 24 ore. Tasso di positività al 3,6% Mappe e Grafici--21-12-21

Covid, Sileri: "Se la curva va fuori controllo scuole chiuse fino a metà gennaio"

La Germania si richiude per le feste: calcio senza pubblico, stop discoteche e tetto agli invitati per Capodanno

 

Iss: incidenza sale a 241 contagi per 100mila abitanti. “E le terapie intensive sono vicine alla soglia critica”. Veneto, casi record: 5.577. Zaia anticipa la zona gialla--Iss: incidenza sale a 241 contagi per 100mila abitanti. “E le terapie intensive sono vicine alla soglia critica”. Veneto, casi record: 5.577. Zaia anticipa la zona gialla

17-12-21

L’Agenzia Ue per le malattie: “Vaccino non basterà per frenare Omicron, ancora troppo pochi immunizzati”. Von der Leyen: “Sarà dominante entro metà gennaio”La direttrice dell’Ecdc: “Necessaria una rapida reintroduzione degli interventi non farmaceutici”. La commissaria Ue alla Salute: “Prossimi mesi saranno difficili” (leggi) La numero uno dell’Agenzia inglese per la sanità (Ukhsa): “Dati in arrivo saranno sconcertanti”Oms: “Si sta diffondendo a una velocità che mai abbiamo visto con altre varianti”. “La nuova variante è la minaccia più significativa da inizio pandemia”.

Oggi 23.195 casi e 129 morti: picco della quarta ondata mappe e grafici I numeri del virus in un anno. In terapia intensiva 74% di No Vax

Dati sempre più drammatici dal Regno Unito: 78.610 contagiati in un giorno, record da inizio pandemia

15-12-21

Cdm in corso: verso proroga dello stato d’emergenza. Dati: 20mila casi e 120 morti. 93 ingressi in intensive. Veneto, stop a uso rianimazioni se non indispensabili,14-12-21

Coronavirus, nell’ultima settimana contagi su del 24%. Occupati 637 posti letto in più nei reparti ospedalieri. Veneto verso il giallo, Zaia: “Siamo appesi a un filo”3-12-21

Coronavirus, 16.806 nuovi casi e 72 morti in 24 ore. Lombardia vicina al giallo: riapre l’ospedale in Fiera. Il Veneto chiude i centri-tamponi pubblici ai no vax--2-12-21

Germania, 446 vittime in 24 ore: mai così da febbraio. Governo: ‘Quadro drammatico, servono nuove strade’. L’Austria estende il lockdown per altri dieci giorni.1-12-21

Green pass, le Regioni e il timore di un decreto “light” per tenere in equilibrio tutti i partiti di maggioranza. Dati: oltre 10mila casi e 83 morti. 90 ricoverati in più.....23-11-21

Germania, Merkel: “Numeri dei contagi spaventosi”. Italia, oltre 10mila casi: non accadeva da maggio. L’Alto Adige ora è preoccupato per la stagione sciistica.

Merkel: “In Germania la situazione è drammatica”. Record di 52mila casi e 294 morti: “Dato spaventoso”. Länder escludono i non vaccinati da bar e ristoranti,17-11-21

In Germania 50mila nuovi casi: il Parlamento discute nuove regole. Olanda, possibile nuovo lockdown.

L’Olanda sceglie il coprifuoco, l’Austria isola i no vax: in Europa il ritorno del lockdown non è più un tabù. In Germania le intensive al limite: interviene l’esercito.13-11-21

8.569 contagi e 67 morti nelle 24 ore. Alto Adige, emergenza posti letto in ospedale: la Asl deve rinviare gli interventi non urgenti,11 novembre 2021

GIMBE – “In Italia i contagi crescono del 37,7%”

Dati: 6.764 casi e 51 morti, ricoveri aumentano. Speranza: terza dose anche ad altre fasce d’età. Locatelli: “E’ pandemia dei non vaccinati”-5 novembre 2021

Regno Unito, nuovo record di morti da marzo a causa del coronavirus: sono 223 in 24 ore

Sulle possibili cause, non si è ancora espressa la comunità scientifica britannica. Certo è che da una parte va registrato l'alto numero di contagi, dall'altra la minor copertura offerta da AstraZeneca riguardo alla variante Delta, oltre al fatto che il Paese, dove proprio oggi è stata annunciata la scoperta di una nuova mutazione discendente dalla Delta, ha eliminato da mesi qualsiasi tipo di restrizione. 10 ottobre 2021

Coronavirus, variante Delta in crescita nel Regno Unito. Sempre più ricoveri. Ma con i vaccini rallentano i decessi.

Covid, l’Italia rinuncia a tracciamento: in 10 Regioni meno operatori rispetto al 2020. “Crollo dei tamponi nelle ultime 5 settimane”

Diecimila nuovi casi al giorno: aumento del 31,8% rispetto alla settimana precedente. Sale la percentuale di contagiati anche tra chi ha ricevuto due dosi di immunizzazione

Variante Delta, lo studio: “La protezione diminuisce, ma Pfizer e Astrazeneca mantengono buona efficacia”. Gb, Johnson proroga restrizioni: “Siamo preoccupati”.La variante Delta – che sta creando allerta in Uk e in Europa – riduce del 13% l’efficacia dei vaccini, ma due dosi, sia di Astrazeneca che di Pfizer, sono in grado di contrastare il rischio di infezione. Queste le conclusioni dello studio dell’Università di Edimburgo

14-06-21

Istat conferma record di povertà nel 2020: “Riguarda 5,6 milioni. Nord supera Sud per famiglie povere”16-06-21

Bankitalia, Visco: "Crisi peggiore dalla seconda guerra mondiale, segnali di progresso ma disuguali"31-05-21

Covid, intelligence Usa: tre ricercatori di Wuhan ricoverati nel novembre 2019. Fauci: "Non convinto dell'origine naturale"

Il Wall Street Journal racconta come la malattia dei tre confermi le ipotesi di una possibile diffusione del virus settimane prima della data finora indicata.

Tre ricercatori dell'istituto di virologia di Wuhan ammalati già nel novembre 2019 e ricoverati in ospedale. I "sintomi sarebbero compatibili sia con il Covid sia con l'influenza stagionale". Ma tanto basta a riaccendere i riflettori sulla città, considerata l'epicentro della pandemia. A far tornare d'attualità la teoria dell'incidente di laboratorio. E a rimettere in discussione la gestione e trasparenza da parte della Cina. 

A rivelarlo è un rapporto dell'intelligence americana, pubblicato dal Wall Street Journal. "Le informazioni in mano ai servizi segreti provengono da varie testimonianze e sono di comprovata qualità. Notizie molto precise, anche se non si sa ancora quale sia stata la causa della malattia che ha colpito i tre medici cinesi". Particolare non di poco conto.

Il primo caso confermato da Pechino venne registrato l'8 dicembre 2019, ma già nel febbraio di quest'anno lo stesso Wsj affermava "ciò che molti epidemiologi sospettavano da tempo": secondo la ricostruzione del quotidiano americano, il coronavirus iniziò a diffondersi inosservato nell'area di Wuhan settimane prima, cioè proprio attorno alla seconda metà di novembre 2019. La pubblicazione del documento dell'intelligence giunge a poche ore da un incontro dell'Organizzazione mondiale della sanità nel quale dovrebbe essere discussa la prossima fase dell'inchiesta sull'origine del Covid-19. La prima parte delle indagini, condotte da un team di esperti dell'Oms coadiuvati da scienziati e medici cinesi, ha portato nei mesi scorsi alla conclusione che l'ipotesi dell'incidente di laboratorio è "estremamente improbabile". Tuttavia, diversi voci - fra le quali quella del segretario di Stato Usa Antony Blinken - hanno sollevato il sospetto che le indagini siano state "inquinate" dalla Cina.

Pechino ha ripetutamente negato che il virus possa essere uscito da uno dei suoi laboratori. Ieri il ministro degli Esteri di Pechino ha citato proprio le conclusioni del team dell'Oms dopo la visita a Wuhan a febbraio. "Gli Stati Uniti continuano a pubblicizzare la teoria della fuga: sono davvero preoccupati nel cercare di rintracciare le origini del virus o vogliono solamente distogliere l'attenzione pubblica?". 

Al momento nessun commento da parte dell'Amministrazione Biden, anche se la Casa Bianca ha sottolineato come tutte le teorie tecnicamente credibili sull'origine della pandemia dovrebbero essere indagate dall'Oms e dagli esperti internazionali. 

A chiedere ulteriori indagini e a dirsi non convinto dell'origine naturale del virus è Anthony Fauci, direttore dell'Istituto nazionale di malattie infettive e consigliere della Casa Bianca sul Covid. Parlando con Fox, quando gli è stato chiesto se il virus fosse stato originato naturalmente, Fauci ha risposto: "Non ne sono convinto, penso che dovremmo indagare su ciò che è successo in Cina". "Certamente - ha aggiunto - le persone che stanno indagando sostengono che l'emergenza nasca da un animale che ha contagiato gli individui, ma potrebbe essere stato anche altro e noi abbiamo bisogno di scoprirlo. Per questo sono assolutamente a favore di un'indagine".

 

Adil Belakhdim, Orlando: “Sua morte un’onta per il Paese. Ora aziende si responsabilizzino”. Roma, in centinaia in piazza per il sindacalista

Mottarone, lo schianto, i soccorsi, le indagini: il videoracconto. "Dopo lo sconforto, sale la rabbia"23-05-21

Non ci sarà transizione e tanto meno ecologica

Non ci sono più dubbi, il ministero per la Transizione ecologica è sempre il vecchio ministero dell’Ambiente. Non ci sarà transizione e tanto meno ecologica. Le scelte sul tipo di sviluppo del nostro Paese continueranno a essere fatte dal mercato, l’obiettivo da perseguire sarà sempre la crescita quantitativa, il dio Pil sarà sempre la nostra unità di misura e, al massimo, si darà una spolverata di verde purché sia “sostenibile”, e cioè sia compatibile con le esigenze del mercato e del profitto aziendale.

Eppure, non ci vuole molto a capire che abbiamo già da tempo intaccato il capitale ambientale e che non si può continuare all’infinito a distruggere risorse e materie prime. Certo, ci sono alcune linee guida (non operative) interessanti in tema di economia circolare e qualcosa cambierà, specie per la cosiddetta “transizione energetica” verso le rinnovabili, impostaci dalla Ue, che, tuttavia, appare incerta e inadeguata, e viene considerata come un fattore di mercato e non come piattaforma indispensabile per cambiare stili di vita e modello di sviluppo; dimenticando che, a questo proposito, la Ue, ben più coraggiosamente, precisa almeno che “serve una radicale transizione ecologica verso la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce a sistemi naturali e umani”; evitando, cioè, “irreversibili e catastrofici cambiamenti del nostro ecosistema e rilevanti impatti socio-economici”.Non a caso nel Pnrr italiano si richiama più volte, come un mantra, il principio comunitario di “non arrecare danni significativi” all’ambiente, rivelando un intento di conservazione e non certo di rinnovamento e di “transizione” verso qualcosa di nuovo. L’importante è ricominciare a produrre e far ripartire presto i consumi, senza neppure distinguere i bisogni reali da quelli indotti attraverso un massiccio indottrinamento pubblicitario. E, se qualcuno obietta, ecco che si tira fuori la “decrescita felice”, confondendo il progresso con la crescita come precisato con chiarezza dall’enciclica Laudato si’, secondo cui “dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo”, in cui la tecnologia sia al servizio dell’uomo e non del profitto di pochi, la biodiversità sia sempre tutelata, e le diseguaglianze vengano ridotte.

E sempre pochi giorni fa, dinanzi alla Commissione ecomafia, Alessandro Bratti, direttore di Ispra (il massimo organo di ricerca e controllo sull’ambiente) ha denunciato senza mezzi termini il controsenso di “pensare di investire nel nostro Paese 300 miliardi parlando di transizione ecologica e non investire un euro nel sistema di protezione ambientale, che peraltro deve valutare tutte le opere che passano attraverso il Recovery”. In questa desolazione ci sono almeno tre cose che si possono salvare.

La prima è la promessa di Draghi di inserire in Costituzione i concetti di ambiente e sviluppo sostenibile. Sarebbe un primo passo avanti importante da parte del Parlamento inserire nella Costituzione la specificazione che “la tutela dell’ambiente è fondata sui princìpi di precauzione, azione preventiva e sviluppo sostenibile. A tal fine la legge promuove le condizioni necessarie a rendere effettivo tale diritto e inserisce nel bilancio dello Stato opportuni parametri di benessere e di contabilità ambientale”; introducendo così, come linea guida per tutte le leggi ordinarie, anche l’importante principio della contabilità ambientale e di uno sviluppo non correlato solo all’aumento del Pil ma soprattutto al benessere (felicità?) dei cittadini.La seconda consiste nella valorizzazione dell’investimento (3.3) del Piano dedicato a “Cultura e consapevolezza su temi e sfide ambientali” che “si propone di contribuire al raggiungimento di tre obiettivi prioritari:

i) aumentare il livello di consapevolezza sugli scenari di cambiamento climatico e sulle relative conseguenze;

ii) educare in merito alle opzioni a disposizione per l’adozione di stili di vita e consumi più sostenibili a livello di individui, famiglie e comunità;

iii) promuovere l’adozione di comportamenti virtuosi, anche a livello di comunità”.

La terza consiste nella promessa riforma dell’attuale Ministero, che dovrebbe essere attuata attraverso un ampio rinnovamento del personale in base a scelte trasparenti di professionalità e di competenza; eliminando l’attuale sovrabbondanza di inutili burocrati che hanno come bibbia il Sole 24 Ore e che assicurano la loro sopravvivenza complicando gli affari semplici, imponendo, ad esempio, il rinvio a un incredibile numero di futuri decreti ministeriali per dare attuazione a una legge di salvaguardia ambientale che non ne avrebbe alcun bisogno.

 

“Consegna di mobili fino a 12 ore di fila senza pause. La nostra paga? Ci danno 47 euro al giorno. Lordi”LA MERDA SCHIAVISTICA DI MONDO CONVENIENZA CHE SI UNISCE ALL'ALTRA MERDA SCHIAVISTICA AMAZON E RIDER DELLE SOCIETà CHE CONSEGNANO CIBO. UN'EMERGENZA SOCIALE TOTALMENTE IGNORATA DAL GOVERNO DELLE BANCHE E DELLE FINANZIARIE.DAL LIBERI TUTTI ALLA RIPRESA DELLA CARNEFICINA SUL POSTO DI LAVORO:IN UNA SETTIMANA 4 MORTI

7-05-2021

 

Il premier Draghi presenta il Recovery alla Camera: “Non solo tabelle e numeri, qui c’è il destino del Paese. No a miopi visioni di parte o peseranno su nostre vite”. GLI AIUTI DALL’EUROPA – Il premier illustra il piano di recupero prima dell’invio all’Ue: “In gioco la credibilità dell’Italia in Europa e nel mondo. In tutto disporremo di 248 miliardi, compreso il fondo Sviluppo e coesione. Cabina di regia a Palazzo Chigi, attuazione a ministeri e enti locali”

Recovery, superbonus fino al 2023 solo per le case popolari. Rabbia di Forza Italia. Abilitazioni, basterà la laurea

Arriva a 318 pagine la bozza del Recovery plan che il Consiglio dei ministri deve limare, in vista della presentazione alle Camere nei primi giorni della prossima settimana e della successiva chiusura per arrivare a spedirlo a Bruxelles entro il 30 aprile.Il Piano "comprende un ambizioso progetto di riforme" con "quattro importanti riforme di contesto - pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza", scrive il premier Draghi nel preambolo. Ci sono poi la "modernizzazione del mercato del lavoro; il rafforzamento della concorrenza nel mercato dei prodotti e dei servizi" e la riforma del fisco, anche in chiave ambientale.

Il testo che circola in queste ore non scioglie il nodo del Superbonus al 110%, l'agevolazione fiscale per i lavori di efficientamento energetico e antisismici per la quale il Parlamento e la filiera dell'edilizia hanno chiesto una proroga a tutto il 2023. "Per far fronte ai lunghi tempi di ammortamento delle ristrutturazioni degli edifici, per stimolare il settore edilizio, da anni in grave crisi, e per raggiungere gli obiettivi sfidanti di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni al 2030, - si legge - si intende estendere la misura del Superbonus 110% recentemente introdotta (articolo 119 del Decreto Rilancio) dal 2021 al 2023". 

 

Si tratta, in realtà, della proroga per le sole case popolari già prevista dall'ultima legge di Bilancio. Per un'estensione a tutti i tipi di abitazione, servono altri 10 miliardi. Le esitazioni del governo deludono Forza Italia: "Il super bonus è una misura importante. Avevamo chiesto la proroga di un anno con adeguati finanziamenti ed estensione ad altre tipologie di edifici, strutture recettive turistiche e non solo".Nella sua introduzione, il presidente del Consiglio dà la cifra politica del lavoro: "Il Pnrr è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l'ammodernamento del Paese. Il governo intende aggiornare e perfezionare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute. L'Italia deve combinare immaginazione e creatività a capacità progettuale e concretezza. Il governo vuole vincere questa sfida e consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all'interno di un'Europa più forte e solidale". E il Next generation Eu "può essere l'occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni".Guardando ai numeri, l'impatto sul Pil del Piano nazionale di ripresa e resilienza legato al Recovery sarà nel 2026 "di almeno 3,6 per cento più alto rispetto all'andamento tendenziale". Si auspica che l'effetto sull'occupazione sarà di quasi 3 punti percentuali.Nel testo si chiarisce che il governo "ha predisposto uno schema di governance del Piano che prevede una struttura di coordinamento centrale presso il Ministero dell’Economia. Questa struttura supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione Europea, invio che è subordinato al raggiungimento degli obiettivi previsti. Accanto a questa struttura di coordinamento, agiscono una struttura di valutazione e una struttura di controllo. Le amministrazioni sono invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme; inviano i loro rendiconti alla struttura di coordinamento centrale, per garantire le successive richieste di pagamento alla Commissione Europea". Confermato anche il livello locale: "Il governo costituirà anche delle task force locali che possano aiutare le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure. La supervisione politica del piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti".

Nel Def il conto degli aiuti distribuiti nel 2020: 56 miliardi su 108 sono andati alle imprese. Che attaccavano l’eccesso di “sussidi”

Il governo chiede altri 40 miliardi di deficit. Nel prossimo decreto “parziale copertura” dei costi fissi. Crescita 2021 inferiore al previsto. SESTO SCONSTAMENTO DI BILANCIO DA INIZIO PANDEMIA PER COMPLESSIVI 170 MILIARDI DI EURO. RAPPORTO DEFICIT/PIL ALL'11,8%, RAPPORTO DEBITO/PIL AL 181%.14-04-21

Negozianti e partite Iva nuovi poveri del Covid. “L’urgenza non è il cibo, chiedono aiuto per pagare affitti e bollette” – I casi in sette città.

Declino industriale al Sud: da Ilva a Whirlpool, sale la tensione sociale per le crisi senza fine

“Boom tra donne e giovani. Gli aiuti di emergenza solo ai già protetti”

DISOCCUPATI – Persi 945mila posti in un anno. Crollati i posti a termine e gli autonomi

Decreto Sostegni, Draghi: “11 miliardi alle imprese, pagamenti dall’8 aprile”. Altri 8 per lavoro e lotta alla povertà, 5 per i vaccini.QUINTO SCOSTAMENTO DA 32 MILIARDI, AD APRILE CI SARA' IL SESTO.SITUAZIONE GRAVISSIMA.

Tre capisaldi: sostegno alle imprese, al lavoro e lotta alla povertà. Temi per i quali il decreto Sostegni “è una risposta significativa” anche se “parziale, ma era il massimo che abbiamo potuto fare all’interno di questo stanziamento da 32 miliardi chiesto dal governo precedente”. Lo ha detto il premier Mario Draghi in conferenza stampa al termine del consiglio dei ministri sul decreto Sostegni, iniziato con tre ore di ritardo a causa dello scontro all’interno di maggioranza sul condono fiscale. Condono che il premier ha rivendicato definendolo “limitato” e sostenendo che “permetterà all’amministrazione di perseguire la lotta all’evasione” anche in modo più efficiente. Alle imprese “vanno tre quarti dello stanziamento, 11 miliardi“. La risposta “parziale” data con questo provvedimento sarà seguita da un intervento successivo che arriverà dopo un nuovo scostamento, da chiedere in contemporanea con il Def in arrivo ad aprile.Sul fronte della lotta alla povertà, uno dei tre “capisaldi” individuati da Draghi che insieme alle misure per il lavoro assorbe 8 miliardi, è previsto un “intervento significativo nei confronti dei meno abbienti, di coloro che hanno perso il lavoro e i sussidi di disoccupazione. Quindi prevediamo l’estensione e l’ampliamento della platea dei beneficiari del reddito di emergenza”.Il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha confermato che nel decreto “ci sono misure di grande importanza per quanto attiene il lavoro e anche di grande significato per la povertà che è la questione che ci preoccupa e ci deve vedere più attenti nel corso dei prossimi mesi”. Non solo è stato rifinanziato il Reddito di cittadinanza per un miliardo ed è stato rinnovato il Rem per tre mesi, visto che “purtroppo le persone con i requisiti sono in aumento”, ma il decreto prevede anche che i beneficiari del reddito di cittadinanza possano non perdere il beneficio se trovano un lavoro a termine di durata fino a sei mesi.

Draghi: “Sì è condono ma necessario perché Stato non ha funzionato”. Così il premier su stralcio cartelle dopo le tensioni in Cdm

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto Sostegni da 32 miliardi di euro. L’incontro è slittato dalle 15.30 alle 18.30 a causa delle tensioni sul condono fiscale: a dividere le forze della maggioranza è stato lo stralcio delle cartelle e, dopo un braccio di ferro durato ben due ore e mezzo, è passata la proposta di mediazione sul nodo cartelle avanzata dal ministro Daniele Franco e del premier Mario Draghi. Dunque sì alla cancellazione di vecchie cartelle, ma solo con un reddito Irpef che non superi i 30mila euro. Il colpo di bianchetto sulle cartelle varrà fino al 2010, mentre inizialmente avrebbe dovuto coprire il periodo 2000-2015. “Sì è un condono”, ha detto poi Draghi in conferenza stampa.

Recovery Fund, Franco: "Per l'Italia 191,5 miliardi. Cabina di regia al ministero dell'Economia"

L'audizione del ministro dell'Economia e delle Finanze sul PNRR. Risorse leggermente inferiori al calcolo di gennaio. "Meno di due mesi per finalizzare il piano". Costituirà "un'opportunità straordinaria per una crescita inclusiva", ci consegnerà "un Paese più prospero, più sostenibile, con una Pubblica Amministrazione più efficiente".

Cabina di regia al Mef, tempi stretti, coordinamento stabile con il Parlamento, opportunità storica per superare i divari e le debolezze strutturali del Paese. Sono le direttrici principali dell'audizione del ministro dell'Economia e delle Finanze Daniele Franco sul PNRR.  "Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta una priorità per il governo, il Paese, il ministero dell'Economia e delle Finanze. Questo è un primo incontro di un percorso durevole e intenso in cui dobbiamo interagire": sono state le parole di apertura dell'intervento di Franco davanti alle Commissioni Unite Bilancio, Finanze e Politiche Ue di Camera e Senato. Franco ha precisato che il governo sta valutando per l'attuazione del Pnrr una governance "robusta e articolata" con la costituzione "di una struttura centrale di coordinamento presso il Ministero dell'Economia a presidio e supervisione dell'efficace attuazione del piano" che "sarà affiancata da un audit indipendente per le verifiche".

Sulle risorse a disposizione, ha spiegato che per l'Italia il Recovery Fund prevede "fondi a disposizione per circa 196 miliardi a prezzi correnti, 69 sotto forma di trasferimenti, 127 sotto forma di prestiti". Gli ultimi dati, e il regolamento europeo che ha come riferimento il Pil 2019, portano "a una stima dell'entità delle risorse per circa 191,5 miliardi, leggermente inferiore a quella indicata a gennaio".

Franco ha definito il Recovery Fund "un passaggio storico molto importante nel processo di costruzione europea e un passo in avanti nella costruzione di un bilancio comune. E' nato in un contesto di emergenza, ma è volto a ridisegnare l'assetto dell'Europa in un orizzonte di medio e lungo periodo. L'indicazione per il PNRR è di predisporre non solo investimenti ma anche riforme". Franco ha ricordato che i tempi sono stretti, ci sono "meno di due mesi per finalizzare il piano".

Il ministro ha assicurato che, se l'attuazione del Piano avrà successo, ci consegnerà "un Paese più prospero, più sostenibile, con una Pubblica Amministrazione più efficiente", e costituirà "una tappa importante per il progetto di integrazione economica europea, e contribuirà a rafforzarlo".

L'audizione è cominciata alle 10.30 ma si è interrotta dopo pochi minuti per la contestazione di diversi deputati sulla qualità dell'audio e del video (Franco si trova in Senato, da Montecitorio non funzionava il collegamento). E' ripresa alle 11.15.

Franco ha ricordato che il PNRR va presentato entro il 30 aprile di quest'anno; che il 37% degli interventi andrà destinato alla trasformazione verde e il 20% al passaggio al digitale. Le risorse arriveranno solo a fine estate. "Sappiamo tutti che il nostro Paese ha un cronico problema di disparitò territoriali, di età e di genere"; ha sottolineato il ministro, citando alcuni dati: il prodotto interno lordo pro capite al Sud pari al 55% di quello medio al Nord, l'esclusione di giovani e donne dal mercato del lavoro.

Ha fatto riferimento inoltre ai Fondi strutturali Ue, e al tasso di utilizzo che finora è stato molto parziale, mentre adesso serve decisamente "un cambio di passo nel modo di utiizzare le risorse". Ha precisato che il lavoro sul PNRR è ancora in progresso, tutti i ministri stanno lavorando sulla parte che li riguarda.

Il piano contiene già importanti progetti introdotti nella legislazione precedente tra cui Alta Velocità, piano Asili nido, programma per la ricerca, rigenerazione urbana, interventi di ristrutturazione edilizia, industria 4.0. I progetti in essere ammontano a circa 65 miliardi. "Dovremo riflettere nelle prossime settimane sulla distribuzione dei fondi tra progetti già in essere e nuovi progetti", ha detto il ministro.

"La transizione ecologica come indicato dall'Agenda 2030 dell'Onu prevede un abbattimento dei gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990, un obiettivo ambizioso che avrà enormi implicazioni per il nostro sistema produttivo", ha ribadito Franco. Ma è anche di grande importanza il tema dell'inclusione sociale, per colmare i divari e favorire la coesione territoriale, fondamentale per consentire alla nostra economia di crescere. Franco ha definito questi interventi una "straordinaria opportunità per una crescita inclusiva".

Il ministro ha ricordato che "il 70% delle risorse va speso entro il 2022, gli interventi dovranno concludersi entro il 2026. L'erogazione avverrà sulla base del conseguimento degli obiettiivi in modo chiaro e verificabile". Franco ha poi annunciato le prossime audizioni che daranno i dettagli sul PNRR: quella del titolare della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta domani, di seguito quella della ministra della Giustizia Marta Cartabia.

stime sul Pil italiano 2020: -8,8%. Ma ripresa più lenta nel 2021

Le nuove previsioni economiche della Commissione: per l'anno in corso previsto un +3,5%. Gentiloni: "Economia europea ai livelli pre-crisi già nel 2022, ma non per tutti". Dombrovskis: "Stiamo svoltando per superare la crisi"

Il ministro Orlando: “Serve un rafforzamento del reddito di cittadinanza e di emergenza. Evitata la crisi sociale, ora tutelare ceto medio”

L’EUROPA – Recovery plan, ampliare il reddito di cittadinanza “per raggiungere i vulnerabili” è tra le raccomandazioni della Commissione

L’INTERVISTA – La sociologa Saraceno: “Ridurre i paletti al reddito di cittadinanza. Temiamo più i poveri che imbrogliano che i ricchi che evadono”

 

Manovra, superbonus fino a fine 2022. Via l’obbligo del regime Iva per il non profit. Bonus rubinetti e bonus auto elettrica (per chi ha Isee basso)20 dicembre 2020

Voti sugli emendamenti a rilento sabato pomeriggio, un rush notturno, poi la ripresa dei lavori domenica mattina interrotta dalle proteste delle opposizioni che parlano di “gestione vergognosa” da parte del governo delle proposte di modifica, per le quali c’era a disposizione la cifra monstre di 800 milioni. Alla fine l’approdo della manovra in aula alla Camera slitta da lunedì 21 a martedì 22, un ritardo senza precedenti. Mancano dieci giorni alla fine dell’anno e Montecitorio non avrà tempo di fare altre modifiche. Per non parlare del Senato dove il maxiemendamento finale farà solo un passaggio lampo.

Tra la nottata e domenica pomeriggio, dopo la cig per gli autonomi e l’anno bianco fiscale per le partita Iva danneggiate dal Covid, sono state approvate proposte che vanno dal credito di imposta per sostituire rubinetti e soffioni della doccia con apparecchi a risparmio idrico (“bonus bagno“, stanziamento 20 milioni) a quello per le spese sostenute dai cuochi professionisti per macchinari e corsi (“bonus chef”, 1 milione) passando per il bonus auto elettrica riservato a chi abbia Isee sotto i 30mila euro. Per non parlare delle usuali mance – 3 milioni di euro – a festival, cori, bande e altri 3,9 milioni “per garantire le celebrazioni degli 800 anni dal primo presepe“. Passando ai capitoli più “pesanti”, i 5 Stelle hanno incassato il via libera alla proroga del superbonus al 110% per l’efficientamento energetico degli immobili e la sicurezza anti-sismica per tutto il 2022 (ora è finanziato fino a dicembre 2021). Se entro giugno 2022 sono stati effettuati lavori per almeno il 60% dell’intervento complessivo la detrazione spetta infatti anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022. Il Movimento ha annunciato la presentazione di un odg per chiedere l’estensione al 2023.

La Bce aumenta di 500 miliardi il piano di acquisto di titoli contro la crisi da Covid: 80 sono per l’Italia. E durerà fino a marzo 2022

Un’app sul telefono permetterà di prenotare il vaccino. Dati | Tasso di positività sotto al 10%, ma 887 vittime. Francia: coprifuoco sempre tranne la notte di Natale,10-12-20

Il Recovery della ‘ndrangheta, maxi inchiesta sul riciclaggio di 36 miliardi. L’intercettazione: “Caruana Galizia? Raccolgono ancora i cocci”.Tutto il malloppo vale 500 MILIARDI DI EURO, PIU' DEL DOPPIO DEL RECOVERY PLAN CONTINENTALE!!!

Trentasei miliardi cashcinquecento in totale. No, non sono i soldi del Recovery fund. Volendo giocare con le parole si potrebbe parlare di un Recovery clan. Sono cifre a nove zeri quelli che secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria riusciva a spostare Roberto Recordare, un imprenditore di Palmi che per gli inquirenti era la mente economica-finanziaria di ‘ndranghetacamorra e mafia. Considerato un colletto bianco al servizio del clan, un “soggetto riservato della ‘ndrangheta“, l’imprenditore è indagato per il riciclaggio di 36 miliardi di euro. Di lui si parla in un’informativa della Squadra mobile calabrese, depositata agli atti del processo “Eyphemos” contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte. A riportare il contenuto dell’informativa è il quotidiano Domani e il Corriere della Calabria.Secondo gli inquirenti Recordare gestiva un fondo da 500 miliardi di euro: praticamente dieci leggi di bilancio. Di questi “36 miliardi che erano già pronti, cash“, come è riportato in una delle intercettazioni agli atti dell’inchiesta. Non è l’unico dialogo inquietante carpito all’imprenditore. “Questi non si spaventano di niente se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in ariaquesta non faceva niente“, dice a un certo punto intercettato. E quando dice “questa” si riferisce al sostituto procuratore della Dda reggina Giulia Pantano, titolare dell’inchiesta Alchemia, di cui Recordare stava parlando con un suo sodale. Che gli risponde: “Come facevano in Sicilia“. Recordare commenta anche l’omicidio di Daphne Caruana Galizia, assassinata pochi giorni prima: “Stavano ancora raccogliendo i cocci di quella a Malta“. Sull’isola al centro del Mediterraneo il riciclatore della ‘ndrangheta spiega di avere molti interessi: una presenza documentata dai Paradise papers, la più grossa fuga di notizie sui miliardi off shore dai tempi dei Panama papers.Recordare racconta anche di una perquisizione cui è stato sottoposto dalla Guardia di finanza all’aeroporto di Fiumicino. “Erano più meno erano cento miliardi, qualcosa del genere. Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura. Avevo il bond da 36 miliardi“. Prima di essere sottoposto a controllo, l’imprenditore sostiene di essere riuscito a buttare un “bustone di bond e procure“. Scrive la Squadra mobile reggina nell’informativa: “Si ritiene che si trattasse, in qualche modo, di capitali riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose” da far circolare “senza che transitassero in Europa e, soprattutto, in Italia”. L’uomo, in pratica, “stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che non subissero l’influenza degli americani, un’ingentissima somma di denaro che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paesi da black list che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli, giacché nascosti su conti speciali. Per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro“. Soldi che ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra avevano accumulato dagli anni ottanta. E ancora, secondo gli investigatori, l’imprenditore “aveva la necessità di renderli disponibili ai suoi sodali con operazioni bancarie che dovevano sparire una volta effettuato il trasferimento del denaro”. I soldi sarebbero finiti in carte di credito e di debito, intestate a soggetti arabi o dell’Est Europa ma in mano a Recordare e ai suoi sodali. Il denaro veniva scaricato con la procedura “off line“. Sul computer dell’imprenditore, la squadra mobile è riuscita a trovare gli estremi e la foto di una carta di credito, intestata a un lituano, con un saldo di 2 miliardi di euro.Il conto madre, per quanto emerso, “si trova presso la Banca nazionale di Danimarca“, scrivono gli investigatori. Ma gli affari di Recordare si muovono in mezzo mondo. “Durante il periodo di indagine ha effettuato diversi viaggi, in vari Paesi del mondo al fine di contattare faccendieri e funzionari bancari corrotti per portare a termine il trasferimento di una ingente somma di denaro e renderla fruibile per i vari soggetti sopra indicati”, annotano gli investigatori. “Abbiamo dovuto interessare il governo della Malesia e la Banca Centrale“, spiega l’imprenditore al telefono, consapevole che il “gioco” è grande e pericoloso. “Ci sono tre servizi segreti che ti stanno addosso”, dice a un certo punto. Poi spiega perché i soldi che sposta non devono rientrare in Europa: “Aggiungeva che si trattava di somme non ‘giustificate‘, ossia la cui provenienza non era stata tracciata, motivo per cui le operazioni finanziarie poste in essere sarebbero state subito sottoposte ad un controllo da parte delle Autorità preposte”. Soldi che vengono spostati utilizzando le “chiavi” di tale Dimitri, cioè i codici intestati a un tale Dimitri Verchtl, nato a Ivànovski (Russia) e deceduto ad Oslo in data nel 1987: come fanno i morti a muovere soldi? Semplicemente Verchtl è una delle identità di Recordare. Il calabrese ha anche un passaporto afgano “chiaramente falso, intestato a tale Ahmad Khan, cittadino del Nuristan”. Gli investigatori intercettano anche Recordare che progetta la sua fuga. Il 23 ottobre 2017 dice ad alcuni suoi contatti: “Io una volta che facciamo questa operazione… io devo trovare come cazzo sparire per un po’ di tempo“. Tre settimane prima diceva alla sua segretaria “che tra tre anni sarebbe sparito dalla circolazione andando a vivere in Nicaragua. Nel Sud America o Centro America… America del Nord“.

Sì a contributo del 2% per patrimoni sopra i 50 milioni,si al contributo del 3% per i miliardari e la Chiesa DEVE pagare l'Imu per il suo patrimonio.

Un contributo del 2% per i patrimoni dai 50 milioni in su e uno del 3% da chi ha più di un miliardoBeppe Grillo dal suo blog rilancia la proposta avanzata dieci giorni fa da ilfattoquotidiano.it: chiedere ai poco meno di 3mila italiani che rientrano nella categoria dei super ricchi un contributo una tantum per il 2021 (da replicare se necessario nel 2022) con cui finanziare nuovi interventi di aiuto per l’ampia platea dei non garantiti, dai lavoratori precari agli autonomi, che hanno pagato il prezzo più alto alla pandemia. Per le casse dello Stato, scrive il comico, “significherebbe un’entrata garantita di almeno 10 miliardi di euro per il primo anno, e di ulteriori 10 se la misura venisse confermata anche per il 2022″ Grillo si inserisce nel dibattito su “come reperire altri fondi per dar ossigeno alla sanità e alle imprese italiane” e ne mette sul piatto altre due che ritiene “assolutamente praticabili, sacrosante e soprattutto non vincolanti (che non prevedono alcun tipo di indebitamento per l’Italia) che porterebbero un sacco di miliardi nelle casse dello Stato in poco tempo, semmai ce ne fosse bisogno”. Innanzitutto “far pagare l’Imu e l’Ici non versata sui beni immobili alla Chiesa“. “Secondo la prestigiosa rivista Forbes, che tutti gli anni si preoccupa di stilare le sue consuete classifiche dei paperoni in giro per il mondo, in Italia ci sono altre 40 persone miliardarie o multimiliardarie”, ricorda Grillo. “Non sarebbe più equo, dunque, rivolgersi a loro piuttosto che al resto della popolazione già stremata da un anno tragico dal punto di vista finanziario, oltre che sanitario?”. Si tratterebbe “di ragionare come ragiona una qualsiasi famiglia in difficoltà economica che, prima di rivolgersi alle banche o (peggio) agli strozzini, decide di andare a bussare alla porta di un parente alla lontana che se la passa decisamente meglio”, argomenta Grillo. “Nel novembre del 2018, una sentenza della Corte di giustizia europea ha stabilito che lo Stato italiano deve riscuotere l’Ici non versata dalla Chiesa Cattolica tra il 2006 e il 2011 in virtù di una deroga concessa dal governo Berlusconi, successivamente ritenuta irregolare”, ricorda il fondatore del M5S. Grillo ricorda che il Vaticano è proprietario di “strutture” che “portano alle casse della Chiesa 620 milioni di euro all’anno dall’Imu non pagata”. “La questione può essere così riassunta – si legge nel post – è giusto che i beni immobili della Chiesa, presenti sul territorio nazionale, siano sottoposti alla stessa tassazione a cui sono sottoposti anche tutti gli altri immobili di proprietà di privati cittadini? Aldilà di come uno la possa pensare, anche alla luce della recente sentenza Ue, la riposta è chiara. Sì. Al momento della sentenza della Corte di giustizia però, era in carica il governo Conte I che, si dice, non fece nulla perché la Lega (con la sua ostentazione di crocefissi e rosari) non intendeva mettersi ”contro” la Chiesa. Come se chiedere il pagamento di tasse dovute fosse un atto vessatorio“, ricorda.

Naufragio in acque libiche, Sos Mediterranée: ‘Cento morti, eravamo in un mare di cadaveri’ 23-04-21. Onu: ‘Gli Stati si sono rifiutati di salvarli’. È l’ennesima strage in mare quella avvenuta ieri sera al largo delle coste libiche. Alarm Phone ha segnalato tre imbarcazioni in difficoltà: un gommone che si è ribaltato, un altro che, dalle informazioni raccolte, è stato riportato in Libia con i cadaveri di una donna e del suo bambino a bordo e una terza barca di cui si sono perse le tracce. Intervenuta sul posto, la Ocean Viking della ong Sos Mediterranée si è trovata di fronte all’ennesima tragedia nel Mediterraneo: “Abbiamo avvistato dieci corpi, ma il mare era molto mosso, impossibile ci siano sopravvissuti“, ha dichiarato Francesco Creazzo di Sos Mediterranée, con le vittime stimate che sono più di 100. “Nel pomeriggio la nave My Rose ha avvistato il gommone, ci siamo avvicinati ed è stato come navigare in un mare di cadaveri. Letteralmente. Del natante restava poco, delle persone neanche il nome”, ha raccontato Alessandro Porro, Presidente della ong. Mentre Safa Msheli, portavoce dell’Oim, agenzia Onu, dichiara: “Gli Stati si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone”.

La patria dei diritti civili: è la Spagna dell’eutanasia, una legge di sinistra

 

 

LA TERZA ONDATA, DAL DECRETO DEL 12 MARZO 2021 CHE STABILISCE UN'ITALIA QUASI TUTTA IN ZONA ROSSA COME UN ANNO PRIMA

Galli: “Sul Covid Draghi non ne ha azzeccata una. Liberi tutti ma ci sono ancora pochi vaccinati”“Ci saranno un milione di infezioni attive in Italia o pensate che tutti i positivi si fanno il tampone e vengono a saperlo?”. È furibondo per le annunciate riaperture generalizzate dal 26 aprile il professor Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive al “Sacco” di Milano e docente alla Statale, da più di un anno impegnato […]

15.943 nuovi casi su 327.704 tamponi. I morti sono 429. Calano i ricoverati e le terapie intensiva 16-04-21

DANIMARCA – Stop definitivo ad Astrazeneca

Germania, 29mila contagi: governo chiede ai Länder chiusure subito. Merkel si vaccina con AstraZeneca.

Brasile, ospedali senza sedativi: “Intubiamo le persone da sveglie”. Almeno 852 morti sotto i nove anni.

Svezia, 13mila morti e contagi alti. Gestione pandemia? Meglio di tanti Paesi Ue, peggio rispetto ai Nordici 15-04-21

Virus, l'allarme dei medici: "Ospedali pieni, non si allentino ora le misure"

L'appello del comitato intersindacale dei camici bianchi: "Terapie intensive ben oltre le soglie, la mortalità resta elevata: la politica ascolti il nostro grido. Meno restrizioni solo con contagi giornalieri sotto i 5mila"

Usa, la Fda chiede la sospensione del vaccino Johnson&Johnson dopo 6 casi di trombosi. L’azienda: “Ritardiamo le consegne in Europa”La Food and Drug Administration ha chiesto di fermare immediatamente le somministrazioni del vaccino monodose negli Stati Uniti: segnalati 6 casi in donne di età compresa fra i 18 e i 48 anni, una di loro è morta. Il composto di J&J è a vettore virale come quello sviluppato da AstraZeneca. L'annuncio della multinazionale: "Abbiamo deciso di ritardare in modo proattivo il lancio del nostro vaccino in Europa"

Il bollettino: 18.938 nuovi casi. I decessi sono 718 ma pesa un recupero di dati Sicilia. Tasso positività sale a 5,2% | Mappe e grafici. Il monitoraggio: da lunedì l’Italia torna prevalentemente arancione, con la riapertura dei negozi, dei parrucchieri e dei centri estetici in 16 Regioni

9 aprile 2021

Ecco chi sono gli oltre due milioni di italiani che hanno ricevuto una dose fuori dalle liste delle priorità

Nel report del commissario per l'emergenza vanno sotto la voce "altro": i più numerosi in Sicilia, Calabria, Puglia, Campania e Toscana

Oggi 17.221 nuovi contagi e 487 decessi. Ancora giù i ricoveri in reparto e in intensiva,8 aprile 2021

Astrazeneca, in Lombardia “adesioni 75-79enni inferiori al previsto”. La mappa delle defezioni.

AstraZeneca, verso raccomandazione uso preferenziale over 60. Al via il vertice tra governo e Regioni

L'uso del vaccino AstraZeneca potrebbe essere raccomandato sopra i 60 anni. "Considerando i dati sulla letalità (per coronavirus) che confermano che le vittime perlopiù sono anziani, l'idea anche per Italia è di raccomandare l'uso preferenziale oltre i 60 anni". A chiarire la posizione dell'Italia è Franco Locatelli durante l'incontro Governo-Regioni. "Non abbiamo elementi per scoraggiare la somministrazione della seconda dose", ha aggiunto. La decisione è arrivata dopo il responso dell'Ema e dopo un confronto tra governo e responsabili del Cts. Alle 20 è iniziata la riunione tra il governo e le Regioni, Comuni e Province, con il commissario all'emergenza Francesco Figliuolo per fare il punto sul piano vaccinale anti-Covid, in particolare sul caso AstraZeneca, specificando che "non ci sono casi di trombosi dopo la seconda dose" e annunciando che "da domanipotrà essere somministrato anche nella fascia che va dai 60 ai 79 anni". Alla riunione partecipano anche la ministra agli Affari regionali Maria Stella Gelmini e il ministro della Salute Roberto Speranza.

Astrazeneca, Ema: “C’è legame vaccino-trombosi rare. Benefici superano rischi, nessuna restrizione all’uso”. Ma l’agenzia britannica: “Sconsigliato agli under 30”7  aprile 2021

Coronavirus, 13.708 nuovi contagi e 627 morti.Dall'inizio della pandemia sono 3.700.393 i casi accertati di Sars-Cov-2 in Italia. In 3.040.182 sono guariti o sono stati dimessi (+20.927), mentre 112.374 sono deceduti. Gli attualmente positivi sono 547.837: in 29.316 sono ricoverati con sintomi in area medica e 3.683 vengono assistiti in terapia intensiva

 

Vaccini, Draghi: “Se il coordinamento Ue funziona bene, se no bisogna andare per conto proprio”. E sulle Regioni: “Troppo in ordine sparso, è un problema”.

Iss: “Rt stabile, incidenza ancora in aumento”. Sardegna e Molise in zona arancione da lunedì. Dati: quasi 26mila contagi e 386 morti in 24 ore.19-03-21

L'Ema dà via libera ad AstraZeneca. Da oggi ripartono le vaccinazioni

"Il vaccino AstraZeneca è sicuro, efficace, i benefici sono superiori ai rischi ed escludiamo relazioni tra casi di trombosi" e la somministrazione dei sieri. Lo ha affermato la direttrice di Ema, Emer Cooke, argomentando il via libera al vaccino. E ha continuato: "Il Comitato per la valutazione dei rischi per la farmacovigilanza dell'Ema "è giunto a una chiara conclusione scientifica che questo è un vaccino sicuro. La protezione delle persone dal Covid-19 e dai rischi associati e ospedalizzazioni superano i possibili rischi".

Coronavirus, 20.396 nuovi casi e 502 morti. In 24 ore +760 ricoverati nei reparti Covid e 319 ingressi in terapia intensiva,16-03-21Sono 20.396 i nuovi casi di infezione da Sars-Cov-2 registrati nelle ultime 24 ore a fronte di 369.375 tamponi, compresi 186.803 test antigenici rapidi, con un’incidenza del 5,5% in discesa rispetto a lunedì, come avviene solitamente ogni settimana. Ma sono i numeri in arrivo dagli ospedali e quello dei decessi a descrivere le difficoltà del momento: rispetto a ieri sono 760 in più i ricoverati nei reparti Covid, si segnalano 319 ingressi in terapia intensiva e si sono registrati 502 morti.

Italia, Germania e Francia sospendono per precauzione l'uso di AstraZeneca. L'Aifa:La decisione è stata assunta di concerto con altri Paese europei e, spiegano dal ministero della Salute, dopo un colloquio tra Roberto Speranza il presidente del Consiglio. Durante la giornata, Speranza ha avuto colloqui con i ministri di Germania, Francia e Spagna.

Oltre 15mila contagi con 176mila test. Boom ricoverati: 820 in 24 ore. Altri 354 morti.

15-03-2021

AstraZeneca taglia ancora le dosi destinate all'Ue: - 25%

 

Decreto, ok del governo: Pasqua in zona rossa. Stretta su regioni: 11 in rosso, 9 in arancione. Iss: ‘Rianimazioni oltre soglia critica. Rt a 1,16’. Oltre 25mila contagi con 372mila tamponi: il tasso di positività sale al 6,9%. Altri 373 morti.

Sebastiani, Cnr: “Abbiamo perso un mese e mezzo” (di F. Baraggino)

AstraZeneca, casi di trombosi dopo il vaccino: allarme in Italia e in Europa. Von der Leyen a Draghi: "Non ci sono nessi".La Danimarca sospende la somministrazione, Germania e Francia no. In Italia ritirato un lotto: due casi sospetti anche in Sicilia. Due eventi simili in Austria. Anche Vienna, con Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo, aveva deciso per precauzione di interrompere le somministrazioni. L'Ema aveva escluso la correlazione con la somministrazione del prodotto, ora avvia le indagini ma conferma: "I benefici del vaccino superano i rischi". L'azienda: "Non ci sono prove di aumento del rischio".

la seconda ondata,agosto 2020

 Oltre 25mila contagi, altre 373 le vittime.

Militare morto dopo il vaccino, il ministero della Salute manda gli ispettori. L'Aifa sospende il lotto di dosi AstraZeneca: dieci indagati per omicidio colposo,11-03-21.

Vaccino Astrazeneca, Aifa sospende l’uso di un lotto. Campioni all’Iss. Pm indagano per omicidio colposo.Il lotto ritirato, siglato ABV2856, era stato somministrato a tre persone morte in Sicilia. Dieci indagati a Siracusa. Una seconda inchiesta a Catania. Stop anche a un altro lotto, siglato ABV5300 e distribuito in 17 paesi, ma non in Italia (leggi)

Sul decesso di Stefano Paternò la procura di Siracusa ha aperto un'inchiesta. Domani l'autopsia.

Danimarca sospende i vaccini AstraZeneca: casi di trombosi con un morto. L'Ema difende l'azienda 

In Piemonte Rt a 1,41: dati da zona rossa. Verso la stretta Emilia, Lombardia, Friuli e Veneto. Gimbe: dopo due mesi tornano a salire i morti

Coronavirus, il bollettino di oggi 19 febbraio: 15.479 nuovi casi con 297.128 tamponi. I morti sono 353

19-02-21 Nella giornata di ieri erano stati registrati 13.762 nuovi casi e 347 morti con un indice di positività del 4,8%. Superata la soglia delle 95 mila vittime. Crescono le terapie intensive (+14) mentre calano i ricoveri ordinari (-118)

Coronavirus nel mondo: Usa verso i 500mila morti, più che in tre guerre

Il New York Times in prima pagina: più americani deceduti per Covid che sui campi di battaglia di prima e seconda guerra mondiale e del conflitto in Vietnam. Gran Bretagna: Johnson promette almeno la prima dose del vaccino per tutti entro luglio.

La pandemia ha provocato oltre 2,45 milioni di vittime e 111 milioni di contagi in tutto il mondo. Gli Stati Uniti sono il Paese più colpito (497.568 morti), davanti al Brasile (245.977) e al Messico (178.965).

"Negli Usa più morti per Covid che in tre guerre"

Quasi un anno dopo il primo decesso accertato per Covid-19 negli Usa (era il 29 febbraio e la vittima era stata registrata nello stato di Washington), il New York Times dedica la sua prima pagina al triste bilancio della pandemia nel Paese: "Gli Usa verso mezzo milioni di morti per Covid in un anno, più che in tre guerre". L'articolo è accompagnato da un grafico che fotografa la rapida e letale progressione della pandemia. "Una nazione paralizzata dalla tristezza e dalla perdita affronta un numero che ha ancora il potere di scioccare: 500mila", si legge nel pezzo in prima pagina, "nessun altro Paese ha registrato così tanti morti nella pandemia. Sono morti più americani per il Covid-19 che sul campo di battaglia nella Prima e Seconda guerra mondiale e in quella del Vietnam tutte e tre insieme". Secondo l'ultimo bilancio diffuso dalla Johns Hopkins University le vittime negli Stati Uniti sono quasi 500 mila.

Fauci, "Possibili mascherine anche nel 2022"

E' ''possibile'' che gli americani indossino ancora le mascherine per proteggersi dal coronavirus nel 2022, ma verranno comunque allentate le restrizioni man mano che verranno somministrati i vaccini. Lo ha dichiarato il virologo Antony Fauci alla Cnn, affermando che gli americani utilizzeranno ancora questo strumento di protezione per ''diversi'' mesi e che ci stiamo ''gradualmente avvicinando alla normalità''. Adesso ''la diffusione del contagio è ancora eccessivamente alta'' per fare una previsione diversa.

Usa, "Da Cina dati insufficienti, serve un'indagine credibile dell'Oms"

Gli Stati Uniti ritengono che ''la Cina non abbia messo a disposizione dati sufficienti sull'origine della pandemia'' e che l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) debba condurre una ''indagine credibile, internazionale e trasparente sull'origine del Covid''. Lo ha affermato il consigliere per la sicurezza nazionale dell'Amministrazione Biden, Jake Sullivan, nel corso di una intervista alla Cbs. ''Crediamo che sia la Cina, sia l'Oms debbano fare passi avanti in merito'', ha aggiunto.

Olanda, la polizia disperde i manifestanti contro il lockdown ad Amsterdam

La polizia è intervenuta ad Amsterdam per disperdere gruppi di giovani che manifestavano contro il lockdown violando le restrizioni in corso. Alcuni sono stati fermati, riporta il Guardian. Portavano cartelli inneggianti alla "libertà" mentre altri innalzavano ombrelli gialli con su scritto "Libertà" e "Amore". Nei Paesi Bassi ci sono stati già diversi giorni di violenti disordini a gennaio, quando il coprifuoco serale è stato aggiunto alle altre restrizioni contro il dilagare della pandemia.

Brasile, superata la soglia dei 10 milioni di contagi

Il Brasile ha superato la soglia dei 10 milioni di casi accertati di Covid-19. Oggi ha registrato 57.472 nuovi positivi al coronavirus per un totale dall'inizio della pandemia di 10.139.148 contagiati. I morti sono 1.212 e il totale delle vittime in Brasile è di 245.977.                                                                                                            

Argentina, vaccini ai vip: giura la nuova ministra della Salute

Il presidente argentino Alberto Fernandez ha ufficialmente insediato oggi nel suo incarico la nuova ministra della Salute, Carla Vizzotti, dopo le dimissioni di Ginés Gonzalez García al centro di uno scandalo riguardante vaccinazioni VIP segrete contro  Covid-19 negli uffici ministeriali. Vizzotti, 48 anni, era la 'numero due' del ministero, e presentava quotidianamente il rapporto delle autorità sanitarie argentine sull'andamento della pandemia. Laureata in Medicina, la neo-ministra è specialista di malattie immunitarie ed infettive. Il suo giuramento è avvenuto nella residenza presidenziale di Olivos in presenza del capo dello Stato, del coordinatore del governo, Santiago Cafiero e del presidente della Camera dei deputati, Sergio Massa.

Coronavirus, Crisanti: “Servono misure, se salgono i contagi c’è il rischio mutazioni e si complica la campagna di vaccinazione”

Un aumento dei casi e quindi la crescita di possibilità di mutazioni di Sars-Cov-2 durante la campagna vaccinale è da scongiurare. Ne è convinto Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia all’Università di Padova: se la curva sale, spiega riferendosi anche a quanto sta accadendo in Inghilterra, “crescono le possibilità di mutazioni”. E “non è una cosa buona mentre ci si vaccina: si aumenta il rischio che si generino varianti resistenti”.

Secondo il professore che gestì la prima ondata in Veneto i potenziali nuovi criteri sulle zone rosse, che potrebbero entrare nel Dpcm in vigore dal 16 gennaio, “non sono abbastanza”. Quando “si arriva a certi numeri vuol dire” che “poi avremo un numero inaccettabile di morti”, dice a The Breakfast Club su Radio Capital. Riguardo all’Italia a zone, Crisanti spiega: “Sono per misure chiare, semplici e annunciate con anticipo”.

E sulla variante inglese aggiunge: “Responsabile dei contagi in Veneto? Se così, allora bisogna fare come in Gran Bretagna: tutto chiuso e strade d’accesso per la regione bloccate”. Ma per dimostrare che i contagi sono causati dalla variante – specifica – “bisogna dimostrare che rappresenti l’80% delle mutazioni isolate e in questo momento così non è. Se in Italia dovesse imporsi la variante inglese, allora per raggiungere l’immunità di gregge bisognerebbe superare la soglia del 70% di persone vaccinate”.

Secondo lo specialista “la soglia di 250 nuovi contagi per 100mila abitanti” prospettata dall’Istituto Superiore di Sanità come limite oltre il quale ci sarebbe l’ingresso della regione in zona rossa “è un po’ troppo alta, a mio avviso”, dice all’Adnkronos Salute. “Io l’avrei abbassata a 50 casi per 100mila abitanti, lo dico sinceramente”, evidenzia l’esperto ponendosi più su una linea simile a quella seguita da altri Paesi, come l’Australia, dove subito alla comparsa di un numero non particolarmente elevato di casi è stato disposto un lungo lockdown, o come diversi Paesi orientali che stringono le misure ai primi contagi.

 

In Germania altri 852 morti: dalle misure tardive al caso Sassonia, le possibili ragioni. E la  variante inglese era presente già a novembre,29 dicembre 2020

contagi che non accennano a calare, portando con sé un numero di decessi mai così alto. La rottura dell’argine delle case di riposo, dove a dicembre in Assia si contano l’86% del totale delle vittime del Covid. La prospettiva di un prolungamento del lockdown duro per tutta la Germania e, per finire, le polemiche che arrivano dalla stampa di destra e di sinistra per come viene condotta la campagna di vaccinazione. Dopo gli elogi per la gestione della prima ondata della pandemia, il governo tedesco conclude il 2020 più che mai in difficoltà. Oggi alle 20 in diretta nazionale verrà trasmesso l’ultimo discorso di fine anno della carriera politica della cancelliera Angela Merkel, nel giorno in cui sul sito della Bild – giornale conservatore e quindi vicino alla Cdu al governo – capeggia un attacco frontale all’operato di Berlino: “Cancelliera, così nel 2021 non si può andare avanti“. Il paradosso è che nel Paese sono già state vaccinate quasi 80mila personein Francia, dove a sua volta il governo è sotto attacco per il suo piano vaccini, le persone hanno ricevuto una dose sono meno di 200.Tornano a salire i morti Covid in Germania: il Robert Koch Institut ha segnalato stamani 852 decessi registrati nelle ultime 24 ore. Un altro picco, dopo che il 23 dicembre scorso era stata toccata la quota record di 962 morti. Anche la Germania ha superato la soglia dei 30mila decessi dall’inizio della pandemia (30.978) e oggi conta altri 12.892 nuovi casi confermati di Covid-19, nonostante un numero inferiore di tamponi rispetto ai giorni scorsi per via delle festività. Si è abbassato a 149,2 l’indice di incidenza dei contagi su 100 mila abitanti nei sette giorni, una settimana fa era arrivato a 197,6 casi: sono i primi effetti del lockdown duro scattato il 16 dicembre, quando Angela Merkel ha convinto i Länder e il Paese della necessità di ulteriori restrizioni, dopo che a inizio mese la curva dei contagi aveva ricominciato a correre.

Coronavirus, 8.913 casi con 60mila test: il tasso di positività sfiora il 15%. 305 morti. Risalgono i ricoveri,27 dicembre 2020

Sono 8.913 i nuovi casi di coronavirus accertati nelle ultime 24 ore, in ulteriore calo rispetto ai 10mila di ieri. Allo stesso tempo, però, si riducono i tamponi: ne sono stati effettuati poco meno di 60mila, con un tasso di positività che di conseguenza arriva a sfiorare il 15% (in ulteriore aumento se confrontato con il 12,8% di ieri). Numeri che risentono sia del consueto effetto weekend sulla capacità di testing, sia del periodo di festività. Le vittime, stando al bollettino del ministero della Salute, oggi sono 305. Per quanto riguarda la situazione negli ospedali, per la prima volta da diversi giorni tornano a salire i ricoveri: sono 267 in più le persone curate nei reparti di area medica – il totale passa a quota 23.571 – mentre sono due in meno i pazienti in terapia intensiva (2.580 il dato complessivo).

Coronavirus, il bollettino di oggi 3 dicembre: 23.225 nuovi casi su 226.729 tamponi. 993 i morti: mai così tanti da inizio pandemia

Ieri i nuovi contagi erano 20.709  con 207.143 tamponi, le vittime 684. In calo le terapie intensive (-19). Il rapporto tra tamponi e positivi al Covid-19 si attesta al 10,24%. I guariti sono 23.474 in più. La Lombardia resta la regione più colpita

Crisanti a SkyTg24: “Parlare di sci con 600 morti al giorno non è da Paese normale”“Rimango senza parole che si parli di sci con 600 morti al giorno. Andare a sciare per divertirsi sapendo che questo causerà un aumento dei contagi e dei morti? Penso che questo non sia un Paese normale”. Così a Buongiornosu Sky Tg24, Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di microbiologia dell’Università di Padova.

Coronavirus, il bollettino di oggi 26 novembre: 29.003 nuovi casi con 232.711 tamponi. Le persone morte sono 822

Ieri 25.853 nuovi casi su 230.007 tamponi. 722 i morti. Le regioni: si registrano 5.697 nuovi casi in Lombardia, 3.980 in Veneto e 3.008 in Campania. Nel Lazio sono 2.260. Le terapie intensive calano per la prima volta dall'inizio della seconda ondata della pandemia

Coronavirus, il bollettino di oggi 20 novembre: 37.242 nuovi casi su 238.077 tamponi. 699 i morti

Ieri i nuovi positivi sono stati 36.176 su 250.186 tamponi, i morti 653. Da ieri le terapie intensive contano 36 pazienti in più per un totale di 3.748. Il rapporto positivi/tamponi risale a 15,6 (ieri 14,6)

Coronavirus, il bollettino di oggi 18 novembre: 34.283 nuovi contagi su 234.834 tamponi. 753 i morti

Ieri i contagiati sono stati 32.191, i morti 731. Le terapie intensive crescono di 58 unità in 24 ore mentre i ricoveri nei reparti covid di 430. La regione più colpita resta la Lombardia con 7.633 nuovi contagi, seguita dalla Campania con 3.657, e dal Piemonte con 3.281

Coronavirus, il bollettino di oggi 12 novembre: 37.978 nuovi positivi e 636 morti,12-11-20

 

Nuovo record di tamponi: 234.672 nella ultime 24 ore. In terapia intensiva 89 persone più di ieri. Le regioni col maggior numero di contagi sono Lombardia (9.291), Piemonte (4.787), Campania (4.065), Veneto (3.564) e Lazio (2.686).

Gimbe, superata soglia 1% popolazione infetta

"Ieri abbiamo superato i 600.000 casi attualmente positivi, ovvero in isolamento domiciliare, ricoverati con sintomi e in terapia intensiva. Questo è un dato importante perché, come sappiamo, un'epidemia si definisce 'fuori controllo' nel momento in cui i positivi superano l'1% della popolazione e ieri, oltre ad aver sperato il milione di casi da inizio pandemia, abbiamo sfondato la soglia dell'1% di popolazione attualmente con infezione da Sars-Cov-2". A spiegare l'andamento del contagio nel nostro Paese è stato il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, intervenendo alla trasmissione 'Agorà' su Rai 3. Purtroppo, ha aggiunto Cartabellotta, "usiamo un sistema di monitoraggio che invece che utilizzare un binocolo utilizza uno specchietto retrovisore, perché fotografa dati che non sono recenti.

Coronavirus, Francia: più di 58mila positivi. A Parigi ospedali saturi al 92%. Record di contagi in Austria: tutto il Paese è “zona rossa”5-11-20. Coprifuoco, restrizioni e chiusure per contenere i contagi da coronavirus. Di giorno in giorno i Paesi europei fanno i conti con numeri importanti di nuovi positivi e prendono provvedimenti per rallentare la curva dei casi. L’Austria, dopo avere registrato il record di altri 7.400 infetti, ha deciso in serata di virare del tutto in “zona rossa”. Le regioni gialle e verdi sono sparite dalla cartina e ora tutti i 15 distretti austriaci sono adesso identificati come zone ad alto rischio. Anche la Grecia – come già hanno fatto Francia, Spagna, Italia, Gran Bretagna e Germania – ha annunciato che da sabato 7 novembre avrà inizio il suo secondo lockdown. In Francia ogni giorno si segnano numeri record di nuovi positivi e gli ospedali iniziano a riempirsi, mentre in Germania scende l’indice di diffusione dell’epidemia, ma preoccupano le terapie intensive: scarseggia infatti il personale medico specializzato.

Toti e gli anziani morti di Covid «non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese», poi le scuse: «Frainteso»

 In un tweet pubblicato intorno alle 12, probabilmente dopo l’incontro con il governo sulle prossime misure da adottare a livello nazionale per contrastare l’emergenza coronavirus, il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, da sempre contro a lockdown generalizzati, ha scritto che «dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani», cioè «persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate».

I nuovi contagi sono 31.758, più o meno lo stesso numero di ieri, con la conferma dunque di una curva che non accenna a scendere. Ma sale il numero dei morti, 297 solo ieri. È quanto si legge nel bollettino di oggi, sabato 31 ottobre, diffuso dal Ministero della Salute.

 

Germania, "lockdown light" dal 2 novembre. Merkel: "Situazione molto seria"

BERLINO - Il pacchetto cosiddetto "frangi-flutti", che dovrà spezzare la seconda ondata della pandemia, è stato faticosamente approvato. Novembre, per tutta la Germania, diventa un mese di apnea. Il mese di un "lockdown light" che dovrà salvare il Natale dei tedeschi. Nel giorno del nuovo record di contagi, schizzati a quota 14.964, Angela Merkel affronta a testa bassa i governatori, alcuni dei quali si erano mostrati riluttanti ad accettare le sue proposte da "lockdown light".Dalla riunione di sei ore tra governo e regioni emerge addirittura un'anticipazione delle nuove misure restrittive: saranno adottate dal 2 novembre anziché dal 4. Soprattutto: varranno per tutta la Germania. E le restrizioni saranno accompagnate da un nuovo pacchetto da dieci miliardi di euro per garantire ai locali costretti a chiudere, il 75% del fatturato di novembre, se hanno meno di 50 dipendenti."La situazione è molto seria", ha detto Merkel dopo la riunione, aggiungendo che "i contagi raddoppiano più velocemente", ormai ogni 9 o 10 giorni, e che "la dinamica è esponenziale". La cancelliera ha scandito davanti ai giornalisti che "di questo passo, entro settimane arriveremmo al limite del sistema sanitario".

Francia in lockdown da venerdì al 1 dicembre, Macron: “Sommersi dalla seconda ondata di Covid, più mortale”. Scuole rimarranno aperte. 28-10-20

L’aumento dei contagi in Francia è ormai fuori controllo, così il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha annunciato alla Nazione che da venerdì il Paese tornerà in lockdown “almeno fino al 1 dicembre”, anche se le scuole e altre attività rimarranno aperte “con protocolli sanitari rafforzati”: sarà il primo in tutto il continente dall’inizio della seconda ondata di coronavirus. Nelle ultime 24 ore sono oltre 36mila le persone che hanno contratto il Covid-19, mentre in un primo momento le agenzie avevano battuto la cifra record di 70mila, con 244 decessi e un totale di oltre 3mila persone in terapia intensiva. Dati che hanno portato il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ad ammettere che “le misure prese non bastano più”.Il capo dell’Eliseo ha dichiarato che il Paese è stato “sommerso e sorpreso dall’accelerazione improvvisa della pandemia” che ha mostrato una “seconda ondata più dura e mortale della prima”. Per cercare di arginare questa diffusione esponenziale “serve un colpo di freno brutale”, ha aggiunto. Se non verrà fatto niente di drastico, si prospetta uno scenario con “almeno 400mila morti in più” entro qualche mese.

Roma, Coronavirus, proteste contro il governo Conte, scontri in piazza del Popolo. Dodici fermi

Esponenti di Forza Nuova vengono a contatto con le forze dell'ordine costrette a usare gli idranti, i giornalisti allontanati dai militanti prima degli scontri: "Stasera non è serata"

 

Coronavirus, il bollettino di oggi 27 ottobre: 21.994 nuovi casi, fatti 174mila tamponi. I morti sono 221

Ieri 17.012 contagi e 141 morti. Le regioni: si registrano ben 5.035 persone infettate in Lombardia, 2.761 in Campania, 2.458 in Piemonte. Nel Lazio +1933. In Valle d'Aosta +57. Record di ricoveri in terapia intensiva +127. L'allarme di Brusaferro (Iss): "L'incidenza di Covid sta crescendo. Il Paese è coinvolto in tutte le sue regioni. Limitare i contatti non strettamente necessari"

Coronavirus, il bollettino di oggi 21 ottobre: 15.199 nuovi casi su 177.848 tamponi. 127 i morti,21-10-20

Oggi si registra un nuovo balzo dei contagi da Coronavirus in Italia: 15.199 casi nelle ultime 24 ore e 127 morti. In forte aumento rispetto a ieri, quando erano stati 89 i decessi e 10.874 i nuovi casi. Si registra un nuovo record di tamponi: 177.848.

Il totale delle vittime sale a 36.832, quello dei contagiati a 449.648. Lo comunica il ministero della Salute.  Sempre nelle ultime 24 ore i pazienti guariti/dimessi sono stati 2.369, in crescita rispetto a ieri, quando erano stati 2.046. Il totale dall'inizio della pandemia di coronavirus è ora 257.374. Sono 155.442 gli attualmente positivi, con un incremento di 12.703 rispetto a ieri.
 

Continuano a salire i ricoveri in terapia intensiva: sono 56 in più nelle ultime 24 ore (meno di ieri, quando erano stati 73), per un totale di 926 pazienti

Coronavirus, Uk: oltre 18mila contagi. In Francia 13mila. Brigitte Macron in isolamento. In Belgio “abbiamo perso il controllo”19 ottobre 2020. Non si arresta l’avanzata della pandemia in Europa e soprattutto in Gran Bretagna, dove sono stati registrati 18.804 casi nelle ultime 24 ore e 80 decessi. Il Galles da venerdì entra in lockdown per due settimane. Allarma anche la situazione in Belgio, che ha registrato più di 700 infezioni ogni 100mila persone negli ultimi 14 giorni. Si tratta del secondo peggior record europeo dopo la Repubblica Ceca. Tanto che il ministro della Salute Frank Vandenbroucke ammette che il governo ha perso il controllo sulla pandemia: “Siamo davvero molto vicini a uno tsunami – ha dichiarato -. Il fatto è che non controlliamo più ciò che sta accadendo. Siamo la regione più colpita in tutta Europa”.

Coronavirus, Londra valuta nuovo lockdown nazionale: “Raggiunto il punto di non ritorno”. In Francia altri 16mila positivi in un giorno. Dopo che nel weekend l’Europa ha registrato il secondo record giornaliero consecutivo di casi di coronavirus, pari a 123.684 nuovi contagi in 24 ore, sono sempre più insistenti le voci di chi chiede l’inasprimento delle misure di sicurezza nei vari Paesi europei per tentare di frenare la corsa del Covid. I più colpiti sono ancora la Francia e la Gran Bretagna, dove si registrano rispettivamente 16mila e 12.872 nuovi casi. A Londra è tornata sul tavolo l’ipotesi di un nuovo lockdown nazionale.

Coronavirus, il bollettino di oggi 10 ottobre: 5.724 nuovi contagi, 29 morti. Record di tamponi.Continuano a crescere i contagi da coronavirus in Italia. Nelle ultime 24 ore i positivi sono aumentati di 5.724 (ieri erano stati 5.372), con 29 morti (ieri 28). Lo si apprende dai dati del Ministero della Salute. I tamponi sono stati 133.084, nuovo record (ieri 129.471). La Lombardia registra 1.140 nuovi positivi, la Campania 664.  I ricoverati con sintomi aumentano di  250 unità in 24 ore, portando il totale a 4.336, mentre i pazienti in terapia intensiva sono 3 in più in un giorno, arrivando a 390. Le persone in isolamento domiciliare crescono di ben 4.466 e sono ora 70.103, mentre gli attualmente positivi arrivano 74.829 con un incremento di 4.719. Infine i dimessi e guariti sono 238.525, aumentando di 976 unità.

 

La lettera degli economisti: "Servono fino a 180 miliardi per rispondere al coronavirus". L'idea di un Btp Salva-Italia

I senior fellow della Luiss indicano le priorità: aumentare le garanzie pubbliche sul credito alle Pmi è fondamentale per far arrivare alle imprese la liquidità immessa dalla Bce nel sistema. E per il futuro investire su sanità e innovazione. Per le risorse via libera al deficit. Possibile una emissione obbligazionaria ad hoc per mobilitare il risparmio degli italiani

Milano. Serviranno fino a 180 miliardi di euro per affrontare l'emergenza coronavirus in Italia: nell'immediato per sostenere i redditi, potenziare la sanità, aumentare le garanzie statali in favore delle Pmi che dipendono dalla liquidità del sistema bancario, ampliare la sospensione degli appuntamenti col Fisco. Nel medio periodo per definire un piano di rilancio che identifichi alcuni cardini sui quali poggiare la ripresa: il rafforzamento dei presidi sanitari al Mezz...

Confindustria: ‘Pil a -6% se si riapre a maggio’. Ma al Nord è boom di deroghe per le imprese. Dalla Banca d’Italia 8,9 miliardi allo Stato. 31-03-20

Coronavirus, Cina in quarantena. Miliardario cinese esule: cremazioni sospette, la verità? 50.000 morti solo a Wuhan

Sul bilancio delle vittime, il sito Forexlive.com riporta l'articolo pubblicato sul sito Mish Talk, che cita a sua volta le indiscrezioni del miliardario cinese Guo Wengui, esiliato in Usa.

Wengui smentisce i dati ufficiali delle vittime snocciolati dal governo di Pechino, affermando che i forni crematori stanno lavorando a ritmi 4-5 volte superiori alla norma. I media stranieri segnalano il caso della società funeraria attiva a Hubei, provincia che include la città di Wuhan, focolaio del coronavirus.

La società, You Hu, ha riportato di essere sul punto di collassare, tanto il lavoro è insostenibile, a causa delle cremazioni continue, e che ormai i dipendenti dormono al massimo due-tre ore a notte. "Abbiamo ricevuto 127 cadaveri ieri, e ne abbiamo cremati 116. Di questi, per otto di loro il certificato di morte parla di vittime del coronavirus, o anche della polmonite di Wuhan, 48 risultano solo casi sospetti. Insomma, la documentazione ufficiale non rivelerebbe in molti casi - le conferme sarebbero solo 8 su 116 - il motivo del decesso (che sarebbe il coronavirus). Tanto che il miliardario Guo Wengui ritiene che i veri numeri siano i seguenti: 1,5 milioni di casi di persone infettate (contro 40.000 circa resi noti), e 50.000 morti soltanto nella città di Wuhan (rispetto agli oltre 900 decessi ufficiali nell'intera Cina).

Credito alle imprese, protezione degli asset italiani e rinvio delle scadenze fiscali: via libera al dl liquidità. Conte: ‘400 miliardi di garanzie, iniziativa poderosa’ 06-04-20

Il bilancio: un solo nuovo contagio ogni 25 tamponi, il dato più basso da inizio epidemia. 464 i morti, 2600 nuovi positivi. 23-04-20

Coronavirus – Verso ok a spostamenti dal 4 maggio, non tra regioni. Dall’11 riapertura dei negozi al dettaglio, a seguire bar e ristoranti. 23-04-20

Record di guariti: 2.943 in un giorno. 437 nuove vittime, contagi in leggero aumento. 437 morti in 24 ore: in totale sono più di 25mila. 22-04-20

Il bilancio di oggi: calano ancora gli attualmente positivi, 534 morti.

Lombardia, morti in aumento: 203. Calano ricoveri e terapie intensive. Ma a Milano contagi ancora alti

Meno 50 ricoverati in un giorno in terapia intensiva, ma a Milano e provincia 408 casi positivi in 24 ore su 960 in tutta la Regione

21-04-20

 

Italia, cala il numero dei malati. Borrelli: "Da un mese mai così pochi i ricoverati in terapia intensiva" video 20-04-20

Il bilancio della Protezione civile. I morti sono 454, i guariti 1.822, i nuovi positivi 2.256 20-04-20

 

433 morti, solo 486 nuovi casi attivi. TI ancora in calo

Sono 178.972 le persone che, in Italia, hanno contratto il

 coronavirus.  Si tratta di 3.047 persone in più rispetto a ieri per una

 crescita dell’1,7%.---19-04-20

 

 

Resta basso il rapporto tra nuovi contagi e tamponi fatti. Morte altre 482 persone

Il primo bilancio diffuso dalla Protezione civile senza conferenza stampa. Continua il calo delle persone in terapia intensiva e quelle ricoverate. I nuovi positivi scoperti nelle ultime 24 ore sono 3.491, per un aumento netto di persone attualmente malate di 809 unità. 18-04-20

 

Meno pressione su ospedali, record guariti in 24 ore. “Impedita la diffusione nel Centro-Sud, dato solido”. Ricciardi: “Cauti su riaperture, certa seconda ondata”

I dati della Protezione Civile: 172.434 i casi in totale, 3.493 nelle ultime 24 ore.

Ma in un giorno si contano altre 575 vittime. E’ stato l’ultimo punto stampa quotidiano: diventerà bisettimanale (leggi). Il consulente di Speranza alla Lombardia: “E’ la Regione con i maggiori problemi. Non saggio fare delle aperture a prescindere da valutazioni oggettive” 17-04-20

Protezione civile: 1.189 malati in più, 525 morti, 2.072 guariti. Record di tamponi fatti. 16-04-20

Milano, non c'è tregua: 277 nuovi casi (6160 in totale). In Lombardia 941 contagiati in più. 16-04-20

 

Al minimo i nuovi malati rispetto al numero di tamponi fatti ma sono ancora troppi i morti (578). I guariti sono 962, in riduzione sia le persone ospedalizzate con sintomi (-368) che quelle in terapia intensiva (-107)---------------Lombardia, diminuiscono i contagiati e i nuovi ricoveri. Milano fa eccezione. Il numero dei decessi resta alto. Nelle ultime ventiquattr'ore sono morte 578 persone (ieri le vittime erano state 602), arrivando a un totale di decessi 21.645.
I guariti raggiungono quota 38.092, per un aumento in 24 ore di 962 unità (ieri erano state dichiarate guarite 1695 persone).L'aumento dei malati (ovvero le persone attualmente positive) è stato pari a 1.127 unità (ieri erano stati 675) mentre i nuovi contagi rilevati nelle ultime 24 ore sono stati 2.667 (ieri 2.972). Come detto, questi due dati assumono molto valore considerando il fatto che sono strettamente collegati al numero di tamponi fatti. Che oggi sono stati molti più di ieri.Infatti il rapporto tra tamponi fatti e casi individuati è di 1 malato ogni 16,4 tamponi fatti, o appunto il 6,1%, il valore più basso dall'inizio dell'epidemia (negli ultimi giorni questo valore è stato in media del 9,2%). Il numero totale di persone che hanno contratto il virus dall'inizio del contagio è 165.155. 15-04-20

 

La Lombardia e la debolezza di credersi invincibili. Gli errori della regione a lungo feudo di Berlusconi e Formigoni

 

Virus, cala ancora il numero dei pazienti in intensiva. Si appiattisce la curva dei contagi, anche a Milano. Ma nelle ultime 24 ore sono morte altre 602 persone. 14-04-20

Il numero ufficiale dei contagi dal coronavirus in Italia sale di 162.488, con un incremento rispetto a ieri di 2.972, in diminuzione rispetto ai 3.153 di Pasquetta. Il trend di crescita sotto al 2% Salgono invece a 21.067 le vittime ufficiali

Fmi – ‘Peggiore recessione mondiale dal 1930’. Pil Italia giù del 9%: ‘Ci sia sostegno europeo’. G7 – Sì a moratoria sul debito dei Paesi poveri

 

Superati i 20mila morti. Stabili i dati di crescita della malattia. Calano ancora ricoveri i terapia intensiva.13-04-20

Lombardia, tornano ad aumentare i morti: 280 da ieri.

Protezione civile: "Da ieri 566 morti, 1.363 nuovi positivi e 1.224 guariti"

 

 

 

POLITICA ED ESTERI

LA CADUTA DEL MIGLIORE DEI MIGLIORI. A rimorchio si licenziano da Forza Italia Gelmini-Brunetta, SFANCULATI senza troppi complimenti dal loro padrone. Il disastro del decreto Aiuti ex Milleproroghe.24-07-22

Scrivo queste note la sera prima degli esami del decreto Aiuti e della possibile implosione del governo; senza possedere sfere di cristallo di sorta. Non per questo mi sfugge la follia, dagli evidenti esiti provocatori, di inserire nel cruciale provvedimento, in discussione il 14 luglio, il corpo estraneo rappresentato dall’inceneritore romano. Così come la costante ostentazione di un vassallaggio psicologico al limite del servilismo nei confronti di Nato e ambienti guerrafondai anglo-americani riduce al ruolo di lacchè dello straniero presunti rappresentanti del popolo italiano, quali il primo ministro Mario Draghi e il titolare della Farnesina Luigi Di Maio.Che dire delle materie ambientali e della riconversione energetica affidate alle cure irridenti del pifferaio magico Roberto Cingolani, che se ne strafrega dell’emergenza climatica e dei morti per il crollo dei ghiacciai, visto che quanto risulta interessargli – come da lunga biografia di impresario dei finanziamenti all’accaparramento gabellato per scientifico – è soltanto la benevolenza di quanti dalla congiuntura di crisi intendono ricavarci i dollaroni. Senza dimenticare la gestione temeraria delle relazioni industriali da parte del ministro preposto Andrea Orlando, intento a baloccarsi con le questioni salariali e occupazionali di sua competenza, mentre l’insofferenza dei nostri lavoratori per gli ingiusti taglieggiamenti subiti e le promesse migliorative mai attuate sta trascinandoli innanzi a un bivio: disperazione o ribellione. E parliamo non di nicchie disagiate, bensì di una componente rilevante della società nazionale. Con le facilmente prevedibili conseguenze in quanto a tenuta della coesione sociale – per non dire di ordine pubblico – che l’espressione imbambolata in permanenza del politico in carriera sembra non tenere minimamente in considerazione.

Dunque, una bella galleria di incoscienti, che al proprio particulare sacrificano qualunque priorità, a partire dall’interesse generale per arrivare alla dignità. Ma che razza di pensieri albergano in quelle loro testoline?

Prendiamo l’ultimo caso citato, l’Orlando stordito: il ragazzotto cresciuto insieme alla quasi coetanea Raffaella Paita (1969 contro 1974) nella Fgci (la federazione dei giovani comunisti) de La Spezia, la città più litigiosamente politicante d’Italia. Così i due personaggetti hanno iniziato una scalata partendo dai polverosi corridoi in penombra di partito, apprendendo un’idea di politica come pura tecnologia del potere. La stessa convinzione che accomuna tutti gli altri folli succitati, il cui distacco dalla realtà assume due aspetti: il carrierismo e la passione per i ricchi; di converso, l’insofferenza nei confronti dei meno abbienti. Quelli che Matteo Renzi definiva “gli sfigati” e François Hollande “gli sdentati”.Tutti figli – questi e quelli – di un unico fenomeno sociale: l’arrivo ai vertici della società di una pletora di parvenu, interessati esclusivamente alla propria ascesa personale. In larga misura allevati alle teorie della cosiddetta Terza Via, promossa negli anni Novanta da Tony Blair, Bill Clinton e Gerard Schröder; gente che si faceva strada incassando il consenso tradizionale del popolo di sinistra e promuovendo politiche di destra. Il motivo per cui ora i giovani e i ceti in difficoltà non si fidano più di questa sinistra: il garden club del Terzo Millennio.

Il circolo dei privilegiati, composto da politicanti e affaristi, a cui sbavano di appartenere anche consistenti fette di giornalismo, anch’esso in carriera e sempre pronto a offrire i propri servizi per acquisire benemerenze. In questo momento cercando di sferrare il colpo finale al tentativo di Giuseppe Conte per salvare il salvabile del lascito Cinquestelle; in quanto realtà incasinata ma estranea alle frequentazioni compromettenti. Dalle “puntuali” accuse al candido fazzoletto a tre punte da taschino di Giuseppi, scambiato per una vaporosa “pochette” multicolore (nevvero, Max Panarari?) alla rimozione del ruolo svolto nell’assegnazione all’Italia del Recovery (da Mariolina Sattanino in giù).

In effetti Conte bersaglio di invettive è la cartina di tornasole della collusione, a mio avviso abbastanza mafiosetta, tra carrieristi a oltranza. Il motivo della mia simpatia nei confronti dell’ex premier, pur riconoscendone i limiti di carattere e di determinazione politica. Insomma, un bravo riformista moroteo di provincia, inviso alla canea di privilegiati posizionali che nelle loro ansia accaparrativa porteranno popolo e Paese allo stremo; a partire dall’indifferenza nei confronti di esclusioni e disuguaglianze. Che necessiterebbero “Aiuti”.

Il Secolo d'Italia e il titolo su Berlusconi: da "sciolga" a "scelga la riserva",15-01-22

Il direttore del quotidiano Fragalà si giustifica: "Colpa del diavoletto della tipografia". Ma la prima pagina, dedicata al vertice a Villa Grande che ha ufficializzato la candidatura al Colle del Cavaliere, sembra un manifesto della destra controcorrente

La riforma fiscale penalizzante per i poveri, i partiti “che non si rendono conto dello stato del Paese”: così si è arrivati allo sciopero. A DIECI ANNI DALL'ULTIMO SCIOPERO GENERALE, A DIECI ANNI DALLO SFASCIO BERLUSCONIANO. COME E' PEGGIORATA LA SITUAZIONE.Dall’operaia al rider, le storie di chi ha scioperato: “Precari, senza tutele, ricattabili e piegati dall’usura. La politica venga a vedere da vicino cos’è il lavoro”. Giornata di proteste indette da Cgil e Uil. Aderisce l’80% dei metalmeccanici. Il centrodestra parla di farsa. M5s e Leu: “Ora dialogo” (la cronaca della giornata). Landini: “Di nuovo in piazza se non avremo risposte” (video) Mappa: chi si ferma e chi no---15-12-21

Silvio Berlusconi, dieci anni fa finiva il ventennio breve del Caimano: un incubo a fasi alterne che ridusse il paese in macerie---12-11-2021

La nuova Liberazione, nella piazza più importante del Paese. La sera del 12 novembre di dieci anni fa. Tre minuti prima delle ventuno. L’auto del premier Silvio Berlusconi arriva in piazza del Quirinale e la folla radunata lì esplode in un boato. Gioia e rabbia. “Ladro, mafioso, bastardo”. Quasi una rivoluzione. C’è pure chi lancia delle monetine, come già contro Craxi al Raphael all’epoca di Tangentopoli. In piazza c’è persino un gruppo di musicisti. Sono professori di conservatorio. Un concerto che si apre con l’Hallelujah per la caduta del governo. Handel.

Il 12 novembre, di sabato, è infatti l’ultimo giorno a Palazzo Chigi del leader di Forza Italia. Un incubo a fasi alterne che va avanti dal lontano 1994. Quattro volte presidente del Consiglio. L’eroe suo malgrado di questa Liberazione è il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Quasi un mese dopo, all’inizio di dicembre, il New York Times lo incoronerà con il titolo di Re Giorgio. In tv, Fiorello nel suo nuovo spettacolo Rai gli dedica al “presidente liberatore” un rap di Fratelli d’Italia.

In dieci giorni, dall’8 al 18 novembre, il ventennio breve di Berlusconi si è sbriciolato sotto la scure dell’Unione europea, tra spread e impegni non rispettati. L’8 novembre la maggioranza berlusconiana, con i Responsabili di Razzi e Scilipoti al posto dello scissionista Fini, alla Camera non ha più i numeri: 308 anziché 316. Il premier va al Colle e promette che si dimetterà. L’indomani Napolitano nomina il primo senatore a vita del suo mandato presidenziale: l’economista Mario Monti. L’investitura è di fatto l’annuncio del suo futuro a Palazzo Chigi. Berlusconi, appunto, si dimette sabato 12. Napolitano incarica Monti e il governo nasce il 16 novembre. Il 17 e il 18, poi, la fiducia in Parlamento.

Berlusconi premier non c’è più. I suoi fedelissimi gridano al “golpe bianco” e al “complotto dei poteri forti”, compreso quel Renato Brunetta che oggi è invece un draghiano di complemento del nuovo Sistema. Questione di poltrone. In ogni caso la fine del Berlusconi di governo non è una tragedia come la rappresentò Nanni Moretti alla fine del Caimano, in un clima da guerra civile davanti al Tribunale di Milano, simbolo di Mani Pulite e degli infiniti guai giudiziari del Satiro di Arcore. No, è una festa in piazza del Quirinale. Dove si alza pure un coro: “Un presidente, c’è solo un presidente”. Meglio, un re. Re Giorgio.

Un Paese in macerie

Il Caimano lasciò un’Italia in macerie. La sua famosa discesa in campo era avvenuta il 26 gennaio 1994. Populista ante-litteram con due decenni d’anticipo su Donald Trump, Silvio Berlusconi travestì il conflitto d’interessi incarnato dal suo impero traballante e indebitato con le banche lanciando una doppia crociata: contro i comunisti e contro il teatrino della politica. In un Paese come il nostro, incline al decisionismo dell’uomo forte, il tycoon del Biscione fu accolto trionfalmente nelle urne delle Politiche del 1994.La sua sequenza storico-elettorale nel bipolarismo della Seconda Repubblica è unica nelle democrazie occidentali contemporanee: vittoria nel 1994, sconfitta nel 1996, vittoria nel 2001, sconfitta nel 2006, vittoria nel 2008. Il crepuscolo di governo iniziò con gli scandali sessuali del 2009, da quello di Noemi Letizia in poi. Il logoramento di B. favorì la cricca interna di Gianni Letta (si pensi alla P4 del lettiano Luigi Bisignani, faccendiere piduista e pregiudicato che “controllava” le ministre forziste) che nella prassi quotidiana aveva sempre affogato nel gestionismo andreottiano di stampo romano la chimera della rivoluzione liberale mai avvenuta. Dal punto di vista politico, il berlusconismo è naufragato tra la Scilla di Gianni Letta e la Cariddi del colbertismo di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia allergico al taglio delle tasse.Poi c’è che più che al governo della cosa pubblica, B. ha badato solo a quello della sua cosa privata. Le leggi ad personam sono state decine sia per la sua persona sia per il suo impero economico. Il suo, per molti versi, è stato un regime con due “nemici”: i magistrati e i giornalisti liberi. Quando la Cassazione lo condannò in via definitiva nell’agosto del 2013 i giudici certificarono pure la sua vocazione naturale a delinquere. Così come condannati sono due dei principali cofondatori di Forza Italia: Cesare Previti (corruzione giudiziaria) e Marcello Dell’Utri (mafia).

Berlusconi è stato il politico che ha sdoganato istituzionalmente i postfascisti del Msi. Tutte cose note, ma che giova ricordare oggi che il Caimano (85 anni) sogna di fare il presidente della Repubblica confidando nella nuova destra di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Matteo Renzi. Del resto, gran parte della classe politica e della classe dirigente lo ha sempre riverito o raccontato come un politico “normale”, nascondendo o facendo finta di non vedere i suoi reati e i suoi vizi.

Bastava guardare la faccia sbalordita di Bruno Vespa, l’altra sera da Floris, quando Alessandro Di Battista spiegava che Berlusconi ha anche dato soldi alla mafia. Non solo. Per i suoi sostenitori ed estimatori, è come se questi dieci anni senza governo avessero conferito a B. un’aureola di saggio padre della patria. Roba da matti.

In ogni caso, al Caimano va dato atto di essere stato l’ultimo presidente del Consiglio “indicato” dal popolo, benché la Costituzione non lo preveda. Da allora non ce ne sono stati più: Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte (il candidato premier del M5S era il capo politico Luigi Di Maio) e adesso Mario Draghi. Ecco, questi dieci anni formano un cerchio che si apre con Monti e si chiude con Draghi. Ma questa è un’altra storia. O no?

 

M5s, l’astensione su Renzi e

 Cesaro è un altro passo

 verso il suicidio--15-12-21

Renzi scrive a Casellati: “Proteggimi dai magistrati”. Dossieraggio, Letta: “Esterrefatto da ciò che ho letto”. Di Maio: “Manie persecuzione all’ennesima potenza”

BIELORUSSIA E RUSSIA COME UNICO STATO

L’Occidente ha accusato il regime di Alexander Lukashenko di aver orchestrato il flusso di migranti come rappresaglia contro le sanzioni Ue. I migranti hanno raccontato di essere stati spinti oltre il confine dalle forze bielorusse e ricacciati indietro da quelle polacche. Una guerra a tutti gli effetti quella scoppiata al confine tra Polonia e Bielorussia, dietro alla quale sembra nascondersi la mano del Cremlino. Russia e Bielorussia operano in questo momento “come un unico stato”, ma rimangono Stati sovrani indipendenti e sovrani, dice Lukashenko dopo che Putin ha smentito di aver alcun ruolo nella crisi dei migranti bloccati al confine con la Polonia. Lukashenko ha anche reso noto di aver chiesto a Mosca il dislocamento in Bielorussia, a ovest e a sud (vale a dire ai confini con Polonia e Ucraina) di “alcune divisioni” di missili russi Iskander con una gittata di 500 chilometri.


 

500 morti nel Mediterraneo da gennaio: triplicati rispetto al 2020

Naufragio in acque libiche, Sos Mediterranée: ‘Cento morti, eravamo in un mare di cadaveri’ 23-04-21. Onu: ‘Gli Stati si sono rifiutati di salvarli’. È l’ennesima strage in mare quella avvenuta ieri sera al largo delle coste libiche. Alarm Phone ha segnalato tre imbarcazioni in difficoltà: un gommone che si è ribaltato, un altro che, dalle informazioni raccolte, è stato riportato in Libia con i cadaveri di una donna e del suo bambino a bordo e una terza barca di cui si sono perse le tracce. Intervenuta sul posto, la Ocean Viking della ong Sos Mediterranée si è trovata di fronte all’ennesima tragedia nel Mediterraneo: “Abbiamo avvistato dieci corpi, ma il mare era molto mosso, impossibile ci siano sopravvissuti“, ha dichiarato Francesco Creazzo di Sos Mediterranée, con le vittime stimate che sono più di 100. “Nel pomeriggio la nave My Rose ha avvistato il gommone, ci siamo avvicinati ed è stato come navigare in un mare di cadaveri. Letteralmente. Del natante restava poco, delle persone neanche il nome”, ha raccontato Alessandro Porro, Presidente della ong. Mentre Safa Msheli, portavoce dell’Oim, agenzia Onu, dichiara: “Gli Stati si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone”.

2021,marzo:quinta rottura della tregua tra Hamas ed Israele. Israele: “Pronti all’invasione di terra a Gaza”. E richiama altri 9mila riservisti: 16mila in totale. Netanyahu e Abu Mazen, bombe per status quo.

Gaza, 122 vittime palestinesi e 7 israeliane. Save the Children: “Raid di Tel Aviv su 31 scuole”. Egitto chiede tregua di alcuni giorni a Israele

Oleodotto Usa, Colonial pipeline cede e paga 5 milioni agli hacker che hanno bloccato i sistemi

 

Francia, Italia, Germania: la corsa ad armare Al Sisi

Libia, dieci anni dopo la rivoluzione. "Eravamo così felici. Invece ci hanno fottuto"

Nel febbraio del 2011 iniziava la rivolta che ha portato alla fine del regime di Gheddafi. Dieci anni dopo, tra guerre civili e conflitti sanguinosi, il Paese ha da poco un nuovo governo. Ecco il racconto di chi ha vissuto tutto questo.

Filmati di Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi
Montaggio di Antonella Vincenzi
Le voci di Libia sono di: Asaad al Jafeer, volontario Libya Red Crescent, e Sandra al-Tunali, vedova di Jamal Al-Tunali, morto il 10 ottobre 2011 combattendo a Sirte

https://video.espresso.repubblica.it/internazionale/libia-dieci-anni/15285/15385?ref=RHTP-BS-I278611553-P11-S5-T1

 

 

 

Assalto dei pro-Trump al Campidoglio di Washington. Spari e armi: una donna è morta, diversi feriti. Biden: "Democrazia sotto assedio". Il presidente uscente blatera: "Sfasciate tutto ed andate a casa"6-01-21

WASHINGTON - Un assalto senza precedenti scuote alle fondamenta la democrazia americana. Centinaia di supporter di Donald Trump hanno preso d'assalto il Campidoglio di Washington mentre era in corso la seduta in cui il Congresso avrebbe dovuto ratificare formalmente la vittoria del presidente eletto Joe Biden.

Nell'aula dove la discussione era appena iniziata hanno fatto irruzione le forze speciali e gli agenti dell'Fbi per proteggere i parlamentari: nei corridoi e nelle poltrone si sono viste persone in tenuta paramilitare, centinaia di sostenitori di Trump, che il presidente aveva prima incoraggiato e poi ha tentato invano di fermare. Una donna - una manifestante pro Trump - è morta. E ci sono diversi feriti. "Non ci arrenderemo mai" aveva detto Trump ai manifestanti radunati a Washington pochi minuti prima che iniziasse la marcia verso il Campidoglio, poi degenerata in violenza. E dopo l'assalto: "È il genere di cose che succedono quando una sacra vittoria elettorale a valanga viene strappata in modo così sgarbato e maligno da grandi patrioti che sono stati trattati male e ingiustamente per così tanto tempo. Ora andate a casa in amore e in pace". Alla fine il Congresso è stato messo in sicurezza ma si è saputo che a chiedere l'intervento della Guardia nazionale è stato il vicepresidente Pence e non Trump, come scrive il New York Times "tagliato fuori dalla catena di comando".  Reazioni sdegnate da tutto il mondo.

La Speaker della Camera, Nancy Pelosi è intenzionata a riprendere i lavori questa sera, appena Capitol Hill sarà sicura. E  il leader della minoranza al Senato, Chuck Schumer, conferma: "Riprenderemo alle 20 (ore due in Italia ndr)

Biden: "La nostra democrazia è sotto minaccia". Trump: "Vittoria rubata ma andate a casa"

"La nostra democrazia è sotto una minaccia senza precedenti, una minaccia che non abbiamo mai visto nella storia moderna". Così il presidente eletto Joe Biden in un discorso alla nazione. Biden ha chiesto a Trump di rispettare il giuramento fatto da presidente e di difendere la Costituzione andando in televisione e lanciando un appello alla calma. Pochi minuti dopo la Casa Bianca ha diffuso un video in cui chiedeva ai suoi supporter di andare a casa ma ribadiva che il risultato elettorale era stato rubato: Capisco il vostro dolore, so che state male, abbiamo avuto un'elezione che ci è stata rubata. Tutti lo sanno, soprattutto l'altra parte, ma ora dovete andare a casa. Serve pace. Serve legge e ordine". Facebook, Youtube e Twitter hanno rimosso i video di Trump: "Istiga alla violenza". E Twitter blocca l'account per 12 ore.

Ossoff vince in Georgia, il Senato passa ai democratici

I candidati democratici avevano bisogno di strappare entrambi i seggi in ballo in Georgia per conquistare anche l'altro ramo del Congresso, dopo aver confermato lo scorso 3 novembre la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti. Dopo lo storico risultato del reverendo Raphael Warnock, che ha battuto Kelly Loeffler diventando il primo senatore afroamericano eletto in Georgia, Jon Ossoff si è imposto su David Perdue per poche migliaia di voti in un risultato incerto fino alla fine. Già prima che il risultato fosse ufficializzato, Ossoff aveva pubblicato un video per ringraziare gli elettori e aveva ricevuto le congratulazioni del presidente e della vicepresidente eletti, Joe Biden e Kamala Harris

Senatori e deputati in una base militare

Senatori e deputati sono stati evacuati dal complesso di Capitol Hill e portati a Fort McNair,  una base dell'esercito vicina a Washington.

Pelosi: "Assalto vergognoso ma Camera al lavoro stasera"

Quello di oggi è stato "un assalto vergognoso alla nostra democrazia. Ma non ci può fermare dalla nostra responsabilità di certificare l'elezione di Joe Biden". Lo afferma la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, indicando che la Camera tornerà a riunirsi in serata per procedere con la certificazione. Quando?  “Quando saremo certi che Capitol Hill è pulita”. Le forze dell'ordine stanno controllando stanza per stanza e pure i sotterranei, temono che qualcuno si sia nascosto per fare altri brutti scherzi quando ricominciano.

 

ELEZIONI USA 2020, dopo un lunghissimo conteggio vince il democratico Biden,ma Trump nega la transizione....

“Le elezioni non sono finite. La falsa proiezione di Joe Biden come vincitore è basata sui risultati in quattro Stati che non sono ancora definitivi. Il presidente Trump sarà rieletto”. La campagna di Donald Trump insiste e riafferma che il tycoon sarà rieletto per un secondo mandato, nonostante il sorpasso di Biden in tutti gli swing states in gioco – Arizona, Nevada, Georgia e soprattutto Pennsylvania, che da sola con i suoi 20 elettori può già determinare la vittoria dell’ex vice di Obama.

Ma Trump, in conversazioni con alleati negli ultimi giorni, ha rivelato che non ha intenzione di concedere la vittoria a Joe Biden, anche se la possibilità di un secondo mandato alla Casa Bianca fosse messa in forse, come sta accadendo ora. Consiglieri, fra cui il capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, non hanno fino a ora cercato di portare Trump ad accettare gli sviluppi in corso per alimentare invece la narrativa delle elezioni rubate, che per ora hanno solo prodotto ricorsi già respinti in Georgia e Michigan, oltre a ripetute insinuazioni su frodi del tutto infondate. Tra le file dei repubblicani, intanto, vari esponenti di spicco prendono le distanze, incluso Larry Kudlow, il consigliere economico del presidente. “Ritengo ci sarà un pacifico trasferimento di potere. Questo è il più grande Paese al mondo e ci atterremo alla legge” se sarà necessario, ha detto a Cnbc.

Situazione territoriale al 10 novembre 2020

     Repubblica d'Armenia.

     Autoproclamata Repubblica dell'Artsakh.

     Territorio della ex-NKAO sovietica.

     Territori precedentemente rivendicati dall'Artsakh

     Territori riconquistati manu militari dall'Azerbaigian

La guerra nell'Artsakh del 2020 (o seconda guerra nel Nagorno-Karabakh) è stato un conflitto armato tra le forze azere e quelle armene per il possesso della regione caucasica del Nagorno Karabakh. Le prime attività belliche ebbero inizio nella mattina del 27 settembre 2020 lungo la linea di contatto dell'Artsakh.

In risposta agli attacchi, l'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh e l'Armenia introdussero la legge marziale e la mobilitazione generale[40][41], mentre l'Azerbaigian solamente la legge marziale e il coprifuoco[42].

Dopo 44 giorni di aspri combattimenti, la sera del 9 novembre i rappresentanti dell'Armenia e dell'Azerbaigian, grazie alla mediazione del presidente russo Vladimir Putin, firmarono un cessate il fuoco per consentire lo scambio di prigionieri e dei caduti, valido dalle 00:00 ora di Mosca (le 01:00 ore locali) del 10 novembre 2020, quarantacinquesimo giorno di guerra.[43]

Gli scontri sono parte della controversia riguardante la regione caucasica del Nagorno Karabakh abitata da una maggioranza armena, riconosciuta internazionalmente come parte dell'Azerbaigian, ma sotto il controllo della repubblica dell'Artsakh[40][44][45][46]. Nel 1988, con la dichiarazione d'indipendenza della regione, scoppiò la guerra del Nagorno-Karabakh che durò fino al 1994, quando i diversi stati belligeranti firmarono l'Accordo di Biškek. L'accordo impose un cessate il fuoco, senza portare ad una risoluzione effettiva della controversia, lasciando la regione sotto il controllo armeno. Nei decenni successivi ci furono diverse violazioni dell'accordo di Biškek lungo il confine tra l'Armenia e l'Azerbaigian: in particolare la guerra dei quattro giorni del 2016 e gli scontri del luglio 2020[47].

Il 29 luglio 2020 l'Azerbaigian iniziò una serie di esercitazioni militari che durarono fino al 10 agosto[48], riprendendoli all'inizio di settembre con l'aiuto dell'esercito turco[49]. Nello stesso mese anche l'Armenia iniziò una serie di esercitazioni militari nella Federazione Russa[50].

Nei giorni immediatamente prima dell'inizio delle azioni militari ci furono segnalazioni secondo cui la Turchia trasferì i soldati dell'Esercito Nazionale Siriano della divisione Hamza in Azerbaigian[51], mentre secondo le fonti turche furono i membri dell'YPG e del PKK ad essere stati trasferiti nel Nagorno Karabakh con l'ordine di addestrare le milizie armene[52].

"Vi racconto la storia di mio figlio Carlo, influencer di Dio"

Assisi  - "Le ultime parole che ha detto? "Muoio felice perché non ho sprecato la mia vita". Mi ha detto che avrei avuto altri figli. Così è stato. E che mi sarebbe stato vicino mandandomi segni. Ne ho avuti tanti". Antonia Salzano è la madre di Carlo Acutis, il giovane milanese morto nel 2006 per leucemia fulminante e che oggi viene beatificato ad Assisi dove il corpo è esposto dopo essere stato trattato con tecniche di conservazio...

 

Siria, escalation a Idlib: Ankara "spinge" i profughi verso i confini dell'Ue

Dura rappresaglia turca contro Damasco, Erdogan manda i profughi in Europa, sente Putin e prepara un incontro. "Solidarietà" dalla Nato, Onu: "Cessate il fuoco". La polizia greca lancia lacrimogeni contro gli sfollati che arrivano al confine.

Onu, 560mila sfollati sono bambini: "Cessate il fuoco"

Sono 950mila i civili siriani sfollati nella regione nord-occidentale di Idlib riferisce l'Ufficio Onu per il coordinamento umanitario (Ocha), nel suo ultimo aggiornamento sulla situazione nella martoriata regione stretta tra l'offensiva russo-governativa e il confine turco. Ocha precisa che gli sfollati dal 1 dicembre a oggi sono 948mila. E che di questi 569mila sono minori, 195mila sono donne. Donne e bambini compongono l'81% dell'intera comunità di sfollati siriani a Idlib. Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres ha sottolineato: "In questi giorni ho avvertito ripetutamente del rischio di una grave escalation delle ostilità nel nord-ovest della Siria. Temo che con gli eventi delle ultime 24 ore abbiamo raggiunto quel punto. E' uno dei momenti più allarmanti del conflitto, senza un'azione urgente il rischio di un'escalation ancora maggiore aumenta di ora in ora. L'esigenza più urgente è un cessate il fuoco immediato prima che la situazione sia completamente fuori controllo".

La polizia greca ha lanciato gas lacrimogeni per respingere i migranti in arrivo dalla Turchia, in seguito alla riapertura del confine con l'Ue. I lacrimogeni sono stati lanciati contro un gruppo di alcune centinaia di migranti, tra cui donne e minori, che stavano attraversando a piedi il confine di Edirne-Pazarkule, prima di essere respinti da lacrimogeni e cariche della polizia. A riportare la notizia l'inviata sul posto della Cnn turca. La Grecia ha potenziato le pattuglie di frontiera.
 

 

A Idlib nel Nord-Ovest della Siria al confine con la Turchia, da settimane si fronteggiano le forze turche con l'esercito di Damasco, sostenuto dalla Russia. Gli sfollati  sono già centinaia di migliaia. Sul campo, il portavoce della presidenza turca, Fahrettin Altun, ha comunicato che "tutte le posizioni note del regime siriano sono state prese di mira dalle unità di terra e aeree" turche "per vendicare i soldati turchi uccisi".

Naufragio Lampedusa, individuati dodici corpi in fondo al mare. C'è anche quello di un neonato abbracciato alla mamma,

7-10-19  Nel 2015 la penultima carneficina: mutamenti climatici, guerre e carestie stanno aumentando i flussi e non si vede una soluzione

Il neonato è ancora lì, in fondo al mare, abbracciato alla sua giovanissima mamma. I sommozzatori della Guardia costiera di Lampedusa hanno localizzato il barchino affondato lunedì scorso a sei miglia da Lampedusa e attorno dodici dei diciassette corpi ancora dispersi. E non è escluso che attorno ce ne siano ancora.

Il relitto si trova a 60 metri di profondità e dopo giorni di lavoro incessante di tutti i nuclei sommozzatori disponibili guidati dal comandante Raiteri, i corpi sono stati ripresi dal robot sottomarino a comando remoto della Guardia costiera. Per il recupero di tutti i corpi, che naturalmente sono in condizioni pietose, occorreranno diversi giorni ma già da domani i sommozzatori si metteranno al lavoro per accelerare i tempi approfittando del fattore tempo.
 

Il barchino è quello affondato all'alba del 7 ottobre a sole 6 miglia da Lampedusa quando, dopo aver dato chiamato i soccorsi, alla vista delle motovedette giunte dall'isola, alcuni dei migranti a bordo cominciarono ad agitarsi provocando il ribaltamento e il rapido affondamento dell'imbarcazione che era rimasta senza benzina e stava imbarcando acqua.
Tredici le salme recuperate, tutte di giovani donne di origine ivoriana ( e tra loro una bambina di dodici anni), ventidue i superstiti. La guardia costiera non ha mai rinunciato alla ricerca dei corpi nonostante i primissimi giorni dopo il naufragio le condizioni meteo fossero proibitive. Appena il mare lo ha consentito i sommozzatori sono tornati in acqua e stamattina sono riusciti ad individuare il relitto.

"Ci abbiamo creduto fino alla fine - dice il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella che coordina le indagini - La Guardia costiera ci ha creduto e non ha mai mollato. Il barchino è stato individuato grazie a un sonar a quelle profondità i sommozzatori possono stare davvero pochi minuti"

1-02-20 è Brexit

Altro trionfo della politica degli slogan. Boris Johnson vince le elezioni nel Regno Unito ripetendo un singolo mantra Get Brexit Done e concentrandosi su un singolo tema: la Brexit. Come Make America Great di Donald Trump dietro c’è ben poco, gli strateghi della vittoria consigliano infatti di tenersi il più possibile sul vago, di non entrare mai nello specifico – evitando così di essere criticati ed attaccati su proposte concrete -, di lasciare che l’immaginazione dell’elettorato riempia i grandi vuoti della politica. Vince anche lo stile da bulletto del quartierino, copiato di sana pianta da Trump, che però Johnson ha nel sangue, come dimenticare che quando faceva il giornalista si inventò di sana pianta una citazione e venne licenziato?

 Avere empatia denota debolezza, altra regola per una vittoria sicura, il leader deve essere un uomo d’acciaio, un uomo forte.

Queste le regole della moderna democrazia, una democrazia composta da gente sempre più incapace di processare concetti complessi, isolata socialmente perché vive su Twitter, Instragram e conversa con amici e parenti su Facebook con frasi corte, semplici ed immagini e video del quotidiano.

Nonostante la schiacciante presenza dei laburisti sui social media, Jeremy Corbyn ed i suoi seguaci hanno condotto una campagna vecchio stampo, con tanto di programma dettagliato e proposte concrete. Errore ancora più grande offrire al popolo una seconda scelta, un nuovo referendum. I conservatori l’hanno usato abilmente come un jolly, ricordando alla gente il caos politico creato dal primo.

Persino i mercati finanziari, tradizionalmente cinici e poco sensibili alla propaganda, sono caduti nell’incantesimo della politica degli slogan.

Trump tira l’acqua soltanto al suo mulino. A quel punto ne vedremo delle belle dal momento che Make American Great potrebbe entrare in rotta di collisione con Get Brexit Done

Ancora più preoccupante è la vittoria dello Scottish National Party (SNP) che fa presagire un ritorno delle pressioni per l’indipendenza scozzese, un nuovo referendum dunque. Adesso che la Brexit è una certezza il fronte indipendentista potrebbe facilmente vincere il referendum. Si profila all’orizzonte una rottura del Regno Unito? E’ quanto molti temono anche perché l’accordo preliminare con Bruxelles introduce nel mare d’Irlanda una frontiera interna, tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica Irlandese ed il resto del paese.

Dopo 8 anni di combattimenti i Curdi optano per il ritiro dal Nord Siria

 

 

 

 

 
 

2019

Siria, Trump lascia il via libera alla Turchia per poter invadere il Nord Siria : “Via da guerre ridicole”.

Gli Stati Uniti si ritirano, la Turchia avanza, i curdi si dicono pronti a difendere a ogni costo il nord della Siria. Con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che minaccia: “L’operazione potrebbe iniziare in qualsiasi momento”. In una nota di appena dodici righe gli Usa comunicano una scelta che potrebbe stravolgere gli esiti della guerra in Siria, causare un nuovo conflitto con i curdi e permettere la liberazione di molti prigionieri Isis nelle carceri. Un comunicato che arriva dopo una telefonata tra il presidente Donald Trump e quello turco che è di fatto il via libera di Washington ad Ankara a entrare in territorio siriano. Un’operazione militare che spazzerebbe via le forze curde, finora appoggiate proprio dagli americani. La Associated Press ha scritto che la Turchia invaderà il Nord della Siria, citando fonti di Washington. A descrivere la situazione sono le parole coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Siria, Panos Moumtzis: “Non sappiamo cosa accadrà (…) Ci stiamo preparando al peggio“.

“È il momento per noi di sfilarci da ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali. E’ il momento di riportare i nostri soldati a casa”, ha twittato Donald Trump, spiegando così la decisione degli Usa di ritirarsi dal confine. “Combatteremo solo dove avremo benefici e combatteremo solo per vincere. Turchia, Europa, Siria, Iran, Iraq, Russia e i curdi dovranno risolvere la situazione e capire cosa voglio fare con i soldati dell’Isis catturati”. In un altro tweet, il presidente Usa ha aggiunto: “Gli Stati Uniti dovevano stare in Siria per 30 giorni, ma questo era anni fa. Siamo rimasti e siamo rimasti coinvolti in una profonda battaglia senza obiettivo in vista. Quando sono arrivato a Washington l’Isis dilagava nell’area. Abbiamo rapidamente sconfitto il 100% del califfato dell’Isis”, sostiene Trump. Le forze curdo-siriane definiscono la mossa di Trump “una pugnalata alle spalle” e fanno sapere di esser pronte a “difendere a ogni costo” il nord-est della Siria. “La zona è ora diventata un teatro di guerra. Noi siamo determinati a difendere il nordest a ogni costo”, ha detto il portavoce delle forze curdo-siriane, Mustafa Bali, citato dai media locali e regionali. Prima ancora di queste dichiarazioni le Forze democratiche della Siria (l’alleanza curdo-araba delle Fds) avevano replicato con una serie di tweet sostenendo che un “attacco turco” rischierebbe di annullare i successi nella lotta all’Isis e di fare della Siria una “zona di conflitto permanente”. Le Fds affermano di aver rispettato gli impegni previsti dall’ “accordo sul meccanismo di sicurezza, smantellando le fortificazioni militari tra Tell Abyad e Ras al-Ayn, ritirando le unità di combattimento con le armi pesanti” dalle zone lungo il confine con la Turchia. “Tuttavia – affermano – le minacce di Erdogan hanno come obiettivi quelli di cambiare il meccanismo di sicurezza in un meccanismo di morte, di fare sfollati tra la nostra gente e trasformare la regione sicura e stabile in una zona di conflitto e guerra permanente. Mentre la comunità internazionale cerca una soluzione politica per la Siria – aggiungono le Fds – il popolo siriano soffre da anni per la guerra”.

2018

La battaglia di Idlib

Nella notte tra il 7 e l’8 settembre 2018 sono ripresi gli attacchi russi contro la provincia siriana di Idlib, l’ultima roccaforte ancora in mano ai ribelli che si oppone al governo di Bashar al-Assad.

A dare la notizia è stato l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha definito i nuovi raid “i più violenti” da un mese. Secondo l’Osservatorio, le forze di Damasco e Mosca hanno colpito la provincia settentrionale almeno 60 volte in meno di 3 ore, provocando la morte di 4 civili.

 
 

La conquista di Idlib, manu militari o meno, rappresenterebbe una grande vittoria per la Russia, che potrebbe così mantenere al-Assad al potere e negoziare un accordo politico con gli altri attori internazionali attivi in Siria da una posizione di forza.

2017

Attentati e caduta di Mosul-Raqqa, assalto all'Isis e fallimento afgano. Il pianeta in mano ai ricchi.

Trump inverte la rotta in Afghanistan
‘Più uomini, resteremo fino alla vittoria’
: è il sedicesimo anno di occupazione dello stato asiatico.

‘L’obiettivo era colpire la Sagrada Familia: 16 morti sulle Ramblas di Barcellona, il commando di ragazzetti indottrinati massacrato: 20 agosto 2017
Giudice concede la libertà a un sospettato

E spunta il nome del bombarolo dell’Isis

BATTAGLIA DI MOSUL:17 ottobre 2016- 9 luglio 2017.

 

 

 

Iraq, forze irachene a Falluja   video   -   foto   battaglia contro l'Is per riconquistarla

Politica Interna

 

2022

 

 

 

2021

 

 

Risultati voto M5s su Rousseau: vince il Sì al governo Draghi. Di Maio: “Scelto il coraggio e la via europea”. Di Battista: “Mi faccio da parte”.Il Movimento 5 stelle entrerà nel governo Draghi. La linea di Beppe Grillo e dei vertici M5s per il sostegno all’esecutivo tecnico-politico ha superato l’esame della piattaforma Rousseau: 44.177 i voti a favore (59.3%) 30.360 i contrari (40.7%). Un passaggio decisivo per il M5s che ha affrontato una delle votazioni più difficili della sua storia e che ora, in nome della “responsabilità”, si prepara anche a perdere alcuni pezzi. Il primo strappo è stato quello dell’ex deputato Alessandro Di Battista che, poco dopo l’annuncio, in video ha dichiarato: “Rispetto la decisione degli iscritti, ma non posso digerirla. Mi faccio da parte e non parlerò più a nome del Movimento”.Il voto su Rousseau infatti, non era per niente scontato e fino all’ultimo nei corridoi si è parlato di un “testa a testa”: per i 5 stelle decidere di entrare nel governo insieme a Forza Italia e al nemico giurato Silvio Berlusconi è sempre stato ritenuto un passaggio inaccettabile. E senza l’intervento diretto di Beppe Grillo, molto difficilmente i leader sarebbero riusciti a far passare la decisione: il garante non solo ha gestito personalmente le trattative con l’ex presidente della Bce, ma ha sbloccato la convocazione del voto su Rousseau solo dopo aver ottenuto la conferma pubblica che ci sarà il super ministero green per la transizione ecologica. Fondamentale sicuramente anche l’appoggio di Giuseppe Conte, aspirante leader del Movimento e punto di riferimento per i gruppi parlamentari.“Stavolta non ce la faccio. Da diverso tempo non sono in accordo con alcune scelte del Movimento 5 stelle, è più che legittimo. Non posso far altro che farmi da parte. Da ora in poi non parlerò più a nome del Movimento 5 Stelle anche perché in questo momento il Movimento non parla a nome mio”. L’annuncio di Alessandro Di Battista arriva attraverso il suo profilo Facebook, con un breve video pubblicato nemmeno due ore dopo la certificazione del sì del Movimento 5 stelle al governo guidato da Mario Draghi. La linea di Beppe Grillo e dei vertici M5s ha infatti superato l’esame della piattaforma Rousseau, con oltre 44mila voti a favore (59.3%) e 30mila contrari (40.7%). Di Battista ringrazia gli iscritti di cui dice di “rispettare la decisione” e Beppe Grillo per avergli insegnato “a prendere posizione, anche andando controcorrente”. Proprio il cofondatore e garante si era speso in prima persona per la vittoria del sì, con un’entrata in campo probabilmente dirimente per orientare la base. Di Battista però precisa di non voler fare polemiche. “Le decisioni si devono rispettare ma si possono anche accettare. Però la mia coscienza politica non ce la fa a digerirle. Con il Movimento è stata una bellissima storia d’amore, piena di gioie e battaglie vinte. Anche con diverse delusioni e qualche battaglia disattesa o persa però questa è la politica. Non posso andare avanti, non posso non considerare determinate mie opinioni, determinate mie convinzioni politiche. Non posso proprio andare contro la mia coscienza”. 

 

 

 

2019

Nel mese di agosto,la forte calura e tonnellate di mojito, convincono il "verde" Salvini a chiudere il governo. In barba ad ogni pronostico nasce a settembre il Conte 2 con una maggioranza M5S-PD. Subito il varo della nuova Finanziaria con il peso della "clausola IVA", Quota Pensioni e controllo del Mostro Debito Pubblico ormai fuori controllo.

Referendum Costituzionale per la diminuzione dei parlamentari? Eticamente dovrebbe essere sempre cosi!!

Approvata la legge che modifica la Costituzione e riduce il numero delle poltrone, i parlamentari si organizzano per evitare che entri in vigore. Se in favor di telecamere, il 7 ottobre scorso, la Camera ha votato con un plebiscito (solo 14 i contrari) per tagliare 230 deputati e 115 senatori, ora che le acque si sono calmate sono quegli stessi eletti che hanno votato a favore della riforma a mobilitarsi per salvare le poltrone. Qualcuno lo aveva ipotizzato, altri erano arrivati perfino a dichiararlo, ma in pochi pensavano che ci sarebbe stato qualcuno pronto a fare campagna per evitare il taglio. Invece, due settimane dopo il via libera definitivo, è partito l’iter per chiedere un referendum confermativo sulla riforma costituzionale voluta dal M5s: per chiederlo c’è tempo fino a dicembre e servono 1\5 dei componenti di Camera o Senato o le firme di 5 consigli regionali o 500mila elettori. L’iniziativa è bipartisan e tra i primi firmatari, ci sono: esponenti di Forza Italia, i renziani di Italia viva, il Pd e i Radicali. La prima istanza, promossa su iniziativa della Fondazione Einaudi, è stata depositata in Senato la scorsa settimana e sottoscritta dagli azzurri Nazario Pagano e Andrea Cangini, l’ex M5s Gregorio De Falco, la renziana Laura Garavini, il dem Tommaso Nannicini. Un’altra richiesta è stata depositata alla Camera a firma di Deborah Bergamini (Fi), Roberto Giachetti (Iv) e Riccardo Magi (+Europa). Proprio Giachetti, durante le dichiarazioni di voto nel giorno in cui il ddl fu approvato, aveva annunciato che pur votando a favore si sarebbe mosso da subito per raccogliere le firme e bloccare il provvedimenti.

Oggi è stato dato l’annuncio in Aula a Palazzo Madama e Forza Italia ha attaccato i 5 stelle accusandoli di rinnegare se stessi e di non voler chiedere l’opinione degli elettori. “Dice il senatore Perilli”, si legge in una nota congiunta firmata dagli azzurri Pagano e Cangini, “che per il Movimento 5 stelle ‘il fatto che i cittadini possano esprimere la propria volontà attraverso un referendum è cosa sacra’. Bene, ma allora perché non hanno preso loro l’iniziativa e perché nessun senatore grillino ha ancora firmato la richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari? Dal sacro al profano, evidentemente, per i grillini il passo è breve“. I senatori forzisti hanno anche ricordato che l’iniziativa non è marchiata Forza Italia, ma aperta a tutti i parlamentari “interessati”: “Giova ricordare al capogruppo M5s che l’iniziativa della raccolta di firme non appartiene ad alcun partito ma proviene da una platea trasversale di senatori interessati ad avviare nel Paese una riflessione seria ed approfondita sul valore della democrazia rappresentativa e delle Istituzioni. Valore che con tutta evidenza i grillini non riconoscono”.

 

 2018

 

Le minacce dell'Europa ai Giallo-Verdi:

Manovra, Goldman Sachs: “Pressione dei mercati imporrà disciplina di bilancio”. Dombrovskis: “Cambio di toni non basta”4-12-18

Premessa. “Anche solo alludere a un contratto M5S + Pd è folle. M5S + Lega sarebbe il male minore, però un governo di scopo breve e poi al voto. Chi parla di Salvimaio, e ancor più di Grillusconi, è un disadattato neuronale perché non sa di cosa parla. Di Maio non sarà mai Premier di nulla. I 5 Stelle non andranno mai al Governo. Di Maio non ha nessun motivo di ridere, straparla di “cambiamento” e quando dice che “dureremo 5 anni” fa ridere. Dipende tutto da Salvini: se non è convinto dal Salvimaio, fa saltare il banco e vince da solo col centrodestra al prossimo giro”. E’ quel che ho scritto in questi mesi, dal 4 marzo a oggi, evitando volutamente di scrivere alcunché quando quasi tutti (io no) davano per scontata la nascita del governo Conte. Ovviamente ci ho preso su tutta la linea (giusto per esagerare, ho preso pure l’Inter in Champions League). Io non sbaglio mai. E se sbaglio è perché lo decido io. Quando volete sapere come andranno le cose, chiedetelo a me. Andrea Scanzi

 Il 4 marzo 2018 si sono tenute le elezioni per la XXVIII legislatura italiana, elezioni con risultati sorprendenti: il movimento 5 stelle, orfano dei due fondatori, diventa il primo partito nazionale, a ruota segue la lega che il nuovo segretario salvini ha svincolato dal nord per diventare a carattere nazionale. Tracollano i partiti del nazzareno, ovvero forza italiota e partito della diossina, completamente disintegrati dai loro stessi padroni, troppo permeati dal loro ego smisurato per accorgersi delle macerie intorno. praticamente spariscono i partiti tradizionali che passarono dalla prima alla seconda repubblica e solo l'incasinatissima legge elettorale permette loro gli strapuntini. essendo due forze completamente eterogenee e fuori campo, con in piu' per la lega il fardello dell'alleanza con l'ottuagenario pederasta, ci sono voluti oltre settanta giorni di trattative per scalzarlo, tuttavia al 25 maggio esiste la nomina del premier ma non della squadra dei ministri. nel frattempo dall'europa arrivano segnali di inquietudine: l'estabilishment d'altissimo livello vede con sospetto questa aquila bicefala senza alcun riferimento ideologico e martella sullo spread che fa crescere artificiosamente come forma di intidimidazione.

 nasce il patto di potere movimento 5 stelle-lega

2017

 Terremoti e crollo del PD, la fine di Riina, inquinamento e sempre più siccità.

 


 

STORIA DI LIBIALIA

LA PROGRESSIVA CADUTA DI LIBIALIA

DALLE DUE SPONDE DEL  Mediterraneo alla RIDOTTA DI    MEDIASET IN ROSSO ESTREMO; STA FINENDO UN'EPOCA (leggi in Internotizie Mobile)

Il 20 ottobre 2011 cosi' l'ex Cavaliere stigmatizzava l'uccisione del suo amico Gheddafi: Sic Transit Gloria Mundi. Valeva per gli altri naturalmente non per lui. Poi arrivo' lo SPREAD a 575....

azza via il centrodestra
Il Lazio cambia pelle: 4 sindaci al M5S. In Sicilia il Pd perde quasi ovunque

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È morto Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica. Una vita da giornalista patriarca | Un'avventura straordinaria. L'intellettuale amato dal popolo-14-07-2022

 

Addio "Sonny Corleone", è morto James Caan, tra i protagonisti del "Padrino" di Coppola--07-07-22

Gomorra 5, l’attesissimo gran finale: dal clamoroso colpo di scena allo scontro all’ultimo sangue tra i due boss, ecco cosa succede

Venerdì 19 novembre debutta infatti su Sky e Now Tv la quinta e ultima stagione, con dieci nuovi episodi e un clamoroso colpo di scena: il grande ritorno di Ciro Di Marzio, l’iconico Immortale, che Genny Savastano, dal bunker dov’è costretto alla latitanza, scoprirà essere ancora vivo e nascosto in Lettonia.

l conto alla rovescia è ufficialmente scattato: per gustarsi l’atto finale di Gomorra, la serie culto nata da un’idea di Roberto Saviano e diventata in pochi anni un vero e proprio fenomeno globale (è stata esportata in 190 paesi e il New York Times l’ha inserita al quinto posto fra le produzioni non americane più importanti del decennio 2010/2020), non resta che aspettare poche ore. Venerdì 19 novembre debutta infatti su Sky e Now Tv la quinta e ultima stagione, con dieci nuovi episodi e un clamoroso colpo di scena: il grande ritorno di Ciro Di Marzio, l’iconico Immortale, che Genny Savastano, dal bunker dov’è costretto alla latitanza, scoprirà essere ancora vivo e nascosto in Lettonia.

COLPO DI SCENA: L’IMMORTALE È VIVO – Aveva solo ventuno giorni quando il terremoto uccise gli abitanti del palazzo dove viveva: morirono tutti tranne lui. Ecco perché Ciro Di Marzio, incarnato da Ciro D’Amore, è diventato per tutti “l’Immortale”. Ma si è salvato due volte, anche quando Genny (Salvatore Esposito) ha cercato di ucciderlo sullo yatch e ci è quasi riuscito: il proiettile però si è fermato a un centimetro dal cuore. Don Aniello prima lo ha salvato e poi l’ha mandato a nascondersi lontano dall’Italia, a Riga. Nessuno sa che lui è sopravvissuto, ma la quinta stagione di Gomorra comincia proprio con una svolta inaspettata: Genny scoprirà la verità e sfidando la latitanza lo andrà a cercare in Lettonia. A quel punto, il confronto finale tra i due sarà inevitabile.

GENNY SAVASTANO VUOLE DISTRUGGERE I LEVANTE – Il personaggio chiave di Gomorra 5 resta Genny Savastano, interpretato da Salvatore Esposito, che prima di affrontare lo showdown finale con l’Immortale, dovrà però fare i conti con una durissima latitanza. Gennaro aveva provato a costruirsi una vita onesta, trasformandosi da narcotrafficante a imprenditore, ma il suo progetto si era sgretolato davanti alla guerra tra Patrizia e i Levante. E per farlo, ha pagato un prezzo altissimo, abbandonando la compagna Azzurra e Pietrino nel cuore della notte, senza dire una parola. Il pubblico lo ritroverà rinchiuso in un bunker claustrofobico, braccato dalla polizia e divorato dal desiderio di distruggere i fratelli Levante e riprendersi la sua famiglia. Ma la notizia che l’Immortale è vivo scompaginerà tutti i suoi piani.LE ANTICIPAZIONI DI GOMORRA 5 – Rinchiuso in un bunker di tre metri per tre, Genny ha un solo alleato: è ‘O Maestrale, il violento boss di Ponticelli, che vede nell’alleanza con Savastano la sua occasione di rivalsa dopo vent’anni di carcere. I due hanno un obiettivo e nemici comuni: Ciccio, Saro e Grazia Levante, che vanno eliminati. Ma a sconvolgere ogni mossa è la notizia che Ciro è ancora vivo e sta a Riga. È stato Don Aniello a mandarlo lì, dopo averlo salvato in mezzo al golfo di Napoli dopo lo scontro a fuoco con Genny. Quest’ultimo, sconvolto dalla notizia, parte per la Lettonia: dopo un anno di silenzio, i due saranno di nuovo faccia a faccia, pronti a confessarsi ciò che non sono mai riusciti a dirsi prima. Per entrambi tutto sta per cambiare per sempre proprio mentre Napoli è senza un re e solo nuove guerre e nuovo sangue sanciranno chi si siederà di nuovo sul trono.

CHI SONO I NUOVI PERSONAGGI – Accanto ai personaggi chiave, ci saranno diverse new entry, alcune delle quali giocheranno un ruolo centrale negli snodi della trama. Come Mimmo Borrelli, nei panni di Don Angelo, ‘O Maestrale: il feroce boss di Ponticelli che si rivelerà fondamentale al fianco di Genny nella guerra contro i Levante per riprendersi Secondigliano. Sua moglie, Donna Luciana (interpretata da Tania Garribba) è invece una donna dal carattere feroce e dall’intelligenza raffinata. Carmine Paternoster sarà ‘O Munaciello, uno degli spietati capipiazza di Secondigliano, Antonio Ferrante invece è Vincenzo Garignano (anziano boss di un piccolo paese alle pendici del Vesuvio), mentre Nunzia Schiano è Nunzia, donna fiera e infaticabile, da quasi cinquant’anni sua devota moglie.

IL DOPPIO RUOLO PER MARCO D’AMORE – Per Marco D’Amore il ritorno sarà in un doppio ruolo, quello di attore e di regista: dopo aver diretto quattro episodi di Gomorra 4 e L’immortale (il film che di fatto fa da ponte narrativo fra la quarta e la quinta stagione), nell’ultima stagione della serie firmerà i primi cinque episodi e il nono. «Ho debuttato alla regia durante la quarta stagione, osservando Gomorra per la prima volta dall’altra parte della barricata e in quest’ultima ho raccolto un testimone pesante. Prima di me grandi registi, con sapienza e talento, hanno costruito un progetto che ha saputo parlare al mondo, mettendo in scena personaggi obliqui, tridimensionali, neri eppure affascinanti», spiega alla vigilia dell’ultimo capito. Poi ammette: «Ogni giorno ho benedetto e maledetto il successo ottenuto». Ma come sarà questo atto finale? «Un crepuscolo del mondo criminale e dei suoi protagonisti. Seppur attraverso dei movimenti laterali, Ciro e Genny sono cambiati molto e ora osserviamo il loro invecchiamento in un mondo che diventa sempre più difficile».IL RITONO ALLE VELE DI SCAMPIA – Spazi industriali abbandonati, zone popolari mai viste prima ma anche un complesso residenziale nel cuore di Napoli, progettato dal visionario architetto Loris Rossi, che diventa un’arena perfetta per alcuni delle scene cult di questa attesissima stagione finale. È un lavoro complicato e una sfida continua la ricerca delle location per Gomorra e l’obiettivo è doppio: restare fedeli all’immaginario collettivo ma senza ripetersi. Una regola che non vale per uno dei luoghi iconici della serie, le Vele di Scampia: «Un tributo finale alla location che maggiormente ha contribuito a creare il grande racconto per immagini che è Gomorra, diventandone il simbolo», spiegano Adriana Malinconico e Vincenzo Busiello, che hanno scelto le location della serie, girata fra Napoli, Riga e Roma.

 

Carrón si dimette: Comunione e Liberazione, una crisi decennale

Comunione e Liberazione ha un nome bellissimo di cui si riconosce l’impronta sessantottina, anche se ben presto Cl si sarebbe offerta alla gioventù cristiana lombarda come contraltare del movimento di rivolta, vera e propria antitesi culturale del Sessantotto. Non accontentandosi di una presenza religiosa, nella sfida di quegli anni Cl scelse di consolidarsi attraverso “opere” che presero la forma del potere. E diede vita a un inedito clericalismo dal basso che l’ha favorita anche nella battaglia delle preferenze, prima dentro la Dc e poi in Forza Italia. Procurandole inoltre una speciale benevolenza dei due pontefici conservatori Wojtyla e Ratzinger.

La crisi che oggi si manifesta con le dimissioni anticipate di Julián Carrón in realtà covava da tempo. Trae origine dalla lettera con cui, quasi dieci anni fa, lo stesso Carrón prese le distanze dagli scandali del politico ciellino più in vista, Roberto Formigoni: “Se Cl è identificata con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato”. Quella svolta voluta da Carrón fu male accolta, in quanto atto di debolezza, da esponenti come don Luigi Negri e Giancarlo Cesana (oltre che, naturalmente, dallo stesso Formigoni).

Il sacerdote spagnolo che don Giussani scelse come successore, preferendolo a esponenti italiani più carismatici e combattivi, annunciava un distacco dalle contese ideologiche e politiche, nonché un colpo di freno alla ricerca di posti di potere. Non tutta la vecchia guardia ha gradito. Più o meno apertamente, Carrón è stato accusato di rinunciare alla difesa dei ciellini inseriti nell’establishment, nel mentre privilegiava la dimensione internazionale del movimento e l’attività educativa delle scuole parificate. Anche il recente commissariamento vaticano dei Memores Domini, ordine monastico laico di Cl cui appartiene lo stesso Formigoni, è derivato dalla messa in discussione del ruolo di guida spirituale di Carrón. Il quale ha rotto gli indugi dichiarando aperta una crisi che era già latente.

Lo ha fatto con due anni di anticipo sui limiti temporali del suo mandato, condividendo le nuove disposizioni di papa Francesco: d’ora in poi nei movimenti ecclesiali il ricambio della leadership deve scaturire dal coinvolgimento degli associati, scongiurando pericolose investiture a vita.

Per Comunione e Liberazione questo è davvero un passaggio epocale, forse più ancora che per i Focolarini e gli altri movimenti interessati dal provvedimento. Nel libero dibattito che lo stesso Carrón chiede si svolga prima della successione, se sarà pubblico come egli si augura, emergeranno le contraddizioni di una storia lunga ormai più di mezzo secolo. L’esaltazione dello spirito di appartenenza, che in passato è servito a giustificare la spregiudicatezza della lunga marcia dentro il potere, troverà ancora nostalgici sostenitori? Oppure il distacco dalle tentazioni materiali perseguito da Carrón camminerà sulle gambe delle nuove generazioni cielline, quelle cui non è mai stato chiesto di schierarsi in politica?

Di più. Comunione e Liberazione è chiamata a fare i conti con la sua adesione a una visione tradizionalista del ruolo pubblico della Chiesa, quello impersonata a lungo, per esempio, dal cardinal Ruini; e dall’ostilità con cui ha sempre guardato alle esperienze del cattolicesimo democratico (memorabile resta il giudizio sprezzante sull’episcopato milanese del cardinal Martini). Insomma: nelle tempestose vicende della Chiesa contemporanea guidata da papa Francesco, il movimento ciellino è destinato a rimanere parte dello schieramento conservatore?

Una cosa è certa. Il progressivo estinguersi del lascito culturale sessantottino rende anacronistico anche il movimento dell’anti-Sessantotto, chiamato a rinnovare la sua stessa idea di cristianesimo.

 

 

Perù, ritrovato dopo 140 anni il manoscritto con le memorie degli Inca. Il documento del 1838 dal "valore incalcolabile" recuperato in Brasile. Si tratta di testimonianze storiche del periodo Inca fino all'arrivo degli spagnoli nel XVI secolo. Dopo 140 il Perù ritrova il prezioso manoscritto del XIX secolo contenente le memorie di antichi governanti Inca. Ne dà notizia il Canal N della tv peruviana mostrando il documento scomparso durante l'occupazione cilena di Lima nella Guerra del Pacifico (1879-1884). Il testo, intitolato Ricordi della monarchia peruviana o ritratto della storia degli Inca, era stato scritto nel decennio del 1830 da Justo Apu Sahuaraura Inca (1775-1853), discendente per linea materna dall'imperatore Inca, Huayna Cßpac (1493-1525) e dal principe Cristóbal Paullo Inca (1518-1549)."Il valore di questo manoscritto datato 1838 è incalcolabile", ha assicurato Gerardo Trillo, direttore del dipartimento Protezione delle collezioni della Biblioteca nazionale, presentando il prezioso documento ritrovato in Brasile.Per la sua redazione Sahuaraura, che si definiva "ultimo discendente della stirpe imperiale degli Inca", aveva potuto consultare documenti - oggi perduti - con cui aveva ricostruito il periodo Inca fino all'arrivo degli spagnoli nel XVI secolo. Il testo contiene informazioni sull'Inca Garcilaso de la Vega, il primo intellettuale meticcio d'America (1539-1616), oltre a racconti dell'ingresso degli spagnoli a Cusco, capitale dell'Impero Inca, nel sud-est del Perù. Inoltre include una cronologia incaica e altre informazioni storiche dell'epoca.Accademico dei Lincei, storico collaboratore del Corriere della Sera, ha pubblicato numerosi saggi: uno dei più noti è e resta Ritornare a Parmenide, uscito nel 1965 su una rivista, che fece scalpore e generò grande dibattito nel mondo filosofico. Quelli in volume sono stati pubblicati per la maggior parte da Rizzoli e soprattutto dalla casa editrice più affine al suo spirito speculativo, la Adelphi di Roberto Calasso. Fra i tanti ricordiamo La struttura originaria (1957),  Essenza del nichilismo (1972), Legge e caso (1979), Le radici della violenza (1979); Destino della necessità (1980). L'ultimo uscito è Testimoniando il destino (2019), in cui tutti i punti della visione "parmenidea" di Severino vengono recapitolati: "Non basta possedere un campo: bisogna coltivarlo - è scritto - E anche questo libro intende indicare l'autentica 'pianura della verità'".

 

 

 

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Sassoli, una vita tra giornalismo e istituzioni. Solidarietà, diritti umani e un’Ue più unita: il suo mandato a Bruxelles in piena pandemia....11-01-22

È morto Marco Mathieu. La musica, i viaggi, il giornalismo a Repubblica e una risata piena che non sentiremo più

Dal 13 luglio 2017, giorno dell'ictus mentre era in motorino a Ostia, non aveva mai ripreso conoscenza. Oggi è morto al presidio San Giacomo, nella sua Torino, a 57 anni

Sono quattro anni e mezzo che aspettiamo di ascoltare ancora una volta quella sua risata. La grassa, gioiosa, vitale, inconfondibile, piena, pienissima risata di Marco Mathieu. Invece non la sentiremo più. Il miracolo non è accaduto. Marco è morto stamattina al Presidio San Giacomo di Torino, la sua città. Aveva 57 anni. Lascia i genitori Paola e Bruno, la sorella Patrizia e una marea di amici, fuori e dentro la redazione di Repubblica, che gli volevano bene.

Dal 13 luglio del 2017, il giorno in cui ha avuto un ictus mentre era in motorino ad Ostia, non aveva mai ripreso conoscenza. Per tutto questo tempo era rimasto immobile su un letto di ospedale, lui che immobile non era stato mai.

Se fosse qui adesso ci direbbe di tagliare corto con la retorica e andare dritti al punto, "perché la gente vuole sapere qual è la storia vera". Eccola, dunque, la storia vera. Marco Mathieu ha vissuto decine di vite, tutte magnifiche. È stato il bassista dei "Negazione", hardcore band torinese attiva tra il 1982 e i primi anni Novanta (sei album, più di mille concerti), ed è stato scrittore, giornalista, viaggiatore, sceneggiatore, documentarista, amante dell'esistenza, entusiasta, buddista, e - ci piace ricordare - arcigno difensore centrale nel calciotto del mercoledì a cui non mancava mai. Ti menava, ma poi ti chiedeva scusa e ci aggiungeva la famosa risata, come facevi ad arrabbiarti.

 

Un giorno, nei primi anni Novanta, posò il basso nella custodia e non lo riprese più. "Ho imparato a suonarlo mettendo i foglietti sulle corde per ricordarmi le note, mica ho studiato musica!", raccontava divertito a chi gli chiedeva perché. "Quando ho deciso di smettere, l'ho fatto senza rimpianti". Trasferitosi a Milano, ha lavorato a Gq Italia per cui ha fatto l'inviato speciale poi è passato nelle redazioni di D, Diario, Tuttomusica. Nel 2011 è approdato nella redazione romana di Repubblica con la qualifica di vice-caporedattore.

Il suo arrivo in Cronaca Nazionale era avvolto da un'aura di mistero, la metà dei colleghi aveva ascoltato i suoi dischi e nei video di Youtube lo vedeva ancora saltare come un ossesso sul palco dei "Negazione" martellando le corde del suo basso. Chi è, cosa farà, che idee ha, ci chiedevamo. Marco ci ha messo cinque secondi a integrarsi col gruppo. È entrato, si è presentato e ha sorriso. Era fatta.

Negli anni a Repubblica ha lavorato alla Cronaca Nazionale, agli Esteri e allo Sport. Durante un periodo di aspettativa, si è fatto inviare a San Paolo per collaborare con la Folha de S.Paulo, il quotidiano brasiliano. Ne parlava come di un'esperienza formidabile. Trovare il lato bello di ogni cosa e mostrartelo era una delle sue caratteristiche. Cercava la vita ovunque, in un certo senso. I giorni in cui era di cattivo umore si contano sulle dita di una mano.

Al giornale, come in campo, sapeva essere spigoloso e sbrigativo, poi però dopo la chiusura, a bocce ferme e pagine fatte, era lui a cercarti per spiegare e riconciliare, nel tempo di una sigaretta fumata insieme.

Alcuni dei suoi viaggi in giro per il mondo sono stati lo spunto per scrivere libri ("A che ora è la fine del mondo?", "In viaggio con Manu Chao"), altri sono diventati documentari ("Prigionieri", per RepubblicaTv) o docufilm. Ne ha fatto uno splendido sul calciatore brasiliano Socrates, con la regia di Mimmo Calopresti. Amava il calcio e amava il Torino (quattro anni e mezzo di amarezze, Marco, non ti sei perso un granché...).

L'incidente lo ha portato via. Non era morto, però era come se lo fosse. C'era, ma non c'era. Questo innaturale stato di sospensione ha reso tutto più incomprensibile e tormentato per noi, i sentimenti non riuscivano a trovare una collocazione. Mamma Paola non lo ha mollato un attimo e solo il Covid ha spezzato un doloroso rito quotidiano. "Per tre anni, tutti i giorni, con la neve, la nebbia, il freddo gelido o il caldo asfissiante, sono andata a salutare e chiacchierare con il mio Marco nell'ospedale dov'è ricoverato e dove 'dorme' perché in coma vegetativo - ha raccontato a questo giornale a fine marzo 2020 - lo accarezzavo, gli leggevo due giornali, la sua Repubblica e la Gazzetta dello sport. Da tre settimane non posso farlo più a causa di questo terribile virus, non posso accarezzarlo e non posso più parlargli. È rimasto solo, ed anch'io, chiusa in casa con il pensiero sempre rivolto a lui". L'abbiamo assillata per tutto questo tempo con la solita domanda, a cui lei gentilmente ha dato la solita risposta: "Marco è stazionario, dorme ancora".

Ora non dormi più. L'aquilone si è staccato ed è volato via. C'è chi dice che sei finalmente libero, ma siamo tristi lo stesso. La tua risata ci mancherà. Ci mancherà tutto di te amico sincero, giornalista competente, esploratore della vita. "Lo spirito continua", recita una delle tue canzoni. Ma quant'è difficile oggi, caro Marco.

 

Tarcisio Burgnich, è morto a 82 anni la Roccia dell'Inter e della Nazionale 26-05-21

L'ex difensore della Grande Inter e della Nazionale è morto a 82 anni dopo una lunga malattia. Vinse l'Europeo nel 1968 e fu vicecampione del mondo nel 1970. La foto con Pelé lo rese eterno.

È morto a 82 anni Tarcisio Burgnich. L'ex difensore di Inter e Napoli è scomparso nella notte dopo una lunga malattia. Era stato campione d'Europa con l'Italia nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970. I funerali si terranno domani, giovedì, alle 14,30 a Viareggio nella chiesa di San Giovanni Bosco.Nato a Ruda il 25 aprile del 1939, cresciuto nell'Udinese insieme a Zoff, Burgnich debuttò in Serie A a 20 anni con la maglia friulana e poi fu acquistato dalla Juventus su indicazione di Boniperti ma dopo aver vinto subito lo scudetto fu ceduto al Palermo dopo una sola stagione. Nel 1962 l'approdo all'Inter di Helenio Herrera per 100 milioni di lire e l'inizio di una lunga storia d'amore: 476 partite ufficiali, 7 reti, quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali. Con la Nazionale 66 presenze, due gol (uno, indimenticabile, nel 4-3 alla Germania a Città del Messico), il titolo di campione d'Europa del 1968 e il secondo posto al Mondiale del 70, quando fu battuto da Pelé di testa ma entrò nella foto che lo rese eterno.In azzurro, dove aveva debuttato contro l'Unione Sovietica nel 1963, la "Roccia" giocò fino al Mondiale del 1974. Dopo l'estate lasciò anche l'Inter per approdare al Napoli, dove chiuse la carriera nel 1977, dopo aver vinto una Coppa Italia. Dopo il ritiro ha allenato Livorno, Catanzaro, Bologna (dove lanciò un giovanissimo Mancini), Como (con promozione in A), Genoa, Vicenza, Cremonese, Salernitana, Foggia, Lucchese, Ternana. L'ultima panchina a Pescara, nel 2001, prima di diventare osservatore dell'Inter.

L'Inter saluta la sua "Roccia"

Il cordoglio dell'Inter: "Ciao Tarcisio, sarai sempre la nostra 'Roccia'. Ci sono degli uomini che vorresti sempre avere al tuo fianco, dei calciatori che vorresti sempre nella tua squadra, delle leggende che vorresti facciano sempre parte della tua storia. Tarcisio Burgnich ha incarnato la forza e i valori del nostro Club e l'Inter ha avuto il privilegio di vederlo lottare per i propri colori: statuario, implacabile, umile e sempre leale. Entrato nella storia della Grande Inter e nella memoria dei tifosi nerazzurri per la grande tempra ed il carattere che mostrava in campo, ha formato con Giacinto Facchetti una delle coppie di terzini più forti del mondo in quell'Inter dove la difesa era un punto fermo, forgiata dal mago Herrera con campioni preparati atleticamente e mentalmente per affrontare e fermare ogni tipo di avversario. Come nella partita che Burgnich ha portato sempre nel cuore, giocata due anni dopo il suo arrivo in nerazzurro, quella finale contro i mostri sacri del Real Madrid di Di Stéfano, Puskás, Gento, quelli che noi avevamo visto solo nelle figurine. E poi la storia che si ripete, esattamente un anno dopo, contro il Benfica di Eusebio a San Siro".

Scala: la favola della figlia del tranviere che rese unica Giselle,27-05-21

L'ex sovrintendente Carlo Fontana ricorda il magnetismo che esprimeva sul palco e la definisce la Callas della danza.

ddio Carla Fracci. L’etoile mondiale della danza del Novecento dalle radici profondamente popolari aveva 84 anni. Milanese, infanzia da sfollati in campagna, padre tranviere scampato alla guerra di Russia, mamma operaia alla Innocenti, bambina “molto fragile ma dal bel faccino” la Fracci voleva fare la parrucchiera ma diventò la più acclamata, autentica, delicata e allo stesso determinata ballerina di danza in ogni angolo del pianeta per oltre metà del secolo scorso. Altri tempi quelli di Carla bambina per nulla prodigio. Niente mamme e babbi ossessionati dal successo ad istigare le figlie artiste. La piccolina, decenne, mentre trotterella un valzer viene notata da amici dei suoi genitori che ne intuiscono il talento nel muoversi a tempo con la musica. Per fortuna che le audizioni alla scuola di danza del Teatro alla Scala nel 1946 erano gratuite. Chi mai se lo sarebbe potuto permettere.Eppure il cigno in tutù e calzamaglia, oltre duecento personaggi interpretati, Cenerentola, la silfide di Nourrit, Giulietta al balcone shakesperiano, sonnambula del Bellini e schiaccianoci di Tchaikovsky, tra i più impervi e sperimentali scenari teatrali, anche le cabine elettorali come spogliatoi a Paestum con Zeffirelli, era tutta lì da scoprire nella sua immensa, rara e armoniosa bellezza. Nel decennio dei cinquanta forgia il suo corpo in maniera incessante, supera le ritrosie delle insegnanti che affermano distratte che non si impegna, si diploma e si afferma come ballerina della Scala. Vede sul palco de La bella addormentata la monumentale Margot Fontayne, stella del Royal Ballet londinese, la ballerina della regina Elisabetta, e capisce finalmente che il palco è la sua casa. Carla monade della danza intuisce in quell’istante che “tutto sembrò avere un senso: la sbarra, il solfeggio, gli esercizi al centro”.

Franco Battiato morto. Uomo gentile, colto, vagamente defilato ma soprattutto artista immenso per tutti,18-05-21

ul ponte sventola bandiera biancaFranco (Francesco) Battiato è morto nella sua residenza siciliana di Milo. Aveva 76 anni. Il “maestro”, autore di capolavori come La CuraL’era del cinghiale biancoCentro di gravità permanente, era malato da tempo. Dal pop commerciale al rock progressive, dall’elettronica all’opera lirica. Battiato è stato un unicum musicale, linguistico, filosofico della musica contemporanea, letteralmente a livello internazionale. Nei primi anni ottanta quando si affermò commercialmente, uomo gentile, colto, vagamente defilato, autentico, già si intravedeva l’aura del musicista “sperimentale”, con relativo aggrottare di ciglia delle cosiddette masse. Pubblico folto e diffuso che poi ne è diventato in notevole quantità suo ascoltatore comune, diretto, affiatato. Ecco allora Battiato, proprio mentre dà in stampa le trilogia di Fleurs (fine novanta, inizio duemila), punto di riferimento, adorazione musicofila, di una massa critica diffusa e ramificata in ogni angolo di Italia e in ogni gradino differenziato di classe sociale. Difficile ingabbiare Battiato in una corrente culturale, in una dimensione del discorso musicale, perché l’autore catanese se n’era come formata una tutta sua, inequivocabile, irriducibile, peculiare. Quando ti aspettavi un ritornello risolutivo ecco ancora una strofa, quando ti sembrava che arrivasse l’accordo più scontato ne arrivava uno inatteso, figuriamoci per gli arrangiamenti: forse il vero cavallo di battaglia, spiazzante, fluido, totalizzante del nostro. Essere artefici del proprio tempo e della propria musica. Battiato andrebbe sistemato in questa casella qui, semmai, seduto su quel nulla bianco che ne sorregge misteriosamente le sorti artistiche e il peso corporeo umano, fisico, nella copertina dell’album de La voce del padrone (1981), peraltro primo album italiano a vendere oltre un milione di copie. Brani e ritmi che fanno intravedere l’uso disinvolto della strumentazione elettronica in un tessuto pop, da ascoltare con il walkman come nelle discoteche. Non andiamo comunque troppo in là per ravvisare l’altro incredibile tratto artistico di Battiato: i testi. O meglio, quella particolare alchimia tra suggestioni linguistiche, echi dell’anima, sussurri del destino differenti. Mettiamole in ordine: le ipnotiche allusioni di Centro di gravità permanente, i versi viaggi astronomici e temporali di Monti lontanissimi, la ricerca terragna arabo sicula di Fisignomica, la complessità imperscrutabile elevata a potenza dell’evo di tutti gli album elaborato con il filosofo Manlio SgalambroLa cura, che è brano letteralmente adorato come ci si inginocchia di fronte al fluire di una preghiera, arriva da quell’ultimo periodo, lungo dilatato, del duo Battiato/Sgalambro. Parliamo del cult dell’opera battiatiana della svolta poetica e industriale (Battiato se ne va dalla Emi e produce con Polygram). “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via (…) Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza. Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza”, dice il testo della canzone, vero e proprio balsamo spirituale per gli ascoltatori di Battiato. Una ulteriore pagina da voltare, una sorta di passo ulteriore verso l’ascesi, l’era della ricerca spirituale più che musicale, un percorso di emancipazione mistica personale, quasi monacale. Battiato che a quel punto incontra anche il cinema (il fantasma, il simulacro del cinema del Novecento) e pure il regista franco-cileno Alejandro Jodorowsky (La Montagna sacra, El Topo) a cui fa interpretare Beethoven nel suo secondo film, Musikanten (2005). Titolo bersagliato dalla critica e per nulla filato dal pubblico, mentre l’esordio nel 2003, Perdutoamor, già formalmente piuttosto complesso, possedeva comunque ancora con una trama abbastanza lineare e una commerciabilità più tradizionale (del successivo Niente è come sembra nulla diciamo se non che andrebbe rivisto oggi alla luce di pandemia e affini). Anche se forse è Nanni Moretti in Palombella Rossa a rendere sincero omaggio al Battiato già mistico degli anni novanta, ma ancora dentro alla composizione degli ottanta, con un improvviso canto durante una tribuna politica dove il protagonista intona E ti vengo a cercare, altro intramontabile brano, forse tra i più intensi canti sull’amore e sulla passione, sottovalutato dai più. In mezzo a tutta quella produzione live che all’improvviso Battiato rende quasi show teatrale, produzione che si moltiplica esponenzialmente, gravida di sold out, appuntamenti costanti con quel pubblico che lo adora, lo assedia, lo venera, come un guru che buca le ovvietà musicali e culturali del contemporaneo, c’è tutta la storia del rapporto del cantautore siciliano con il pubblico. Non tanti anni fa in un’intervista disse, riferendosi a Lucio Dalla. “Il mio amico Dalla, certo. “Io inseguo il pubblico, Franco, Tu ti fai inseguire”. Sembra una cazzata, ma è vero. Io dei gusti dei fan me ne frego, tutti lo sanno. Non ho mai fatto una capatina su Facebook. Non esiste. Se lo possono scordare”. Poi, forse alcuni scorderanno un altro fatto storico inoppugnabile. Quello che ti fa esclamare, “ma Battiato si poteva permettere di dire queste cose”. Nel 1981 un suo brano vince Sanremo. Non dimentichiamolo mai. Proprio nel biennio 1980-82 Battiato è sulla cresta dell’onda. Avvolto in quei montoni e giacconi dalle spalle larghe tipici del periodo, abbraccia l’amica Alice e crea un sodalizio artistico di rara maestria. Alice vince Sanremo con Per Elisa, un brano tonante, irruento, graffiante, che narra di una donna gelosa e imbestialita contro l’uomo che ha scelto un’altra (“e poi, non è nemmeno bella”). Un brano sui generis di cui guarda caso Battiato scrive assieme a Giusto Pio e alla stessa Alice, sia musica che testo. La classica iniettata nel pop sanremese, la parole che non rispettano i canoni classici dell’attesa. Battiato è già tutto lì dentro, pronto prima o poi per allargarsi, affermarsi, diventare icona assoluta, inimitabile della musica tutta. Prima che morte infine ce ne separi.

Camorra: è morto il boss Raffaele Cutolo 18.02.21

Aveva 79 anni, era ricoverato a Parma in regime di carcere duro

E' morto con i suoi segreti Raffaele Cutolo, il boss fondatore della Nuova Camorra Organizzata e protagonista di una delle trame più controverse della storia d'Italia, il caso Cirillo. Era ricoverato in ospedale a Parma in regime di carcere duro, aveva 79 anni ed era il detenuto più anziano al 41 bis. Le sue condizioni si erano aggravate da un paio di giorni.Resterà l'uomo dei misteri, il padrino criminale che aveva condotto la trattativa con pezzi dello Stato e i vertici dell'allora Democrazia cristiana affinchè le Brigate rosse liberassero l'allora assessore regionale Ciro Cirillo, rapito dai terroristi il 27 aprile 1981 e liberato il 24 luglio 1981.Un enorme caso politico e giudiziario che si è trascinato per decenni e al quale si è dedicato quasi per una vita il magistrato napoletano Carlo Alemi. L'allora giudice istruttore del tribunale di Napoli il 28 luglio 1988 firmò un lungo atto d'accusa: era l'ordinanza di oltre 1500 pagine con cui venivano rinviati a giudizio Cutolo e altri 14 imputati, in cui si raccontava come figure apicali della Dc avevano portato avanti una trattativa sul caso Cirillo con il padrino e fondatore della Nco, soprannominato "'o Professore".

Nato nel 1941 ad Ottaviano, paese della provincia di Napoli ai piedi del Vesuvio, la figura criminale di Raffaele Cutolo ha ispirato il film "Il camorrista", girato dal futuro regista premio Oscar Giuseppe Tornatore e tratto dal libro del giornalista Giuseppe Marrazzo, e a lui facevano pensare i versi della canzone di Fabrizio De André "Don Raffaé".

Gli uccisero il primo figlio, Roberto, assassinato in un agguato a Tradate, in provincia di Varese, nel 1991, poi è diventato padre per la seconda volta nel 2007, di una bambina concepita con la moglie Immacolata Iacone attraverso l'inseminazione artificiale autorizzata dal ministero di Giustizia sei anni prima. Più volte condannato all'ergastolo, commise il primo omicidio nel 1963, uccidendo un ragazzo al culmine di una lite. Da quel momento, iniziò la parabola criminale del boss. Era in cella ininterrottamente dal 1979, gli ultimi 28 anni in regime di 41 bis.

Un anno fa aveva ingaggiato la sua ennesima battaglia contro la giustizia italiana, chiedendo il rinvio dell’esecuzione della pena, con detenzione domiciliare, per consentire all’ex padrino di curarsi. Ma il tribunale di Sorveglianza di Bologna non si era limitato a ritenere le sue condizioni di salute compatibili con il carcere. I giudici avevano aggiunto che, pur anziano, malato e in cella, Cutolo era ancora un simbolo.

"Si può ritenere che la presenza di Raffaele Cutolo potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma - avevano scritto - Nonostante l'età e la perdurante detenzione rappresenta un 'simbolo per tutti quei gruppi criminali" che continuano a richiamarsi al suo nome.

Morto Mauro Bellugi, a novembre gli erano state amputate le gambe per il Covid

20-02-21

È morto Mauro Bellugi. All'ex calciatore di Inter, Bologna, Napoli e della Nazionale, 71 anni compiuti il 7 febbraio, erano state amputate entrambe le gambe nei mesi scorsi per complicazioni legate al Covid. Ne ha dato notizia la famiglia. Bellugi è morto questa mattina all'ospedale milanese di Niguarda in seguito a un'infezione. L'ex difensore era ricoverato dal 4 novembre, dopo essere risultato positivo al coronavirus, dovendo poi subire l'amputazione di entrambe le gambe: il 13 novembre la prima, il 20 la seconda. La doppia amputazione è stata decisa dai medici in seguito al peggioramento di patologie pregresse rispetto al Covid-19. Bellugi lascia la moglie Loredana e la figlia Giada, che aveva avuto dalla prima moglie Donatella.

32 volte in azzurro, una sola rete in carriera

In carriera aveva vestito le maglie di Inter, Bologna, Napoli, Pistoiese, oltre che quella della nazionale con 32 presenze. Il suo unico gol in carriera con l'Inter fu in Coppa Campioni contro il Borussia Monchengladbach. "Il Covid mi ha tolto anche la gamba con cui feci gol al Borussia Monchengladbach", aveva raccontato l'ex difensore che ai tedeschi realizzò l'unica rete della carriera, nella partita di Coppa dei Campioni del 3 novembre 1971, vinta 4-2 dall'Inter. Con grande forza d'animo Bellugi pensava comunque di poter riprendere a camminare grazie a delle protesi: "Prenderò quelle di Pistorius", aveva detto con un sorriso.

Un minuto di silenzio in tutti i campi

In memoria di Bellugi, il presidente della Figc Gabriele Gravina ha disposto l'effettuazione di un minuto di raccoglimento su tutti i campi. "È un grande dolore per il calcio italiano - ha dichiarato Gravina - Mauro è stato un protagonista importante della nostra storia comune. Oltre alle capacità in campo, ne ho apprezzato le qualità umane e la sua straordinaria forza d'animo, soprattutto in questo periodo di sofferenza". Domani  nel derby i giocatori dell'Inter giocheranno con il lutto al braccio. Non è escluso possa farlo anche il Milan.

Boninsegna: "Ho perso un amico"

"Io cerco di ricordarmelo quando giocavano insieme. Era un ragazzo simpaticissimo e divertente. E c'è un aneddoto che me lo fa ricordare in particolare: siccome lui era bravo con i piedi, era un difensore anomalo. Faceva il pallonetto anche agli attaccanti e io gli dicevo: 'Mauro se per caso scivoli e prendiamo gol, comincia a correre...' e lui mi diceva "si , lo so ma tanto non mi avresti preso...". È il ricordo di Roberto Boninsegna su Mauro Bellugi. "A Milano ci si frequentava, purtroppo se ne è andato un amico. Io l'ho sentito due giorni fa. Non mi ha detto che stava così male, mi aveva detto che gli dovevano fare un altro intervento", ha concluso commosso Boninsegna.

Il ricordo dell'Inter: "Ci lascia un grande uomo"

"Oggi ci lascia un grande uomo, un grande calciatore, un grande Interista: ciao Mauro". Così l'Inter ha reso omaggio a Mauro Bellugi. "Fino all'ultimo ha voluto lasciare al mondo un messaggio di forza e di speranza, ha raccontato il bello del calcio e della vita, quella per cui vale la pena lottare ed è stato ripagato dall'abbraccio di tutti, dei suoi tifosi, dei compagni, degli avversari e delle persone che hanno riconosciuto in lui quell'esempio di vita che oggi più che mai diventa prezioso. Nella sua storia c'è forza, determinazione, allegria, amore e speranza. Ciao Mauro" conclude il club nerazzurro. Anche il Napoli si è unito al dolore della famiglia per la scomparsa del "caro Mauro". Il Bologna stasera contro il Sassuolo giocherà con il lutto al braccio. Un ricordo di Bellugi lo ha fatto anche Antonio Conte. Il tecnico dell'Inter, prima della conferenza stampa di presentazione del derby, ha detto: "Purtroppo mentre eravamo in campo ci è arrivata la triste notizia della scomparsa di Mauro Bellugi. Ci dispiace veramente tanto. Tutti noi ci uniamo al dolore della famiglia".

Zoff: "Ricorderò sempre la sua simpatia"

"La scomparsa di Mauro è veramente una brutta notizia, era un ragazzo simpaticissimo, allegro, grande raccontatore di barzellette. Era sempre un piacere passare del tempo con lui". È il ricordo di Dino Zoff dell'ex difensore di Inter, Bologna e Napoli. "Era un uomo positivo e pieno di gioia di vivere, mi spiace molto per la sua scomparsa", conclude Zoff.

È morto Paolo Rossi, l'eroe del Mundial 82.

10 DICEMBRE 2020

Addio a Pablito, l'uomo che fece piangere il Brasile e trascinò gli azzurri di Bearzot alla conquista della coppa del mondo.

pochi giorni dopo Diego Armando Maradona, quel nome così poco originale lo ha saputo scolpire in maniera indelebile nella storia del calcio. Una carriera breve ma intensa, iniziata e finita come un viaggio senza tregua sulle montagne russe.Breve, perché quando quell'esile ragazzo di Prato vedeva in bianco e nero Kurt Hamrin, il suo primo idolo, sognando che un giorno lo avrebbe imitato, i suoi menischi già iniziavano a sbriciolarsi come la polvere. Gliene asportano tre, un po' per una costituzione delicata, un po' perché all'inizio degli anni settanta i difensori sono ancora della vecchia scuola, di quelli che tracciano una linea immaginaria e ti fanno capire che è meglio non superarla. La Juve si accorge di lui, ma poi per parecchio tempo se ne dimentica. La soddisfazione di esordire in Coppa Italia, in una partita contro il Cesena in cui i suoi compagni di squadra sono Capello e Zoff, ma ad aspettarlo c'è la provincia.C'è il Como, dove non brilla, ma soprattutto c'è la svolta, a Vicenza. Qui si rende conto di non assomigliare, o forse di non voler più assomigliare ad Hamrin. Non è un uccellino che cinguetta spensierato sulle fasce, ma un rapace famelico che vive per il gol: scatto, velocità, intelligenza, a Gibì Fabbri ci vuole poco per capirlo e portarlo al centro dell'attacco. A Vicenza i gol arrivano a grappoli, in B come in A e poco ci manca che quella squadra di provincia non soffi lo scudetto proprio alla Juventus. Non accade, ma ormai Paolo Rossi non è più un nome qualunque, tanto che il presidente del club veneto Farina si svena con una offerta folle, vincendo alle buste proprio contro la Juve la battaglia della comprorietà.La gente si accorge di lui, ma soprattutto se ne accorge la nazionale. Enzo Bearzot capisce che è lui la miccia che può far esplodere la nazionale al Mundial di Argentina. Ciccio Graziani è relegato in panchina, il suo gemello del gol, Paolo Pulici, non gioca neanche un minuto. Insieme a Bettega c'è Pablito. Gol alla Francia, all'Ungheria, l'assist a Bettega che permette di battere i padroni di casa e futuri campioni del mondo, quel tocco di rapina all'Austria. L'Italia non ci arriva in finale, ma dà appuntamento per il 1982 in Spagna, quando la squadra sarà ancora più forte.Ma le montagne russe prevedono una discesa che sembra un vortice: passa da Perugia, dove è stato ceduto, e lo trascina via. È il calcioscommesse.Enzo Berzot. Il ct se ne frega di un ligure che macina gol a grappoli con la Roma e lo aspetta. Sull'aereo per la Spagna Roberto Pruzzo non salirà mai, Rossi invece sì e va ad intrecciare il suo destino con quello dei portieri avversari. In particolare con quello di Valdir Peres: è il portiere del Brasile, uno dei due oggetti misteriosi insieme ad un centravanti lungagnone che si chiama Serginho di una squadra meravigliosa, forse l'ultima di un calcio romantico che non c'è più.In un pomeriggio bollente al Sarrià di Barcellona, uno stadio inappropriato per una gara del genere, dove adesso ci sono palazzi, negozi, un parco, Rossi segna tre gol alla Seleçao. Significa che l'Italia ha la strada spianata verso la conquista del titolo mondiale, 6 giorni dopo, contro la Germania. Rossi segna ancora, come aveva segnato - due volte - anche nella semifinale contro la Polonia. Paolo Rossi ormai è Pablito: lo chiamano così anche a Parigi dove, secondo italiano nella storia dopo Gianni Rivera, conquista il Pallone d'Oro. In carriera ha giocato con Juventus, Como, Vicenza, Perugia, Milan e Verona: ma a chi gli ha chiesto a quale maglia fosse maggiormente legato, ha sempre risposto senza esitare: 'a quella azzurra'.

Morto Diego Armando Maradona: el Pibe de Oro aveva appena compiuto 60 anni

25 novembre 2020

Il leggendario calciatore argentino ha subito un arresto cardiocircolatorio nella sua casa di Tigre, in Argentina

Quante vite dentro una vita che non c'era già più. Quante volte si è perso Diego, quante volte l'avevamo perduto, anche di vista. Maradona ricoverato, Maradona ingrassato, Maradona operato, Maradona tossico, Maradona dopato, Maradona alcolizzato, Maradona disintossicato, Maradona operato al cervello. E poi, ancora, Maradona con il bypass gastrico per salvarlo dalla bulimia (2005) una prima e una seconda volta (2015). Maradona e la cocaina, Maradona e l'efedrina, Maradona che sforna figli come gol: le due bambine (Dalma Nerea e Gianinna Dinorah) con la prima e storica moglie Claudia Villafane, poi Diego junior con Cristiana Sinagra, la ragazza napoletana che dovette combattere per anni in attesa che il campione riconoscesse quel figliolo identico a lui, non serviva il test del Dna per dimostrarlo, bastavano un paio d'occhi e una vecchia figurina. E poi, ancora, una bambina di nome Jana, avuta da una nuova fidanzata, tale Valeria Sabalaìn, e per chiudere un altro Diego, questa volta un Diego Fernando, figlio (ultimo) di Maradona e Veronica Ojeda. Amori, forse. Ma chi può dire cosa ciascuno porta nel cuore?

Il più grande di tutti

La prima vita di Diego resta immortale, e si può dire conclusa nel 1994 quando ai mondiali americani venne trovato positivo all'antidoping. Quel giorno, dopo il famoso urlo nella telecamera che era un ruggito, un barrito, il verso dell'animale tornato re di ogni foresta e di ogni savana, Diego Armando Maradona cominciò la sua morte prolungata come la "rottura" dei cavalli da corsa. Quando si comincia, non si finisce più. Anche di morire, a volte, non si finisce più. Ma se sei stato Maradona, cosa potrai mai essere dopo? Cosa potrai chiedere di più?

Del giocatore, immenso e unico, praticamente una divinità, quasi non vale neppure la pena parlare. Sarebbe ovvio, superfluo. Sarebbe come voler dire chi era Odisseo, chi era Dante Alighieri, chi era Gesù Cristo nostro Signore, chi era Einstein, chi era il colonnello Aureliano Buendia. Trasfigurato dalla sua stessa gloria, probabilmente e semplicemente il più grande calciatore di tutti i tempi, Maradona è stato Uno e Due. Uno: il migliore e basta. Due: il perduto, lo smarrito.

E questa sua seconda vita, lunghissima e dolente, è forse il miglior modo - sebbene tristissimo - per accompagnare il ricordo di Diego fino a questo epilogo tragico, un colpo di testa ma contro il pavimento e non contro un pallone, l'ematoma, il peggioramento repentino, il ricovero (l'ennesimo), le mani di un chirurgo purtroppo invano, l'operazione, la convalescenza, l'illusione, il cuore che alla fine non ne può più. La morte che ci annichilisce tutti.

Ma alzi la mano chi da anni non si aspettava che Maradona facesse una brutta fine, coerente con la sua caduta nel pozzo. Uno scivolamento lento e costante, progressivo e senza tonfi ma ogni volta sempre più giù, sempre più in fondo dove nulla può rischiarare il buio, neppure il più bello dei gol, meno che mai la mano de Dios.

Dall'Olimpo alla panchina

La seconda vita (ma era poi vita?) di Diego lo ha visto diverse volte in panchina, tentando una carriera da allenatore piuttosto improbabile: la carriera, e anche l'allenatore. E dire che a un certo punto gli consegnarono addirittura la Nazionale dell'Argentina, a furor di popolo, e Maradona la portò comunque ai quarti di finale di un mondiale, quello in Sudafrica nel 2010, quando l'Albiceleste venne eliminata dalla Germania (e poi, Diego esonerato).

Eppure, la ricerca del peggio e del limite, della periferia sportiva e della marginalità agonistica, Maradona l'ha compiuta con animo girovago e gitano, cominciando ad allenare persino durante la prima squalifica per doping: eccolo infatti nel 1994 sulla panchina del Textil Mandiyù, squadra argentina ai più sconosciuta. Una caratteristica, questo semi-anonimato dei club affidati a Dieguito, che proseguirà nel tempo in una serie bislacca che comprende l'Al-Wasli (Dubai), il Fujarah (Emirati Arabi), i Dorados (Messico), fino al ritorno in Argentina ma non certo al River Plate, o meno che mai al suo adorato Boca, semmai alla guida del Gimnasia La Plata. Come intermezzo non meno bizzarro, la presidenza onoraria di un club bielorusso, la Dinamo Brest, frammento di meteora nel firmamento del pallone.Nulla, di questa sua seconda vita coerente col disastro e lo sperpero di sé, ha avvicinato la meraviglia e l'estasi della prima. Molti sono stati gli incontri clamorosi, da Fidel Castro a Chavez passando per Menem, ma è sembrato un folclore emotivo, la disperata ricerca di essere ancora qualcosa di unico, di clamoroso. Diego lo ha fatto a cicli, sparendo e riapparendo altrove, una volta più magro e un'altra volta più grasso, una volta biondo ossigenato e un'altra volta totalmente tatuato. Sempre danzando sul confine tra una vita perduta e una morte scontata vivendo, come avrebbe detto il poeta.

Però, ragazzi, il poeta era lui.

Addio Gigi Proietti, funerali giovedì in piazza del Popolo e lutto cittadino. In tanti arrivano in clinica a rendergli omaggio 2-11-20

Volti commossi e visi in lacrime. Roma si sveglia con un dolore immenso e molti, tra comuni cittadini, attori, addetti ai lavori, allievi e persino turisti in queste ore stanno dando luogo a un vero e proprio  pellegrinaggio all'esterno della clinica romana dove questa mattina, intorno alle 5, è morto Gigi Proietti per dargli un ultimo saluto simbolico. I funerali dell'artista verranno celebrati giovedì, nella chiesa degli artisti di piazza del Popolo in forma privata.Gli amici di famiglia accanto alle allieve del suo laboratorio di esercitazioni sceniche, i cittadini arrivati con le lacrime agli occhi e un fiore in mano sull’uscio della clinica Villa Margherita per ricordare il grande attore, il Maestro “semplice e generoso”. L’immagine più alta della romanità.

Addio a Luis Sepúlveda: la sua incredibile voce,

 sospesa tra l'America latina a cui apparteneva e l'Europa dove si era rifugiato, si è spenta in un ospedale di Oviedo. Covid-19 ha ucciso anche lui, l'ultimo dei combattenti. Aveva 70 anni.

Esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore dal passo ostinato e contrario, esordì con un racconto bollato come pornografia dal preside del suo liceo, a Santiago del Cile. "Era il '63. Ci innamorammo tutti della nuova professoressa di storia. La signora Camacho, una pioniera della minigonna". Un compagno di classe gli chiese di scrivere una storia su di lei. Quindici-diciotto pagine. Finirono nelle mani del preside: "Questa è pornografia", gli disse. Provò a replicare: "Letteratura erotica". "Pornografia - tagliò corto - ma scritta molto bene".
 Raccontava così Sepúlveda, pescando dal cilindro l'ennesimo saporito aneddoto quando di lui i lettori pensavano di conoscere già tutto: i lineamenti forti da guerriero stanco, gli occhi scuri che si accendevano di passioni, l'odore delle tante sigarette fumate. E lo faceva con quel talento da affabulatore che lo rendeva prima ancora che un abile scrittore, un inguaribile cantastorie. Scriveva favole Sepúlveda - e non ci riferiamo solo alla deliziosa Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare - ma ai tanti romanzi al cui centro c'era l'eterna lotta tra il bene e il male. Non amava la cronaca puntigliosa, credeva che la letteratura fosse finzione e intrecciava i fili della narrativa per dare vita a personaggi picareschi e trame avventurose inzuppate di passioni e ideali. I suoi ovviamente, quelli per cui aveva lottato, viaggiato e infine scritto.
 
Con il suo esordio - Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, dedicato a Chico Mendes - regalò ai lettori un primo pezzo della sua intensa vita: sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. Nel 1977, espulso dal Cile dopo due anni e mezzo di carcere, si era unito a una missione dell'Unesco per studiare l'impatto della civiltà sulle popolazioni native. Nacque così una storia sospesa tra due mondi, quello degli indios diffidenti nei confronti dei bianchi (cacciatori di frodo, cercatori d'oro, avanguardie dell'industria più feroce) e quei bianchi che al protagonista avevano insegnato a leggere dandogli così un rifugio per la perdita della giovane moglie.Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrisse invece ciò che gli era sembrato inevitabile dal ponte di una nave di Greenpeace, organizzazione a cui si era unito negli anni Ottanta: navi-fabbrica che trascinano a bordo balene esangui e si trasformano in mattatoi, inseguimenti tra le nebbie dell'Antartide, militanti ecologisti contro pescatori giapponesi.
 
Vita, attivismo e letteratura nelle stesse pagine. Alla militanza politica ci pensò La frontiera scomparsa: i racconti che compongono il libro seguono le tappe di un cileno che dalle prigioni di Pinochet ritrova la libertà attraversando l'Argentina, la Bolivia, il Perù, l'Ecuador, la Colombia, in treno o su veicoli di fortuna fino a Panama dove si imbarcherà per la Spagna. A chi gli chiedeva perché mai ci avesse messo tanto a trasformare quell'esperienza in letteratura lui rispondeva con un sorriso tagliente che per l'appunto, era letteratura quella che voleva fare, non psicoletteratura. Detestava il pathos, aveva bisogno di mettere tra lui e il Cile la giusta distanza. Dal dramma si risollevava con la lingua: semplice, netta, sintetica. Tutto il contrario di Marquez: molto realismo, nessuna magia. O forse la magia della realtà. Per dirla con Hemingway, parole da venti centesimi e nessuna costruzione barocca. Era già abbastanza fantasiosa la vita con i suoi fasti e le improvvise caduteSeguì il filo della sua biografia anche ne La lampada di Aladino: tra mercanti levantini e angeli vendicatori, due giovani condividono le lotte del movimento studentesco e si ritrovano dopo gli anni della dittatura cilena e l'espatrio. In altre parole: la sua storia d'amore con la poetessa Carmen Yáñez. La loro relazione affiorò anche nel noir Un nome da torero. Il protagonista, che si chiama Juan Belmonte come il celebre torero che si suicidò con un colpo di pistola, è un ex guerrigliero cileno di quarantaquattro anni, che accetta di dare la caccia a un tesoro nazista nella terra del fuoco solo per amore di Veronica, una donna torturata dai militari e ritrovata viva, ma in condizioni psicologiche disastrate, in una discarica di rifiuti a Santiago. Nella realtà le cose non andarono proprio in quel modo, ma per Sepulveda non poteva essere altrimenti: trasformava le sue esperienze in materia letteraria, regalava pezzetti di vita ai suoi personaggi, ma le biografie no, quelle le lasciava ad altri.Giocava coi generi: le favole per i sentimenti universali (oltre alla storia della Gabbianella, quella del gatto e del topo che diventò suo amico, della lumaca che scoprì la lentezza e del cane che insegnò a un bambino la fedeltà); la novela negra per denunciare l'arroganza dei potenti, la solitudine degli sconfitti o, come in Diario di un killer sentimentale, l'orgoglio di un uomo tradito; i racconti per mettere a nudo dopo un lento processo di maturazione le sue idee e passioni. Si legga ad esempio Incontro d'amore in un paese in guerra.Lo aveva anche raccontato nel poliziesco L'ombra di quel che eravamo, una storia di amicizia e speranza tra assalti alle banche, vecchi giradischi, un rocambolesco omicidio e un'ultima spregiudicata azione rivoluzionaria. In una notte piovosa a Santiago, quattro uomini che si erano persi di vista per più di trent'anni si ritrovano per un'ultima avventura. L'idea gli venne durante una grigliata a casa di un amico, dirigente del Fronte Patriottico Manuel Rodriguez, il movimento armato che non diede un giorno di tregua a Pinochet. Dopo cena iniziarono i racconti, storie di lotta e di resistenza. In quel momento lo scrittore si accorse che lui e il suo vecchio amico proiettavano ancora l'ombra di ciò che erano stati. L'ombra per esistere ha bisogno di luce. Quella di Sepúlveda non si è spenta e mai lo farà: nei suoi libri, nella nostra memoria, per sempre.

 

 

 

 

 

 

È morto Emanuele Severino, l'ultimo filosofo parmenideo. Scompare a quasi 91 anni uno dei più grandi pensatori italiani, artefice di un sistema centrato su un Essere unico e immutabile come la verità. Nel 1969 fu condannato dalla Chiesa. Addio a un grande filosofo italiano. Emanuele Severino ci ha lasciati il 17 gennaio scorso, anche se solo adesso è trapelata la notizia della sua scomparsa: a funerali avvenuti, e in forma strettamente privata, come da sue volontà. Avrebbe compiuto 91 anni il prossimo 26 febbraio. Un intellettuale portatore di una visione originalissima, capace di conciliare la tensione speculativa ed etica alle radici del pensiero occidentale, greco in particolare, con le ansie e le inquietudini dei nostri tempi travagliati. Accademico dei Lincei, storico collaboratore del Corriere della Sera, ha pubblicato numerosi saggi: uno dei più noti è e resta Ritornare a Parmenide, uscito nel 1965 su una rivista, che fece scalpore e generò grande dibattito nel mondo filosofico. Quelli in volume sono stati pubblicati per la maggior parte da Rizzoli e soprattutto dalla casa editrice più affine al suo spirito speculativo, la Adelphi di Roberto Calasso. Fra i tanti ricordiamo La struttura originaria (1957),  Essenza del nichilismo (1972), Legge e caso (1979), Le radici della violenza (1979); Destino della necessità (1980). L'ultimo uscito è Testimoniando il destino (2019), in cui tutti i punti della visione "parmenidea" di Severino vengono recapitolati: "Non basta possedere un campo: bisogna coltivarlo - è scritto - E anche questo libro intende indicare l'autentica 'pianura della verità'".Una sfida titanica compiuta da un uomo dalla personalità forte, carismatica, deciso a spendere l'intera esistenza alla ricerca di una "ben rotonda verità" - per citare un'espressione celebre di Parmenide, suo maestro riconosciuto e sua maggiore fonte di ispirazione.E già queste ultime parole danno un'idea della portata filosofica - anzi, ontologica - del pensiero di Emanuele Severino. Un'elaborazione che parte, come quasi tutta la filosofia novecentesca, da Martin Heidegger e dalla sua scommessa sull'Essere con la "e" maiuscola: verità autentica contrapposta all'inautenticità di tanti aspetti della nostra vita. Una sfida che il filosofo italiano raccoglie con una radicalità davvero unica. E che lo porta a trovare risposte molto indietro nel tempo, in epoca presocratica. Ed ecco allora il suo abbracciare il sistema di Parmenide di Elea, nato intorno alle 510-515 avanti Cristo, che afferma l'esistenza di un Essere unico, ingenerato, eterno, immutabile, immobile, omogeneo. Perché ciò che è non può che - appunto - Essere.Secondo Severino l'unica ricetta possibile, in un mondo di cui prima Nietzsche e poi Heidegger hanno svelato gli inganni e le illusioni legate al progresso tecnico, è dunque l'abbandonarsi a quest'Essere di tipo parmenideo. Cercare la verità a qualsiasi costo, con un'ansia conoscitiva che è l'esatto opposto del concetto di "utile" che permea il mondo contemporaneo, e che è lontanissima da qualsiasi forma di accettazione passiva. Un atteggiamento che lui chiama Gioia. Il tutto, spiega sempre Severino, senza indulgere nell'errore di quasi tutti i filosofi venuti dopo il maestro di Elea, concentrati invece sul divenire. Cioè su qualcosa che, al contrario dell'Essere, non è. E che poi la religione, così come il già citato progresso tecnico, hanno tentato in qualche modo di esorcizzare, di addomesticare. Proprio per queste sue critiche alla fede e al cattolicesimo, il Santo Uffizio proclamò tra il 1969 e il 1070 la totale contrapposizione tra la filosofia di Severino e il Cristianesimo, costringendolo ad allontanarsi dall'università Cattolica: "La procedura adottata nei miei riguardi era la medesima che aveva riservato a Galilei nel 1633", raccontò poi lui, che alla vicenda dedicò il libro Il mio scontro con la Chiesa (Rizzoli, 2001).

 

 

 

DEL 21 AGOSTO 2011

 

 

Morto Alberto Arbasino, addio all’intellettuale

 snob con sguardo sagace sulla piccola borghesia

 che inventò la “casalinga di Voghera”. Mattarella:

 “Passione civile e sperimentazione: l’Italia

 si è arricchita del suo talento, ne farà tesoro

Sofisticato, elitario, autenticamente snob. Ma anche sgargiante, puntuto, sarcastico. Alberto Arbasino, morto a 90 anni, a quella sua “casalinga di Voghera” non hai mai voluto granché bene. Intellettuale prima di tutto. Scrittore sì, ma romanziere sperimentale tutto formalismo metaletterario e trama ad evaporarsi al sole. Saggista semmai, con quello sguardo sul paese, sul popolo, ancor meglio sulla provincia, e ancora oltre sulla piccola borghesia, più distanziante che critico, più goduriosamente infastidito che seriamente entomologico. Arbasino ha attraversato la rinascita italiana, più sociale e culturale che economica, del Dopoguerra da un trespolo, come Simon del deserto. “Alberto Arbasino ha impresso un segno nella letteratura italiana del Novecento e la sua scomparsa lascia un vuoto, insieme a un patrimonio prezioso e originale” dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella esprimendo vicinanza a familiari, amici e colleghi. “Arbasino è stato uno scrittore di grandi qualità e creatività – sottolinea il capo dello Stato – un romanziere innovatore, un uomo di cultura poliedrico, tra i motori del Gruppo 63. La sensibilità con cui ha guardato la realtà si combinava con il coraggio della sperimentazione. Ha cercato espressione anche nella poesia. E con passione civile è stato giornalista, cercando sempre nella modernità strumenti utili alla narrazione e alla comprensione dei mutamenti, sociali e di costume. L’Italia si è arricchita del suo talento, e la cultura ne farà tesoro”.

Privo di tentazioni terrene, di necessità per riconoscimenti letterari, premi o targhe, semmai bisognoso di stimoli intellettuali, fautore di intarsi come fugaci occhiate là verso il basso, Alberto Arbasino da ragazzino che vide sfilare balilla e adunate fasciste “cariche di ciarpame bruttissimo e scomodissimo”, si tuffò da Voghera dove nacque, e dove si è spento, con grande naturalezza in un milieu universitario e giornalistico tra i più editorialmente fecondi. Medicina, giurisprudenza, infine Scienze Politiche tra Milano e Roma, Arbasino pubblica il primo racconto – Le Piccole Vacanze – nel 1957 con un editor come Italo Calvino. C’è ancora lo slancio giovanile di stupire e la necessità di essere comunque radicato volente o nolente al reale. Poi nel 1960 esce a puntate su Il Mondo, La bella di Lodi. Un incredibile piroettare di locuzioni letterarie, un flusso ininterrotto che sembra una sorta di inganno stilistico, fumo negli occhi, per descrivere il rapporto sentimentale-sessuale tra la possidente lodigiana Roberta e il meccanico Franco, conosciuto in autostrada. Simbolicamente il boom che passa attraverso la cruna dell’ago di una letteratura altrettanto in divenire. Tanto che Arbasino, come farà per altri suoi romanzi, lo allungherà, accorcerà, arricchirà almeno altre tre volte fino all’edizione definitiva più di dieci anni dopo. E ne uscirà anche un film con Stefania Sandrelli, pellicola molto nouvelle vague per stare alle tendenze dell’epoca nei primi anni sessanta. Anche perché il libro ha capitoli brevissimi, anche poche righe, e tutto saetta, luccica, diminutivi a piovere, più “non dico” che dico, periodi con “e” come congiunzione che abbattono le barriere della grammatica. Non a caso Arbasino finirà ad inzupparsi di sperimentalismo da Gruppo ’63.

 

 

 

 

GIANNI MURA Se n'è andato nel primo giorno di una primavera deserta, ma già piena di margherite. Alle otto di mattina di un sabato in cui il suo ciclismo (Milano-Sanremo) aveva smesso di correre e alla vigilia di una domenica senza calcio. Chissà, forse Gianni in un mondo così, "senza", non ci stava più. Aveva telefonato la sera prima: "Bevete, anche se io non ci sono". Pronta la risposta: "Ma no Gianni, ti aspettiamo". Ma non c'è più nulla da festeggiare. Aveva voluto il computer in ospedale, perché era un uomo di doveri, e c'erano i Sette giorni di cattivi pensieri da scrivere. Paola, la moglie, glielo aveva portato, con il quaderno a quadrettoni, dove lui annotava i suoi giochi di parole. "Stanotte, ne ho pensato uno: diamante, gioiello extraconiugale".

Gianni ti sfiorava, era leggero in tutto: con le parole, con i gesti, con i pensieri. E aveva un italiano splendido, semplice, nitido. Grande anche la sua generosità, non arrivava mai a mani vuote. Ti stroncava con i riferimenti a canzoni, libri, autori, anche dialettali, ricordi, paesaggi. Ne aveva in abbondanza, per tutto e per tutti. Non era tipo che risparmiasse: sulle bottiglie di vino, sul pecorino di Cugusi ("pastore, non agricoltore"), sul pane e salame, sulla musica, sulla letteratura, sulla poesia, sul versare e condividere con gli altri, sullo scassarsi il cuore. Con lui, facevi scorpacciate: di curiosità, di raffinatezza, di Fréhel (l'aveva come salvaschermo), Brel, Piaf, Jean Ferrat, Giovanna Marini, Ricky Gianco, De Gregori, Capossela. La suoneria del suo cellulare era Chants de partisans, una Bella Ciao francese.

Gli piaceva la gente genuina, giocare a carte (scopone), le parole crociate. Aveva una memoria strepitosa, non si perdeva niente, mandava spesso l'articolo a braccio, dettava in pochi minuti, provateci voi a sintetizzare una partita (ai rigori), a raccontare una morte (quella di Pantani) e una vita (quella di Gimondi) mentre state al ristorante o su un traghetto. Amava gli irregolari, il fumo, la libertà, i romantici, quelli che si buttano a salvare l'amico anche se non sanno nuotare, quelli che fanno, senza chiedersi se conviene, tutto quello che è sulla strada. Anche se nella rubrica dava voti, cercava sempre di capire più che di giudicare. Era molto pudico, rispettava gli imbarazzi e le leggi, figlio di maresciallo ("Il Maigret della Brianza"), si fermava ai semafori gialli e guidava con molta prudenza. Solo il suo cuore era eccessivo: si dava per le giuste e buone cause, e tutti lo chiamavano perché sapevano che Mura avrebbe risposto all'appello.Lo consideravano un critico, ma lui preferiva la parola raccontatore. Era arrivato a Senigallia in convalescenza da una polmonite di dicembre, perché i dottori gli avevano raccomandato l'aria di mare. Aveva perso molti chili ("Sono sotto i 100"), a tavola mangiava poco (una banana a pranzo), ma se passavano gli amici apriva subito una bottiglia. Aveva subito sostenuto l'economia locale (quando ancora si poteva uscire) comprando pecorini e vini, della zona e non, contento di trovare il gorgonzola di capra della Latteria sociale di Cameri, lo stracchino di Sabelli, e il Cannonau di Pusole. Era rimasto commosso dalla cura con cui nel suo negozio Francesco tagliava a mano il prosciutto: "Vedessi i suoi occhi e la dolcezza della sua mano". Gianni capiva, non aveva bisogno di Internet, ma è bello che in questi giorni in cui si può niente ci sia il web a ricordare un uomo che aveva attraversato il grande e piccolo sport senza mai dire io, ma sempre lei. E trattando con lo stesso rispetto brocchi e campioni.

 

 

 

 

 

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POLITICA ITALIANA: dal caso Matacena al massacro della finale di Coppa Italia 2014

POLITICA ITALIANA: da Cosentino ad Aldovrandi, lo sfascio della vendita degli immobili pubblici, fuori onda della Gelmini: sono una troiona pazzesca, def e spending review, arresto cosentino, arresto zagaria, silvio crolla angelino scappa, botte da orbi a Roma per il corteo casa.....

POLITICA ITALIANA: il feroce attacco di BeppeGrillo ad Obama,quando Salvini era un COMUNISTA PADANO,bunga bunga, dubai,caso baby squilloe la responsabilità del marito della Mussolini, quella che voleva la castrazione chimica, telefonate ai Ligresti della ministra della giustizia Cancellieri, la nuova vita di Ruby,artigiano du youtube:Italia paese di merda, ascesa e caduta di Cottarelli mister spending rewiev, affari e cosche: dalla Brianza all'Expo, il caso stamina, la fuga di Renzi, l'uscita di scena di D'Ambrosio il capo del pool mani pulite, grazie al suo lavoro venne spazzata via la secolare DC, secessionisti veneti in cescita, mps cede un altro 6%,Veronica Lario vuole 540 milioni di euro per divorziare dal Pagliaccio di Arcore, province addio, i manuali di difesa dall'euro....

POLITICA ITALIANA: dall'interdizione di berlusconi all'arresto della dama bianca

POLITICA ITALIANA: Referendum veneto un segnale a Roma?

POLITICA ITALIANA: chiude il MOndo CORSER

POLITICA ITALIANA: Ferrovie dello Stato,24 miliardi di investimenti ma 15 arrivano dai contribuenti, BPM di Ponzellini, ben 3 milioni di euro alla SATANCHE' senza alcuna garanzia, solo il suo buco del culo plastificato da troiona, o crescita o morte, la Ministra Giannini BATTE in strada, passa il demansionamento delle province di Del Rio, la nuvola di Fucsas: 180 milioni di euro di stronzate, l'impegno della Giannini: sono una troia pompinara, auto blu al via la vendita su ebay,

ESTERI: dalla scomparsa dell'aereo Malaysia all'occupazione russa della Crimea

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BAYERN CAMPIONE DI GERMANIA A MARZO 2014

STORIA DEGLI AIUTINI ARBITRALI ALLA MERDENTUS NEL 2013-2014

2020 : EURO 2020 ROMA SI CANDIDA

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LA ROMA PRESENTA IL NUOVO STADIO DA 300 MILIONI DI EURO

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Scudetto 2006, il tribunale della Figc respinge l'ultimo ricorso della Juventus

Il Tribunale federale nazionale della Figc, riunito oggi a Roma, ha respinto l'istanza di sospensione promossa dalla Juventus e dichiarato inammissibile il ricorso del club bianconero contro l'assegnazione dello scudetto del 2006 all'Inter in seguito ai fatti di Calciopoli, decisa con una delibera del Consiglio federale il 18 luglio 2011.

Nel dispositivo firmato dal presidente del Tribunale, Cesare Mastrocola, si rileva che la Juventus aveva presentato nei mesi scorsi analogo ricorso al Collegio di Garanzia presso il Coni e che lo stesso Tribunale aveva per questo disposto il rinvio della trattazione del procedimento in attesa della pronuncia del Collegio. Lo scorso maggio, il Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso della Juventus e per questo "verificata la sostanziale identità tra i due procedimenti promossi parallelamente dinanzi al Tribunale federale e al Collegio di Garanzia", il Tribunale si è espresso respingendo a sua volta il ricorso.(ottobre 2019)

 

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La marcia sulla Roma degli ultrà neofascisti. Dopo i Guerrieri Ultras di Sandokan che cannibalizzarono la Curva Sud del Milan nel 2005 è il turno del CUCS giallorosso....

Gli scontri dopo il match di Europa League
Foto Sequestrati paradenti e bastoni

  LA GUERRIGLIA URBANA DEGLI ULTRAS NEO NAZI DELLO SPARTAK MOSCA

 

Pericolo ultrà: in Italia e Europa
critiche alla curva della Roma

Roma, silenzio di protesta e cori anti-Napoli 
In curva Sud striscione per De Santis
Il papà di Ciro Esposito: "Sono indignato" 

 

L'internazionale degli ultrà

Svelati da un rapporto della polizia 
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