GERMANIA; DOPO I 100 MILIARDI DI EURO PER IL RIARMO, 200 MILIARDI DI EURO PER L'ABBATTIMENTO DEI COSTI ENERGETICI
La svolta della Germania
Compatta, anche se con distinguo sulle priorità, la maggioranza. Robert Habeck, vicecancelliere e Ministro dell’Economia in rappresentanza dei Verdi ha parlato di necessità di reagire alla “guerra energetica” della Russia. Ma la svolta più importante è quella di Christian Lindner, “falco” rigorista dei Liberali che, da Ministro delle Finanze, solo pochi giorni fa proponeva in Europa il ritorno al Patto di Stabilità e ora ha corretto le sue posizioni preparandosi, sul fronte interno, a dare il via libera alle spese massicce del governo ma mantenendo, a parole, il sostegno alla necessità di tornare nel 2023 alla disciplina di bilancio.
“In passato”, nota La Stampa, “durante la pandemia, il governo sospese la regola del “freno al debito” per ridare fiato all’economia. Si tratta di una costituzionale che permette di derogare al pareggio di bilancio per lo 0,35% del Pil annuale e che può essere sospesa in caso di situazioni di eccezione e di catastrofi naturale”. La guerra in Ucraina è lo stato d’eccezione dopo la catastrofe pandemica che in questo caso può, anche negli anni a venire, giustificare comunque eventuali prese di posizione in controtendenza con questo auspicio. E Lindner nel frattempo mira a mettere in campo aiuti attraverso il Fondo di stabilizzazione economica introdotto durante la pandemia.
Il maxi-fondo su cui puntano Scholz e Lindner
Lo scopo del Fondo di stabilizzazione economica (Fse) era quello di stabilizzare l’economia in risposta alla pandemia di Covid. L’Fse è stato creato con l’obbiettivo di fornire sostegno sotto forma di misure di stabilizzazione per aiutare le imprese di tutti i settori a rafforzare la loro base di capitale e ad affrontare le carenze di liquidità. Si rivolge alle imprese dell’economia reale la cui scomparsa avrebbe un impatto significativo sul mercato del lavoro tedesco o sull’attrattiva della Germania come sede di attività. L’Fse agisce per mezzo di due strumenti di stabilizzazione (che possono essere applicati in combinazione) da un lato, promuove garanzie federali sui prestiti, comprese le linee di credito, e sui prodotti del mercato dei capitali; dall’altro, promuove misure di ricapitalizzazione come mezzo diretto per rafforzare il patrimonio netto delle imprese in difficoltà.
Fse ha fino ad oggi promosso operazioni di ricapitalizzazione per 9 miliardi di euro e si prevede il suo utilizzo anche per operazioni come quella di Uniper che raddoppierà tale cifra. Può inoltre promuovere manovre di sostegno alla banca pubblica KfW, la Cassa Depositi e Prestiti tedesca, a cui fino ad ora ha concesso 30 miliardi di euro. Dunque, il Fse creato nel 2020 è di fatto ben al di là dal raggiungere le quote di risorse stanziate: di fatto esso è stato “armato” con 600 miliardi di euro di risorse, corrette a 250 miliardi nel 2022. Una somma che Lindner spera di poter orientare per coprire le spese per la crisi energetica. Ma occultare una spesa pari al 5% del Pil in un fondo che copre la metà dei 1.300 miliardi messi in campo da Angela Merkel e da Scholz, ai tempi Ministro delle Finanze, è complesso.
La “Cdp” tedesca
Così come è complesso operare con KfW. Negli anni la KfW è diventata la più grande banca pubblica per lo sviluppo al mondo e gestisce asset per 500 miliardi di euro. Durante la pandemia le risorse sono state orientate per fare in grande ciò che in Italia è stato affidato a Sace con il programma Garanzia Italia: aprire alla concessione di prestiti alle imprese in crisi mediate dalla garanzia pubblica.
Due settimane fa il governo federale ha chiesto che KfW si rafforzi, in modo che le società energetiche possano esser sostenute con ancora più garanzie e supporto alla liquidità. Si tratta di autorizzazioni di credito per un importo di circa 67 miliardi di euro, che ricadranno alla fine nel piano del Fse.
Il nuovo debito inevitabile
Sulla carta Berlino avrebbe i numeri per coprire dunque i 200 miliardi con fondi già stanziati. Ma il diavolo è nei dettagli e riporta alla considerazione che per la Germania sarà necessario fare deficit. In virtù del nuovo regolamento Ue sugli aiuti di Stato, infatti, la Germania ha promosso misure di sostegno alle imprese tramite Fse e KfW, ma non può mettere in campo con il loro ausilio i piani che Scholz ha in mente per abbattere il prezzo del gas nella loro interezza. Scholz ha intenzione di sterilizzare diverse imposte, calmierare i prezzi del gas, finanziare gli importatori, accelerare sugli investimenti in transizione per superare la dipendenza dall’oro blu. Tutte misure per cui un ricorso alla leva della spesa pubblica è necessaria, in quanto politiche omnicomprensive e non mirate su un singolo obiettivo come un’operazione di salvataggio aziendale.
Quando Lindner è subentrato all’inizio di dicembre, si è trovato a lavorare con un progetto di bilancio per il 2022 scritto dal suo predecessore (ora cancelliere) Olaf Scholz prima dello scoppio dell’ondata di omicron della pandemia di coronavirus. Tale progetto includeva circa 100 miliardi di euro di nuovo debito. E dopo aver assunto nuovi debiti per quasi 140 miliardi di euro quest’anno, il bilancio nazionale della Germania per il 2023 prevede solo 17 miliardi di euro di nuovo debito. Ipotesi irrealistica, in virtù dell’adesione al freno costituzionale, di fronte a tale onerose necessità. Semplicemente, il gioco delle tre carte potrebbe essere l’assunzione di una forte quota di nuovo debito negli ultimi mesi dell’anno per poi tornare alla disciplina sulla carta l’anno prossimo. Anche se restano “elefanti nella stanza” come il fondo per il riarmo da 100 miliardi di euro annunciato da Scholz a febbraio e ancora da strutturare operativamente, che sicuramente convoglierà risorse pubbliche in un Paese che viaggia verso una dura recessione.
E sulla necessità di fare debito si è espressa criticamente anche la prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung, che in un articolo ha puntualizzato: “La Costituzione consente di aggirare il tetto all’indebitamento solo se lo Stato non ha avuto alcuna influenza sulla causa. Per questo Olaf Scholz e Christian Lindner hanno parlato di guerra energetica che la Russia sta conducendo contro la Germania”, osserva la Faz, che attacca: “In effetti, la Germania non può fare nulla per questa guerra, anche se deve essere considerato criminalmente negligente che questo Stato non abbia corretto la sua dipendenza unilaterale da una Russia che da anni si comporta in modo più aggressivo, ma, al contrario, l’ha smaccatamente perseguita”.
Più probabile che si arrivi a un regime ibrido, ma se anche la metà delle risorse fosse utilizzata per compensare il caro-bollette, finanziare tagli fiscali e aumentare le reti di protezione sociale Berlino è in grado di arrivare a 240 miliardi di nuovo debito nel 2022, una quota pari al 6% del Pil. Alla faccia di ogni prospettato ritorno all’austerità. Dal 58,9% del 2019 la quota debito/Pil è salita al 68,3% nel 2021; ora l’indebitamento netto lo potrebbe portare, come minimo, al 70,9% a fine anno con prospettive di peggioramento connesse alla prossima recessione. Per Berlino si fa dura e giustamente Scholz mette in campo tutte le carte superando ogni possibile tentazione austeritaria di ritorno.
Mentre in
Italia si tentenna nel varare un intervento da una
decina di miliardi, il governo tedesco si è accordato
sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas pagato
da famiglie e imprese. La differenza sarà a carico dello
stato nell’ambito di un intervento dal valore compreso
tra i 150 e i 200 miliardi di euro. Il governo attingerà
al Fondo di stabilizzazione economica, che non fa parte
del normale bilancio federale. Un gruppo di esperti
elaborerà i dettagli del limite di prezzo. “Il prezzo
del gas deve andare giù”, ha detto il cancelliere
tedesco Olaf Scholz, annunciando il provvedimento. Alla
luce di quel che è accaduto ai gasdotti Nord Stream è
chiaro che “presto il gas non sarà più rifornito dalla
Russia. Questo significa anche che scomparirà la
prevista “Gasumlage”, il supplemento gas in bolletta che
doveva aiutare le aziende energetiche in difficoltà. La
misura doveva entrare in vigore il 1 ottobre, ma sarà
annullata perché “non serve più”, come ha detto oggi il
ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck. Il
governo vuole ora aiutare direttamente le aziende. Il
colosso Uniper, maggior importatore tedesco di gas
russo, è del resto già in corso la nazionalizzazione.La
Germania è però ben preparata al cambiamento della
situazione” ha aggiunto il cancelliere tedesco. “Ci
troviamo in una guerra dell’energia“, ha detto il
ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner. “Con
l’attacco ai gasdotti la situazione si è decisamente
inasprita”, ha aggiunto. Putin vuole “distruggere molto
di quello che le persone per decenni hanno costruito” in
Germania. “Noi non possiamo accettarlo e ci
difenderemo“, ha scandito Lindner. Il freno al prezzo
del gas deciso oggi “è una chiara risposta a Putin, ma
anche una chiara segnalazione al Paese. Noi siamo
economicamente forti, e questa forza economica la
mobilitiamo, quando serve, come adesso”.Secondo
l’Agenzia tedesca delle reti, nell’ultima settimana il
consumo di gas di famiglie e piccole imprese è stato
significativamente superiore al consumo nello stesso
periodo dello scorso anno. La settimana è stata anche
più fredda. I dati sono “molto preoccupanti”, perché
“senza un considerevole risparmio, anche nel settore
privato, sarà difficile evitare una carenza di gas in
inverno”, ha affermato il presidente dell’Agenzia, Klaus
Mueller. Secondo Mueller, grazie ai serbatoi gas ben
riempiti (al 92%, ndr), si potrà superare l’inverno
senza danni, ma, appunto, sarà necessario risparmiare e
“questo dipenderà da ogni singolo individuo”.Il fronte
europeo – La mossa tedesca spiazza gli altri paesi
europei. Domani è in programma il vertice straordinario
dei ministri dell’Energia dell’Ue in cui dovrebbero
essere decisi provvedimenti da adottare congiuntamente
ma Berlino ha deciso di muoversi da sola. Le trattative
erano già prima complicate. “La proposta di un price cap
allo stesso livello per tutto l’import del gas è una
misura radicale che comporta rischi significativi legati
alla sicurezza di forniture di energia”, hanno
sottolineato fonti Ue spiegando il testo presentato ieri
sera dalla Commissione sugli interventi sul mercato
dell’energia. “E’ una valutazione di bilanciamenti,
vantaggi e rischi. Non credo che stiamo dicendo ‘no a 15
Paesi membri, diciamo che è meglio mettere un price cap
al gas russo e negoziare” con i singoli fornitori i
prezzi dell’energia, aggiungono le stesse fonti.Diversi
paesi membri” tra quelli che da settimane chiedono una
proposta Ue sul price cap su tutte le importazioni di
gas, “stanno diventando sempre più nervosi per la
mancata reazione della Commissione europea, è un dato di
fatto”, afferma un alto funzionario europeo alla vigilia
della riunione straordinaria dei ministri dell’Energia.
La richiesta di un price cap generalizato contenuta in
una lettera indirizzata all’esecutivo Ue firmata da 15
stati, tra cui l’Italia, è stata avanzata “per
esercitare pressioni sulla Commissione”, tuttavia –
sottolinea la stessa fonte – “al tavolo” dei Paesi
membri “non c’è una voce univoca”.
La Commissione
Ue proporrà “entro metà ottobre”, dopo aver raccolto i
pareri dei governi, un aggiornamento del quadro
temporaneo di crisi degli aiuti di Stato per continuare
a sostenere l’industria e le aziende. Lo scrive la
Commissione europea nel documento presentato ai paesi
membri. “La Commissione garantirà” che le attuali
disposizioni in vigore “rimangano adeguate alla luce
della situazione di mercato altamente instabile e
continuino a consentire agli Stati membri di fornire il
sostegno necessario e proporzionato alla loro economia,
anche mediante garanzie statali”. “Siamo in modalità di
crisi e quindi contiamo che con l’aiuto degli operatori
potremo costruire un indice complementare dei prezzi del
gas in tempi ragionevoli“. Lo affermano fonti della
Commissione europea circa i piani per diminuire i prezzi
del gas, che prevedono anche un intervento per ridurre
l’influenza del Ttf olandese sulla formazione delle
quotazioni del combustibile in Europa. Nelle proposte
che saranno illustrate domani ai ministri dell’energia,
la Commissione proporrà di costruire un nuovo indice
basato sulle transazioni di Gnl, che dovrebbe essere
disponibile agli operatori prima dell’inverno.
LA GUERRA D'UCRAINA DAL 1 LUGLIO 2022 AL 27 SETTEMBRE 2022: dallo stallo al tentativo di Putin di smuovere la linea inglobando nella Russia i territori conquistati con un Referendum dichiarando lo "stato di mobilitazione parziale" a difesa dei nuovi territori russi. Una volta annessi quei territori, la profondità a lungo reclamata dall'Ucraina potrebbe avere come conseguenza una risposta atomica.
Il 12 maggio 2022, Vi relazionavamo sulla grave situazione dell'esercito Russo in Ucraina, sull'allarme dato dai vertici della Wagner che parlavano dell'incombente necessità di reclutar più uomini, almeno un milione, per andare a mettere una toppa in un gorgo nero ucraino. A furia di cannonate e grazie alla capacità russa di ovviare all'inferiorità numerica concentrando il fuoco su una linea abbastanza vicina e corta, il 1 luglio 2022, l'Armata Russa conquistava tutto il Donbass, eccezion fatta per la parte centro meridionale del Donetsk. Tuttavia a quel punto, come le linee incominciarono ad allungarsi, la catena dei rifornimenti russi iniziò immediatamente a mostrare sfilacciamento e farraginosità, subito sfruttate dagli ucraini che attraverso l'invio di cospique armi da parte degli Usa e della Gran Bretagna, attraverso l'analisi di intelligence occidentale, riusciva immediatamente ad interrompere l'avanzata ed a contrattaccare in due punti: il sud ovvero Kerson, allo scopo di spostare ivi parte dell'Armata da parte dei russi, in modo da scatenare a nord, a Kharkhiv, una fulminea offensiva che costrinse i russi, dal 6 al 16 settembre, a sgomberare l'intero Oblast e ripiegare sul fiume Oskil nel Luhansk, allo scopo di non essere insaccati. La ritirata non si è trasformata in rotta perchè ora sono gli ucraini che soffrono degli stessi difetti dei russi: le linee si sono allungate ed è difficile mantenerle sotto il fuoco a ripetizione dei russi.
La Russia probabilmente ha rafforzato il Vovchansk-Kupyansk-Izyum-Lyman con elementi del 20° esercito di armi combinate (CAA). Fonti russe hanno riferito che elementi non specificati della 20a CAA russa e "sottounità individuali di altre formazioni" stanno conducendo la difesa a Lyman e che elementi della 144a divisione di fucili a motore (della 20a CAA) stanno difendendo il fiume Oskil e Svatove, nell'oblast di Luhansk, contro gli attacchi ucraini.[32] Le precedenti descrizioni russe delle forze russe che difendevano Lyman menzionavano i distaccamenti della BARS dalla riserva dell'esercito di combattimento speciale russo e in particolare non menzionavano elementi della 20a armata combinata. L'attuale forza e composizione di questi elementi della 20a armata di armi combinate non sono chiare.
Fonti russe hanno affermato che le forze ucraine continuano a condurre attacchi a nord di Kupyansk attraverso il fiume Oskil. Fonti russe hanno riferito che le forze ucraine hanno iniziato ad avanzare da Horobivka e Dvorichna in direzione di Tavil'zhanka (18 km a nord-est di Kupyansk) il 25 settembre e sono riuscite a stabilire un punto d'appoggio non specificato vicino ai binari della ferrovia vicino a Tavil'zhanka.[33]
Le forze ucraine hanno mantenuto la loro campagna di interdizione, prendendo di mira le linee di comunicazione di terra russe (GLOC) e le posizioni chiave. Funzionari militari ucraini hanno riferito che le forze ucraine hanno continuato a prendere di mira ponti e attraversamenti alternativi emergenti sul fiume Dnipro.[35] Le forze ucraine hanno continuato a prendere di mira le posizioni russe nella città di Kherson e, secondo quanto riferito, hanno colpito un obiettivo non specificato di Rosgvardia all'interno della città.[36] Fonti ucraine e russe hanno anche riferito che un attacco ucraino in un hotel nella città di Kherson ha ucciso un collaboratore ucraino, Oleksiy Zhuravko.[37] Funzionari ucraini e rapporti sui social media hanno notato che le forze ucraine hanno colpito un convoglio militare, abbattuto un aereo d'attacco Su-25 e distrutto un magazzino di munizioni e un posto di comando a Beryslav Raion.
Fonti ucraine e russe hanno identificato tre aree di attività cinetica: a sud del confine tra Kherson e Dnipropetrovsk Oblast, vicino alla testa di ponte ucraina sul fiume Inhulets e ad est della città di Mykolaiv. Le forze ucraine e russe si sono scambiate dichiarazioni di tentativi di ricognizione falliti nell'area di Arkhanhelske, a sud del confine tra Kherson e Dnipropetrovsk Oblast e lungo il fiume Inhulets.[40] Lo stato maggiore ucraino ha anche osservato che le forze russe hanno colpito posizioni ucraine a Potomkyne e Osokorkivka, mentre il ministero della Difesa russo ha anche affermato di aver colpito un posto di comando ucraino a Vysokopillya e posizioni a Osokorkivka. [41] Il ministero della Difesa russo ha affermato di aver preso di mira con successo le forze ucraine a Bezimenne (circa 13 km a sud-est della testa di ponte) e di aver distrutto gli UAV ucraini su Davydiv Brid sull'autostrada T2207.[42] Tuttavia, filmati geolocalizzati mostravano le forze ucraine che lanciavano esplosivi sull'equipaggiamento militare russo a Davydiv Brid.[43] Un blogger russo ha affermato che le forze russe stanno continuando a prendere di mira le posizioni ucraine a est della città di Mykolaiv.[44]
Zelensky e gli Alleati Occidentali non si aspettavano la mossa di Putin.
Putin si rese conto del pericolo che incombeva, perchè la sua linea del fronte faceva fatica a stabilizzarsi a causa del panico crescente che faceva sbandare i reparti. Così il 21 settembre indiceva il REFERENDUM sui 4 OBLAST OCCUPATI, allo scopo di inglobarli nella Russia, a prescindere dalle condanne occidentali, rendendoli quindi parte attiva e partecipa della NUOVA DOTTRINA RUSSA DI DIFESA, che prevede l'USO DI ARMI NUCLEARI TATTICHE, ovvero con una potenza distruttiva leggermente inferiore ALL'ARMA STRATEGICA. Ora gli Occidentali rimangono in attesa di vedere quale saranno le vere dimensioni del RICHIAMO ALLE ARMI PARZIALI voluto per difendere i nuovi territori. ALLO STESSO MODO ATTENDONO I RUSSI, i quali vogliono vedere quali saranno le gittate dei cannoni ucraini , PER AVERE L'AGOGNATO PRESTESTO DELL'UTILIZZO DELL'ARMA ATOMICA DI RISPOSTA. "
Ciò significa, considerando la dottrina d’impiego russa delle armi atomiche recentemente aggiornata dal Cremlino, che in caso di “minaccia vitale” all’integrità della Federazione, Mosca potrebbe ricorrere a un primo attacco nucleare tattico come ultima ratio, che, possiamo dirlo con elevata certezza, sarebbe un singolo colpo per avere parimenti eguale effetto dimostrativo e operativo.
Andando a leggere il nuovo documento russo che regola l’uso di armamenti atomici, è interessante ai nostri fini ricordare l’articolo 17 comma D, che sostiene la possibilità di utilizzare ordigni atomici qualora avvenga un’aggressione alla Federazione Russa con l’uso di armi convenzionali quando l’esistenza stessa dello Stato è minacciata. Questo passaggio risulta alquanto aleatorio, in quanto non è possibile definire con esattezza il grado di minaccia per l’esistenza dello Stato: la perdita del Donbass o della Crimea sarebbe vista come minaccia esistenziale? Probabilmente sì, ma non ne abbiamo la certezza in quanto si tratta di meccanismi non automatici soggetti all’interpretazione della politica di governo. "
Se infatti Mosca dovesse decidere per un primo uso di un ordigno atomico tattico, la Nato si troverebbe davanti a un dilemma non indifferente: rispondere con una reazione “uguale e contraria” oppure limitarsi all’azione nel campo della diplomazia internazionale con l’aggiunta di maggior sostegno militare a Kiev?
Premesso che la Russia alzando l’asticella dello scontro sino al livello nucleare ne verrebbe ritenuta unica responsabile agli occhi del mondo e quindi quasi istantaneamente otterrebbe il risultato di essere ancora più isolata in ambito internazionale, possibilmente mettendo a dura prova anche l’amicizia con la Cina – che più volte ha dimostrato di mal sopportare il conflitto in Ucraina – o il partenariato commerciale con l’India, ora più che mai vitale, il rischio per la Nato (e quindi nella fattispecie gli Stati Uniti) è insito nel dare una risposta che da altri attori internazionali verrebbe letta come debole, quindi sdoganando l’uso di armi nucleari.Vogliamo essere molto chiari: stiamo dipingendo il peggiore tra tutti i possibili scenari, ma è qualcosa che in analisi e predizione/previsione del rischio si deve tenere in considerazione. Del resto c’è stato almeno un precedente, se pur di ordine di grandezza molto inferiore: il frettoloso ritiro statunitense dall’Afghanistan ha sollevato molti dubbi, in Estremo Oriente, sulla reale intenzione di Washington di ergersi a difesa di Taiwan oppure dello stesso Giappone. Senza considerare che lo stesso meccanismo si è visto anche più di recente e proprio nell’intorno russo: il rifiuto di Mosca di intervenire per porre fine ai recenti attacchi azeri in Nagorno Karabakh come richiesto dall’Armenia secondo i principi del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) ha portato con sé la definitiva decisione del Kazakistan di uscire dallo stesso a partire dal 2023.
LA risposta statunitense è l'invio dei carri Abrams e dei T-55 sloveni modificati con la solita triangolazione occulta tedesca....
Le considerazioni riguardanti l’invio di possibili armi offensive – come potrebbero essere gli Mbt – a un Paese belligerante che avevano caratterizzato il dibattito politico europei nei primi mesi di guerra sembra però che siano state accantonate: sappiamo infatti che la Slovenia ha annunciato di essere pronta a consegnare all’esercito ucraino circa 28 M-55S (la versione modernizzata dei vecchi T-55) in cambio del trasferimento dalla Germania di 40 nuovi veicoli militari da trasporto.
Sebbene il T-55 non sia sconosciuto al personale ucraino, la sua modernizzazione ha comportato l’adozione di nuovi sistemi di bordo, che quindi richiedono adeguata formazione del personale per il loro utilizzo al meglio. La notizia diffusa dal governo sloveno nella giornata del 19 settembre, fa quindi ritenere che, in realtà, l’addestramento degli equipaggi ucraini sia stato già ultimato o stia per esserlo. Gli M-55S, modernizzati negli anni ’90, hanno ricevuto un cannone da 105 millimetri standard Nato al posto degli originali D-10T da 100 millimetri e hanno sistemi di controllo del fuoco e ottiche nuove, oltre alla possibilità di essere equipaggiati con corazzatura reattiva.
Se a prima vista può sembrare folle inviare in Ucraina la versione migliorata di un T-55 per affrontare i T-72 e i (pochi) T-80 e 90 russi, bisogna ricordare che anche l’esercito di Mosca ha schierato in combattimento i vecchi T-62 prelevandoli dai depositi di seconda e terza linea, e dalle immagini che ci sono giunte da osservatori occasionali, si può notare come buona parte di essi non abbia subito lavori di modernizzazione.
La mobilitazione parziale ha scaraventato la Russia ufficialmente in guerra a 34 anni dall'Afghanistan.
Con l’entrata ufficiale dell’intero paese in guerra, contro l’Ucraina e il suo sponsor – il blocco occidentale –, giungono al capolinea la farsa dell’operazione militare speciale e la Pax putiniana che, per ventidue anni, aveva permesso ai russi di vivere da free rider. Beneficiari in termini economici e di sicurezza dell’assertiva politica estera del Cremlino, alla quale però non partecipavano e che osservavano, anzi, con un certo distacco.
La Pax putiniana, il contratto sociale post-eltsiniano siglato tra Vladimir Putin e la società nel 2000, è venuta meno con l’annuncio della mobilitazione parziale. Che implicherà una trasfigurazione del sistema economico a supporto dello sforzo bellico e, soprattutto, l’ingresso della guerra nelle case dei russi. Non più come un sentito dire nei talk show, ma come lettera di richiamo al servizio. Una differenza di sostanza, oltre che di forma, che alza la posta in palio del conflitto – sottoponendo l’Ucraina (e l’Occidente) a maggiori pressioni – e che, allo stesso tempo, rischia di aggravare le tensioni sociali in lungo e in largo la Federazione.
Le letture catastrofistiche e disfattistiche lasciano il tempo che trovano, che è un tempo privo di memoria e astruso, perché la storia insegna che piazze in agitazione e fughe all’estero sono fenomeni tipici di ogni paese che entra in guerra. Oggi è il turno della Russia, come ieri lo è stato dell’Ucraina – testimone di una (dimenticata) emorragia umana all’indomani della proclamazione della mobilitazione generale – e l’altroieri lo è stato degli Stati Uniti – casa di proteste partecipate da milioni di persone durante le guerre in Vietnam e in Iraq. Fisiologia della guerra, non per forza produttrice di effetti politicamente rilevanti.
Non sopravvalutare. Perché dalla Russia, numeri alla mano, sta principalmente emigrando via aereo l’élite del ceto medio-alto e di estr
azione liberal-borghese – i cui facoltosi membri possono permettersi di pagare fino a 10000 dollari per un biglietto di sola andata verso Doha o Dubai – e, secondariamente e via terra, una piccola marea di cervelli, giovani e famiglie ordinarie.
Non sottovalutare. Il fenomeno di resistenza alla mobilitazione è ai primordi e, per quanto caratteristico di ogni paese ed epoca storica, potrebbe avere dei riverberi politicalmente rilevanti nel prossimo futuro. Un po’ perché la Pax putiniana è venuta meno, e ciò obbligherà la società a riflettere sul proprio ruolo e sui propri desideri – passivo adattamento o richiesta di cambiamento –, e un po’ perché, a differenza del passato, la reticenza è trasversale, accomunando slavi e minoranze, giovani e adulti. La stabilità sociale della Russia appesa a un filo chiamato guerra in Ucraina.
Il Macellaio di Mariupol a capo della logistica russa
In una fase di mobilitazione delle truppe con la guerra sostanzialmente paralizzata, modificare l’assetto della logistica, che è stata considerata per molto tempo il vero tallone d’Achille dell’avanzata russa, è un segnale da non sottovalutare. La Russia ha mostrato enormi lacune nel campo della logistica, dei rifornimenti e dell’organizzazione dei convogli sin dalle prime settimane di invasione, quando si sono palesati problemi anche nella catena che collegava il territorio russo alla linea del fronte. La scelta di sostituire Bulgakov conferma la necessità di un cambio di passo che corre in parallelo alla volontà di Putin di imprimere una svolta netta al conflitto.
Infine, è interessante anche il fatto che sia stato promosso un uomo, Mizintsev, che ha guidato una delle più importanti vittorie dell’esercito russo (appunto l’assedio alla città martire di Mariupol), che ha coordinato un altro assedio a Severodonetsk e che a suo tempo si era già reso noto per la conduzione delle operazioni ad Aleppo, in Siria. Mizintsev può essere considerato, a oggi, uno dei pochi comandanti ad avere ottenuto risultati che per Putin possono essere visti non solo come tangibili ma anche realmente utili alla sua “operazione militare speciale”.
La seconda risposta statunitense: i missili anti radar
Ora siamo venuti a sapere che ci sono voluti solo un “paio di mesi” agli appaltatori della Difesa Usa per equipaggiare i caccia MiG-29 “Fulcrum” e Su-27 “Flanker” ucraini con gli Agm-88, grazie alle dichiarazioni rilasciate il 19 settembre dal capo delle forze aeree statunitensi in Europa. “È stato un vero sforzo”, ha detto il generale James Hecker durante una conferenza dell’Air Force Association. “Ci sono alcuni dei primi appaltatori che sono stati in grado di renderlo possibile. Ora [il missile n.d.r.] è integrato come su un F-16? Ovviamente no. Quindi non ha tutte le capacità che avrebbe come su un F-16”.
La questione può sembrare del tutto marginale nel più ampio contesto del conflitto ucraino, ma così non è. Innanzitutto le caratteristiche del missile lo rendono un’arma particolarmente temibile sul campo di battaglia: l’Agm-88 è un vettore ad alta velocità aria-superficie (ma Israele ha effettuato sperimentazioni per il lancio da piattaforme terrestri mobili) progettato per cercare e distruggere i sistemi di difesa aerea dotati di radar. L’Harm può rilevare, attaccare e distruggere un bersaglio con il minimo input da parte dell’equipaggio: il sistema di guida si concentra sulle emissioni radar del nemico utilizzando un’antenna fissa e una testa di ricerca nel muso del missile. Attualmente l’F-16C è l’unico aereo nell’inventario dell’U.S Air Force ad utilizzare il missile, che però viene usato anche dall’Aeronautica Militare Italiana e dalla Luftwaffe tedesca sui Tornado ECR e presto lo vedremo a bordo anche degli F-35A.
In combattimento, l’unica misura efficace per evitare di essere colpiti dal missile (eccezion fatta l’abbattimento prima del lancio dei caccia che lo trasportano) è lo spegnimento dei radar da difesa aerea: questa tattica però può avvantaggiare comunque l’aeronautica ucraina, in quanto, come detto dal generale Hecker, “anche se non ottieni l’eliminazione cinetica, puoi ottenere la superiorità aerea locale per un periodo di tempo in cui puoi fare ciò che devi fare”. Sempre che, ovviamente, i MiG-29 o Su-27 di Kiev non vengano intercettati dai caccia russi.
La vera notizia di settembre è passata inosservata
Negli stessi momenti in cui Putin, il 21.9.22, annunciava in un messaggio alla nazione la fine del camuffamento dell’operazione militare speciale, decretando l’avvio dell’attesa mobilitazione parziale, nel cuore mackinderiano dell’Asia profonda avveniva qualcosa di geoeconomicamente significativo: l’inaugurazione di una nuova rotta commerciale, di tipo multimodale, unente i mercati del rinato Impero celeste e di ben tre –stan.
Della rotta Cina-Kirghizistan-Uzbekistan-Afghanistan si discuteva da tempo, trattative e preparativi avevano costellato il 2021, ma è stato soltanto con lo scoppio della guerra in Ucraina che le parti hanno sveltito i lavori al banco negoziale, benedicendo la partenza sperimentale del primo carico di merci alla vigilia del vertice di Samarcanda. Partenza in sordina, curiosamente, di cui i giornali hanno cominciato a parlare soltanto a partire dal 21 settembre.
La tratta, la cui efficienza nella riduzione dei tempi e dei costi di trasporto verrà testata nel corso di un periodo di prova della durata di tre mesi, è stata costruita su richiesta esplicita di Biškek e Taškent, desiderose di ridurre la loro dipendenza commerciale e infrastrutturale da Mosca, e dovrebbe consentire il transito annuale di circa quattromila container.
La rotta – al momento stradale – potrebbe essere affiancata, qualora il comitato di giudici le desse pieni voti, da una serie di linee ferroviarie confluenti, in grado di unire lo Xinjiang al Pakistan via Kirghizistan, Uzbekistan e Afghanistan, permeando l’intera regione dell’olezzo della Belt and Road Initiative. Terrorismo, pressioni di rivali e dispute territoriali, si intende, permettendo.
L’impantamento russo fa gola a molti
La guerra in Ucraina, a meno di radicali inversioni di tendenza, potrebbe rivelarsi il rischio calcolato male di Putin. E non è soltanto per il lancio di nuove rotte commerciali sino-centriche in Asia centrale, ma per l’insieme degli eventi provocati e/o catalizzati. La definitiva ascesa di Pechino quale leader incontrastato dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, palesata in occasione del vertice di Samarcanda – protagonizzato da Xi Jinping per quantità e qualità di accordi siglati e per spirito di iniziativa. Il divenire del Caucaso meridionale un condominio turco-russo sempre più esposto alle manovre destabilizzatrici di Ankara e Washington. L’addormentamento dell’autonomia strategica europea, unica speranza per Mosca (e Bruxelles) di impedire la trasformazione dell’Unione Europea in un 51esimo stato sito nell’estremità occidentale dell’Asia. Le tensioni crescenti con gli –stan, in particolare con l’indispensabile Astana.