Per poter formattare il PC, bisogna innanzitutto entrare nel BIOS/UEFI
per impostare come prima periferica di avvio il masterizzatore/lettore o
la periferica USB precedentemente
creata dove
si trova il sistema operativo della versione
di Windows 7 a 32 o a 64 bit che
hai deciso di installare. Prima di fare questo bisogna però andare a
modificare anche un altro parametro, sempre nel BIOS/UEFI, che ti
consentirà di sfruttare appieno le potenzialità del tuo hard disk e/o
del tuo SSD.
Avvia quindi il tuo computer ed entra nel BIOS/UEFI premendo
ripetutamente i tastiCanc, F1 oF2 durante
la fase di POST (il
tasto da premere cambia a seconda della scheda madre posseduta) e
recati dunque nella prima scheda del BIOS/UEFI chiamata, solitamente, Main:
Muovendoti con le frecce direzionali della tua tastiera, vai ora sulla
voce SATA
Configuration, premi Invio, e
dal menu che compare premendo Invio su Configure
SATA as, seleziona dunque la voce AHCI, confermando
poi la scelta premendo nuovamente il tasto Invio:
Se non trovi il menu SATA
Configuration nella
scheda Main significa
che molto probabilmente si trova da qualche altra parte, ad esempio
nella scheda chiamata Advanced.
Tuttavia la procedura da seguire per impostare la modalità AHCI nel
menu Configure
SATA as rimane
comunque, più o meno, sempre quella appena detta.
Affinché tu possa impostare la prima periferica di avvio, adesso,
premendo Esc sulla
tua tastiera, recati nella scheda chiamataBoot,
dopodiché seleziona il menu Boot
Device Priority e
successivamente premi il tasto Invio:
A questo punto, muovendoti sempre con le frecce direzionali della tua
tastiera e confermando poi la scelta premendo nuovamente Invio,
dovrai selezionare come 1st
Boot Device,cioè
come prima periferica di avvio, proprio quella periferica del tuo
computer, ovvero il tuo masterizzatore/lettore CD/DVD/Blu-ray oppure la
tua periferica USB, contenente il sistema operativo che hai deciso di
installare:
In questo caso, a seconda della scheda madre scelta o della versione del
BIOS/UEFI che possiede il tuo PC, per cambiare valore nel menu Boot
Device Priority, potrebbe essere sufficiente usare direttamente
i tasti + e -, oppure PAG
SU e PAG
GIÙ, senzaquindi bisogno
di usare le frecce direzionali e/o premere Invio sulla
tua tastiera, anche se io per comodità ti consiglio di farlo ugualmente
utilizzando quest’ultima combinazione di tasti.
Dopo aver correttamente impostato pure la prima periferica di avvio,
adesso non ti rimane altro che premere il tasto F10,
oppure diverse volte il tasto Esc, in
maniera tale da salvare le modifiche effettuate nel BIOS/UEFI ed uscire
quindi dal BIOS/UEFI della tua scheda madre.
Prima di illustrare la procedura che ti consentirà di installare Windows
7, volevo comunque precisare che sui
computer più recenti è possibile modificare l’ordine di avvio delle
varie periferiche del PC senza la necessità di entrare per forza nel
BIOS/UEFI ma semplicemente premendo, di solito, il tasto F12 durante
la schermata di POST:
Pur essendo più veloce impostare la prima periferica di avvio in questo
modo, rimane tuttavia la necessità di entrare ugualmente nel BIOS/UEFI
per selezionare nel menu Configure
SATA as la
modalità AHCI, anche se in questo modo al prossimo avvio del computer
avrai l’indubbio vantaggio di non dover più impostare come prima
periferica di avvio quella che era già precedentemente impostata, che in
ogni caso dovrebbe essere sempre l’hard disk o l’SSD dove è installato
il sistema operativo. A prescindere comunque da come imposterai la prima
periferica di avvio, giunti a questo punto sarai finalmente pronto per
formattare il PC ed installare Windows 7.
Dopo aver correttamente predisposto i parametri nel BIOS/UEFI della tua
scheda madre, se casomai non l’avessi già fatto, adesso non ti rimarrà
altro che inserire nel tuo PC il CD/DVD o la periferica USB della versione
di Windows 7 a 32 o a 64 bit che
hai deciso di installare sul tuo computer. Successivamente non dovrai
fare altro che attendere la comparsa della seguente schermata, durante
la quale, per avviare il tuo PC dal CD/DVD o dalla periferica USB
precedentemente inserita, dovrai soltanto premere un qualunque tasto
sulla tua tastiera:
Dopo aver premuto un qualsiasi tasto sulla tua tastiera, ed esser così
stati caricati tutti i file necessari del sistema operativo scelto,
comparirà immediatamente questa ulteriore schermata:
Essendo le varie voci già correttamente impostate su Italiano,
in questa prima fase dovrai perciò semplicemente premere su Avanti.
Fatto ciò, comparirà subito la seguente schermata…
nella quale dovrai solamente premere sul pulsante Installa.
A questo punto dovrai leggere con attenzione le condizioni di licenza
del sistema operativo scelto, dopodiché dovrai accettarle mettendo
una banale spunta a fianco la voce Accetto
le condizioni di licenza:
Dopo aver fatto clic su Avanti,
adesso comparirà una schermata nella quale dovrai scegliere il tipo di
installazione da effettuare. Siccome stai facendo un’installazione
pulita, e non un semplice aggiornamento, dovrai perciò semplicemente
cliccare sulla voce Personalizzata
(utenti esperti):
Adesso ti verrà chiesto il percorso in cui desideri installare Windows
7. Se sul tuo computer c’è un solo hard disk o un solo SSD, dovrai
allora semplicemente selezionarlo e premere poi su Avanti.
Se sul tuo computer ci sono invece due o più hard disk o SSD, dovrai
allora selezionare quello che ritieni più opportuno e solo dopo potrai
cliccare su Avanti.
Da questa stessa schermata è inoltre possibile gestire eventuali partizioni presenti
nel tuo hard disk o nel tuo SSD cliccando prima su Opzioni
unità (avanzate),
poi su Nuovo,
e successivamente immettendo le dimensioni in MB desiderate;
se l’hard disk o l’SSD è già formattato, basterà invece premere
semplicemente prima suElimina, poi
su Nuovo e
infine su Avanti:
Arrivati a questo punto partirà l’installazione vera e propria del
sistema operativo scelto che, per essere portata a termine, a seconda
delle prestazioni del tuo computer, potrà impiegare diverse decine di
minuti. Durante questa fase, tieni comunque presente che il tuo computer
verrà automaticamente riavviato diverse volte:
Se per caso nel BIOS/UEFI hai lasciato selezionato come prima periferica
di avvio il CD/DVD o la periferica USB, durante
i prossimi riavvii del tuo computer ricordati di non premere alcun tasto
sulla tua tastiera,
altrimenti la procedura di installazione del tuo sistema operativo
ripartirà dall’inizio. Se dovesse capitare una cosa del genere, basterà
semplicemente annullare la procedura per installare il sistema operativo
e riprendere così dal punto in cui eri arrivato.
COMPLETAMENTO DELL'INSTALLAZIONE WINDOWS7
Una volta completata l’installazione di Windows 7, prima di poter
iniziare ad usare il tuo computer, dovrai ancora
necessariamente configurare qualche ulteriore impostazione iniziale. Ti
verrà quindi chiesto di scegliere sia un nome utente per l’account amministratore del
tuo PC, sia di assegnare un nome qualsiasi al tuo computer che servirà
principalmente per identificare il tuo computer all’interno di
un’eventuale rete LAN:
Sebbene non sia proprio obbligatorio inserirla, ma pur sempre
consigliato, dopo aver fatto clic su Avanti, ti
verrà anche chiesto di inserire una password, con tanto di suggerimento
per ricordarla, per l’account utente appena creato:
Dopo aver fatto clic su Avanti,
ti verrà poi chiesto di digitare il codice Product
Key del
tuo sistema operativo Windows. Spuntando la casella a fianco la voce Attiva
automaticamente Windows non appena è disponibile una connessione a
Internet,Windows
7 attiveràla
copia di Windows in uso non appena sarà possibile collegarsi ad
Internet. Volendo, potrai comunque saltare momentaneamente questo
passaggio. Tuttavia ti ricordo che, trascorsi 30 giorni dalla data di
installazione del sistema operativo, dovrai per forza attivare la tua
copia di Windows 7, altrimenti non potrai più continuare ad utilizzare
correttamente il tuo sistema operativo:
Dopo aver fatto clic su Avanti,
a questo punto dovrai scegliere come proteggere il tuo computer nonché
come contribuire al miglioramento di Windows. Per un corretto
funzionamento del tuo PC io ti consiglio di selezionare la voce Usa
impostazioni consigliate,
tanto potrai cambiare questa scelta anche in un secondo momento:
A questo punto ti verrà chiesto di verificare la correttezza delle
impostazioni relative alla data e all’ora del tuo PC, che nella maggior
parte dei casi dovrebbero essere già entrambe corrette:
Dopo aver quindi fatto clic su Avanti, se
il sistema operativo rileverà una connessione ad Internet via cavo, cioè
via LAN,
adesso ti verrà soltanto chiesto di selezionarne il tipo…
…altrimenti, se il sistema operativo rileverà una connessione ad
Internet senza fili, cioè via wireless,
ti verrà prima chiesto di inserirne la chiave di cifratura e dopo di
selezionarne pure il tipo.
Infine, ti verrà mostrato il desktop
di Windows 7 che
sarà finalmente pronto per poter essere utilizzato. A questo punto,
volendo, premendo il tasto destro del mouse su una parte vuota del
desktop e scegliendo primaPersonalizza e
poi, in alto a sinistra, Cambia
icone sul desktop,
potrai pure aggiungere sul tuo desktop le sempre utili icone del Computer,
dei File
dell’utente,
del Pannello
di controllo ed
anche quella relativa alla Rete:
Sebbene sia riferita ad un solo sistema operativo, la procedura appena
illustrata per formattare il PC ed installare Windows 7 può
tranquillamente essere applicata anche per installare altri sistemi
operativi, come ad esempio Windows
8.1 oWindows
10.
Tuttavia ti faccio notare che le schermate durante l’installazione di un
altro sistema operativo non saranno proprio identiche a quelle
illustrate qui, ma le scelte da fare, invece, saranno più o meno sempre
le stesse. Inoltre, se hai deciso di installare Windows 7, Windows 8.1 o
Windows 10 su un tuo vecchio computer, prima di poter formattare il PC
ed installare uno di questi nuovi sistemi operativi, sappi che dovresti
innanzitutto verificare
se il tuo computer supporta uno di questi ultimi sistemi operativi.
Arrivati comunque a questo punto dovresti aver finalmente capito come
formattare il PC ed installareWindows
7.
La grande distribuzione è in crisi: il
sogno si sta trasformando poco a poco in un incubo
Correva l’anno 1998 quando il primo governo
Prodi(notoriamente di sinistra) varò la
riforma della disciplina relativa al commercio.
Fu grazie a questa riforma che alle regioni fu dato il potere di
favorire una rete distributiva per l’insediamento di attività
commerciali. Notate bene: la legge si fondava solo ed esclusivamente
sul principio della libertà di iniziativa economica privata, ai
sensi dell’articolo
41 della Costituzione. Dimenticando completamente altri due
articoli fondamentali: l’art. 9 sulla tutela del paesaggio e magari
anche l’art. 42 relativo alla funzione sociale della proprietà
privata. Del resto, il governo Prodi era il trionfo del liberismo.
E ad esso seguì un altrettanto liberista governo
D’Alemacon la privatizzazione dei servizi
pubblici, ma questa è un’altra storia.
Torniamo alla Gdo,
ossia alla Grande distribuzione organizzata, che ebbe un deciso
effetto propulsivo grazie a quel governo sedicente di sinistra e
all’applicazione che dettero le regioni alla norma. Fu un
proliferare di nuove autorizzazioni. Questo significò tra l’altro
l’agonia della piccola distribuzione e la selezione e lo
strozzamento dei produttori nei generi alimentari. Ma anche questo
meriterebbe un discorso a parte.
Limitiamoci al dilagare della Gdo, perché adesso la Gdo è invece in
crisi: eh sì, dopo la grande abbuffata, l’espandersi a
macchia d’olio favorito da una legge mirante solo a togliere lacci e
lacciuoli al commercio, ecco che il sogno si sta trasformando a poco
a poco in incubo. I segnali ci sono da tempo. Per limitarci al Piemonte, un’indagine,
mai contestata, su scala regionale del 2014 con applicazione di
un algoritmo già utilizzato in Francia per verificare la congruità
del numero di strutture della Gdo rispetto alle esigenze reali del
territorio, restituiva numeri abbastanza impressionanti: “su 106
ipermercati esistenti in Piemonte ce ne sono43
di troppo. Poco meno della metà, insomma, sarebbero in
sovrappiù rispetto alla potenzialità di spesa dei piemontesi.”
Del resto, non ci vuole un genio, ma basta un’intelligenza media per
comprendere che non solo non si può andare avanti all’infinito con
la Gdo – quando poi tra l’altro la popolazione neppure cresce di
numero e in più avanza la povertà – ma che le strutture già
esistenti sono del tutto sovrabbondanti rispetto
alla richiesta. Eppure ecco che sempre nella mia regione, il
Piemonte, aprirà i battenti ilCaselle
Open Mall: gli open
mall, i più devastanti territorialmente perché si estendono in
larghezza anziché in altezza, creando la sensazione di piccoli
borghi che altro non sono se non enormi non-luoghi.
Caselle non sarà che un’ulteriore metastasi di quel male che ha già
prodotto l’outlet di Serravalle
Scrivia(che aprì giusto un anno dopo la
bersanizzazione del mercato), Mondovicino a Mondovì,
gli outlet di Vicolungo e
Torino. Quanto dureranno, quanto dureranno i super, gli iper?
Chissà. I segnali della crisi sono già palpabili, anche in grande:
basti vedere cosa sta accadendo proprio ora con il colosso mondiale
Auchan, acquisito da Conad, la quale “razionalizzerà” con la
fusione: il che, tradotto, significherà un po’ di gente a casa a
infoltire l’esercito dei nuovi poveri, e strutture chiuse.
E qui faccio un balzo indietro a quell’art. 9 della Costituzione che il
sinistro governo Prodi non si filava nemmeno nelle premesse. Il dilagare
di centri commerciali è andato a discapito quasi sempre di terreni
agricoli, e quindi di paesaggio naturale. Anche perché la legge non
conteneva nessun vincolo per la realizzazione di nuove strutture, del
tipo aree industriali dismesse, che pure esistono ormai in abbondanza.
Nessuno studio ci dirà mai quanta superficie di suolo è stata cementificata per
costruire le strutture della Gdo.
E adesso quante aree industriali verranno abbandonate? Chi lo sa. Io ho
pur sempre una magra consolazione.
Anni fa scrissi con altri “Verde
clandestino”,
sul verde che occupa gli interstizi dei muri, le crepe sui marciapiedi e
le fabbriche abbandonate. Dove c’erano gli scaffali, cresceranno i
boschi. Lo si chiama “futuro distopico”? Non sono d’accordo.
Domeniche Bestiali –
Un anno di sorveglianza speciale per leader della Curva Nord
interista
Claudio
Morra, uno dei leader dei Boys San, gruppo portante della curva
Nord dell'Inter, è stato sottoposto a un anno di sorveglianza
speciale per via della sua “pericolosità sociale in termini di
concretezza e anche di attualità”. Lo ha deciso la sezione misure di
Prevenzione del Tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia. Si
legge nel provvedimento che Morra “può ben inquadrarsi (...) tra
coloro che appaiono ‘dediti
alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la
sicurezza e la tranquillità pubblica', in relazione alle plurime
denunzie e alla condotta riportate per comportamenti violenti o
comunque preliminari all’ uso della violenza (come il porto in
pubblico di armi atti all’offesa)”.
Il Tribunale evidenzia che alla sua “incapacità di contenere le
proprie reazioni aggressive si aggiunge, peraltro, l’assenza di
autocritica e di accettazione delle proprie responsabilità, che
rappresenta il primo passo per un cambiamento”.
Tifoso morto negli scontri prima di Inter-Napoli:
arrestato l'investitore di Belardinelli
Si tratta di un ultrà napoletano, Fabio Manduca, accusato di
omicidio volontario. Ha 39 anni e diversi precedenti. Il suo
avvocato: "Non trasferitelo in carcere a Milano, da tifoso
napoletano rischia".
"Ma quello si è gettato sotto...". Una sola frase. Pronunciata in
auto, parlando col proprio avvocato, e non davanti ai pubblici
ministeri Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri che lo avevano
convocato a Milano nel marzo del 2019 per un interrogatorio. Fabio
Manduca,
l'ultrà napoletano alla guida del Renault Kadjar che travolse
e uccise Daniele Belardinelli il
26 dicembre 2018, prima di Inter-Napoli,
davanti ai magistrati non parlò. Ma quella frase, per gli
investigatori è stata un riscontro decisivo. Una sorta di
ammissione, unita alle immagini delle telecamere, alle
testimonianze, ai risultati delle perizie: solo l'auto del 39enne
Manduca, tra quelle analizzate, avrebbe segni di investimento e
schiacciamento. Manduca ha precedenti per furto, ricettazione,
commercio di prodotti falsi e truffa. E la sera degli incidenti
aveva a bordo della Renault il fratello del capo dei "Mastiffs",
gruppo ultras tra i più vicini ad ambienti di camorra. Il suv era
tra i mezzi arrivati da Napoli in modo autonomo rispetto al resto
del tifo organizzato. La Curva nord interista tese un agguato in via
Novara. SoloLuca
Da Ros,
ultrà nerazzurro che poi ha patteggiato per l'accusa di rissa
aggravata, come aveva spiegato il gip Guido Salvini, ha svelato la
"identità di numerose persone coinvolte" nella 'guerriglia' con una
scelta non certamente facile per la "pressione che i gruppi di
tifosi ultras sono in grado di esercitare". E aveva manifestato "un
concreto distacco da quelle regole di un'omertà che caratterizza la
realtà di tali gruppi". È accusato di
aver accelerato,
quando il gruppo di ultrà interisti invase la strada con un assalto
programmato, con tanto di mazze, coltelli e bastoni. L'ultrà del
Napoli, in particolare, dopo aver superato un'altra auto della
carovana, un'Audi A3, avrebbe puntato dritto al gruppo di ultras
'rivali', investito - secondo l'accusa- volontariamente Belardinelli
(39 anni, ultrà dei Blood Honour del Varese, tifoseria gemellata con
quella interista), passando sopra il corpo e proseguendo, poi, la
marcia. Lo scorso marzo, intanto, erano
arrivate 5 condannefino
a 3 anni e 8 mesi e un patteggiamento (per Luca Da Ros, l'unico ad
aver collaborato alle indagini) per i 6 ultras interisti arrestati
per rissa aggravata e altri reati pochi giorni dopo l'assalto in
stile "militare", tra cui i capi della curva interista Marco
Piovella e Nino Ciccarelli.
All’improvviso
la follia: la bandierina dell’assistente arbitrale diventa “bastone
per colpire e spada per trafiggere”
C’è un vincitoreassoluto in
questo appuntamento conDomeniche
bestiali: qualcuno che col suo comportamento ha
veramente interpretato alla lettera il nome di questarubrica,
fin troppo forse. Nessuna anticipazione:
basteranno le parole del Giudice
Sportivo per spiegare. Rimanderemo altresqualifiche,
peripezie degli arbitri e
racconti dei giudici sportivi alle prossimerubriche e
il resto, daglistriscioni dei
tifosi che si autodenunciano alle perle dei “Disoccupati
di Lusso”, pur essendo molto divertente, passerà in secondopiano.
Perché al primo posto c’è lui.
Non si poteva non ripartire da Keric
Mirsad anche
in questa puntata diDomeniche
Bestiali:
dopo la lunga squalifica per l’uomo che tirava in aria gli avversari e
usava labandierina come
spada per trafiggere arrivano infatti le conseguenze, dolorose,
delle sue gesta. DalTrentino alVeneto:
con la curiosa “costante
B”
per le squalifiche del Giudice
Sportivo fino
all’atmosfera daHotel
Raphael in
Irpinia, passando per i riti dispogliatoio del
calciatore dilettante.
Riecheggia ancora il rumore delle mazzate tra Isera eBaone di
Romarzollo, prima categoria delTrentino:
in particolare di quelle di Keric Mirsad, squalificato per cinque
anni: botte che hanno portato a conseguenze anche abbastanza serie. L’Adige infatti
racconta anche dimandibolerotte e
calciatori finiti sotto i ferri: “Soprattutto lalagarina Isera
ne è uscita con le “ossa rotte”. In totale sono stati comminati 10
anni e 2 mesi diinibizione,
divisi sul fronte dell’Isera in 5 per l’assistente
arbitrale (non
ci sono guardalinee ufficiali in questa categoria), 2 per
l’allenatoreVoltolini,
altri 2 per il giocatore Bressan e
un anno e 2 mesi per il giocatore romarzollesePellegrini.
Quest’ultimo è finito sotto i ferri del chirurgo al
reparto maxillo-facciale delS.
Chiara per
la frattura dellamandibola”.
Un bollettino di
guerra.
Scorrendo i vari comunicati del giudicesportivo dei
campionati dilettantistici veneti emerge una costante: lablasfemia.
Non ce n’è uno senza squalifiche rimediate
da calciatori, allenatori o dirigenti per averbestemmiato.
Molto più lontano dal Veneto, invece, le manifestazioni di
dissenso ricordano molto i tempi del crollo dellaPrima
Repubblica.
Siamo in Irpinia,
terra che peraltro alla Prima Repubblica ha regalato parlamentari,
ministri e un presidente
del Consiglio:
qui un tifoso ha espresso il suo dissenso all’arbitro
lanciandogli monetine. “Al termine della gara un tifoso chiaramentericonducibile alla
societàMercogliano che
si trovava indebitamente nello spazio antistante lospogliatoio arbitrale,
ingiuriava e minacciava il DDg (che sta per ‘direttore di gara’,
ndr) arrivandogli alanciare con
forza tre monete colpendolo al petto e provocandogliintensodolore;
lo stesso, dopo il vile gesto seguiva il ddg fino all’ingresso
dello spogliatoio continuando
con le ingiurie e le minacce”. E chissà che non gli abbia mostrato
anche lebanconote intonando
“Vuoi pure queste?”.
Tra i vari memesocial che
riguardano il calcio dilettantistico particolarmente apprezzato
dagliaddettiailavori è
stato uno degli ultimi divulgato da “Cronache
di Spogliatoio”,
che descrive l’allenamento tipico del calciatoredilettante:
dall’arrivo alla “guerra per il mitologico terzoappendino”
alla “corsetta intorno al campo con aggiornamento di
vita morte e miracoli deicompagni”
fino alla “partitella con pettorine nella
quale ci si gioca onore, pizza, birra,estathé,
casa e parenti”.
KERIC MIRSAD (assistente arbitrale dell’Isera, Prima
categoria Trentino Alto Adige, squalificato fino al 2024)–
Questo quel che scrive il giudice sportivo: “In qualità diassistentearbitrale,
per tutta la durata della rissa verificatasi al termine della gara,
picchiava con inauditaviolenza tanti
giocatori avversari, alzandoli di peso, buttandoli a terra e
colpendoli confortipugni e
calci alle costole, dando l’impressione di volermassacrare chiunque
gli si parasse davanti. In possesso dellabandierina,
la usava a mo’ di bastone per
colpire e a mo’ di spada pertrafiggere.
Quanto sopra avveniva fino a che, altri dirigenti, lo portavano via
di peso”. Superfluo ogni commento.
MAI SOBRI – Tra
le cose belle delcalciodilettantistico ci
sono le coreografie, i cori e in generale l’anticonformismo di chi
sceglie di seguire trapolvere,
freddo, caldo e zero comodità piccole squadre di paese e non la Serie
Acomodamente
seduto in poltrona. Tra questi c’è chi come gli ultras del Gladiator,
squadra campana, sulla “pezza”, ovvero la sciarpa o
lo striscione identificativo del gruppo, invece che nomi dibattaglia
bellicosi, dai drughi a guerrieri a commandi,
denuncia le proprie condizioni, avvertendo di non essere “Mai
sobri”.
IL SEGRETO DI PULCINELLA – Si
dice che la popolaremascherapartenopea,
quando scriveva lettere, dopo aver buttato giù tutte le parole mettesse
lapunteggiatura,
tutta insieme, a fine foglio, dicendo sostanzialmente al lettore “metti
tu i punti dove ritieni più opportuno”. È più o meno quanto avviene
nella rubrica – già dal nome assai promettente – “Tecnici
disoccupati di Lusso” per “tuttocampo
Sardegna”. Promesse mantenute nei contenuti.
Da una domande lunghissima riportiamo testualmente: “Nel calcio di
oggi si paga per
giocare, a volte attraversosponsorizzazioni e
altre invece con vere e proprioprebende,
ed è un segreto di pulcinella che coinvolge tutti i ruoli e tutte le
categorie dalla LegaProin
giù (anche se pure qualche presenza in B desta sospetto,
e anche a queste latitudini). Anche fra i grandi ma anche nelle giovanili,
e anche nei dilettanti,
insomma tutto il mondo e paese, l’importante ormai nelle società che
sono delle vere e proprie aziende si pensa a fare quadrare i conti
piu che alla crescita del ragazzo. 6 d accordo?”. E giù con i contorsionismiverbali:
“Parliamo della prima e seconda categ. in generale, nn credi che il
livello e l importanza data a queste categorie sia
un po sottovalutata? , mi spiego (pure n.d.r): nn credi che ci sia
unmalcostume in
queste categorie, si conceda ancora troppo il fatto che non si debba
giocare apallone,
considerato solo un dopolavoro x
tanti giovani, invece si trovano tante squadre che provano a
esprimere unbel
gioco, insomma anche in queste
categorie si trovano parecchi giocatori che
sanno dare del tu al pallone…….? nn credi?”. Parole,parole,
parole: se avesse intervistato il Keric Mirsad non sarebbe riuscito
a utilizzare più di due frasi.
Inter-Verona 2-1, una magia di Barella abbatte il muro dei
veneti
L'esultanza
di Barella dopo il gol vittoria (agf)
Vittoria in rimonta dei nerazzurri: dopo il rigore di Verre,
nella ripresa Vecino e l'ex cagliaritano ribaltano tutto. I
nerazzurri si riprendono il primo posto in attesa di
Juventus-Milan
Chi di rimonta perisce, di rimonta ferisce. Dopo il ko di
Dortmund e tutte le polemiche per le dichiarazioni di Conte,
l'Inter riprende la corsa in campionato battendo a fatica e in
rimonta per 2-1 l'Hellas Verona. Ospiti avanti nel primo tempo
con il rigore di Verre, nella ripresa Vecino e Barella ribaltano
tutto. In attesa di Juventus-Milan, i ragazzi di Conte tornano
al primo posto.
Verre illude l'Hellas
Conte lascia fuori Godin e Candreva, dentro Bastoni e Lazaro.
Juric è senza Kumbulla e Veloso, al loro posto Empereur e
Pessina. Come ci si poteva aspettare alla vigilia, sono i
padroni di casa a partire con l'acceleratore ma la difesa
scaligera tiene bene. A sorpresa a passare in vantaggio è
proprio l'Hellas: è il 19′ quando Lazovic imbuca bene per
Zaccagni in area, Handanovic frana in uscita sul numero 20 e
l'arbitro Valeri indica giustamente il dischetto. Dagli 11 metri
Verre sceglie la soluzione centrale portando in vantaggio i
suoi. Da quel momento inizia un tiro al bersaglio verso l'area
di Silvestri quasi senza precedenti. Ci provano nell'ordine
Brozovic dalla distanza ma scheggia la traversa, Lukaku con una
zampata sul primo palo, De Vrij sempre dal limite e Vecino con
un tap-ìn che l'estremo difensore dei veneti salva sulla linea
come confermato dalla goal-line-technology. La porta sembra
stregata per i nerazzurri.
Magia di Barella incanta San Siro
Nella ripresa l'Inter attacca ancora più forte e il Verona è
costretto a schiacciarsi nella propria metà campo, facendo più
fatica rispetto al primo tempo a uscire. Paradossalmente i più
pericolosi sono i difensori con un colpo di testa alto di
Skriniar e una fucilata di Bastoni respinta da Silvestri. E' un
vero e proprio assedio e l'Hellas alla fine cede: al 65′ cross
dalla destra di Lazaro e stacco imperioso di Vecino che trova
l'angolino. Marchio di fabbrica per il centrocampista uruguaiano
che trova il pari. Il mood della partita non cambia e all'80' l'Hellas
rischia la frittata: erroraccio di Amrabat che svirgola un
pallone a centrocampo, lanciando di fatto Lukaku da solo verso
la porta di Silvestri, l'attaccante belga però non aspetta che
scenda la palla optando per un innocuo colpo di testa, bloccato
dal portiere ospite. Passano però due minuti e Barella dalla
distanza scaraventa un destro sotto all'incrocio che fa
esplodere di gioia San Siro: una vera e propria perla dell'ex
Cagliari. Nell'anniversario del crollo del muro di Berlino,
calcisticamente cede anche quello del Verona. Juric si gioca
subito la carta Stepinski ed è proprio l'attaccante polacco a
sciupare un'ottima occasione ravvicinata su assist di Lazovic.
Dopo 5 minuti di recupero Conte può comprensibilmente gioire e
godersi il primato ritrovato in classifica in attesa di
Juventus-Milan di domenica sera: i nerazzurri saranno costretti
a tifare per i cugini rossoneri.
INTER-VERONA 2-1 (0-1)
Inter (3-5-2): Handanovic;
Skriniar, De Vrij, Bastoni; Lazaro (40′ st D'Ambrosio), Barella,
Brozovic, Vecino, Biraghi (18′ st Candreva); Lautaro (36′ st
Esposito), Lukaku. A disp.: Padelli, Berni, Godin, Sensi,
Ranocchia, Borja Valero, Dimarco, Vergani, Fonseca. All.: Conte.
Verona (3-4-2-1): Silvestri;
Rrahmani, Gunter, Empereur; Faraoni, Amrabat, Pessina, Lazovic;
Verre (18′ st Henderson), Zaccagni (5′ st Tutino); Salcedo (39′
st Stepinski). A disp.: Berardi, Radunovic, Vitale, Wesley,
Adjapong, Danzi, Dawidowicz, Di Carmine, Pazzini. All.: Juric.
Arbitro: Valeri
di Roma.
Reti: Verre
al 19′ su rigore, Vecino al 65′ e Barella all'82'.
Ammoniti: Brozovic,
Lautaro, Martinez e Barella.
Angoli: 9-3
per l'Inter.
Recupero: 1′
e 5′.
Cagliari show, 5-2 alla Fiorentina: ora è terzo in classifica
I sardi, guidati da un Nainggolan in gran spolvero (un gol e tre
assist), travolgono in casa i viola: primo tempo spettacolare
degli uomini di Maran, segna anche l'ex Simeone. Per la squadra
di Montella l'unica nota positiva è la doppietta di Vlahovic
Dieci. Come il numero del voto più alto. Dieci è il numero di
partite senza macchia che il Cagliari di Rolando Maran raggiunge
annichilendo la Fiorentina. Stavolta i sardi meritano anche la
lode, poiché per tre quarti giocano la partita perfetta. Se di
capolavoro si era parlato nell'andare a vincere in casa
dell'Atalanta, dieci con lode è il voto nel compito in classe
collettivo presentato dai Quattro Mori contro la Fiorentina.
Maran è un "maestro" felice (che accetta pure il calo di
tensione degli ultimi minuti). La Viola, infatti, finisce
annichilita nella prova d'insieme, nessuno tra i rossoblù stecca
fino a quando c'è incertezza. Così il Cagliari va in fuga per la
vittoria.
A fine primo tempo, su un eloquente parziale di 3-0, Pisacane
spiega il frutto di sacrificio, di umiltà, di idee chiare. Non
si cerchi nelle manchevolezze della Viola il motivo di questa
goleada. Il Cagliari va in crescendo, comincia con intensità,
trova il gol con cinque giocatori diversi, frutto del
coinvolgimento di tutti i giocatori, fanno ben sopra la
sufficienza anche quelli che non finiscono nel referto del
match.
Dal centrocampo, Maran ha tutto, la corsa di Rog - il migliore
dopo Nainngolan - ha il contrasto e la qualità di Nandez, la
fine architettura calcistica di Cigarini e la leadership di
Nainngolan. Il Ninja entra in tutte le azioni decisive e poi,
non contento, firma il quinto sigillo, un tiro dai 35 metri, uno
dei suoi, potente, preciso, imprendibile. A sorreggere la
costruzione c'è l'appoggio delle punte e l'attenzione della
difesa.
Dominata in tutto e per tutto, la Fiorentina ha il merito di non
mollare, e di salvare l'orgoglio. Lo fa con Vlahovic - Chiesa
vive un pomeriggio appannato - che firma i suoi primi due gol in
Serie A a partita praticamente finita.
La partita perfetta
La cronaca quindi è un vero monologo rossoblù, l'Orchestra
Spettacolo Rolando Maran manda in visibilio la Sardegna Arena:
ogni gol è illuminato, spaziature perfette, attenzione
collettiva, organizzazione.
Il gol di Rog viene da undici passaggi di fila, tutti precisi e
incisivi; gli ultimi tre, a un tocco, di rapidità da fibra
ottica; il raddoppio, su angolo telecomandato di Cigarini sulla
testa di Pisacane; il tris (minuto 34) in contropiede, volata di
Rog, tiro di Nainngolan ribattuto e doppiato dal Ninja per il
tacco vincente, sotto misura, di Simeone. La Fiorentina -
attenti - non è spettatrice non pagante, Olsen al 38' si oppone
a un tiro ravvicinato di Pezzella con una parata importante a
terra. Prima del riposo, si registra il solo guizzo di Chiesa,
un pallone che può giocare in area, sull'out mancino, tiro di
destro a giro alto di poco.
Ovazione per Nainggolan
Cagliari perfetto? Tutto è migliorabile, persino un grande
spettacolo. Lo si capisce sotto la pioggia e con il vento di
bufera che accoglie in campo le squadre nella ripresa. Nove
minuti di marca ospite, ma al 9' il contropiede perfetto, a tre,
Nainngolan scippa palla a Badelj, aspetta che si allarghino alla
sua sinistra Simeone e alla sua destra Joao Pedro e sceglie il
brasiliano con un tocco magistrale. Il numero 10 aspetta
Dragowski in uscita e in scivolata gli toglie il tempo con un
destro angolatissimo, potente, imparabile. Pare la ciliegia
sulla torta. Invece no. Al 60' altra ripartenza indiavolata del
Cagliari, ribattuto il tiro di Simeone, in angolo Dragowski sul
siluro di Pellegrini dal fondo. E al 65', tutto lo stadio si
alza in piedi quando Nainngolan chiude il suo pomeriggio
perfetto con un destro dai 35 metri appena sfiorato da Dragowski
che "muore" sotto l'incrocio. Un'ora di calcio paradisiaco per
gli isolani. Solo a 15' dal traguardo, il Cagliari alza il piede
dall'acceleratore, quando Maran opta per la passerella finale
dei protagonisti: fuori Simeone, Nainngolan e Nandez.
Buon compleanno, Rombo di Tuono!
Finale colorato di viola, la doppietta di Vlahovic, il primo su
cross di Dalbert, sinistro all'angolino, il secondo su ingenuità
di Pellegrini con tiro a giro sul palo lontano. La vittoria issa
il Cagliari al terzo posto. C'è un'isola che sogna, nei giorni
in cui ha festeggiato i 75 anni della sua icona calcistica più
nota e giustamente più celebrata: Gigi Riva. Leggenda per un
giorno oscurata dal Collettivo Autonomo di Rolando Maran.
Cagliari (4-3-1-2): Olsen, Cacciatore, Pisacane, Klavan,
Pellegrini; Nandez (38' st Ragatzu) Cigarini, Rog; Nainggolan
(33' st Castro) Joao Pedro, Simeone (29' st Cerri). All.: Maran.
Fiorentina (3-5-2): Dragowski, Milenkovic, Pezzella, Caceres;
Lirola (1' st Sottil), Pulgar, Badelij, Castrovilli (22' st
Benassi), Dalbert; Vlahovic, Chiesa (28' st Ghezzal). All.:
Montella.
Arbitro: La Penna di Roma
Reti: nel pt, 17' Rog, 26' Pisacane, 34' Simeone; nel st, 9'
Joao Pedro, 20' Nainggolan, 30' e 42' Vlahovic.
Note: Recupero: 3 e 2. Angoli: 6 a 5 per la Fiorentina.
Ammoniti: Castrovilli, Pulgar, Nandez.
Milan-Lazio 1-2: Immobile-Correa, i biancocelesti sfatano il
tabù San Siro
Correa
scaglia il tiro della vittoria della Lazio (ansa)
Con un gol per tempo la squadra di Inzaghi torna a vincere a San
Siro contro i rossoneri 30 anni dopo l'ultima volta e aggancia
il quarto posto. Un autogol di Bastos aveva permesso ai padroni
di casa di pareggiare
Trenta anni dopo l'ultima volta, la Lazio batte il Milan a San
Siro e aggancia il quarto posto in classifica. Al Meazza finisce
2-1 per i biancocelesti che passano grazie a un gol di Immobile
nel primo tempo e a una rete di Correa nella ripresa. Un
successo fondamentale per gli uomini di Inzaghi che approfittano
del passo falso dell'Atalanta in casa col Cagliari per
raggiungerla in piena zona Champions e restare in scia della
Roma, terza. Per il Milan, invece, è notte fonda. Sesta
sconfitta in 11 partite ed Europa sempre più lontana, ora a 8
lunghezze. E le prossime partite non saranno passeggiate:
Juventus a Torino e Napoli a San Siro dopo il rientro dalla
sosta.
Immenso Immobile da 100 con la Lazio, poi il Milan pareggia
Bel primo tempo a San Siro con entrambe le squadre che se la
giocavano a viso aperto. La prima palla gol capita sul piedi di
Immobile che, servito in area da Lulic, cerca di sorprendere
Donnarumma sul secondo palo trovando l'ottima risposta del
portiere di casa. 2′ più tardi è Piatek ad avere il pallone
dell'1-0, ma Acerbi in scivolata devia in angolo il tiro del
polacco. Poi in 10′ accade di tutto. Al 21′ Strakosha salva a tu
per tu con Paquetà, sull'azione seguente Immobile, defilato
sulla sinistra in area, supera Donnarumma, ma colpisce la
traversa. Al 23′ Castillejo impegna da fuori Strakosha, 60" più
tardi Immobile, servito da un cross di Lazzari, anticipa Duarte
e di testa infila il portiere rossonero: per l'attaccante si
tratta della centesima rete con la maglia della Lazio. Al 29′ il
pareggio milanista: cross morbido dalla sinistra di Theo
Hernandez, Piatek in acrobazia prolunga la sfera sul petto di
Bastos che spiazza Strakosha. Al 40′ Calhanoglu prova a
sorprendere il numero uno laziale dalla bandierina, ma Strakosha
è bravissimo a salvare sulla linea di porta. Nel finale doppia
occasione per Correa, prima è bravo Donnarumma, poi Romagnoli a
chiuderlo in angolo.
Correa sfata il tabù San Siro
La ripresa è meno avvincente. Tanti gli errori in fase di
impostazione da parte di entrambe le squadre, poi l'ingresso di
Leao al posto di Paquetà provoca l'effetto opposto in casa Milan
col francese impacciato, lento e a tratti svogliato. Con lui si
spegne tutto il reparto offensivo con Piatek che scompare
letteralmente dalla scena e Rebic che si perde sulla corsia di
destra. L'unico sussulto rossonero nel secondo tempo è una
punizione da fuori di Calhanoglu che Strakosha respinge con i
pugni. Anche la Lazio cala fisicamente e si rende meno
pericolosa dalle parti di Donnarumma che, però, nel finale nega
la gioia del gol prima a Parolo, poi ad Acerbi su calcio
d'angolo, infine a Luis Alberto. All'83', però, lo spagnolo
raccoglie un palla respinta corta da Duarte e verticalizza per
Correa che questa volta, a tu per tu con Donnarumma, non
sbaglia. Il Milan non ha più la forza di reagire, la Lazio si
chiude bene e sbanca San Siro dopo 30 anni esatti.
MILAN-LAZIO 1-2 (1-1)
Atalanta-Cagliari 0-2: autogol di Pasalic e Oliva, sardi al
quarto posto
L'esultanza
dei giocatori del Cagliari dopo il gol di Oliva (lapresse)
La squadra di Maran allunga a nove la striscia positiva e
aggancia la zona Champions. Nerazzurri in dieci dal 39' del
primo tempo per l'espulsione di Ilicic.
Il Cagliari di Maran, solido e bravo nel non sprecare
occasioni, battendo l'Atalanta a Bergamo si è portato al pari
dei bergamaschi al quarto posto, a 21 punti. Con la vittoria per
0-2 dei sardi - al terzo successo di fila a Bergamo - si
interrompe il record della banda Gasperini, che nelle prime 10
giornate di campionato aveva segnato almeno 2 gol in ogni
partita. Si allunga invece a nove partite l'imbattibilità del
Cagliari (6 vittorie e 3 pareggi), che non perde dalla seconda
giornata, alla Sardegna Arena contro l'Inter. Nella vittoria
cagliaritana, sotto la pioggia battente, pesano anche
l'espulsione di Ilicic - rosso diretto al 39' del primo tempo
per una pedata a gioco fermo rifilata a Lykogiannis - e la poca
lucidità dell'Atalanta in attacco, che non è riuscita a chiudere
nessuna delle tante occasioni create.
Il primo tempo era cominciato con una situazione di equilibrio
fra le due squadre, in costante lotta sulle fasce, impegnate a
costruire il gioco a turni alterni. Dopo 25 minuti Maran ha
arretrato i suoi, per fare giocare l'Atalanta con campo libero
alle spalle e tentare di partire in contropiede. E ha rinfoltito
il centrocampo, creando superiorità numerica. Ma più della
strategia, nel vantaggio cagliaritano ha pesato la sfortuna
atalantina: al 32' Lykogiannis ha calciato una punizione dalla
fascia destra, Cacciatore ha deviato la palla, Pasalic la ha
cacciata nella propria rete. L'Atalanta non si è data per vinta,
ma non era giornata: 5 minuti dopo l'autogol, Gomez ha stampato
sulla traversa un bel tiro da fuori, la palla è carambolata
sulla schiena di Olsen ed è finita incredibilmente fuori. Anche
in dieci, dopo l'espulsione di Ilicic sul finire del primo
tempo, l'Atalanta ha provato invano a dare l'assalto alla porta
di Olsen.Nella ripresa, senza più Ilicic, Gasperini ha tolto
anche l'altro trequartista, Gomez. E ha cercato qualità
inserendo Malinovskyi. Dentro anche Hateboer per Gosens. Ma il
Cagliari, oeganizzato e roccioso, non ha smesso di pressare su
ogni pallone ed è stato velocissimo a ripartire appena
l'Atalanta inevitabilmente ha dovuto concedere spazio. E così al
13' è arrivato lo 0-2 cagliaritano, con Simeone sceso in fascia
destra che ha passato indietro per il gol di Oliva. L'assedio
ininterrotto dell'Atalanta non ha prodotto occasioni davvero
pericolose, complice Muriel a cui è sempre mancata l'ultima
zampata. E il Cagliari è potuto partire in contropiede con
Nandez e Joao Pedro, offeso all'inizio della ripresa dai soliti
buu razzisti. A ululare sono stati in pochi, ma si sono sentiti.
Atalanta-Cagliari 0-2 (0-1)
Atalanta (3-4-1-2):
Gollini; Toloi, Djimsiti, Palomino; Castagne, Freuler, Pasalic,
Gosens (1' st Hateboer); Gomez (1' st Malinovskyi); Ilicic,
Muriel (33' st Barrow). (31 Rossi, 57 Sportiello, 4 Kjaer, 5
Masiello, 41 Ibañez, 13 Arana, 79 Traore). All.: Gasperini.
Cagliari (4-3-1-2):
Olsen; Cacciatore, Pisacane, Klavan, Lykogiannis; Castro (43' st
Ionita), Oliva, Rog (26' st Nandez); Nainggolan; João Pedro,
Simeone (39' st Cerri). (1 Rafael, 20 Aresti, 40 Walukiewicz, 2
Pinna, 3 Mattiello, 24 Faragò, 8 Cigarini, 27 Deiola, 26 Ragatzu).
All.: Maran.
Arbitro:
Abisso di Palermo.
Reti:
nel pt 32' Pasalic (autogol); nel st 13' Oliva.
Angoli:
13-2 per l'Atalanta.
Recupero:
1' e 3'.
Espulso:
Ilicic al 39' pt per fallo di reazione.
Ammoniti:
Rog, Lykogiannis, Oliva, Malinovskyi per gioco falloso, Toloi
per comportamento non regolamentare.
Var:
3.
Spettatori:
18.617 di cui 2.069 paganti (incasso 58.090 euro) e 16.548
abbonati (quota partita 343.987,95 euro).
Bologna-Inter 1-2: doppio Lukaku la risolve al 92'
La
prima rete di Lukaku (ansa)
Il belga prima impatta la rete di Soriano, poi in pieno recupero
mette a segno la rete della preziosissima vittoria nerazzurra.
La decideranno gli episodi, dice Andrea Poli (tra i migliori
finchè è stato in campo) alla fine del primo tempo. Un profeta.
E' così che va a finire. Vince l'Inter in rimonta e si siede sul
divano ad aspettare il derby di Torino. Vince, ma non convince
la squadra di Conte, che soffre (meno che a Brescia), ma al
tecnico sarà piaciuta la forza d'animo del gruppo dopo essere
andata sotto.
Il Bologna invece. Gioca con grande applicazione, va in
vantaggio e poi... rivede un film horror già visto altre volte:
decide un rigore di Lukaku a tempo scaduto, un rigore che arriva
da una sciocchezza di Orsolini che tocca in area Lautaro.
Ingenuità incredibile, ma colpa pesante rivedere sempre lo
stesso spezzone di scena: con la Roma, dimenticando Veretout,
con la Lazio atterrando (Palacio) Correa, il Bologna si fa male
da solo. avvio
Conte fa riposare Candreva, Godin mentre risparmia il recuperato
Sensi. Mihajlovic non rischia in avvio Medel, preferendogli
Svanberg. Lo svedesino fa bene. In avvio il Bologna prova a
pressare, puntando sulla stanchezza di un Inter che nell'ultimo
mese ha giocato molto e senza troppi ricambi. Ma col passare dei
minuti l'Inter prende possesso del centrocampo, e costruisce
almeno due grosse occasioni. Una con lautaro, girata immediata e
corta su cui Skorupski si allunga a respingere. Il secondo con
Lukaku che prova a replicare l'azione del gol di Brescia, ma
stavolta tira seccamente sul primo palo, il portiere polacco che
in quell'angolino si era fatto sorprendere da Ronaldo, a Torino,
stavolta respinge a una mano e poi recupera prima dell'arrivo di
Gagliardini (in off side). I gol annullati all'Inter vengono da
un evidente off side di Lautaro, perché l'ordine di Mihajlovic è
quello di non dare spazio ai totem nerazzurri, quindi di
difendere "alto", e per un traversone di Lazaro quando la sfera
è già uscita ampiamente, che Lukaku nel prosieguo butta dentro.
Per il resto, la prima parte vive su un alto livello di
contrasto e con un rispetto reciproco che comporta molti errori
nel giro palla, segno che si pensa anche troppo, perché le linee
ortodosse di passaggio sono ostruite.
La ripresa si ripete su temi tattici marcati. Qualcosa che
dimostra come la guida del tecnico viene rispettata. Il Bologna
non ha la fisicità della difesa interista e infatti fatica molto
ad avvicinarsi a Handanovic. Ma ha di bello che resta intenso,
che cerca il fraseggio, che prova a logorare l'avversario,
cercando così, come una goccia cinese, di aprire un varco.
L'azione del gol di Soriano è magistrale. Il giro palla con
enorme pazienza, finisce per liberare il tiro di Soriano che
trova l'angolino basso. Uno a zero.
La pazienza è il leit motiv. Skorupski - impreciso nella
costruzione del gioco - si oppone a ogni tentativo di reazione
dell'ospite che perde in fiducia. Gliela restituisce Conte,
cambiando i due esterni, per ritrovare energia. Candreva e
Politano. Ma il Bologna subisce sempre gli stessi gol. Skriniar
ha tempo in area, su azione d'angolo di stoppate palla e
girarsi, come aveva fatto pochi giorni fa Joao Pedro. Skorupski
ci mette una pezza, ma sul palo lontano spunta Lukaku, tenuto in
gioco da Svanberg, che come un centravanti rapace firma l'1 a
1.
Il match è bello, pieno di idee da tutte e due le parti. Cade in
area Palacio, contatto con Vecino, per La Penna non c'è nulla,
pochi istanti dopo Mbaye non allontana un pallone, lo perde e
Lautaro in area trova quasi per caso il contatto di Orsolini.
Rigore per La Penna, solite discussioni del caso (espulso Bigon),
Lukaku non si fa ipnotizzare e a tempo scaduto, come aveva
profetizzato Poli, l'episodio fa volare l'Inter. Tre punti
preziosi per Conte, molti complimenti al Bologna. Ma non fanno
classifica.
Bologna (4-2-3-1): Skorupski,
Mbaye, Danilo, Bani, Krejcì, Svanberg, Poli (27' st Medel),
Orsolini, Soriano (31' st Dzemaili), Sansone (39' st Santander),
Palacio. All.: Mihajlovic.
Inter (3-5-2): Handanovic,
Skriniar, De Vrij, 95 Bastoni, Lazaro (39' st Politano),
Gagliardini (27' st Vecino), Brozovic, Barella, Biraghi (29' st
Candreva), Lukaku, Martinez. All.: Conte.
Arbitro: La
Penna di Roma.
Reti: nel
st 14' Soriano, 30' Lukaku, 91' Lukaku (rig)
Note: Angoli:
6-1 per Inter. Recupero: 0' e 3'. Ammoniti: Brozovic, Danilo,
Skriniar, Bani per gioco scorretto; Gagliardini, Medel per
comportamento non regolamentare. Espulso: Bigon per proteste.
Brescia-Inter 1-2: cuore e sofferenza, Lautaro e Lukaku
trascinano i nerazzurri
L’Inter di Antonio Conte esce vittoriosa per 2 a 1 dalla
trasferta di Brescia
BRESCIA – Con i denti e con la rabbia l’Inter torna da Brescia
con tre punti e il provvisorio sorpasso ai danni della Juventus.
I nerazzurri partono bene trovando il vantaggio con Lautaro che
apre le danze. Primi 45 minuti di gioco in totale appannaggio
dei ragazzi di Antonio Conte che però nella ripresa devono fare
i conti con la voglia dei padroni di casa di acciuffare il
pareggio. Proprio nel momento migliore delle rondinelli esce
fuori Lukaku che con una progressione personale e conclusione a
giro sul secondo palo infila Alfonso con un eurogol. I padroni
di casa gettano il cuore oltre l’ostacolo e accorciano con con
Bisoli che costringe Skriniar all’autogol e per poco non trovano
il pareggio. Sofferenza finale con i nerazzurri che reggono
l’urto del Brescia.
L’Inter tona provvisoriamente in vetta alla classifica in attesa
della sfida di domani tra Juventus e Genoa.
Atalanta-Udinese 7-1: nerazzurri esagerati e sempre più terzi
Okaka illude gli ospiti, poi segnano Ilicic, Muriel su rigore e
ancora lo sloveno nel primo tempo. Nella ripresa si ripete Muriel su
azione, cinquina di Pasalic e tripletta del colombiano sempre dagli
undici metri. Ciliegina finale di Amad Diallo Traorè, classe 2002
La sfida tra il miglior attacco della massima serie e la migliore
difesa, la stravince la prima. L'Atalanta infatti rifila 7 reti
all'Udinese che fino a oggi ne aveva incassate solo 6. I bergamaschi
quindi riscattano subito il ko di Champions contro il City e
consolidano il terzo posto rosicchiando 2 punti a Juventus, Inter e
anche al Napoli che resta quarto. Nel primo tempo segnano Okaka,
quindi Ilicic, Muriel su rigore e ancora Ilicic. Nella ripresa si
ripete Muriel su azione, cinquina di Pasalic e ancora il colombiano
(tripletta) sempre dagli undici metri. Ciliegina finale per i
nerazzurri dell'esordiente in A, Amad Diallo Traorè, classe 2002.
Nell'era dei tre punti nessuna squadra italiana aveva mai segnato 28
gol in 9 giornate. Un altro record per la banda di Gasperini.
Regalo di Kjaer, Okaka ringrazia
3-4-1-2 per Gasperini che in attacco si affida a Ilicic e Muriel con
Gomez a supporto. De Roon e Pasalic a centrocampo con Hateboer e
Castagne esterni. In difesa Djimsiti, Kjaer e Toloi che rimpiazza
Palomino che ha accusato un problema nel pre-partita. 3-5-2 per
Tudor con Lasagna e Okaka attaccanti. Opoku e Sema esterni, mentre
Mandragora, Jajalo e De Paul formano il centrocampo.In difesa Becao,
Ekong e Samir. Dopo 7′ Muriel non riesce a deviare sottoporta su un
assist di Hateboer. La gara vive in equilibrio che però viene
spezzato dopo 11′ da un incredibile errore di Kjaer che tenta un
dribbling senza senso: Okaka gli soffia palla e, tutto solo davanti
a Gollini, non sbaglia col destro.
L'Atalanta reagisce e Gomez impegna Musso. Al minuto 21 perfetto
assist di De Roon e gol di Ilicic, ma c'è offside secondo il
guardalinee. Infinito check Var e alla fine Maresca convalida: siamo
1-1. Alla mezz'ora ci vuole il miglior Gollini per dire di no a
Lasagna, mentre al 33′ i padroni di casa attaccano, Muriel di tacco
serve in area Ilicic e Opoku, già ammonito, stende lo sloveno da
dietro rimediando il secondo giallo e soprattutto facendo fallo da
rigore. Sul dischetto ci va Muriel che è glaciale e spiazza Musso.
Al 37′ Maresca concede un altro penalty ai bergamaschi quando Becao
con una mano respinge un cross di Gomez. L'arbitro poi va al Var e
annulla la sua decisione: Becao ha in effetti il braccio lungo il
corpo. Ma il 3-1 è solo rimandato e arriva al 43′: Muriel in area
per Castagne ma Musso si oppone, palla che rimbalza pericolosamente,
la prende Gomez che sbaglia il tiro ma favorisce Ilicic che insacca
facile facile col sinistro e firma la sua doppietta personale.
Muriel e Pasalic la chiudono
Tudor presenta in campo Pussetto al posto di Okaka, ma l'Atalanta
decide di chiuderla in fretta. Al 47′ Ilicic serve in area Gomez,
assist in mezzo e destro di prima intenzione di Muriel che firma il
4-1. Poco dopo Musso salva su Gomez, ma al 51′ in pratica la gara
finisce: lancio a sinistra di Ilicic per Gomez, cross in mezzo e
facile destro per Pasalic che realizza il 5-1. Gasperini fa entrare
anche Malinovskyi al posto di Djimsiti e l'Atalanta spinge ancora
con Ilicic che prende la traversa e poi si fa fermare da Musso.
Debutto e gol in A di Traorè a 17 anni
Ormai non c'è più partita, ma l'Atalanta non è una squadra che si
ferma e al 72′ Castagne ruba palla e imbuca in area per Muriel:
Musso salva ma il colombiano viene steso da Samir. Maresca va al Var
e concede un altro calcio di rigore. Lo stesso Muriel non sbaglia
dagli undici metri e si porta a casa il pallone. Gasperini, visto il
6-1, ne approfitta e fa esordire in A Amad Diallo Traorè, 17 anni,
fratello di Junior, giocatore del Sassuolo: Ilicic gli cede il
posto. E il ragazzino ci mette sei minuti per coronare l'esordio col
gol: prende palla sulla destra, avanza e dal limite infila Musso con
un sinistro sul primo palo. Atalanta da sogno in campionato.
Atalanta-Udinese 7-1 (3-1)
Atalanta (3-4-1-2):
Gollini, Toloi, Kjaer, Djimsiti (7′ st Malinovskyi), Hateboer,
Pasalic, De Roon, Castagne, Gomez (20′ st Barrow), Ilicic (32′ st A.
Traore), Muriel. (31 Rossi, 57 Sportiello, 6 Palomino, 41 Ibañez, 8
Gosens, 13 Arana, 11 Freuler, 79 A. Traore, 17 Piccoli). All.:
Gasperini
Udinese (3-5-2):
Musso, Becão, Troost-Ekong, Opoku, Sema, Mandragora, Jajalo (39′ st
Walace), de Paul (18′ st Fofana), Samir, Lasagna, Okaka (1′ st
Pussetto). (27 Perisan, 88 Nicolas, 2 Serrialta, 17 Nuytinck, 87 De
Maio, 18 Ter Avest, 72 Barak, 30 Nestorovski, 91 Teodorczyk). All.:
Tudor
Arbitro:
Maresca di Napoli
Reti:
nel pt 11′ Okaka, 21′ e 43′ Ilicic, 35′ rig. Muriel; nel st 2′ e 38′
(rig.) Muriel, 7′ Pasalic, 38′ A. Traore
Angoli:
6-2 per l'Atalanta
Recupero:
5′ e 0′
Ammoniti:
Opoku, Djimsiti, Samir per gioco falloso
Espulso:
Opoku al 32′ pt per somma di ammonizioni
Spettatori:
18.677 di cui 2.139 paganti (incasso 62.820 euro) e 16.538 abbonati
(quota partita 343.188 euro)
Inter-Parma 2-2, i nerazzurri falliscono il sorpasso sulla
Juventus,26-10-19
I ragazzi di Conte non approfittano del passo passo dei bianconeri.
Apre Candreva, rimonta ospite con Karamoh e Gervinho, pari di Lukaku
dopo 3 minuti di Var. Inutili gli assalti finali con Esposito che
sfiora il 3-2 in pieno recupero.
La
delusione dell'attaccante 17enne dell'Inter Sebastiano Esposito (agf)
MILANO - Dopo la Juve,
anche Inter incimapa. I nerazzurri non approfittano del pareggio
della Vecchia Signora in casa del Lecce, frenando 2-2 a San Siro
contro il Parma. Vantaggio iniziale di Candreva, poi Karamoh e
Gervinho ribaltano tutto, nella ripresa pari di Lukaku (col Var) e
inutili assalti finali dei ragazzi di Conte, che restano così a -1
dai bianconeri.
Applausi per l'ex Karamoh
Conte lascia a riposo
l'acciaccato De Vrij e in attacco conferma il tandem Lukaku-Lautaro.
D'Aversa ha gli uomini contati, in difesa sceglie ancora Dermaku e
adatta Kulusevski nel ruolo di centravanti. Dopo la fase di studio
la gara si sblocca al 23′ quando un tiro di Candreva verso la porta
viene deviato prima da Kulusevski e poi da Dermaku: Sepe si deve
arrendere. Sembra una gara in discesa per i nerazzurri, virtualmente
primi, che però regalano letteralmente due gol al Parma per due
ingenuità di Brozovic. Il centrocampista croato, sempre presente da
inizio stagione, perde infatti due palloni: il primo viene
intercettato dall'ex interista Karamoh che realizza calciando forte
sul primo palo e poi non esulta, applaudito da tutto San Siro. Il
secondo errore innesca invece un contropiede condotto ancora da
Karamoh e concluso in rete da Gervinho, spietato.
Non basta Lukaku
Nella ripresa l'Inter
spinge sull'acceleratore e al 6′ trova subito il pari con Lukaku:
Brozovic si fa parzialmente perdonare scovando in area Candreva,
assist al bacio per l'attaccante belga che da due passi e in due
tempi batte Sepe. Inizialmente l'arbitro Chiffi annulla per
fuorigioco ma, dopo una lunga revisione del Var e oltre 3 minuti
d'attesa, assegna il gol. Passa un minuto e Lautaro avrebbe
l'occasione del nuovo ribaltone ma Dermaku salva tutto in extremis.
I ragazzi di Conte ci credono e intasano l'area ducale, ma sono
decisivi gli aiuti difensivi di Kucka e soprattutto di Scozzarella.
Aumenta anche il nervosismo (giallo sia a Conte che a D'Aversa) per
due presunti rigori non concessi ai nerazzurri e per le ripetute
perdite di tempo di Sepe. Come contro il Dortmund, Conte si gioca la
carta Sebastiano Esposito, questa volta per Lautaro: è proprio la
baby promessa nerazzurra, in pieno recupero, a sfiorare il gol con
un tiro a volo su angolo di Brozovic, sarebbe crollato San Siro.
Nell'ultima occasione protagonista ancora Esposito, ma in negativo
perché, su cross di Barella, toglie di testa la palla a Lukaku
meglio posizionato.
Grandi rimpianti
Al triplice fischio di
Chiffi c'è grande amarezza per i padroni di casa perché non capiterà
spesso che la Juventus perderà terreno per strada. Sono dunque
oggettivamente due punti persi. Bene invece il Parma, decimato dalle
assenze, che per il secondo anno consecutivo esce indenne dal Meazza
nerazzurro. Da segnalare, oltre al gol e all'assist dell'ex Karamoh
(prima da titolare per lui), l'ottima prova di Kulusevski, sempre
più rivelazione della Serie A.
INTER-PARMA 2-2 (1-2)
INTER (3-5-2): Handanovic;
Skriniar, Godin (21′ st De Vrij), Bastoni; Candreva, Gagliardini
(39′ st Politano), Brozovic, Barella, Biraghi; Lautaro Martinez (28′
st Esposito), Lukaku. (27 Padelli, 46 Berni, 13 Ranocchia, 18
Asamoah, 19 Lazaro, 20 Borja Valero, 21 Dimarco). All.: Conte.
Sassuolo-Inter 3-4: doppiette di Lukaku e Lautaro, poi brivido
finale per i nerazzurri
Di
Lukaku nei giorni scorsi si era detto che era lento, che da troppo
tempo (due partite e mezzo) non segnava con la maglia dell’Inter,
che era fuori forma. Ha segnato una doppietta, mettendo a tacere le
polemiche. Era dal novembre 2009, con Milito, che un giocatore
dell’Inter non segnava quattro o più gol nelle prime quattro
trasferte della stagione. Ancor meglio al Mapei Stadium ha fatto il
compagno di reparto Lautaro Martinez: in gol dopo un minuto, ha
sfiorato il raddoppio, quindi facendosi abbattere in area da Marlon
ha regalato all’Inter il rigore che Lukaku ha poi insaccato. È stato
invece Barella a farsi stendere in area, consentendo anche a
Martinez il raddoppio personale dal dischetto. E così l’Inter ha
vinto per 3-4 sul campo del Sassuolo, che nelle precedenti 6 partite
aveva portato 4 sconfitte. Una vittoria sofferta, con venti minuti
finali da panico, ma che vale oro: i nerazzurri si tengono a un solo
punto dalla Juve.
Difesa in difficoltà
Se l’attacco dell’Inter ha brillato, lo stesso non può dirsi per la
difesa, che per tre volte si è fatta bucare dagli attaccanti
neroverdi e che nel finale di partita ha mostrato un calo
importante. De Vrij, finora sempre puntuale soprattutto in
campionato, ha sbagliato molto, soffrendo negli ultimi venti minuti
i freschi Djuricic e Boga (entrambi in gol nel finale, dopo quello
di Berardi nel primo tempo). Bastoni ha sbagliato diversi appoggi e
non ha saputo contenere il 22enne francese. In grande difficoltà
anche Lazaro: entrato per Candreva al 27’ del secondo tempo, ha
perso il pallone che ha portato al gol di Djuricic, si è fatto
ammonire e ha regalato due pericolosi calci d’angolo. Il Sassuolo ha
così potuto sognare di completare la rimonta, solo sfiorata nei
cinque minuti di assedio finale durante il recupero.
Conte
L’allenatore Antonio Conte dopo il fischio finale si è sfogato
calciando una borraccia, evidentemente non contento del finale di
partita dei suoi. Non si è poi presentato ai microfoni di Dazn né
alla conferenza stampa post match. Al suo posto ha parlato il vice
Cristian Stellini, spiegando che Conte è influenzato e ha la febbre
e che per questo ha preferito non incontrare i giornalisti. “Abbiamo
fatto una grande partita per 70 minuti – ha detto Stellini - poi nel
finale ha pesato la stanchezza dei molti che nei giorni scorsi erano
impegnati con le proprie nazionali”.
....... prima
un cross di SkovOlsen
su Palacio
trova la
scivolata ravvicinata in area di De
ligt
che controlla con un braccio, il Var
nega il calcio di rigore,
pochi istanti e Alex Sandro maltratta Orsolini. Punizione nel
mucchio, svetta Santander a colpo sicuro ma colpisce la traversa,
l'azione prosegue e ancora il paraguagiuo si coordina per una
rovesciata acrobatica, Buffon alza in angolo salvando il
pareggio........
Inter,
6 su 6, l'ultima volta nel 1966-67, ma non portò bene: è il
campionato della famosa "papera" di Sarti.
Quella contro la Sampdoria rappresentava la classica
partita ‘trappola’. Ma l’Inter non ha abbassato la guardia e contro
i blucerchiati ha offerto una grande prestazione mettendo in mostra
una maturità che nel recente passato raramente si è vista. “Non
poteva iniziare meglio il campionato dell’Inter. Nella storia però
non sempre la squadra vincitrice nelle prime sei partite è riuscita
alla fine del campionato a vincere lo Scudetto.
È già capitato anche ai nerazzurri di vincere sei partite su sei a
inizio stagione. Accadde nel campionato 1966/67: sulla panchina
dell’Inter sedeva Helenio
Herrera che
vinse le prime sei partite della stagione, poi però non riuscì a
fine anno a conquistare lo Scudetto“,
sottolinea Sky Sport. Ma c’è un dato che fa ben sperare: “I
numeri sono però dalla parte dell’Inter.
In 11 casi su 15 la squadra a punteggio pieno nelle prime sei
giornate vinse lo Scudetto. L’ultima ad iniziare una stagione da
imbattuta nelle prime sei giornate sono stati proprio i bianconeri
la passata stagione. Il Napoli invece
nel campionato 2017-2018 pur avendo vinto le prime 6 partite, poi
non riuscì a vincere lo Scudetto a fine stagione. Stessa sorte toccò
alla Roma di
Garcia che nel 2013-2014 vinse addirittura le prime 9 partite
consecutive. I numeri sono però dalla parte dell’Inter. La squadra
in grado di vincere le prime sei partite del campionato, nel 73% dei
casi poi ha conquistato lo Scudetto. Solo quattro volte non è
accaduto, Conte vorrà fare meglio di Herrera”.
Milan-Inter 0-2, nerazzurri in testa a punteggio pieno con Brozovic
e Lukaku
Il derby dice Conte: partita equilibrata nel primo tempo, con
Donnarumma che tiene a galla il "Diavolo" e il duo Suso-Piatek che
spreca grandi chance nel finale. Nella ripresa, un destro del croato
deviato da Leao (all'esordio da titolare) e un colpo di testa del
belga archiviano la pratica.
È bastato un venticello, travestito da deviazione sfortunata, a far
saltare il sottile equilibrio dei primi quarantacinque minuti del
derby di Milano. Inter e Milan si erano date battaglia con le loro
armi, meglio i nerazzurri nella metà iniziale della frazione,
velenosi i rossoneri nella coda. Il destino interista si è compiuto
grazie a un piede fuori posto dell'esordiente Leao, gettato nella
mischia da Marco Giampaolo nella serata della stracittadina: il
tecnico arrivava alla Scala del calcio con il ruolino immacolato nei
derby della Lanterna (4 vittorie e 2 pareggi), ma deve registrare a
malincuore che Milano senza fortuna, come cantava Lucio Dalla, non
necessariamente ti porta sulla luna ma più facilmente sotto terra.
La rete di Brozovic - con supporto involontario di Leao - a dare il
primo scossone alle fragili certezze rossonere, la maggiore qualità
interista per gestire il vantaggio, la testa lieve di Lukaku su
invito al bacio di Barella per chiudere il discorso e riportare
l'Inter da sola in testa, quattro vittorie su quattro, spazzando via
i dubbi del post
Slavia Praga e
facendo agitare le braccia di Antonio Conte, soddisfatto della
creatura che sta via via plasmando con idee e quella dose di
pragmatismo che serve per avere la lucidità di cambiare qualcosa in
corsa, come dimostra il ritocco al modulo nel finale, ispiratore del
gol del definitivo e meritatissimo 2-0.
Tutto lineare nelle decisioni di Conte, che come da programma si
copre un po' sulla corsia destra, dando campo a D'Ambrosio, sceglie
Barella mezz'ala e il duo Martinez-Lukaku davanti. Giampaolo regala
almeno un paio di sorprese: l'esordio di Leao è la più evidente, per
scorgere la seconda servono i primi minuti di gara, perché Suso
parte alle spalle delle due punte, in un ritorno al rombo non
ventilato alla vigilia, forse pensato in ottica anti Brozovic,
spesso schermato proprio dal numero 8 rossonero. Esperimento durato
poco, visto che intorno al 20′ lo spagnolo si riapre a destra in un
più classico 4-3-3. La prima parte del match era stata a forti tinte
nerazzurre, con Donnarumma sugli scudi: bella risposta su un
diagonale tutt'altro che irresistibile di Lukaku, quindi la risposta
su Lautaro Martinez, innescato da un ispirato Sensi, e la preghiera
del pubblico rossonero sul seguente tap-in a porta sguarnita di
D'Ambrosio, sparato maldestramente sul palo. Il tifo milanista aveva
già trattenuto il respiro su un folle retropassaggio di Rodriguez
verso Donnarumma, fortunato nel rimpallo sulla pressione di Martinez.
I giocatori dell'Inter festeggiano con i tifosi a fine partita
Donnarumma salva, il Milan spreca
Il Milan si accorcia con il nuovo assetto, è più portato a difendere
e ripartire con fluidità, manna per la gamba di Suso e Leao: lo
spagnolo si fa 70 metri di campo in solitaria al 40′, dopo aver
letto con grande astuzia le intenzioni di Sensi. La discesa sembra
poter andare a buon fine ma la traversata toglie lucidità all'ex
Genoa, che ignora il solissimo Leao per mettersi in proprio e
calciare un rigore in movimento murato dal disperato intervento in
scivolata di Asamoah. Una manciata di secondi prima, il guardalinee
aveva con ogni probabilità colto un fuorigioco millimetrico di
D'Ambrosio, capace di impegnare Donnarumma con una rovesciata
stilisticamente non bellissima ma alquanto velenosa: inutile il
tocco in gol di Martinez a porta vuota, il lungo riesame Var
conferma la decisione dell'assistente, che forse aveva segnalato la
posizione dell'argentino e non quella del terzino. Non c'era stato
il check tecnologico a metà del primo tempo, con Calhanoglu a segno
a gioco fermo: il fischio di Doveri per un mani di Kessié aveva
vanificato ogni tipo di controllo, congelando anche Handanovic. Nel
lungo romanzo dei primi 45′, la chance più grande per il Milan
capita proprio in coda, con Leao che lavora magnificamente il
pallone sulla sinistra per poi recapitarlo sulla testa imprecisa di
Piatek, mai in partita.
La delusione dei giocatori del Milan
Brozovic-Leao, via il tappo al match
Quattro minuti di secondo tempo e la partita trova il suo padrone.
Punizione da sinistra, Brozovic viene pescato in completa solitudine
al limite dell'area e strozza il destro, Leao lo devia spiazzando
Donnarumma. I nerazzurri volano a esultare ma si sente un fischio:
fuorigioco di Lautaro Martinez secondo il guardalinee, serve il Var.
Doveri stavolta viene chiamato direttamente al monitor ma è sotto
gli occhi di tutti che la posizione dell'argentino non sia punibile,
la gioia nerazzurra è rinviata solo di una quarantina di secondi. Il
Milan accusa il colpo, non sembra avere le idee per mettere l'Inter
alle corde: la regia di Biglia è piatta e si fatica a comprendere le
ragioni dell'esclusione di Bennacer. Donnarumma mette una mano su un
mancino di Martinez ma rischia grosso uscendo male sul campanile
alzato proprio dal suo intervento: Lukaku di testa non inquadra i
pali.
Paquetà per Calhanoglu è il primo cambio di Giampaolo, il brasiliano
prova subito a innescare Piatek con un bel lancio ma il polacco
manca l'aggancio e l'impatto promettente del nuovo entrato si
arresta immediatamente. Dentro anche Hernandez per Rodriguez, il
francese ha tutt'altra potenza in fase di spinta e Conte non vuole
correre rischi: la freschezza di Vecino per Sensi, poi dentro anche
Politano per Lautaro Martinez, necessario per il cambio di modulo.
L'Inter si protegge, almeno in teoria: D'Ambrosio e Asamoah più
bassi, l'ex Sassuolo e Barella larghi per un 5-4-1 che nasce
difensivo ma si rivela letale per il Milan. Proprio Barella,
adattato a sinistra, riceve sulla corsia e pennella per la testa di
Lukaku, a cui basta indirizzare nell'angolo la deviazione per
mettere in ghiaccio il match. Politano è scatenato, mancino a giro
da fuori area, incrocio dei pali. L'unico sussulto rossonero è
un'azione personale di Hernandez conclusa dal terzino sul palo
esterno, ancora i legni protagonisti nel finale con Candreva che va
vicinissimo al tris: sinistro deviato da Musacchio, parte interna
del montante con Donnarumma rassegnato. Conte può festeggiare per il
primo derby vinto alla guida dell'Inter e pregusta grandi traguardi,
anche se la strada da percorrere rimane lunga.
MILAN-INTER 0-2 (0-0)
Milan (4-3-1-2):
Donnarumma; Conti, Musacchio, Romagnoli, Rodriguez (26′ st Hernandez);
Kessié, Biglia, Calhanoglu (19′ st Paquetà); Suso; Piatek, Leao (38′
st Rebic). All.: Giampaolo
Inter (3-5-2):
Handanovic; Godin, de Vrij, Skriniar; D'Ambrosio, Barella (36′ st
Candreva), Brozovic, Sensi (26′ st Vecino), Asamoah; Lukaku,
Martinez (31′ st Politano). All.: Conte
Arbitro:
Doveri
Reti:
4′ st Brozovic, 33′ st Lukaku
Ammoniti:
Conti, Rebic, D'Ambrosio
Recupero:
3′ e 5′
HCALCIO ESTERO e
Coppe Europee, Nazionali
2019-2020
Inghilterra, il Liverpool prende il largo: 3-1 al Manchester
City
I Reds si aggiudicano il big match del 12°
turno ad Anfield e volano a 34 punti, 9 in più della squadra
di Guardiola, scavalcata anche da Chelsea e Leicester. Per gli
uomini di Klopp in gol Fabinho, Salah e Manè, accorcia Silva
nel finale per i campioni in carica che reclamano due rigori.
Vince il Manchester United
E' un Liverpool sempre più protagonista in
Premier League. La squadra di Juergen Klopp nel big match
della 12esima giornata supera per 3-1 il Manchester City
campione in carica e mette la freccia in classifica,
consolidando il primato: 34 punti per i Reds, con nove
lunghezze di vantaggio sulla formazione di Pep Guardiola, ora
al quarto posto alle spalle di Leicester e Chelsea, alla pari
a quota 26.
Fabinho, Salah e Manè stendono il City
Ad Anfield Road i campioni d'Europa segnano due
gol nei primi tredici minuti. Ha aperto Fabinho (6′) con un
destro micidiale dalla distanza. Una azione che ha fatto
arrabbiare molto Guardiola, visto che nella stessa azione
c'era stato un tocco di braccio in area Reds apparso
abbastanza netto. Il raddoppio di Salah al 13', con un preciso
colpo di testa dopo una velocissima azione di contropiede. Il
tris in avvio di secondo tempo con Manè (51′), lesto in una
deviazione di testa sotto misura. I citizens hanno reagito più
che altro di nervi, accorciando le distanze con Bernardo Silva
al 78′ e reclamando un altro rigore, ma di fatto la partita
era già ampiamente indirizzata.
Vincono Manchester United e Wolverhampton
Vittoria convincente all'Old Trafford del
Manchester United, che ha sconfitto per 3-1 il Brighton.
Doppio vantaggio iniziale per i Red Devils, che chiudono il
primo tempo 2-0 con la rete di Pereira e l'autogol di Propper.
Nella ripresa gli ospiti accorciano con Dunk al 64′ ma è
Rashford, due minuti più tardi, a chiudere la gara e a fissare
il risultato sul 3-1. La formazione di Solskjaer sale al
settimo posto della Premier con
16 punti. Nell'altra gara del pomeriggio il Wolverhampton ha
sconfitto 2-1 l'Aston Villa con i gol di Neves e Jimenez.
Inutile la rete dei "villains" allo scadere con Trezeguet.
Pochi minuti nel finale per l'ex attaccante del Milan Patrick
Cutrone.
Inghilterra, Chelsea e Leicester al secondo posto. Ancora pari
per il Tottenham
In
Premier League vincono Chelsea (al sesto successo di fila) e
Leicester (entrambe al secondo posto), Burnley, Newcastle ed
Everton, mentre finisce in parità la sfida tra Tottenham e
Sheffield. Questi i verdetti della dodicesima giornata in
attesa delle partite domenicali in cui spicca il big match tra
Liverpool e Manchester City.
Chelsea-Crystal Palace 2-0
Il Chelsea di
Frank Lampard non si ferma più, almeno in Premier League. La
squadra londinese infatti batte 2-0 il Crystal Palace a
Stamford Bridge e, in attesa del big match di domani tra
Liverpool e Manchester City, vola al secondo posto in
campionato. Nell’anticipo della dodicesima giornata, i Blues
vincono grazie alle reti di Abraham (7′ st) e Pulisic (34′ st):
si tratta dell’ottava vittoria in Premier che li porta
provvisoriamente al secondo posto a 26 punti, a -5 dalla
capolista Liverpool e a +1 sulla squadra di Pep Guardiola.
Leicester-Arsenal 2-0
Il Leicester ha sconfitto perì 2-0, in casa, l'Arsenal
grazie ai gol di Vardy (undicesimo centro in campionato) e
Maddison. Le "Foxes" raggiungono al secondo posto nella
classifica il Chelsea a 26 punti; mentre la formazione di
Emery rimane a quota 17. Ai londinesi, in piena crisi, manca
la vittoria in campionato dal 6 ottobre (1-0 al Bournemouth).
Tottenham-Sheffield 1-1
Continua invece a non vincere il Tottenham che
ha pareggiato per 1-1, in casa, contro lo Sheffield. Al gol
del vantaggio degli Spurs firmato da Son ha risposto Baldock
per gli ospiti. Il team di Pochettino, che non centra i tre
punti dal successo per 2-1 col Southampton del 28 settembre,
con questo pari sale a quota 14 in classifica, appaiato all’Everton.
Southampton-Everton 1-2
Proprio riguardo all’Everton, bel colpo esterno
in casa del Southampton con la squadra di Liverpool che sale
così a quota 14. Nel primo tempo vantaggio ospite grazie a
Davies dopo 4′. Nel secondo tempo arriva il pareggio dei
padroni di casa con Ings al 50′: Ma l’Everton conquista il
bottino pieno al 75′ con Richarlison. I biancorossi restano
penultimi con 8 punti.
Burnley-West Ham 3-0
Facile e netta vittoria casalinga per il
Burnley che piega 3-0 il West Ham. Dopo 11 minuti Barnes porta
avanti i padroni di casa che raddoppiano al 44′ con Wood. Nel
secondo tempo, al minuto 54, arriva l’autogol di Jimenez che
di fatto chiude i conti. Il Burnley sale in classifica a quota
15, mentre il West Ham resta a 13.
Newcastle-Bournemouth 2-1
Vittoria tra le mura amiche anche per il
Newcastle che batte il Bournemouth per 2-1. Vantaggio ospite
al 14′ grazie a Wilson, ma nel finale del primo tempo, al
minuto 42, pareggia Yedlin. Nella ripresa arriva al 52′ il gol
da tre punti di Clark che porta i bianconeri a 15 punti in
classifica, adesso a -1 proprio dal Bournemouth.
I bavaresi, ora secondi, fanno loro il
"Klassiken" battendo 4-0 il Borussia Dortmund col polacco che
diventa il primo giocatore nella storia del campionato tedesco
ad aver segnato sempre nelle prime 11 giornate. All'Olympiastadion
si festeggia il trentennale della caduta del Muro di Berlino,
ma a vincere sono gli uomini di Nagelsmann che restano in scia
della capolista
Il Bayern Monaco, dopo il 5-1 rimediato in casa
dell'Eintracht una settimana fa che è costato la panchina al
tecnico Kovac, rialza la testa in Bundesliga. I bavaresi
tornano all'Allianz Arena per il "Klassiker" col Borussia
Dortmund e rifilano un bel poker agli uomini di Favre
scavalcandoli in classifica e riprendendo l'inseguimento del
primo posto difeso dal Borussia M'Gladbach impegnato domani in
casa contro il Werder Brema.
Lewa-record e il Bayern fa suo il "Klassiker"
Finisce 4-0 con un Lewandowski da record.
L'attaccante polacco, autore di una doppietta, ha aperto le
marcature diventando il primo giocatore nella storia della
Bundesliga a segnare in tutte le undici giornate disputate
fino ad ora, superando il primato di Gerd Muller che deteneva
il record dalla stagione del campionato tedesco 1968/69 (10
partite). Gialloneri non pervenuti e travolti oltre che dalla
doppietta dell'ex (al 17′ e al 76′), anche dalla rete di
Gnabry al 47′ (abile nel sfruttare una respinta corta della
difesa), e dallo sfortunato autogol di Humels al 79′.
Lipsia al secondo posto, sbancato l'Olympiastadion
Al secondo posto, a pari punti col Bayern
Monaco, si piazza il Lipsia che sbanca l'Olympiastadion e
rovina la festa dell'Hertha Berlino che prima dell'inizio del
match, nel giorno del 30esimo anniversario della caduta del
Muro di Berlino, aveva organizzato una simbolica coreografia
con una rappresentanza dei tifosi di entrambe le squadre a
buttare giù un muro. Il match è stato vinto dal Lipsia 4-2,
grazie alla doppietta di Timo Werner (11esimo centro in
stagione per lui) e ai gol di Sabitzer e Kampl. Le reti dei
padroni di casa, che erano passati in vantaggio, sono stati
firmati da Mittelstadt e da Selke. all'Olympiastadion.
Successo esterno un'altra squadra dell'ex Germania dell'Est,
l'Union Berlino, che vince per 3-2 sul campo del Mainz.
Conquista i tre punti anche l'Augsburg, di misura, 1-0, sul
terreno del Paderborn. Pari pirotecnico (per 3-3) infine tra
Schalke e Fortuna Dusseldorf.
Bundesliga, crollo del Bayern: l’Eintracht ne fa 5, Kovac a
rischio. E si pensa a Mourinho
Il Bayern Monaco crolla a Francoforte contro l’Eintracht
5-1 nella
decima giornata di Bundesliga e la posizione dell’allenatoreNiko
Kovac è
fortemente a rischio. Tutto facile per la formazione di casa:
Kostic e Sow portano il risultato sul 2-0, il solito
Lewandowski accorcia ma nel secondo tempo dilagano i ragazzi
di mister Hütter con i gol di Abraham, Hinteregger e Paciencia
(bavaresi in inferiorità già al 9′ del primo tempo per il
rosso estratto ai danni di Boateng). Una brutta figura per il
club del presidente Hoeness, che potrebbe anche scegliere di
cambiare tecnico: Kovac è stato riconfermato in estate per
aver vinto il campionato, ora però non ci sarebbero i
presupposti per andare avanti, anche se la vetta dista appena
4 punti. Il candidato alla sostituzione èJosé
Mourinho,
ormai da quasi un anno senza una panchina (fu esonerato dal
Manchester United).
Spagna, il Barcellona cade col Levante e perde Suarez. Il Real
ne approfitta a metà: 0-0 col Betis
Blaugrana ko in casa del Levante (3-1),
l'uruguaiano va ko per un problema al polpaccio. Finisce 1-1
il big match, Siviglia-Atletico: a segno Vazquez e Morata.
Vittoria preziosa per il Valencia sull'Espanyol
Pareggiano Atletico Madrid e Real, perde il
Barcellona. Sabato difficile per le grandi di Spagna: i
blaugrana cadono nel pomeriggio in casa del Levante, più
complicato l’impegno della formazione di Diego Pablo Simeone,
che ottiene un buon pari in casa del Siviglia. In serata poi i
Blancos vengono bloccati sul pari al Bernabeu dal Betis.
La giornata era stata aperta dal successo
esterno del Valencia: vantaggio Espanyol firmato su calcio di
rigore da Roca per mani di Kondogbia, nella ripresa pareggia
Parejo, ancora sul dischetto, prima del gol di Maxi Gomez a
10′ dalla fine. Il Barcellona si illude di avere vita facile
con la rete del solito Messi su penalty, ma i catalani perdono
Suarez per un problema al polpaccio. Nella ripresa, in sette
minuti, Campana, Mayoral e Radoja ribaltano il punteggio. L’ex
Palermo Franco Vazquez apre le danze al 28′ in
Siviglia-Atletico Madrid, risponde Morata al 60′, Diego Costa
sbaglia il rigore della vittoria poco più tardi. Infine il
Real Madrid, che non approfitta della sconfitta del Barcellona
e non va oltre lo 0-0 nel match contro il Betis Siviglia al
Santiago Bernabeu. Un'occasione sprecata per i blancos di
Zinedine Zidane che avevano la possibilità di portarsi da soli
in testa alla classifica scavalcando il Barça e che, invece,
in attesa della gare di domani (il Granada può portarsi a 23)
devono accontentarsi dell'aggancio in vetta a quota 22 punti.
Francia, il Psg perde il testacoda: capolavoro del Dijon
Clamoroso in Ligue 1. Il Psg cade in casa del Dijon, che vince
il testacoda e lascia l'ultimo posto in classifica. Passata in
vantaggio dopo 19' con la rete di Mbappe, la squadra di Tuchel
(alla terza sconfitta stagionale) ha prima subito il pari di
Chouiar in pieno recupero del primo tempo, quindi il gol
vittoria di Cadiz in avvio di ripresa. Il tecnico dei parigini
ha provato la carta Cavani negli ultimi 20' affiancandolo a
Mbappe, Icardi e Di Maria, ma il risultato è rimasto 2-1 per
la squadra di casa.
Bundesliga, poker all'Eintracht: il Borussia M'Gladbach torna
al comando
La squadra della Renania piega
il Francoforte e si riprende il primato con un punto di
vantaggio sul Bayern Monaco.
Il Borussia Moenchengladbach vince 4-2 in casa
contro l'Eintracht Francoforte e si riprende il comando della
Bundesliga. Avversaria della Roma nel girone di Europa League,
la squadra della Renania ha chiuso i primi 45' in vantaggio
2-0 grazie ai gol di Thuram (figlio dell'ex Parma e Juventus
Lilian) e Wendt. Nella ripresa l'Eintracht ha accorciato le
distanze con Da Costa ma il Borussia è andato di nuovo a segno
con Elvedi. Al 79' gli ospiti tengono vive le speranze di
rimonta con Hinteregger ma all'85' Zakaria chiude i conti,
siglando la rete del definitivo 4-2. Il M'Gladbach sale a 18
punti, uno in più del Bayern
Monaco.
Nell'altro posticipo della nona giornata nessun gol tra
Wolfsburg e Augsburg.
Premier League, Leicester esagerato: 9-0 sul campo del
Southampton
Clamoroso risultato nell'anticipo della decima giornata: le
Foxes strapazzano i Saints, triplette per Vardy e Perez. La
squadra di Rodgers vola ora al secondo posto in classifica.
Incredibile
ma vero in Inghilterra. Nell’anticipo della decima giornata di
campionato, il Leicester ha vinto 9-0 in casa del Southampton.
Avete capito bene: nove a zero. E' record nella storia della
Premier League E adesso gli uomini di Rodgers, in attesa delle
altre partite di Premier, sono secondi in classifica a quota
20 punti, uno in più del Manchester City di Guardiola.
Triplette per Vardy e Perez
Al 10′ Chilwell porta in vantaggio le Foxes. La
svolta arriva due minuti dopo: padroni di casa in dieci per
l’espulsione di Bertrand. Da lì in poi la partita si trasforma
in una passeggiata per gli ospiti che dilagano andando ancora
in gol con Tielemans, quindi con Perez, autore di una
doppietta e Vardy che manda il Leicester negli spogliatoi in
vantaggio per 5-0. Nella ripresa l’ex squadra di Ranieri non
ha pietà, continuando il tiro al bersaglio verso la porta
difesa da Gunn con Perez e Vardy ancora a segno. Al’85’
l’ottavo sigillo ad opera di Maddison e a chiudere il match il
rigore trasformato da Vardy in pieno recupero che fissa il
punteggio sul pesantissimo 9-0. I ragazzi di Brendan Rodgers
volano così al secondo posto con 20 punti, uno in più del City
e a -5 dal Liverpool. Se la passa malissimo invece il suo
collega Ralph Hasenhuttl, che dopo questa umiliazione e un
bottino di appena 8 punti in 10 giornate (i Saints sono
terzultimi) rischia l'esonero.
Premier League, il Liverpool ribalta il Tottenham e torna a +6
sul City
Liverpool-Tottenham 2-1
Ad Anfield gli Spurs erano passati in vantaggio
subito dopo il calcio d'inizio con Harry Kane: il bomber del
Tottenham ha raccolto un tiro di Son respinto dal palo e di
testa in tuffo ha battuto Alisson. Dopo aver accusato il colpo
il Liverpool è cresciuto e solo un paio di interventi
prodigiosi di Gazzaniga hanno evitato il pareggio dei Reds.
Nel secondo tempo, la squadra di Klopp spinge, ma è ancora il
Tottenham ad andare vicino al gol con Son, che dopo aver
dribblato Alisson ha trovato la traversa da posizione
defilata. Al 52′ è arrivato il pareggio dei Reds: Jordan
Henderson con una conclusione di sinistro di controbalzo ha
superato Gazzaniga e ha fatto esplodere Anfield. La squadra
campione d'Europa ha cercato la vittoria e l'ha trovata con un
calcio di rigore di Mohamed Salah, assegnato per fallo di
Aurier su Mané: l'egiziano al 75′ ha battuto Gazzaniga.
Inghilterra,
stop alla striscia vincente del Liverpool: pari con il
Manchester United
Il
Liverpool non ha vinto, fermato sul pareggio dagli eternio
rivali del Manchester United. Erano 17 partite consecutive
(compresa la scorsa stagione) che in campionato i Reds
conquistavano i 3 punti. Dopo otto vittorie in otto giornate
di Premier League, la squadra di Klopp, avversaria del Napoli
nel girone di Champions League, impatta a Old Trafford contro
la squadra di Ole Gunnar Solskjaer. I Red Devils passano in
vantaggio con Rashford dopo 36 minuti, il tutto tra le
proteste degli ospiti per un presunto fallo di Lindeloff a
centrocampo durante l'azione che ha portato al gol. Dopo il
consulto con il Var l'arbitro convalida la rete dello United.
Poco dopo Var ancora protagonista con un gol
annullato a Manè che aveva pareggiato i conti: evidenziato un
controllo con la mano dell'ivoriano, con tanto di rabbia Klopp,
che rientra negli spogliatoi irritato per la conduzione
arbitrale. Nella ripresa gara tiratissima, ma alla fine il
Liverpool trova il pari al'85' con Lallana, abile nel farsi
trovare pronto sotto rete su un cross proveniente da sinistra.
Nel finale assalti ripetuti dei Reds con occasioni per
Alexander-Arnold e Chamberlain ma il Manchester resiste fino
al 97'. Il Liverpool rimane primo a +6 sul City di Guardiola
mentre il Manchester tredicesimo con 10 punti.
Continua la crisi nera del Tottenham. Gli Spurs
non vanno oltre l'1-1 interno contro il fanalino di coda
Watford, che strappa così il quarto punto della sua stagione:
Doucoure porta subito in vantaggio gli ospiti dopo soli sei
minuti, a salvare i londinesi ci pensa Dele Alli all'86'.
Resta traballante la panchina di Mauricio Pochettino, con
Massimiliano Allegri in pole position per l'eventuale
sostituzione. Nessun problema invece per il Manchester City,
che in casa del Crystal Palace passa grazie a due reti
ravvicinate di Gabriel Jesus e David Silva in chiusura di
primo tempo: Citizens sempre secondi a -5 del Liverpool, che
ha però una gara in meno rispetto alla formazione di Pep
Guardiola.
Le altre
Il turno è stato aperto dalla bella vittoria
dell'Everton sul West Ham: reti di Bernard nel primo tempo e
di Sigurdsson in pieno recupero. Il Chelsea supera di misura
il Newcastle, a segno l'ex Fiorentina Marcos Alonso. Appaiato
alla squadra di Frankie Lampard, il Leicester, bravo a
ribaltare il vantaggio ospite del Burnley con Wood: di Vardy e
Tielemans i gol che lanciano le Foxes. Pareggio a reti bianche
tra Bournemouth e Norwich, finisce invece 1-1
Wolverhampton-Southampton: apre Ings, risponde subito Jimenez
su calcio di rigore.
Germania: Bayern agguantato dall'Augsburg nel recupero. Cade
il Gladbach, anche il Wolfburg in vetta
Secondo
passo falso consecutivo per il Bayern Monaco, e in testa al
campionato tedesco c'è una nuova coppia, composta da Wolfsburg
e Gladbach. L'ottavo turno della Bundesliga lascia l'amaro in
bocca alla formazione di Niko Kovac, che dopo il ko interno
con l'Hoffenheim si fa rimontare fuori casa dall'Augsburg: i
bavaresi, sotto dopo neanche sessanta secondi per mano di
Richter, ribaltano la sfida con le reti di Lewandowski e
Gnabry ma si lasciano riprendere in pieno recupero da
Finnbogason.
Colpo Dortmund, pari Lipsia
Cade la capolista Gladbach, eurorivale della
Roma in Europa League. Pur senza Jadon Sancho, escluso dai
convocati per un ritardo dopo gli impegni con la nazionale
inglese, il Borussia Dortmund si impone con il punteggio di
1-0: decide il gol realizzato da Marco Reus al 13' della
ripresa, sfruttando un perfetto filtrante di Hazard prima di
battere Sommer con un delizioso tocco sull'uscita del
portiere. Finisce invece 1-1 lo scontro al vertice tra Lipsia
e Wolfsburg, nuova capolista a quota 16 insieme al Gladbach:
vantaggio dei padroni di casa con il solito Timo Werner,
pareggio di Weghorst a 8' dalla fine.Le
altre.Vittoria
preziosissima nelle zone calde per l'Union Berlino, che dopo
quattro sconfitte consecutive stende 2-0 il Friburgo con i gol
di Bulter e Ingvartsen. Il Dusseldorf piega di misura il Mainz,
sfruttando soltanto nel finale la superiorità numerica dettata
dall'espulsione dell'ex Fiorentina Edimilson Fernandes:
risolve Hennings all'82'. Pareggio tra Werder Brema ed Hertha
Berlino: Sargent porta in vantaggio i padroni di casa,
risponde Lubebakio al 70'
Italia-Grecia 2-0, Jorginho e Bernardeschi lanciano gli
azzurri a Euro 2020
I
ragazzi di Mancini ottengono la settima vittoria di fila e
volano alla fase finale con tre turni d'anticipo. Gara decisa
nella ripresa: apre il regista su rigore, chiude i conti
l'attaccante della Juve.
L'Italia è a Euro 2020. Gli azzurri non
sciupano il primo match-point: pur senza brillare, battono 2-0
la Grecia, ottengono il 7° successo consecutivo nel loro
girone e riscrivono la storia della nazionale. Mai, infatti,
la nostra selezione era riuscita a qualificarsi per una
rassegna, iridata o continentale, con 3 turni d'anticipo.
Basta questo per applaudire i ragazzi di Mancini che
cancellano, così, l'onta della mancata partecipazione ai
Mondiali del 2018. L'Italia va alla fase finale nella sera in
cui, probabilmente, ha brillato meno. Vuoi per l'importanza
della posta in palio, vuoi anche per la modesta caratura di
una Grecia in fase di ristrutturazione, per un'ora ha
terribilmente faticato a far gioco e a creare occasioni. Poi
un'ingenuità di Bouchalakis, che ha parato con un braccio un
tiro di Insigne, ha spianato la strada all'Italia che ha
aperto i conti su rigore con Jorginho e poi ha chiuso la
pratica con il subentrato Bernardeschi.
Mancini rilancia D'Ambrosio e Spinazzola
Rispetto alla trasferta in Finlandia, Mancini
ha restituito una maglia da titolare a centrocampo a Verratti,
ha cambiato i due terzini in difesa, inserendo D'Ambrosio e
Spinazzola al posto di Izzo e dell'indisponibile Emerson,
infine in attacco, stante anche l'assenza di Pellegrini, ha
rilanciato a sinistra Insigne. Sul fronte opposto il ct van't
Schip, vista la qualificazione ormai sfumata, ha fatto qualche
esperimento dando spazio, tra i pali, a Paschalakis,
all'esordiente Hatzidiakos in difesa e al giovane Limnios in
attacco.
Italia lenta e prevedibile per 45'
L'Italia ha subito preso il comando delle
operazioni ma la sua manovra, nel primo tempo, è stata lenta e
prevedibile. Invano gli azzurri hanno provato ad appoggiarsi
sulle fasce a Spinazzola e Chiesa: la Grecia ha coperto tutti
i verchi, rendendo inoffensivi Insigne e Immobile, per la
verità poco e mal serviti. A complicare ulteriormente i pianti
del ct è arrivato anche l'infortunio, al 35', di Chiesa,
costretto ad alzare bandiera bianca per un fastidio al
flessore. L'unico brivido della prima frazione lo hanno
procurato gli ospiti che hanno liberato al tiro sulla destra
Koulouris che non ha sorpreso sul primo palo un attento
Donnarumma.
Jorginho sblocca il risultato su rigore
L'Italia ha continuato a faticare anche in
avvio di ripresa. Paschalakis è rimasto inoperoso fino al 55'
quando ha preferito deviare in angolo un colpo di testa di
Immobile comunque destinato sul fondo. La Grecia non si è
impressionata e al 60' ha di nuovo sciupato una ghiotta
occasione per passare: è andata bene che Koulouris, ancora
lui, abbia calciato sull'esterno della rete un bel pallone
servitogli con un cross radente dalla destra da Limnios. Si è
capito che per sbloccare il risultato gli azzurri avrebbero
avuto bisogno di un episodio e l'occasione è puntualmente
arrivata al 62'. Verratti ha liberato al tiro Insigne sul cui
destro è intervenuto con un braccio largo Bouchalakis,
anticipando la parata in tuffo del proprio portiere. Rigore
netto che Jorginho ha trasformato con freddezza non perdendo
l'occasione di diventare il miglior marcatore della gestione
Mancini con 3 reti.
Bernardeschi chiude i conti
Perso per perso, la Grecia ha cambiato
atteggiamento e la gara finalmente si è aperta. Insigne ha
mancato di poco il raddoppio con un gran destro da 25 mt,
Bakasetas dalla parte opposta, su una torre di Bouchalakis, ha
svirgolato il sinistro al volo da favorevole posizione per
impensierire Donnarumma. L'Italia ha ringraziato e al 78' ha
chiuso i conti con un forte sinistro da fuori di Bernardeschi
che, complice una deviazione con una coscia di Giannoulis,
appena entrato, ha battuto di nuovo Paschalakis. La gara, di
fatto, è finita qui anche se prima del fischio finale il
portiere ellenico ha avuto modo di mettersi in mostra
opponendosi a un destro ravvicinato di Insigne. L'Italia verde
di Mancini torna a regalarci un sorriso. Ora l'importante è
proseguire sul cammino di crescita.
ITALIA-GRECIA 2-0 (0-0)
Italia (4-3-3):
Donnarumma, D'Ambrosio, Bonucci, Acerbi, Spinazzola, Barella
(42′ st Zaniolo), Jorginho, Verratti, Chiesa (39′ pt
Bernardeschi), Immobile (34′ st Belotti), Insigne. (12 Meret,
1 Sirigu, 3 Biraghi,5 Izzo, 23 Mancini, 13 Romagnoli, 11
Grifo, 4 Cristante, 22 El Shaarawy). Ct: Mancini.
Grecia (4-3-1-2):
Paschalakis, Bakakis, Chatzidiakos, Siovas, Stafylidis, Zeca,
Kourbelis, Bouchalakis (30′ st Giannoulis), Bakasetas (34′ st
Mantalos) Limnios, Koulouris (22′ st Donis) (1 Vlachodimos, 13
Dioudis, 4 Lampropoulos, 10 Fetfatzidis, 7 Siopis, 15
Galanopoulos, 16 Pavidis, 19 Vrousai, 23 Koutris). Ct: Van't
Schip.
Arbitro:
Karasev (Rus).
Reti:
nel st 18′ Jorginho su rigore, 33′ Bernardeschi.
Angoli:
7-4 per l'Italia.
Recupero:
1′ e 3′.
Note:
ammoniti Chatzidiakos, Koulouris e Bouchalakis per gioco
falloso.
Spettatori:
57 mila per un incasso di 501 mila euro.
Germania, Bayern cade in casa. Dortmund frena a Friburgo.
Schalke beffato al 92'
Festa
Hoffenheim: il Bayern cade in casa (reuters)
Bavaresi sorpresi dall'Hoffenheim: 1-2. Gialloneri raggiunti
nel finale sul 2-2. Per la squadra di Gelsenkirchen la vetta
soltaria sfuma in pieno recupero: 1-1 con il Colonia
Dopo il 2-7 incredibile in Champions contro il Tottenham,
il Bayern Monaco cade in Bundesliga. Per i bavaresi imprevisto
capitombolo interno contro l'Hoffenheim. Succede tutto nella
ripresa: gli ospiti passano in vantaggio nel secondo tempo con
Adamyan, ma poco dopo i bavaresi pareggiano con il solito
Lewandowski. Inerzia della gara verso il Bayern, ma è di nuovo
l'Hoffeneim a passare in vantaggio sempre con Adamyan per
l'1-2 finale. Bavaresi agganciati da Friburgo, Lipsia e
Leverkusen, che comunque approfittano parzialmente del passo
falso dei campioni di Germania: Lipsia e Leverkusen (di
fronte nello scontro diretti) hanno pareggiato 1-1 (gol nel
secondo tempo di Volland e Nkunku) mentre il Friburgo ha
pareggiato per 2-2 con il Borussia Dortmund, che a sua volta
vede sfumare nel finale (autorete su cross del nerazzurro
Grifo) la possibilità di agganciare il Bayern. Nell'altra gara
del pomerggio il sempre più ultimo Paderborn è stato sconfitto
per 2-1 dal Mainz.
Infine, nell'ultima gara del sabato, occasione
sprecata per lo Schalke 04, che si vede pareggiare la gara nei
minuti finali dal Colonia e che, dunque, non va al comando
solitario della classifica. Finisce 1-1 a Gelsenkirchen, con i
padroni di casa in vantaggio al 72' con Serdar, raggiunti al
92' da Hector. Lo Schalke si aggiunge al gruppo delle altre
quattro squadre a quota 14 punti, in vetta alla classifica
tedesca.
Champions: Psg e Bayern agli ottavi. Real
Madrid e Tottenham a valanga, cade l'Atletico Madrid
Icardi stende il Bruges, francesi avanti con
due gare d'anticipo. Il Bayern si rialza in coppa con
Lewandowski e Perisic. Merengues e Spurs travolgenti contro
Galatasaray (6-0 al Bernabeu) e Stella Rossa (4-0 a Belgrado).
Scivolone a Leverkusen per i Colchoneros, pari rocambolesco
tra Dinamo Zagabria e Shakhtar Donetsk
Si chiude la quarta giornata di Champions con
alcuni verdetti. Oltre alla Juventus, si qualificano con due
turni d'anticipo agli ottavi di finale il Bayern Monaco e il
Paris Saint Germain. Nel gruppo B i tedeschi si confermano a
punteggio pieno dopo il successo sull'Olympiacos e guidano
davanti al Tottenham con cinque punti di vantaggio. Inglesi
che, dopo la vittoria di Belgrado, ipotecano il secondo posto.
Stesso discorso nel gruppo A con i parigini a punteggio pieno
(Icardi stende il Bruges) davanti al Real Madrid (6-0 al
Galatasaray) con cinque lunghezze di vantaggio. Nel gruppo D,
quello della Juve, tonfo dell'Atl. Madrid a Leverkusen col
Bayer che vince per 2-1. Infine nel gruppo C, quello
dell'Atalanta, pari rocambolesco tra Dinamo Zagabria e
Shakhtar Donetsk, appaiate in classifica e in piena lotta per
il secondo posto.
Real Madrid-Galatasaray 6-0
Al Bernabeu il Real Madrid archivia la pratica
Galatasaray dopo appena un quarto d'ora di gioco. Al 4′ cross
di Marcelo dalla sinistra per Rodrygo che, tutto solo sul
secondo palo, elude il ritorno di due uomini e col sinistro
infila Muslera sul palo più lontano. I turchi accusano il
colpo e 2′ più tardi capitolano, ancora sull'asse
Marcelo-Rodrygo con l'ex Santos che questa volta infila
Muslera di testa. Per lui la doppietta più veloce della storia
della Champions (6'14"). All'11' un pestone di Nzonzi su Kroos
sulla linea dell'area di rigore costringe l'arbitro a
visionare il Var: 2′ più tardi il tedesco Zwayer assegna il
calcio di rigore che Sergio Ramos realizza. Nel finale di
tempo Rodrygo si trasforma in uomo assist e serve a Benzema il
pallone del 4-0. All'81' il pokerissimo firmato ancora Benzema
che diventa così il quarto miglior marcatore della storia
della Champions con 62 gol segnati. In pieno recupero la
personale tripletta di Rodrygo che fa calare il sipario sul
Galatasaray.
PSG-Bruges 1-0
Una rete di Mauro Icardi, la settima nelle
ultime quattro partite, permette al Paris Saint Germain di
battere in casa il Bruges e di volare agli ottavi di finale
con un turno d'anticipo. I parigini, a punteggio pieno nel
girone A con cinque punti di vantaggio sul Real Madrid,
passano in vantaggio al 22′ con l'argentino che raccoglie un
traversone basso dalla destra di Dagba e col piattone batte
Mignolet. Gli ospiti cercano il pareggio sbattendo
continuamente contro Navas. L'estremo difensore costaricano
nega più volte il gol a Okereke, poi al 73′, quando Thiago
Silva stende Diagne in area, para il rigore del possibile
pareggio al numero 10 nerazzurro.
Bayern Monaco-Olympiacos 2-0
Aspettando il nome del prossimo allenatore, è
buona la "prima" di Hans-Dieter Flick sulla panchina bavarese.
Il Bayern Monaco vola agli ottavi di Champions con due turni
d'anticipo grazie alla vittoria sull'Olympiacos per 2-0. Le
reti entrambe nella ripresa. Al 69′ il vantaggio firmato
Lewandowski, al 21esimo centro stagionale in 17 partite
giocate: cross di Coman e il polacco anticipa Semedo e batte
Sa. All'89' il raddoppio firmato dall'ex interista Perisic che
raccoglie un altro traversone di Coman e batte l'estremo
difensore portoghese
Stella Rossa-Tottenham 0-4
Partita tutt'altro che scontata a Belgrado dove
il Tottenham deve ricorrere a tutta la sua esperienza per
portare a casa i tre punti. Gli Spurs passano in vantaggio al
34′ col primo gol stagionale di Lo Celso al termine di
un'azione rocambolesca: prima il palo dice "no" a Kane, poi
sulla ribattuta Son si vede negare il gol sulla linea di
porta, quindi la sfera resta in area e ancora il coreano, su
assist del capitano, colpisce la traversa, infine dopo 40" di
batti e ribatti in area, Lo Celso di potenza e precisione fa
felice Pochettino. Nella ripresa, al 57′, Son raddoppia con un
bolide di sinistro dal limite dell'area piccola che non lascia
scampo al portiere di casa. Singolare l'esultanza del coreano
che chiede "scusa", molto probabilmente ad André Gomes, il
portoghese dell'Everton uscito in barella nell'ultima sfida di
Premier dopo lo scontro col giocatore asiatico. Il numero 7
ospite realizza la personale doppietta quattro minuti più
tardi sull'assist di Rose. All'85' Eriksen chiude le marcature
per il 4-0 finale.
Dinamo Zagabria-Shakhtar Donetsk 3-3
Gara incredibile e senza fine al Maksimir di
Zagabria dove succede davvero di tutto tra la Dinamo e lo
Shakhtar. Al quarto d'ora ospiti in vantaggio con Alan Patrick
che prima innesca con una verticalizzazione Junior Moraes, poi
va a chiudere l'azione depositando in rete su assist dello
stesso giocatore naturalizzato ucraino, ma di origini
brasiliane. Al 25′ il pareggio dei padroni di casa con
Petkovic bravo a saltare più in alto di tutti e infilare di
testa Pyatov per l'1-1 su un traversone dal limite di destra
di Théophile-Catherine. Nella ripresa l'espulsione di Moro tra
i croati e quella di Marlos tra gli ucraini lasciano le due
squadre in dieci. All'83' Ivanusec, imbeccato in area da
Petkovic, completa la rimonta con un bel diagonale sul secondo
palo. 6′ più tardi il 3-1 di Ademi che sembra far calare il
sipario sulla sfida. Così non è, perché lo Shakhtar accorcia
al 93′ con Junior Moraes, poi una folle gomitata in area di
Théophile-Catherine su Pyatov vista dal Var manda Dentinho sul
dischetto e il brasiliano firma il clamoroso 3-3 al 98′.
Bayer Leverkusen-Atletico Madrid 2-1
Gara nervosa e per lunghi tratti dominata
dal Bayer Leverkusen quella della BayArena che vede il
meritato vantaggio dei padroni di casa, seppur grazie a un
autogol di Thomas sugli sviluppi di un calcio d'angolo, solo
al 43′. In precedenza i tedeschi erano andati vicini al
vantaggio in tre occasioni, due volte con Volland (palla fuori
di un soffio e tiro centrale dal limite) e una con Felipe
(traversa da corner). Nella ripresa proprio Volland raddoppia
al termine di una bella azione di Bellarabi che poi crossa sul
primo palo per il proprio capitano, stop e destro dove Oblak
non può arrivare. Nel finale gol annullato a Morata per
fuorigioco e rissa in area spagnola ridimensionata
dall'arbitro con cinque cartellini gialli, tre per la
formazione iberica, due per quella tedesca. In pieno recupero
col Bayer in 10 per l'espulsione di Amiri, Morata trova il gol
della bandiera ospite. Allo scadere altra grande occasione per
l'ex juventino, ma è bravissimo Hradecky a dirgli di no. Per i
tedeschi primi tre punti nel girone della Juve.
Borussia-Inter 3-2: Lautaro e Vecino illudono, poi i
nerazzurri crollano
Da 0-2 a 3-2, dagli ottavi di finale in tasca
alla qualificazione appesa a un filo. In 45 minuti l'Inter
passa dall'inferno al paradiso perdendo 3-2 in casa del
Borussia Dortmund: doppio vantaggio firmato Lautaro-Vecino,
nella ripresa rimonta tedesca con la doppietta di Hakimi e
Brandt. Per la squadra di Conte un black-out che probabilmente
verrà pagato con l'eliminazione dalla Champions.
Primo tempo perfetto
Davvero inspiegabile cosa sia successo nella
ripresa considerando che i primi 45 minuti della squadra di
Conte erano stati praticamente perfetti: vantaggio immediato
al 5′ con Lautaro, bravo a finalizzare un'azione personale
partita dalla destra. E' lo stesso argentino al 40′ a lanciare
l'azione del raddoppio con uno splendido cambio gioco sulla
destra per Candreva, cross al limite dove Vecino supera con un
piatto all'angolino Burki.
Furia giallonera
E' tutta un'illusione però perché, al rientro
in campo dopo l'intervallo, la musica cambia. Il Borussia
Dortmund ha un'altra aggressività mentre i nerazzurri
spariscono dal campo. A trascinare i padroni di casa è Hakimi,
che sulla destra è letteralmente indiavolato. Il terzino
marocchino accorcia le distanze al 51′ sfruttando un assist di
Gotze, conclusione sporca ma precisa su cui Handanovic non può
nulla. Al 64′ errore imperdonabile dell'Inter: su un banale
fallo laterale, Brozovic si addormenta, Brandt riceve in area
un pallone d'oro da parte di Alcacer e supera Handanovic
all'angolino. Colpiti nel morale, i nerazzurri non riescono
più a uscire dalla propria metà campo, ma il peggio deve
arrivare perché al 77′ ancora Hakimi scambia con Sancho e
firma la rete del 3-2 con una fulminante penetrazione da
destra.
Qualificazione appesa a un filo
Per il Dortmund sembra una partita di
allenamento, per l'Inter ci si mette anche la sfortuna perché
Politano, appena entrato al posto di Lukaku, riceve un
durissimo colpo alla caviglia e, finite le sostituzioni, resta
in campo solo per onor di firma, ma giocando di fatto a mezzo
servizio. Nel finale ci prova Sensi dal limite, ma la sua
conclusione è troppo centrale e parata senza problemi da Burki.
Finisce così 3-2, per l'Inter ora è durissima. Il Barcellona,
nonostante il pareggio casalingo contro lo Slavia, resta primo
a 8, segue il Borussia a 7, nerazzurri a 4 e cechi a 2.
Sicuramente bisognerà vincere a Praga e poi compiere
un'impresa a San Siro contro il Barça che però, battendo la
prossima i tedeschi, potrebbe già essere qualificato. Comunque
la voglia di reazione dei ragazzi di Favre dopo il primo tempo
e la spinta forsennata del pubblico non possono giustificare
un calo così evidente nella ripresa.
Atalanta-Manchester City 1-1: Pasalic risponde a Sterling,
primo punto per i nerazzurri
La squadra di Gasperini tiene testa a quella di
Guardiola. Inglesi avanti nel primo tempo, Gabriel Jesus
sbaglia un rigore. Nella ripresa la reazione orobica produce
il pari, finale vibrante con i Citizens in dieci e il
difensore Walker in porta.
MILANO -
Grazie a 45 minuti di straordinaria intensità ed emozione
l'Atalanta conquista il primo storico punto in Champions
League contro i maestri del Manchester City. In due settimane
la goleada subita all'Etihad Stadium (5-1) diventa un pareggio
insperato che finisce per risultare addirittura stretto ai
bergamaschi per l'andamento del secondo tempo. L'inizio è da
incubo, ma la ripresa è spettacolare. Il City conclude in 10
con il difensore Walker in porta dopo l'infortunio di Ederson
e l'espulsione del sostituto Bravo. E gli ottavi non sono
ancora una chimera grazie al pareggio al fotofinish a Zagabria
tra Dinamo e Shakhtar Donetsk.
San Siro è nerazzurro: oltre 30mila tifosi
dell'Atalanta riempiono il primo anello e il secondo rosso e
arancione. La loro spinta sarà incessante per tutta la
partita. A tratti anche commovente perché non si è esaurita
nemmeno nei momenti più difficili. Il primo banco di prova è
quasi immediato. Dopo appena sette minuti il Manchester City
proietta una pillola di puro calcio spettacolo: Bernardo Silva
pesca Gabriel Jesus in mezzo all'area di rigore, il brasiliano
inventa un assist di tacco geniale per Sterling che non
perdona Gollini. Questa volta i Campioni della Premier League
non concedono all'Atalanta nemmeno l'onore della prima
mezzora, come successo nella gara di andata. Gli inglesi
partono fortissimo nonostante la decisione di Guardiola di
tenere in panchina Aguero. Per il City sembra una prova
generale da giocare con la massima intensità in vista della
partitissima di domenica con il Liverpool. E il test sembra
già chiuso prima dell'intervallo. Al 39' l'arbitro bielorusso
Kulbakov assegna un rigore al City per fallo di Toloi su
Sterling, ma corregge la decisione al Var perché la trattenuta
è fuori area. E' solo un rinvio di pochi secondi perché sulla
punizione successiva Ilicic commette fallo di mano. Questa
volta le conseguenze negative sono annullate da un tiro
terrificante di Gabriel Jesus che calcia a lato di un paio di
metri rizollando il dischetto. Lì comincia la resurrezione
atalantina.
Il secondo tempo è un romanzo. I bergamaschi
scrivono subito il capitolo più bello al 4': cross di Papu
Gomez dalla sinistra e perfetto inserimento di testa di
Pasalic che super Bravo entrato all'intervallo al posto
dell'infortunato Ederson. San Siro impazzisce di gioia: i
30mila tifosi atalantini saltano iniziando a immaginare una
vittoria da favola per la regina delle provinciali italiane
contro i nababbi degli Emirati Arabi. Il City fatica a uscire
dalla metà campo. La pressione degli uomini di Gasperini è
fortissima. Ilicic diventa un gigante. Dijmsiti sfiora il 2-1
di testa. Il copione diventa commedia al 36' quando Bravo
stende Ilicic lanciato a rete. Kulbakov sventola il cartellino
rosso e il City resta senza portieri. Al termine di una
manfrina non particolarmente degna di una squadra del livello
degli inglesi, tra i pali va il difensore Walker che entra al
posto di Mahrez. Interminabile la lungaggine della panchina
del City che perde sei minuti in un balletto incomprensibile
con il quarto uomo.
L'Atalanta vede il sogno a portato di mano, ma
l'unica conclusione verso la porta del City sarà la successiva
punizione di Malinovskyi appena spedito in campo da Gasperini.
Walker para in due tempi, con molta incertezza, ma basta a non
far rotolare il pallone oltre la linea. Il City a quel punto
cerca soprattutto di neutralizzare la partita con un certo
ostruzionismo. Gasperini prova il tutto per tutto inserendo
anche Muriel. Ma sono abili Aguero e compagni (il Kun è
entrato al 28' del secondo tempo) a congelare la
manovra. L'arbitro concede 7 minuti di recupero e, nonostante
qualche ulteriore perdita di tempo, fischia la fine senza
nemmeno un secondo aggiuntivo. Resta il primo storico punto
conquistato dall'Atalanta nell'Europa delle stelle. Ma sembra
svanito ogni sogno di qualificazione agli ottavi perché il 3-1
della Dimamo in casa sullo Shakhtar chiude quasi ogni speranza
(troppo difficile ribaltare il ko per 4-0 dell'andata anche in
caso di arrivo a pari punti a quota 7). Invece deve ancora
arrivare l'ultimo colpo di scena della serata. A Zagabria lo
Shakhtar pareggia (3-3) con una rimonta incredibile negli
ultimi minuti. Ora l'Atalanta dovrà battere ucraini e croati
sperando nella sconfitta degli avversari contro il City. Da
questa sera la Champions non è più una reggia troppo bella per
essere invitati. L'Atalanta inizia a camminare sicura in quei
saloni. E tutto è ancora possibile.
Atalanta-Manchester City 1-1 (0-1)
Atalanta:
(3-4-2-1): Gollini; Toloi, Djimsiti, Palomino; Hateboer, De
Roon, Freuler (39' st Malinovskyi), Castagne (dal 46' st
Muriel); Pasalic, Gomez; Ilicic (57 Sportiello, 4 Kjaer, 5
Masiello, 13 Arana, 99 Barrow) All.: Gasperini.
Manchester City (4-3-3):
Ederson (1'st Claudio Bravo); Cancelo, Otamendi, Fernandinho,
Mendy; De Bruyne, Gundogan, Bernardo Silva; Mahrez (42' st
Walker), Gabriel Jesus (28' st Aguero), Sterling (5 Stones, 12
Angelino, 50 Garcia, 69 Doyle) All.: Guardiola.
Arbitro:
Kulibakov (Bielorussia)
Reti:
nel pt 7' Sterling; nel st 4' Pasalic Angoli: 8-2 per il
Manchester City
Recupero 1'
e 7'
Ammoniti:
Djimsiti, Toloi, Ilicic, Fernandinho, Castagne, Mendy,
Bernardo Silva per gioco scorretto
Espulso:
Claudio Bravo al 36' st per fallo da ultimo uomo
Spettatori:
32.147 per un incasso di 961.314,00 euro
Note:
Gabriel Jesus ha calciato fuori un rigore al 43' pt. Walker ha
terminato la gara in porta per l'espulsione di Bravo.
Lazio-Celtic 1-2: Immobile non basta. Ntcham al 95',
biancocelesti quasi fuori
Un gol nell'ultimo minuto di recupero condanna
la Lazio. All'Olimpico vince ancora il Celtic Glasgow, come
nel turno precedente, e sempre per 2-1. Biancocelesti in
vantaggio in avvio grazie al solito Immobile, ma nel finale
del primo tempo pareggia Forrest. Secondo tempo equilibrato
con occasioni da entrambe le parti, ma il tiro giusto lo trova
Ntcham al 95′. Adesso il Celtic è già ai sedicesimi grazie ai
10 punti conquistati; segue il Cluj a quota 9, mentre la Lazio
resta a 3 e vede allontanarsi la qualificazione.
La apre Immobile
Inzaghi schiera un 3-5-2 con Caicedo e Immobile
in attacco. Sugli esterni Lazzari e Jony con Milinkovic, Leiva
e Parolo in mezzo al campo. In difesa giocano Luiz Felipe,
Vavro e Acerbi. Lennon risponde col 4-2-3-1 con Edouard punta
avanzata e Forrest, Christie ed Elyounoussi a supporto. Brown
e McGregor davanti alla difesa, Elhamed e Hayes esterni con
Jullien e Ajer centrali. Parte forte la Lazio e dopo 7′ va in
vantaggio: cross dalla destra di Lazzari, Caicedo prolunga di
testa e Immobile col destro insacca sul secondo palo. La
partita pare mettersi in discesa per i padroni di casa che
insistono e insidiano l'area scozzese. Come al 21′: gran palla
di Luiz Felipe che smarca Immobilesolo
davanti al portiere, controllo ma il bomber viene rimontato e
fermato. Poco dopo quasi autogol su un angolo capitolino,
mentre Immobile viene murato sul più bello.
Pareggia Forrest
Lentamente la Lazio perde campo e concede
troppo al Celtic che attacca a folate cercando il varco
giusto. E gli uomini di Lennon lo trovano al 38′ anche se la
difesa ha tante colpe: Milinkovic perde palla al limite,
quindi errore di Acerbi che non intercetta un passaggio di
Elyounoussi; in area controlla Forrest che col destro insacca
in diagonale. I biancocelesti reagiscono e Forster deve
salvare in tuffo in angolo. Corner, palla vangante e diretta
in porta, ma Jullien salva i suoi. L'azione prosegue e Parolo
di testa da ottima posizione manda la sfera alta.
Ntcham all'ultimo minuto
Comincia meglio il Celtic il secondo tempo e le
occasioni piovono. Edouard impegna Strakosha, mentre Forrest
ed Elyounoussi a più riprese si rendono pericolosi. Inzaghi
allora decide di cambiare: fuori Jony e dentro Lulic, e dentro
Luis Alberto al posto di Leiva. Il nuovo assetto tattico
laziale funziona e la squadra capitolina finalmente attacca.
Al 66′ Milinkovic lancia Immobile che penetra in area e
conclude. Deviazione di Jullien e richiesta di rigore per
fallo di mano, ma per l'arbitro è tutto regolare. Un minuto
dopo colpo di testa del serbo, ma respinge Forster. Al 74′
Luis Alberto coglie il palo direttamente da calcio d'angolo,
mentre Lazzari da fuori non trova la porta. Sul fronte
opposto Edouard penetra in area da solo, ma col piatto destro
manda la sfera sul fondo. Lazio pericolosissima a poco dalla
fine: prima Berisha tira ma respinge Forster. Azione che
continua e lo stesso Berisha serve Caicedo che di testa
colpisce debolmente e male. Successivamente Luis Alberto ci
prova col destro a giro, ma salva ancora Forster, quindi tiro
da fuori di Milinkovic con palla di poco out. Sono cinque i
minuti di recupero e proprio all'ultimo il Celtic passa e
vince: regalo di Berisha a Elyounoussi, palla in area per il
subentrato Ntcham che controlla e col tocco sotto di destro
beffa Strakosha.
Lazio-Celtic Glasgow 1-2 (1-1)
Lazio (3-5-2):
Strakosha, Luiz Felipe, Vavro (37′ st Berisha), Acerbi,
Lazzari, Parolo, Lucas Leiva (13′ st Luis Alberto), Milinkovic
Savic, Jony (13′ st Lulic), Caicedo, Immobile (23 Guerrieri, 4
Patric, 15 Bastos, 34 Adekanye). All.: Inzaghi
Champions:Inter-Borussia Dortmund 2-0: Lautaro e Candreva
rilanciano i nerazzurri
L'attaccante (che poi sbaglia anche un rigore) e l'esterno
piegano i tedeschi. Ora la qualificazione per la squadra di
Conte non è più un miraggio.
L’Inter doveva solo vincere per non abdicare in
Champions League prima ancora della fine di ottobre. E lo ha
fatto con una prestazione estremamente intelligente: un gol
nella prima mezzora con Lautaro per indirizzare la partita
nella direzione giusta, una sofferenza controllata nella parte
centrale della gara e la fiammata finale di un formidabile
Candreva per blindare il risultato dopo il rigore fallito
pochi minuti prima da Lautaro (provocato dal baby Esposito
subito protagonista). I nerazzurri agganciano i tedeschi a
quota 4 in classifica, ma adesso sono in vantaggio per gli
scontri diretti. E tra due settimane cercheranno di dilatare
questo vantaggio in classifica nella trasferta in Germania.
I 4500 tifosi tedeschi coprono con il loro
grande bandierone giallonero i teloni anti-vibrazione
posizionati al terzo anello. Una trovata intelligente per
nascondere quel rattoppo non particolarmente bello da vedere.
In campo il tecnico Favre sorprende lasciando in panchina
Goetze, nonostante le assenze di Reus e Alcacer. Al centro
dell’attacco c’è Brandt con Hazard e Sancho ai lati. E’
inaspettato anche il modulo: 3-4-3 con Hakimi e Schulz sulle
fasce a centrocampo. E’ proprio Schulz, per metà originario di
Ischia, a propiziare involontariamente il vantaggio dell’Inter
non salendo a tempo con il resto dei difensori del Borussia.
Un ritardo fatale perché consente di tenere in gioco Lautaro,
abilissimo ad addomesticare il lancio di De Vrij e castigare
Burki. Il Toro è in un momento di grazia: quarta partita
consecutiva in gol dopo quelle con Barcellona, Juventus e
Sassuolo. Per la freddezza sotto porta sembra adatto
l’accostamento a un rettile.Dopo
appena 22 minuti Antonio Conte vede la partita posizionarsi in
discesa. Merito della pazienza certosina con la quale i suoi
giocatori hanno atteso di scardinare lo strettissimo assetto
dei tedeschi, asserragliati in due linee di difesa e
centrocampo vicinissime. Al primo pertugio De Vrij ha infilato
il passe-partout per Lautaro. Da quel momento l’Inter lasca
l’iniziativa al Borussia che inizia a farsi pericoloso nel
finale del primo tempo con Sancho. Il giovane inglese, al
rientro dopo la punizione (una partita fuori rosa e la multa)
per il rientro tardivo dagli impegni con la Nazionale,
prosegue nella missione dopo l’intervallo. E’ lui a creare i
problemi maggiori ai nerazzurri. Alla mezzora ci pensa
Candreva a spazzare l’area dopo una conclusione ravvicinata
del numero 7. L’ex laziale, in forma smagliante, aveva già
dato un contributo simile nella prima frazione. Insieme a
Lautaro (bravissimo, errore dal dischetto a parte) è stato il
migliore dell’Inter. Bene anche Gagliardini e Barella che non
hanno mollato di un centimetro in mezzo al campo e De Vrij in
difesa. E nella mezzora finale ha impressionato il
baby-Esposito, 17 anni, trattenuto dall’Inter dopo
l’infortunio di Sanchez mentre era in partenza per il Mondiale
di categoria in Brasile. Scelta ripagata subito perché il
giovanissimo talento, subentrato a un deludente Lukaku, si è
procurato un rigore con potenza e scaltrezza, costringendo al
fallo un difensore espertissimo come Hummels.
Lautaro, però, ha sospeso bruscamente il suo
periodo d’oro facendosi parare il tiro dagli undici metri da
Burki, in dubbio fino all’ultimo. La sofferenza, però, dura
appena sette minuti perché al termine di un contropiede
fulminante, nell’ultimo giro di orologio prima del recupero,
Candreva vola verso la porta del Borussia e fa planare il
pallone in rete scatenando l’entusiasmo di San Siro. E’ il
coronamento di una prestazione magnifica che certifica una
delle metamorfosi più evidenti di un calciatore negli ultimi
anni. Opaco nelle ultime stagioni all’Inter, è diventato un
fattore trascinante. L’Inter riprende la Champions in corsa e
ora andrà a giocarsi la qualificazione a Dortmund tra due
settimane. Ma adesso può farlo da posizione di forza.
INTER - BORUSSIA DORTMUND 2-0
22’ pt Lautaro, 44’ st Candreva
INTER (3-5-2)
Handanovic - Godin, De Vrij, Skriniar -
Candreva, Gagliardini, Brozovic, Barella, Asamoah (35’ st
Biraghi) - Lukaku (17’ st Esposito), Lautaro (45’ st Borja
Valero). All. Conte.
BORUSSIA (3-4-3)
Burki - Akanji (29’ st Bruun Larsen), Weigl,
Hummels - Hakimi, Witsel, Delaney (20’ st Dahoud), Schulz -
Hazard (39’ Guerreiro), Brandt, Sancho. All. Favre.
Arbitro: Taylor
(Inghilterra)
Note:
ammoniti Godin, Brozovic, Barella, Weigl, Candreva. Burki para
un rigore a Lautaro al 37’ st. Spettatori 65.673
Champions: Morata fa felice l'Atletico. Doppio Icardi, il Psg
vola
Icardi esulta: Psg travolgente a Bruges (afp)
Morata fa felice l'Atletico Madrid
Nel girone della Juve resta in testa alla
classifica assieme ai bianconeri l'Atletico Madrid che deve
attendere fino al 78' per sbloccare (1-0) l'equilibrato match
con il Bayer Leverkusen. Ci pensa proprio un ex juventino,
Morata, a far felice Simeone: lanciato nella mischia al 70'
segna il gol vittoria con un perentorio colpo di testa su
cross dalla sinistra di Lodi. Poco prima, al 63', la squadra
arbitrale portoghese non aveva fatto una bella figura: su un
lancio lungo, Bender, scivolando in area, aveva atterrato con
un braccio Diego Costa: rigore netto non visto dal direttore
di gara Artur Dias, per la verità non supportato a dovere dal
Var.
La Dinamo Zagabria ferma lo Shakhtar
Nel gruppo dell'Atalanta, lo Shakhtar non va
oltre il 2-2 con la Dinamo Zagabria. Gara ricca di emozioni e
capovolgimenti di fronte a Kharkiv. Ucraini in vantaggio al
17' con un preciso diagonale di Konoplyanka e raggiunti al 25'
da un bel tocco di Olmo in anticipo su Pyatov in uscita su un
cross di Orsic. Lo stesso Orsic diventa protagonista in avvio
di ripresa: prima colpisce un palo e poi (60') trasforma un
rigore concesso dall'arbitro Mateu su suggerimento del Var per
colpa di una clamorosa ingenuità di Pyatov a gioco fermo sugli
sviluppi di un angolo (plateale trattenuta ai danni di
Gavranovic). A togliere le castagne dal fuoco al tecnico
Castro pensa il 21enne brasiliano Dodo che, appena entrato,
pareggia (75') sfruttando alla perfezione un perfetto lancio
smarcante in area di Patrick.
Incidenti ad Atene: feriti 6 tifosi del Bayern
che batte l'Olympiacos
Nel gruppo B il Bayern resta in testa a
punteggio pieno passando per 2-3 ad Atene contro l'Olympiacos.
I greci passano al 23' con un colpo di testa di El Arabi
respinto da Neuer dopo che la palla aveva superato già la
linea di porta, i bavaresi pareggiano al 34' con il solito
Lewandowski, lesto a riprendere una corta respinta di Sa su
una sforbiciata di Muller. I due si rendono protagonisti anche
dell'1-2 al 63': torre di Muller per il polacco che, sul filo
del fuorigioco, anticipa Sa con un pregevole tocco d'esterno
destro di controbalzo. A calare il tris pensa al 73' Tolisso
con un bel destro a giro sotto l'incrocio da fuori area. L'Olympiacos
non ci sta e all'80' accorcia le distanze con un pizzico di
fortuna: un destro da fuori area di Guilherme è deviato con un
braccio da Thiago Alcantara che, involontariamente, spiazza
Neuer. Troppo tardi, però, per evitare la sconfitta. La
vigilia della gara è stata turbata da quanto successo nel
pomeriggio a margine della sfida tra le due formazioni
giovanili in Youth League: oltre 60 ultras dell'Olympiacos,
incappucciati, nascosti dai caschi e armati di spranghe e
oggetti vari, sono entrati dentro la struttura che ospitava la
gara, dirigendosi verso alcuni tifosi del Bayern, aggredendoli
e colpendoli. Sei sostenitori tedeschi e un addetto alla
sicurezza sono stati trasportati in ospedale per le ferite
riportate. La partita è stata sospesa per oltre 20′ e si è
conclusa sullo 0-4 per gli ospiti. Adesso l'Olympiacos rischia
pesanti sanzioni da parte dell'Uefa.
Il Tottenham travolge la Stella Rossa e torna
in corsa
Nell'altra gara del girone, tutto facile per il
Tottenham che travolge (5-0) la Stella Rossa scavalcandola
nella corsa al 2° posto. Apre le marcature al 9' Kane con un
colpo di testa su angolo di Lamela. L'ex romanista è
protagonista anche del 2-0 con un cross dalla destra per Son
che insacca con un forte sinistro in diagonale di controbalzo.
Il coreano cala il tris in contropiede al 44' su lancio
smarcante di Ndombelé. Al 57' Lamela corona la sua ottima
prestazione con il gol del 4-0: sinistro in girata su assist
dalla destra di Aurier. Al 72' arriva il 5-0, firmato ancora
da Kane che approfitta di un altro lancio di Ndombelé per
battere di nuovo Borjan.
Doppio Icardi, il Psg ride. Il Real si rilancia
Resta a punteggio pieno anche il Psg che, nel
gruppo A, passeggia (0-5) a Bruges. I parigini passano già al
6' con un bel destro in anticipo sul primo palo di Icardi su
cross dalla destra di Di Maria. Poi, dopo aver fallito due
facili occasioni con Di Maria e Icardi, raddoppiano al 61' con
Mbappé, da poco entrato, lesto a riprendere una respinta corta
di Mignolet su cross dalla sinistra di Di Maria. Il Bruges
crolla e, 2' dopo, permette al Psg di dilagare: Mata sbaglia
un retropassaggio a Mignolet, si inserisce Mbappé che consente
a Icardi di realizzare la personale doppietta. Fa meglio di
lui Mbappé che nel finale (79' e 83') si scatena arrivando a
segnare una tripletta in contropiede sfruttando due assist di
Di Maria. Un risultato che fa felice il Real che si riprende
il 2° posto passando di misura (0-1) a Istanbul con il
Galatasaray. La squadra di Zidane viene salvata in avvio per
due volte da Courtois, prodigioso nel respingere due
conclusioni di Andone, poi (18') pensa Kroos a portarla in
vantaggio, su assist di Hazard, con un forte destro deviato in
maniera decisiva sotto la traversa da Seri. Le merengues hanno
poi legittimato la vittoria andando più volte vicini al
raddoppio c
Champions, Atalanta-Shakhtar 1-2: Solomon punisce i
bergamaschi all'ultimo secondo
La squadra di Gasperini prova a
vincerla fino alla fine ma proprio al 95' arriva la beffa. Nel
primo tempo Ilicic si fa parare un rigore da Pyatov, Zapata
firma il gol del vantaggio e Junior Moraes quello del
momentaneo pari.
Non è nemmeno fortunata l'Atalanta nella sua
prima avventura in Champions League. Dopo il disastroso
esordio di Zagabria,
arriva la sconfitta (1-2) anche al Meazza contro lo Shakhtar.
Un ko amaro e immeritato che giunge all'ultimo secondo di
gioco quando i bergamaschi tentavano di vincerla. Nel primo
tempo vantaggio di Zapata dopo che Ilicic si era fatto parare
un rigore da Pyatov. Il pareggio lo firma Junior Moraes,
mentre Salomon al 95′ regala i primi tre punti agli ucraini
nel gruppo C.
Ilicic sbaglia un rigore, poi ci pensa Zapata
Gasperini recupera Gomez e lo schiera in
attacco insieme a Zapata e Ilicic. In mezzo al campo de Roon e
Pasalic con Hateboer e Castagne esterni. In difesa Toloi,
Palomino e Masiello con Gollini in porta. Castro risponde col
4-2-3-1 con Junior Moraes unica punta supportato da Marlos,
Kovalenko e Taison. Davanti alla difesa ci sono Patrick e
Stepanenko. Bolbat e Ismaily esterni. Parte forte l'Atalanta
con un ritmo altissimo che comunque gli avversari accettano e
seguono. Dopo 5′ colpo di testa di Pasalic con palla alta. Al
14′ splendida azione bergamasca con tacco di Gomez per Ilicic
che viene steso da Krivtsov: rigore anche dopo il check Var.
Batte Ilicic ma Pyatov respinge. L'Atalanta non si scoraggia e
attacca ancora e al 28′ Pasalic prende un clamoroso palo;
l'azione continua, palla a destra per Hateboer che crossa e
Zapata segna anche grazie a un'uscita a vuoto di Pyatov.
Il rigore fallito da Ilicic
Pareggia Junior Moraes
Dopo l'1-0 orobico, lo Shakhtar comincia a
rendersi pericoloso ma Gollini è bravo su Marlos mentre al 34′
il portiere ferma alla grande Junior Moraes anche se poi viene
fischiato un fuorigioco. Al 36′ Gollini blocca anche un tiro
da fuori di Patrick, mentre al 41′ nulla da fare per
l'Atalanta quando Ismaily imbuca in area Junior Moraes che,
solo in area, salta Gollini e insacca a porta vuota per l'1-1.
Nel recupero brividi quando Marlos su punizione coglie una
traversa piena.
Beffa Solomon
Il secondo tempo è più tattico e si gioca a
ritmi leggermente più bassi anche se è soprattutto l'Atalanta
a provarci. Dopo un tiro di Gomez parato da Pyatov, Ismaily si
gira e conclude ma Marlos gli sporca il tiro sul fondo. Quindi
Gasperini cambia inserendo Malinovskyi al posto di Ilicic e
Gosens per Hateboer. Al 63′ grande chance per gli orobici:
lancio per de Roon con tocco a destra per Gomez che crossa
basso e Zapata in anticipo in spaccata mette sul fondo.
Gollini blocca un tiro di Taison mentre ancora Zapata sfiora
il gol ma trova un super Pyatov. Gasp si gioca anche la carta
Muriel per Masiello arretrando de Roon in difesa, mentre
Castro inserisce Solomon al posto di Patrick. L'Atalanta
spinge, ma Pyatov ferma Gomez mentre un bolide di sinistro di
Malinovskyi termina di nulla sul fondo. Sono 4 i minuti di
recupero e con generosità i nerazzurri attaccano alla ricerca
dei tre punti, ma proprio al 95′ lo Shakhtar riparte e la
sfera arriva in area dove Castagne non riesce e spazzarla con
Solomon in agguato che punisce gli orobici.
Atalanta-Shakhtar Donetsk 1-2 (1-1)
Atalanta: (3-4-1-2) Gollini;
Toloi, Masiello (23′ st Muriel), Palomino; Hateboer (12′ st
Gosens), De Roon, Pasalic, Castagne; Gomez; Ilicic (12'st
Malinovskyi), D.Zapata (57 Sportiello, 4 Kjaer, 11 Freuler, 19
Djimsiti). All.: Gasperini
Shakhtar Donetsk: (4-2-3-1) Pyatov;
Bolbat (48′ st Dodò), Matviyenko, Kyvtsov, Ismaily; Stepanenko,
Alan Patrick (24′ st Solomon); Marlos (41′ st Koloplyanka),
Kovalenko, Taison; Junior Moraes (1 Shevchenko, 8 Marcos
Antonio, 9 Dentinho, 77 Bondar). All.: Castro
Arbitro:
Stieler (Ger)
Reti:
nel pt 28′ Zapata, 41′ Junior Moraes; nel st 50′ Solomon
Angoli:
4-3 per lo Shakhtar
Recupero:
2′ e 6′
Ammoniti:
Kyvtsov, Stepanenko, Ilicic, Junior Moraes, De Roon, Bolbat,
Toloi, Malinovskyi per gioco falloso
Spettatori:
25mila circa.
Luciano Spalletti ha
praticamente perso l’occasione di approdare al Milan
dopo la trattativa con l’Inter per la buonuscita. Una trattativa
in cui i nerazzurri hanno usato il pugno duro:
“L’Inter
avrebbe informalmente chiesto al Milan di subentrare
nell’impegno economico che ha con l’allenatore, ma invano. A
complicare le cose c’è anche il fatto che il presidente Steven
Zhang non vede di buon occhio il passaggio del suo ex allenatore
in rossonero, allo stesso modo in cui promise ai tifosi
nerazzurri che non avrebbero «mai visto Mauro Icardi con la
maglia della Juve ». Affrontare il derby di ritorno con
Spalletti al Milan è una prospettiva che lo preoccupa.
Milan, un rosso da record: bilancio in perdita per 156 milioni
Aumenta il record dopo il passsivo di 135 milioni
di un anno fa. Una "pulizia" nei conti necessaria per ripartire
anche dal punto di vista finanziario. Elliott ha già provveduto
a coprire il disavanzo.
Per il Milan un bilancio da record, ma del tutto in negativo. Il
documento che copre la stagione 2018-2019 e che si è chiusa il
30 giugno scorso prevede una perdita pari a 155,9 milioni di
euro. Ben oltre le cifre di cui si è parlato finora (tra i 90 e
i 100 milioni) e superiore anche al "rosso" registrato l'anno
precedente, quando le perdite erano arrivate a 135,6 milioni.
Ma c'è da preoccuparsi? La perdita è ovviamente ingente. E ora
il fondo
Elliott,
diventato proprietario dall'aprile del 2017, quando è subentrato
al misterioso uomo d'affari cinese Yonghong Li non più in grado
di finanziare il club, dovrà mettere mano al portafoglio e
coprire le perdite. Ma, in realtà, l'amministratore delegato del
MIlan Ivan
Gazidis ha
fatto una mossa tutto sommato prevedibile e tipica dei manager
al loro primo anno di incarico. In pratica, ha provveduto a una
"pulizia di bilancio", scontando tutte le perdite possibili in
un solo anno per ripartire da zero.
Tra l'altro, Elliott ha già anticipato i soldi per coprire le
perdite e finanziare la stagione in corso, fondi che ora
verranno convertiti in azioni, evitando così di lanciare un
aumento di capitale.
La lettura del bilancio rivela dopo si sono accumulate le
maggiori perdite. Ci sono stati meno proventi dalla "gestione
calciatori" per 16,5 milioni, a causa di minori plusvalenze e
ingaggi pù alti, aumento dei costi del personale per 35,3
milioni, oltre a spese maggiori per i servizi (5 milioni) e
minori incassi da sponsorizzazioni e attività commerciali per
6,8 milioni..
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2018-2019--Inter-Empoli 2-1: Keita e Nainggolan portano i nerazzurri
in Champions
I
giocatori dell'Inter festeggiano a fine partita (afp)
Match ricco di emozioni al 'Meazza', dove la squadra di Spalletti
agguanta per i capelli il 4° posto grazie ai gol dell'attaccante e
del belga ex Roma e alle parate di Handanovic, mentre Icardi
fallisce il rigore del 2-0. Non basta il momentaneo pari di Traore
ai commoventi toscani, condannati alla B.
Poco meno di cento minuti palpitanti, ricchi di intensità ed
emozioni, sul rettangolo di gioco e sugli spalti per decretare
questo verdetto: Inter in Champions League ed Empoli in serie B,
nonostante una prova di una generosità e determinazione encomiabili,
che avrebbero meritato un destino diverso. Già, perché la banda
Andreazzoli ha fatto soffrire fino alla fine la corazzata
nerazzurra, tenendo i 70mila di San Siro con il fiato sospeso sino
al triplice fischio. Con il 2-1 finale la squadra milanese agguanta
per i capelli il quarto posto grazie alle reti, nella ripresa, di
Keita Balde (mossa azzeccatissima il suo inserimento nell'intervallo
da parte di Luciano Spalletti, che chiude quarto come l'anno scorso
e probabilmente saluterà per lasciare spazio ad Antonio Conte) e
Nainggolan, a salvare un'annata per lui povera di soddisfazioni,
dopo il momentaneo pari dei toscani siglato da Traore, e grazie alle
parate di un super Handanovic (spettacolo ha dato anche il collega
di ruolo Dragowski dalla parte opposta).
DRAGOWSKI SARACINESCA NEL PRIMO TEMPO -
Un match che è sembrato un film, per i tanti colpi di scena che il
copione ha regalato. Subito ritmi altissimi: Nainggolan e Politano
provano a sbloccarla, ma l'Empoli (reduce da tre successi) in
contropiede spreca con Caputo, che sbaglia l'appoggio per Traore. L'Inter preme
e Perisic col sinistro obbliga Dragowski a una gran parata. Bello ma
innocuo il tacco di Vecino, che poi spara alto col destro. Non c'è
un attimo di tregua, Farias da una parte, Icardi dall'altra: lo 0-0
però non si sblocca mentre da Ferrara e Reggio Emilia, dove sono
impegnate Milan e Atalanta, iniziano ad arrivare notizie
contrastanti. Anche Brozovic spara da fuori: corner, poi autentico
miracolo di Dragowski sull'incornata di de Vrij (27′). Quindi
Nainggolan: fuori.
ENTRA KEITA E SBLOCCA IL MATCH, ICARDI SBAGLIA RIGORE - Occasionissima
Empoli al 31′: Handanovic è decisivo a tu per tu con Caputo.
Politano, Traore e, soprattutto, Asamoah, protagonisti negli ultimi
brividi di un primo tempo al termine del quale l'Inter è fuori dalla
Champions. Spalletti inserisce subito Keita per Asamoah (Perisic
terzino) e l'ex Lazio crea subito pericoli: attento Maietta.
D'improvviso cambia tutto: Keita fa tutto da solo, destro compreso,
stavolta Dragowski è costretto ad arrendersi. Attorno all'ora di
gioco Icardi avrebbe la possibilità del raddoppio per un rigore
(dubbio rivedendo le immagini) fischiato da Banti per contatto
Dragowski-Icardi: il portiere polacco respinge la conclusione
dell'ex capitano nerazzurro e tutto resta aperto.
TRAORE PAREGGIA E GELA SAN SIRO -
Serve un Handanovic mostruoso per strappare a Farias il pallone di
un 1-1 che appariva ormai scontato: il popolo interista tira un
sospiro di sollievo. Fuori Icardi (dentro Lautaro) e Perisic subito
dopo per infortunio (tocca a Dalbert). Incredibile al 76′: Uçan,
innescato da Brighi, serve dentro Traore, solissimo, ed è 1-1.
NAINGOLLAN SIGLA IL 2-1, POI SUPER HANDANOVIC -
Pazzesca altalena di emozioni: percussione di Vecino, palo pieno e
sulla respinta Nainggolan non sbaglia. Finita? Neanche per sogno. La
paura attanaglia l'Inter che centra una clamorosa 'autotraversa' con
D'Ambrosio, salvando però il 2-2. Handanovic miracoloso su Uçan, poi
Keita spara addosso a Dragowski, quindi ancora Handanovic su Farias.
Brozovic firmerebbe anche il 3-1 a porta vuota, ma Banti rivedendo
allo schermo annulla per un precedente fallo di Keita su Dragowski salito
nell'area avversaria a saltare di testa e viene espulso (doppio
giallo). Ultimi assalti toscani, commoventi, ma alla fine il
'Meazza' può esultare: Inter in Champions. E per i giocatori
dell'Empoli lacrime amarissime.
INTER - EMPOLI 2-1 (0-0)
INTER (4-2-3-1): Handanovic;
D'Ambrosio, De Vrij, Skriniar, Asamoah (1' st Keita Balde); Vecino,
Brozovic; Politano, Nainggolan, Perisic (29' st Dalbert);
Icardi (26' st Lautaro Martinez). (27 Padelli, 46 Berni, 5
Gagliardini, 13 Ranocchia, 15 Joao Mario, 20 Borja Valero, 21 Cedric,
23 Miranda, 87 Candreva). All.:
Spalletti.
EMPOLI (3-5-2): Dragowski;
Maietta (26' st Ucan), Silvestre, Dell'Orco; Di Lorenzo, Acquah (26'
st Brighi), Bennacer, Traore, Pajac; Farias, Caputo. (1 Provedel, 21
Perucchini, 5 Veseli, 32 Rasmussen, 23 Pasqual, 43 Nikolaou, 28
Capezzi, 37 Oberlin, 7 Mchedlidze). All: Andreazzoli.
ARBITRO: Banti
di Livorno.
MARCATORI: nel
st 6' Keita Balde (I), 31' Traore (E), 37' Nainggolan (I).
ESPULSI: nel
st 50' Perucchini (E) dalla panchina per proteste, 51' Keita Balde
(I) per doppia ammonizione.
AMMONITI: Pajac
(E) e Perisic (I) per gioco falloso, Caputo (E) e D'Ambrosio per
proteste.
ANGOLI: 8-2
per l'Inter.
RECUPERO: pt
0′, st 5+2′.
Lo chiamano ‘Il
nuovo dispetto’.Ma
è solo l’ennesimo ricorso firmato
dallaJuventus per
la cancellazione del titolo che nel 2006 è stato assegnato
a tavolinoall’Inter diMoratti dopo
gli scandali di Calciopoli. I
bianconeri hanno fatto ricorso alCollegio
di garanzia dello Sport perché quello scudetto venga
revocato e non venga assegnato a nessuno.
I legali bianconeri hanno presentato ricorso contro Federcalcio,
Inter eConi contro
l’appello respinto dalla FIGC che
aveva respinto il precedente reclamo, confermando il titolo ai
nerazzurri. La Juventus chiede
che venga ritirata quella decisione e che venga annullato l’atto
di assegnazione. E’ una battaglia che dura da 13 anni e nei scorsi
mesi il club juventino si era rivolto al TFN per avere
l’annullamento della delibera del 2011 con la quale la FIGC aveva
dichiarato che non ci sono presupposti giuridici per togliere lo
scudetto del 2006all’Inter.
Entro un mese verrà fissata la data dell’udienza. Dal punto
di vista della giustizia
ordinaria la questione si è chiusa a dicembre 2018 con la
Cassazione che ha lasciato definitivamente lo scudetto numero 14
all’Interconfermando che la controversia
rientra nell’ambito degli organi sportivi. Ecco perché la Juventus
non si è ancora arresa e vuole, nell’ambito della giustizia
sportiva, togliere lo scudetto al club nerazzurro. La squadra che
in questo momento sul campo sta provando a togliere ai bianconeri
gli scudetti del futuro: domenica la sfida diretta al Meazza. Non
vale ancora un titolo, ma potrebbe mettere tante cose in chiaro.
L'album fu pubblicato nell'agosto
del
1983
e, inizialmente, non fu accolto calorosamente dalla critica, a causa
delle sonorità di produzione ritenute mediocri. Tuttavia in seguito
si rivelò un buon successo, raggiungendo il quarto posto nelle
classifiche inglesi[1]
e venendo inserito nella classifica Top 40
statunitense. L'album venne in seguito certificato con il
disco di platino.
Musicalmente è album dal sound più massiccio rispetto agli album
precedenti, che vede un inasprimento nello stile dei
Black Sabbath. Il brano Zero the Hero è stato oggetto di
una cover da parte dei
Cannibal Corpse (presente nell'album
EP
Hammer Smashed Face).
La copertina dell'album, disegnata da Steve Joule in stato di
ebbrezza (pensò addirittura di cancellarla, una volta ripresosi, ma
incontrò l'opposizione di Iommi e Butler che invece la gradirono),
rappresenta un
neonato dalle sembianze demoniache ed è simile a quella del
singolo del
1981 dei
Depeche Mode New Life (è stata utilizzata infatti la
stessa immagine[2][3]).
Al momento della pubblicazione dell'album, l'aspetto particolare
della copertina fu oggetto di controversie. Ciò non ha impedito
comunque che la copertina sia la preferita di alcuni musicisti metal
tra cui
Glen Benton (Deicide)
e
Max Cavalera (Soulfly)[2].
Inter, sold out gli abbonamenti per il 2019/2020! Svolta
storica: aperta waiting list
FC Internazionale Milano comunica che sono esaurite tutte le
disponibilità di abbonamenti per la stagione 2019/20
FC Internazionale Milano comunica che sono
esaurite tutte le disponibilità di abbonamenti per la stagione
2019/20, avendo raggiunto il
limite massimo fissato dalla società.
Un successo straordinario che ha visto terminare
in poche ore quasi tutti i posti disponibili, sin dal primo
giorno di apertura della vendita libera. La fase dedicata ai
rinnovi degli abbonamenti 18/19 si era conclusa con un numero
record di tessere confermate.
Lista d’attesa 2020/2021 –
Alla luce della grande richiesta, l’Inter guarda già al futuro e
apre – per la prima volta nella sua storia – la lista d’attesa
per la stagione 2020/21, per tutti i tifosi che vogliono
assicurarsi da subito un posto in prima fila nell’acquisto di
abbonamenti.
L’iscrizione è aperta online su inter.it/abbonamenti dalle
ore 11.00 di oggi, giovedì 27 giugno, fino alle ore 11.00 di
venerdì 12 luglio ed è riservata ai titolari di tessera “Siamo
Noi”.
Una volta conclusa la fase di rinnovo abbonamenti
la prossima primavera 2020, saranno quindi gli iscritti alla
lista d’attesa a poter acquistare per primi gli abbonamenti
eventualmente non rinnovati.
Punti vendita -In
ragione del sold out degli abbonamenti, lo sportello
biglietteria dell’Inter Store di Galleria Passerella sarà chiuso
fino al 31 luglio compreso.
Resterà invece aperto il punto vendita San Siro,
con orario 9.30-12.45 | 14.00-17.45, per assistenza e acquisto
di tessere “Siamo Noi”.
Si ricorda che la tessera “Siamo Noi” può essere
sottoscritta anche online alla pagina inter.it/siamonoi,
al costo di 10 Euro con spedizione gratuita in tutta Italia.
After Barnes and West joined forces, they recruited Terry Butler,
who knew West from his involvement with Massacre, and Greg Gall,
Terry Butler's brother-in-law. Six Feet Under first played in 1993
at clubs, performing mostly cover songs. The band began writing
original material in the middle of 1994. Because Barnes was already
signed to
Metal Blade Records with Cannibal Corpse, Six Feet Under signed
to this label.
Their first album,
Haunted, was released on September 1, 1995. Haunted
was produced by
Brian Slagel (who discovered
Slayer)
and
Scott Burns (who discovered
Sepultura and worked with
Napalm Death,and
Deicide among others). Unlike either of the members' main bands,
Six Feet Under did not play many guitar solos on the album, and the
songwriting was still a work-in-progress. However, the grooves and
the distinct vocals were praised.[2]
By this point Chris Barnes had made Six Feet Under his main priority.
In 1996, in the process of recording
Vile, he parted ways with Cannibal Corpse.
Six Feet Under's next release was the
Alive and Dead
EP on October 29, 1996. A dual studio/live EP, it contains three
studio recordings ("Insect," "Drowning," and a
Judas Priest cover, "Grinder") and four tracks from Haunted
performed live. The band released their second studio album,
Warpath, on September 9, 1997. Of note are the tracks "Death
or Glory", which is a cover of the
Holocaust song, and "4:20," which showcases Barnes' clean vocals
and his love of
marijuana. "4:20," duration four minutes and 20 seconds, was
recorded on April 20, 1997 at 4:20 pm.[citation
needed]
Stadi – Inter da record, è la più seguita in Serie A. Le cifre
di tutti i club
L’Inter,
ancora una volta, si conferma il club di serie A più seguito
allo stadio, lo confermano i numeri degli abbonati e degli
spettatori medi a partita, che poco hanno a che fare con le
ultime due discrete annate e l’arrivo di giocatori di grido come Lukaku,
Godin oDe
Vrij: i tifosi Nerazzurri erano i
primi per presenza in Italia anche quando la squadra arrivava
settima o nona.
Libero oggi riporta i dati di tutte le squadre di Serie
A, e Milano la fa da padrona:
“Le presenze in Serie A sono in aumento: l’ultima
stagione ha infatti registrato un’affluenza media di 25.068
persone a partita, la più alta dagli ultimi dieci
anni. L’impressione è che ci sia sempre più voglia di vedere il
calcio italiano non tanto nei fedelissimi, quanto negli
appassionati che si erano allontanati. Il dominio della Juventus,
per paradosso, sembra aver rinforzato l’attaccamento degli altri
tifosi, come se le difficoltà fossero un richiamo più forte
delle vittorie. L’Inter ne è la dimostrazione più evidente:
anche quest’anno ha registrato il record (40mila tessere), ed è
destinata a confermarsi come la più seguita: lunedì, per
l’esordio con il Lecce, ne attende 65mila. Ma anche ilMilan certifica
la teoria: non è in Europa, non ha condotto un mercato di grido,
eppure ha raccolto 30mila abbonati”.
Il fatto che le due milanesi guidino la
classifica dei club con più abbonati con cifre importanti non è
solo una questione di ricchezza della città, ma di passione e di
piazze importanti che sono tornate in Serie A:
“Si dirà che Milano è Milano, più gente, più
soldi, più abbonamenti, ma la verità è che conta la passione.
Altrimenti non si spiegano i quasi 18mila al seguito del Lecce neopromosso.
I record sono nell’aria anche perché la A, per la gioia di
Lotito, ha ritrovato grandi piazze, storicamente legate al
calcio, come appunto Lecce, ma anche Verona (l’Hellas,
al posto del meno seguito Chievo), e Brescia (già
oltre 10mila, ma Cellino ha riaperto la campagna per cavalcare
l’onda-Balotelli),
dopo il Parma e la Spal, che
intanto si sono consolidate in A (entrambe sui 9.500). In più,
crescono le ambizioni della borghesia: l’Atalanta è
ormai grande, deve solo convivere con i lavori per il nuovo
stadio (ecco perché 8.700 tessere), mentre club come il Bologna,
ilCagliari e
il Torino stanno convincendo i tifosi con progetti seri, e i
tifosi stessi hanno imparato ad avere pazienza”.
L’arrivo di grandi campioni, come quello di Cristiano
Ronaldo lo scorso anno, sicuramente ha contribuito a
questo incremento di pubblico:
“La Juventus fa storia a sé: visto che è
impossibile aumentare i posti allo Stadium (né andare oltre la
soglia di 27.700 per vendere qualche biglietto singolo in più)
si è dovuto gonfiare il listino prezzi. Ma la Juve ha dato anche
una visibilità nuova al campionato: è indubbio che l’arrivo di
Cristiano Ronaldo abbia dato una scossa e coinvolto qualche
neutrale in più. Le altre società hanno il merito di aver
alimentato l’effetto cercando grandi giocatori: l’ultimo esempio
è Ribery,
con cui Commisso ha rispolverato l’entusiasmo di Firenze. E
infatti la Fiorentina ha superato le 20mila tessere. È forse ciò
che dovrebbe fare De Laurentiis a Napoli, oltre
ad una comunicazione più efficace, per tamponare il problema San
Paolo: 9mila abbonamenti, per una squadra da scudetto, sono
pochi, l’eccezione che conferma la regola”.
Ci sono anche casi negativi, come la Roma che
è protagonista di un piccolo ridimensionamento:
“L’altro dato negativo è quello della Roma, ferma
a 18.400, 5mila in meno dell’anno scorso, ma d’altronde è il
dazio per il brusco saluto a Totti e De Rossi. Non solo i
giocatori: sempre più squadre si appellano ad allenatori capaci
di coinvolgere a prescindere dai risultati: così il Sassuolo,
con De Zerbi, sta creando una piccola fan-base (quasi 7mila
tessere, meno di tutti ma non poche per una società-oasi), così
riparte il Genoa con
Andreazzoli, e la Samp con Di Francesco. Ma anche la Juve con
Sarri, l’Inter conConte,
la Roma con Fonseca, oltre ai soliti noti. Se il prodotto è di
qualità, aumenta l’interesse. Ora vale anche per la serie A”.
Mantenimento di San Siro-Meazza: lo studio
PRINCIPIOATTIVO Architecture Group.
Giorni cruciali. Per il presente, ma soprattutto per il futuro.
Perché la decisione da prendere cambierà inevitabilmente il corso
degli eventi, la percezione di un luogo sacro e di un simbolo. Inter
e Milan hanno dato una svolta al percorso che porterà alla
costruzione dello stadio del futuro. Fin
qui, mentre il Comune di Milano si è espresso nettamente in favore
della ristrutturazione di San Siro, le due società hanno scelto
con forza la via
della costruzione di un nuovo impianto, funzionale e al passo
con i più grandi stadi d’Europa, in grado di garantire alle società
introiti decisamente superiori a quelli che nerazzurri e rossoneri
percepiscono attualmente dal Meazza, che in quel caso verrebbe
mestamente abbattuto. Due posizioni molto nette, dunque. Ma c’è
anche chi propone una terza via: è il noto studio d’architettura
milanese PRINCIPIOATTIVO Architecture Group, che ha prospettato,
sulla scia di quanto accaduto per esempio a Londra con l’Highbury e
l’Emirates Stadium, una riqualificazione e una rifunzionalizzazione
di San Siro che, rimanendo in piedi, vestirebbe un abito tutto
nuovo. Per capirne di più, FCInter1908.it ha
intervistato inesclusiva Luca
Bigliardi, architetto e Founding Partner dello studio.
Fin qui il dibattito si è diviso tra l’abbattimento di San Siro con
la conseguente costruzione di un nuovo impianto, e la
ristrutturazione del Meazza. Ci pare di capire che il vostro studio
proponga una terza via.
Esattamente. Il nostro progetto non è in contrasto con la visione
delle due squadre, perché è ovvio che serva uno stadio nuovo per
esigenze sportive e di marketing e che San Siro non possa più avere
la funzione che si richiede a uno stadio moderno, anche perché
sappiamo tutti quale sarebbe il costo di una ristrutturazione che
metta a nuovo il Meazza. La riflessione è un’altra: ma perché
bisogna per forza fare a meno di San Siro come elemento simbolico di
Milano, quando si potrebbe rifunzionalizzarlo, come accade in altre
parti del mondo, e garantirgli così una nuova vita? Perché non
dobbiamo pensare che il campo da calcio diventi in parte un parco e
in parte uno spazio sportivo dedicato ai cittadini, che così
potrebbe davvero andare a giocare all’interno di San Siro? Le
esigenze commerciali e immobiliari di Inter e Milan sono
perfettamente comprensibili, ma perché non possiamo in parte
integrarle all’interno dello stadio? Se si recuperasse parte di
questo volume, potremmo mantenere un simbolo, riducendo l’impatto
ambientale e, al tempo stesso, rifunzionalizzare un’area che è cara
per tutti i cittadini. E’ quello che è capitato a Londra con l’Highbury
Park: per i tifosi dell’Arsenal è cambiata solo la direzione di
uscita dalla metropolitana, ma intanto è stato mantenuto in piedi
l’ingresso del vecchio stadio che, invece, è diventato l’ingresso di
un’area residenziale.Nel
dettaglio, all’interno di quello che oggi è lo stadio San Siro, cosa
verrebbe realizzato?
Abbiamo pensato a un business park, con un museo dedicato al calcio
italiano e di Milano, dove possa essere mantenuta la storia di San
Siro, uno spazio con quasi 14.000 metri quadri di uffici, che
possano affacciare sul campo da gioco, che a sua volta potrebbe
essere trasformato in parte come un’area comune a tutti i cittadini,
e in parte costituito da una serie di piccoli campi sportivi che
possano essere utilizzati dai milanesi durante l’anno, e per
attività ludico-creative a seconda delle necessità. Tutto questo per
lasciare un bene di proprietà del Comune di Milano e che possa
sfruttato a livello economico dal Comune stesso e dalle squadre.
Cosa rimarrebbe all’esterno dell’aspetto del Meazza?
Quello che la Soprintendenza ha sottolineato è il valore artistico
del secondo anello e delle rampe esterne, concetti che sono stati
ripresi in tantissimi impianti in giro per il mondo, data la loro
sicurezza e funzionalità. La parte esterna, dunque, verrebbe
mantenuta. Per la parte interna, invece, potrebbe prevedere una
parte delle tribune trasformate in spazi per gli uffici. E’ un po’
quello che è successo anche a Barcellona con la storica Arena del
Foro, che ha perduto la sua funzione, ma che nell’immaginario
collettivo è rimasto, nonostante sia stato trasformato in centro
commerciale. Così come i due progetti finalisti per la costruzione
dello stadio (Populous e Manica/Sportium, ndr) prevedono anche a
rigenerare il quartiere, si può pensare che anche San Siro possa
essere rigenerato in tal senso.
Sono in molti a sostenere che due strutture così non possano
coesistere nella stessa area. Qual è la vostra posizione in merito?
Due strutture esclusivamente sportive, con la stessa finalità d’uso,
non hanno senso di coesistere. Ma il fatto che un simbolo di Milano
come San Siro e il futuro stadio possano coesistere non ha alcun
contraddittorio. L’esempio di Highbury Park è palese. Dal punto di
vista storico, le due strutture dialogherebbero bene tra di loro e,
anzi, sarebbero un perfetto simbolo dell’evoluzione della città di
Milano, di come la storia e quindi la città si evolve.
La realizzazione di questo San Siro 2.0 sarebbe alternativa alle
aree commerciali prospettate dai progetti Populous e Manica/Sportium
oppure potrebbero in qualche modo vivere insieme?
Possono assolutamente vivere insieme. Secondo noi sarebbe la
soluzione più ragionevole, integrando parte degli uffici in quello
che oggi è lo stadio San Siro. La nostra analisi non va in contrasto
con i progetti per la riqualificazione dell’area, ma è piuttosto un
ragionare sulla stessa riqualificazione del quartiere attraverso lo
sfruttamento di una struttura già esistente.
Qualora il Comune dovesse pronunciarsi (come sembra) contrario alla
demolizione di San Siro, c’è l’ipotesi concreta che Inter e Milan
siano “costrette” a costruire il nuovo stadio a Sesto San Giovanni.
Non sarebbe questa una sconfitta per tutti, istituzioni in primis?
Non parlerei tanto di sconfitta, dato che, come in altre aree del
mondo, anche per Milano sarebbe ormai corretto parlare di città
metropolitana e non più solo di città. E’ vero altresì che i
milanesi hanno sempre pensato a San Siro come un luogo per la città
di Milano. Di sicuro la scelta sarà politica e non dettata da
motivazioni tecniche e per questo non mi pronuncio. Sarebbe bene,
comunque, arrivare a una decisione attraverso una collaborazione tra
le parti.
Al di là di quella che sarà la decisione delle istituzioni e delle
società, è d’accordo nell’affermare che una soluzione vada trovata
al più presto, per il bene dei club ma anche della stessa città di
Milano?
Certo, sarebbe meglio trovare una soluzione a breve. Ma nemmeno si
può prendere una decisione dettata dalla fretta. Serve piuttosto
trovare un equilibrio, in modo tale che il tavolo di lavoro possa
optare per la soluzione più giusta. Sono anni che parliamo di un
nuovo stadio a Milano: sembra che si sia arrivati a una svolta da
questo punto di vista, dettata dalle necessità delle squadre. Noi
non stiamo ragionando sul nuovo stadio, non è quello che ci
interessa; quello che vogliamo è ragionare su San Siro in una
funzione diversa, rigenerandolo.
Con la sua nuova funzione, San Siro potrebbe comunque contribuire al
raggiungimento dei 124 milioni annui di ricavi che Inter e Milan
hanno prospettato dalla costruzione del nuovo impianto e delle aree
commerciali circostanti?
Non si possono dare numeri precisi in questa fase: quello che posso
dire è che San Siro è un elemento comunale e stiamo ragionando su
come il Meazza, attraverso una collaborazione tra tutte le parti in
gioco, possa diventare una risorsa ed una occasione per tutti
quanti. Fin qui ci sono state due posizioni molto nette. Noi poniamo
una domanda: perché non ragionare, così come fatto in altre parti
del mondo, su una rigenerazione con altre funzioni di un simbolo
come San Siro, seppur con altre funzioni?
[edit]
Maximum Violence and Graveyard Classics (1998–2000)
Nuovo San Siro, previsto grattacielo di 143 metri: le torri
saranno 3, ecco i dettagli
Una delle torri per l’area intorno al nuovo
stadio potrebbe raggiungere l’altezza di 143 metri. Ma non sarà
la sola
Una nuova torre a Milano, una torre a San Siro.
Come svela il Corriere
della Sera,
se le indicazioni contenute nel piano di fattibilità saranno
rispettate una delle torri previste per l’area intorno al nuovo
stadio potrebbe raggiungere l’altezza di 143 metri.
Si tratta dell’edificio destinato a ospitare gli
uffici nella zona Est e «consiste nella realizzazione di un
immobile a torre di 35.640 metri quadrati di superficie lorda
disposto su 28 livelli, alto 143 metri affacciato sulla via
Achille».
Ecco i dettagli raccontati dal Corriere della
Sera:
Una torre presente in entrambi i progetti
Un’indicazione che potrebbe essere stata recepita
nei progetti dei due studi di architettura ancora in lizza. Nel
progetto di Populous ci sarà infatti un grattacielo «in stile
Citylife» e un altro più piccolo, ma due torri sono previste
anche nel rendering di Progetto Cmr con Sportium.
Il sesto grattacielo di Milano
Con l’altezza di 143 metri il grattacielo di San
Siro diventerebbe il sesto skyscraper della città dopo la Torre
Allianz con i suoi 242 metri, la Torre Unicredit 232 metri, la
Torre Generali 177 metri, Torre Pwc 175 metri, Palazzo Lombardia
161 metri e alla pari con Torre Solaria alta 143 metri.
Tre torri
Lo studio prevede anche un’altra torre che però
si dovrebbe fermare a 97 metri. È l’edificio che dovrà ospitare
il «Complesso alberghiero e centro congressi» con una superficie
di 16.120 metri quadrati di superficie lorda, disposto su 19
livelli e alto, appunto, 97 metri. Alla sua base il Centro
congressi di 4mila metri quadrati di superficie, affacciati su
via Achille.
Il masterplan dà indicazione anche per una terza
torre alta 68 metri su 13 livelli per una superficie di 20mila
metri quadrati. È la struttura che ospiterà gli uffici nell’area
Ovest. Prevede la realizzazione di un immobile doppio a torre
unito alla base da una piastra comune.ù
Sono questi i tre edifici che svilupperanno gran
parte delle cubature in altezza, ma il distretto ricreativo
prevede la realizzazione di altre opere— tutte quelle dedicate
agli spazi commerciali — che invece avranno uno sviluppo
orizzontale.
In 1998, Allen West left to rejoin Obituary and was replaced by
Steve Swanson, formerly of
Massacre. This is the only line-up change that the band has had
to date. Combined with Barnes' departure from Cannibal Corpse, the
arrival of Swanson helped turn Six Feet Under from a mere
side-project to a band in its own right.[3]
July 13, 1999, saw the release of Six Feet Under's third studio
album,
Maximum Violence. As the name of the album suggests, the
lyrics on this release are much more violent than on past releases.
The band also recorded a death-metal retooling of the
Kiss song "War Machine." Steve Swanson brought a revamped crunch[clarification
needed] to the Six Feet Under sound with his
blistering
riffs and the inclusion of
solos.[citation
needed]
Maximum Violence had sold over 100,000 copies worldwide,[citation
needed] a status that hadn't been reached for a while
for a death metal band during the late 90's when death metal was a
dying genre. It led to some unexpected promotional events for the
band. During the summer of 2000, Six Feet Under participated in the
Vans Warped Tour, a festival that, at the time, usually featured
punk rock bands.[4]
L’Inter lancia
il progettoMembership dedicato
ai tifosi nerazzurri.
Di cosa si tratta? Sono tre pacchetti con i quali si possono
acquistare delle vere e proprie esperienze che avvicinano alla vita
del club. Qui quanto spiegato dal sito ufficiale rispetto ai tre
packs:
BLUE PACK – Un’offerta interamente digitale: un’area
riservata nella quale sarà possibile accedere a contenuti esclusivi
targati Inter Media House: highlights
estesi, video
dedicati agli MVP dei match, partite
storiche. Ci sarà spazio anche per altre esperienze
interattive: il voto per il Gol
del Mese, contest dedicati, il virtual Tour di San Siro e
cinque giochi online che verranno lanciati nel corso della
stagione. Il
prezzo è di 10 €.
BLACK PACK – Oltre all’offerta digitale del Blue Pack,
questo pacchetto comprende un Welcome
Kit al quale è possibile aggiungere fino a quattro diversi
“add-on” in limited edition: felpa, t-shirt, family
pack e tessera
Inter Club. Inoltre chi avrà acquistato il Black Pack potrà
avere accesso alla vendita riservata dei biglietti per le partite
più entusiasmanti di Serie A e Champions League. Il prezzo è di 45€
per l’Italia.
YELLOW PACK – L’offerta del Blue Pack è compresa. In
aggiunta, la possibilità di prendere parte ai contest che
mettono in palio, per i più piccoli, l’esperienza di accompagnare i
calciatori in campo prima delle partite ufficiali, o di salutarli
all’ingresso per il riscaldamento nel classico momento dell’high
five. Il tutto unito ad un packaging rivolto proprio agli Under 14. Il
prezzo dello Yellow Pack è di 35€ per l’Italia.
Questo il link per chi volesse acquistare uno di questi tre
pacchetti: MEMBERSHIP
[edit]
True Carnage and Bringer of Blood (2001–2003)
The group's fifth studio album,
True Carnage, (August 7, 2001) was also their first
recording to feature guest artists:
Ice T raps while Barnes roars on "One Bullet Left," and
Karyn Crisis joins Barnes for "Sick and Twisted." The
songwriting on True Carnage is more groove-oriented than past
songs. The tracks are still crashing[clarification
needed] and mostly slow-paced, but have less
static.
The musicianship was also improved[citation
needed], and the production is complementary to the
brutality[clarification
needed]. True Carnage peaked on the Billboard
Heatseeker's charts at number 18.[5]
The band next released
Bringer of Blood, on September 23, 2003. The
tuning on this album is very dark and murky[clarification
needed]. In addition to his trademark guttural vocals,
Barnes also began using higher pitched
pig squeal vocals on this release.
[edit]
Graveyard Classics 2, 13, and A Decade in the Grave
(2004–2006)
Graveyard Classics 2 came out on October 19, 2004. This
cover album focused solely on the 1980
AC/DC
album
Back in Black.
Allmusic reviewer Wade Kergan remarked that the death
metal-makeover on these forefather songs "are equal parts menace and
kitsch... Six Feet Under are obviously having a blast as they rip
through them."[7]
Six Feet Under released their seventh studio album on March 21,
2005, entitled
13. While writing the lyrics, Chris Barnes reportedly
entered "a vision" from smoking large quantities of marajuana and
meditating.[8]
The sound quality is good although rather quiet[clarification
needed] - the liner notes for the album suggest
turning your speakers up to maximum volume for a better experience.[clarification
needed] Overall 13 is a notable return to
True Carnage-esque form, with songs like the classic death metal
of "Shadow of the Reaper" and "Decomposition of the Human Race."[9]
Metal Blade Records issued
A Decade in the Grave on October 28, 2005, a five-disc
box
set. The first two discs are 'best-of' material, the third is a
rarities collection, the fourth disc is from one of the band's first
concerts back in 1995, and the final disc is a live DVD from 2005.
In November 2005, Chris Barnes joined the
Finnish death metal band
Torture Killer as lead vocalist for a side project. His new
bandmates saw this as a huge compliment, having started out as a Six
Feet Under and Obituary cover band. Barnes sung vocals on their 2006
studio album Swarm!.
Six Feet Under toured for the majority of 2006 before hitting the
studios to record their next album,
Commandment, which was released on April 17, 2007. The album
works within the band's formula. According to music critic Chad
Bowar, the album has "catchy death metal songs... [that are]
crushingly heavy, but also have a great groove to them."[10]
Six Feet Under played Metalfest 2007 tour alongside openers
Finntroll,
Belphegor, and
Nile, their most heavily-promoted tour to date. A Six Feet Under
first was seen in promotion of Commandment. Although the band
has tried airing music videos in the past, all were banned. However,
a
music video for "Doomsday" aired on
MTV2's
Headbanger's Ball, starting on November 10 of that year.
On December 24, 2007, Six Feet Under announced on their website
that they would go to the studio in early 2008 to record a new
album.[11]
the album, titled
Death Rituals, was released on Metal Blade Records on
November 11, 2008 in the US, and November 17, 2008 in the UK.
As announced on January 31, 2008 Chris Barnes officially parted
ways with
Torture Killer, to be replaced by
Juri Sallinen. Drummer Greg Gall is currently writing and
recording material with a new band called Exitsect, along with
guitarist Sam Williams (Denial Fiend, Down By Law), bassist Frank
Watkins (Obituary, Gorgoroth), guitarist
Joe Kiser (Murder-Suicide Pact, Slap Of Reality) and vocalist
Paul Pavlovich (Assuck).[12][13]
Graveyard classics III was released on January 19, 2010.[14]
Barnes formed Six Feet Under with the intention of writing death
metal music that wasn't just about
blast beats and speed.[citation
needed] They play a more
grooving style of death metal in the vein of
Obituary, performing slower or mid-tempo paced songs than most
death metal acts.[citation
needed] Barnes' lyrical style changed little since his
departure from Cannibal Corpse, though the lyrical content is not as
shocking as that of his first band.[citation
needed] Today, Barnes mainly writes about violence,
gore and death, with some political leanings, such as the legality
of marijuana and criticism of the government.[15]
In regards to vocals, Chris Barnes is one of the pioneers of the
death growl,[citation
needed] and still uses this style, though sang with
clean vocals on "4:20" and "Black Out," the latter being on the
Graveyard Classics album.
Guitarist Erik Rutan joins the fold on Morbid Angel's Domination and
contributes several of his own compositions. The group's sound is
better than ever and perhaps a bit more groove-oriented, but this is
mostly standard Morbid Angel. ~ Steve HueyQ (7/95, p.120) - 4 Stars
- Excellent - "...confirms their prime position amongst their peers
with a monumental, crushing slab of uncompromising darkness and
aggression, captured with a full-bodied clarity by Bill Kennedy..."
"Crazy"
è un brano scritto dal musicista
soul
Seal e
arrangiata da
Guy Sigsworth. La produzione è stata affidata a
Trevor Horn, ed è stata inserita nell'album del
1991
Seal . "Crazy" è stato un enorme successo commerciale,
raggiungendo la top 5 in
Regno Unito e la top 10 negli
Stati Uniti.
Nell'agosto
2003
Seal ha rilasciato una versione acustica del brano, che ha rinnovato
il successo di "Creazy" facendolo arrivare alla terza posizione
della "U.S. Billboard Hot Digital Tracks", la classifica dei
download digitali.
La popolarità del brano è dimostrata anche dalla quantità di
cover
avute negli anni. Fra le più importati si può senz'altro individuare
la versione di
Alanis Morissette del
2005.
Seal Henry Olusegun Olumide Adeola Samuel (born 19
February 1963 in
Paddington, London, England), known simply as
Seal, is an
English
soul and
R&B singer-songwriter, of
Nigerian and
Brazilian background.[1]
His name Olusegun means "God is victorious".[2]
Seal is known for his numerous international hits. He is married to
German model
Heidi Klum.
Hunting High and Low è il primo album degli
a-ha ed
ha venduto oltre otto milioni copie in tutto il mondo.
L'album che apre
l'ultimo decennio del
XX secolo non verrà, a dire di molti fan e critici, ricordato
come uno dei migliori dei Maiden, anche se segna un importante
ritorno ad un sound più essenziale che era stato abbandonato dopo
Powerslave. L'album denota un'attitudine "stradaiola" già
presente nell'album solista di
Bruce Dickinson
Tattooed Millionaire, uscito qualche mese prima. Ciò
potrebbe essere dipeso anche dall'arrivo del nuovo chitarrista
Janick Gers, presente in Tattooed Milionnaire, allora latore di
uno stile rumoroso e (forse) poco sobrio, che avrebbe invece
migliorato con il tempo. Bring Your Daughter...To The Slaughter
è la canzone più conosciuta di questo album ed il singolo omonimo è
tutt'ora il più venduto della loro carriera. Da notare che in realtà
la canzone venne composta da Dickinson per la sua produzione solista
- la versione originale finì nella colonna sonora del film
Nightmare 5 - e fu
Steve Harris, affascinato dal pezzo, ad "obbligare" il cantante
a portarla in seno agli
Iron Maiden. Altri buoni brani da segnalare sono l'opener
Tailgunner, il primo singolo pubblicato Holy Smoke,
Run Silent Run Deep, No Prayer for the Dying e Hooks
In You (ultimo brano scritto da
Adrian Smith).
1. Death Trip
Picture Show 2. Wig 3. Uzi 4. Welcome to
Society 5. Modern Day
Martyr 6. Injection
7. G.O.D.C.O.D. 8. In Dead of
Night 9. Inertia
10. Do or Die
11. Forward
March 12. No
Trouble in Paradise
L'album vede un certo distaccamento dai
suoni sintetizzati del precedente
Turbo. L'idea dei Priest era quella di ritornare all'heavy
metal classico di
Screaming for Vengeance e
Defenders of the Faith: il risultato non fu quello che si
aspettavano i fans, tant'è che l'album vendette pochissimo rispetto
ai precedenti. Ram It Down presenta comunque ottime canzoni
come la title track, Heavy Metal e l'intensa Blood
Red Skies. Venne estratto un solo singolo, Johnny B. Goode
(cover di
Chuck Berry), creato dalla band per la colonna sonora
dell'omonimo film prendendo spunto da due canzoni precedentemente
scritte ma mai pubblicate (se non nelle riedizioni del
2001)
ossia Thunder Road e Fire Burns Below.
I
Saint Vitus sono uno dei gruppi cardine della scena
doom metal mondiale capaci negli anni '80 di proseguire sul
discorso già intrapreso nel decennio precedente dai
Black Sabbath dei quali riprendono l'incedere lento e lisergico
della musica qui portato all'estremo in un entusiasmante mix tra
sonorità settantiane rilette secondo i canoni dell'allora nascente
movimento
heavy metal.
Vivono il loro periodo di maggior splendore tra
1987 e
1990
grazie all'ingresso in line-up dello storico singer
Scott "Wino" Weinrich una delle icone della scena doom mondiale
e già singer di innumerevoli bands tra le quali i
The Obsessed. I Saint Vitus si formano nel 1979 a
Los Angeles per volere del singer
Scott Reagers, del chitarrista
Dave Chandler, del bassista
Mark Adams e del batterista
Armando Costa e partono con il nome di
Tyrant.
Curiosa è la provenienza degli statunitensi che emergeranno negli
anni '80 in quella
Los Angeles che diventerà in quegli anni patria indiscussa del
movimento
glam metal proposta musicalmente e concettualmente in antitesi
con la musica della band.
Dopo qualche tempo, Reagers e soci cambieranno in loro nome in Saint
Vitus ispirati dal brano Saint Vitus Dance dei britannici
Black Sabbath, band dalla quale trarranno le maggiori influenze.
Il sound degli statunitensi è dunque già ben forgiato, e nel
1984 i
Saint Vitus arrivano alla pubblicazione del loro primo full-lenght,
l'omonimo Saint Vitus che mostrerà una band ancora un po' acerba ma
con le idee già chiare.
L'anno seguente è la volta di
Hallow's Victim che rappresenta un piccolo passo indietro a
livello qualitativo ma che darà il LA alla definitiva consacrazione
della band la cui fama è ancora piuttosto latitante oltreoceano.
Nel 1986 la svolta con l'ingresso in line-up di
Scott "Wino" Weinrich singer-chitarrista di notevoli doti già
salito alla ribalta con i
The Obsessed; e così nel 1987 la band da alle stampe
Born Too Late capolavoro della band ed indiscusso "must"
all'interno della scena doom mondiale. La musica degli statunitensi
è notevolmente dilatata, sempre più arida e la voce di Weinrich
conferisce sempre più un certo appeal mistico.
Mournful Cries (1988)
e
V (1990)
rappresenteranno altri due lavori apprezzabili dopo i quali vi sarà
la dipartita di Weinrich.
Nel
1993
i Saint Vitus torneranno alla ribalta con
C.O.D. (Children of Doom) album più rock 'n' roll-oriented,
prima di
Die Healing (1995)
album notevole che vede il ritorno in line-up del singer
Scott Reagers e che precederà lo scioglimento della storica band
americana.
Amon: Feasting the Beast è una compilation edita dalla
band
statunitense di
death metal
Deicide. I pezzi in essa contenuti sono le versioni demo delle
canzoni che la band registrò quando si chiamava Amon.
Durante quel periodo la band era ancora alla ricerca di un
proprio sound e questa è la ragione per cui alcune delle canzoni
hanno sonorità death metal mentre altre hanno sonorità più
riconducibili al
thrash metal.
La visione
che predomina di questo album è "la perfetta via di mezzo tra Death
metal e Grind, il punto di equilibrio dei Carcass"; per carità,
sacrosanta verità (almeno per la prima parte), ma inefficiente per
descrivere il vero significato di questo Cd all'interno della
discografia della band. Per me Necroticism - Descanting The
Insalubrious rappresenta innanzitutto una rottura: lo stacco
tra i Carcass come rappresentanti e fondatori della scena
grindcore più pura e la band che proseguirà brillantemente la
propria carriera musicale rimanendo in un contesto meno "di culto".
Questo senza alcun giudizio alla scelta, ma come semplice
constatazione. Con questo lavoro la band inglese ci dice
palesemente: «ok ragazzi, la nostra lezione l'abbiamo data, ora
lasciateci prendere la nostra strada».
Necroticism... è innanzitutto il ripensamento riguardo al
verbo di Reek Of Putrefaction: il distacco dal tecnicismo e
dalle strutture complesse qui viene abbandonato, per intraprendere
una strada più classica e accessibile. Una scelta che farà piangere
i cuori di molti fan, ma che al di là della piccola delusione per l'infedeltà
ci regalerà alcuni dei minuti più belli dell'intera storia del Death
metal. Sarebbe dunque stupido sorvolare sulla grandezza di un pezzo
come "Corporal Jigsore Quandary" in nome dell'intransigenza
attitudinale, un limite che i Carcass hanno sciolto
regalandoci appunto uno dei loro brani più apprezzati. Con
l'introduttiva "Inpropagation" la band getta un ultimo
sguardo alle trame più puramente grind e comincia ad intraprendere
una nuova strada, che trova per la prima volta piena realizzazione
appunto in "Corporal...". Una canzone forte di un riff del
tutto elementare, che con la sua semplicità farà breccia per sempre
nel cuore dei fan.
Il terzo lavoro segna una svolta qualitativa anche dal punto di
vista esecutivo e della produzione, visto che sostituita al suono
scarno ed istintivo di Symphonies... troviamo qui
un'esecuzione praticamente impeccabile sorretta da un buonissimo
lavoro di produzione / mixaggio (onore e gloria a Colin
Richardson...). Resta comunque presente un certo margine che non
rende il suono troppo perfetto, finto; peculiarità dei Carcass
che di fatto verrà meno esclusivamente nella loro ultima opera. Qui
trovano spazio per sfoggiare un altro lato della loro genialità, il
lato forse più complicato nella sua immediatezza, e che trova
espressione in quasi tutte le tracce, con picchi forse in
"Pedigree Butchery" o "Carneous Cacoffiny".
Fantastico l'andamento che sanno dare alle diverse canzoni, la
venatura quasi ironica (caratteristica sempre e comunque presente
nei lavori del gruppo) di alcuni passaggi e, ovviamente, la classe;
classe che consiste nel non banalizzare mai, nel saper lasciare
traccia della propria personalità in ogni singolo passaggio. Anche
questo, come i lavori che erano venuti prima, costruisce una diversa
dimensione nell'ambito di un genere musicale, e lascia la pesante
eredità ai gruppi a venire di provare ad avvicinarcisi...
Nonostante la quasi impareggiabile bellezza di questo lavoro, e la
sua palese genialità, trovo Necroticism superiore di
importanza al solo Swansong all'interno della discografia
della band inglese. Che questa, ovviamente, rimanga comunque una
semplice considerazione personale, che non può intaccare minimamente
il valore reale di un cd che gode di una ottima (e meritata) fama in
due ambienti non sempre concordanti come quelli che sono il Death
metal ed il Grindcore... A tal punto da essere considerato da grossa
parte dei "die hard fans" del gruppo come il loro lavoro migliore.
Ripeto, non condivido questo parere, ma mi unisco al coro di tutti
coloro che per sempre osanneranno il nome di questa impareggiabile
realtà.
Interessante
libro sopra gli ultimi momenti del Reich. La storia, la breve vita, del
governo succeduto ad Hitler dal 1 maggio 1945, costituito dalle sinistre
figure fuoriuscite dal bunker tombale che tentarono fino all'ultimo
secondo di salvare la pelle rifugiandosi nell'estremo nord,a Flensburg,
a ridosso del confine con la Danimarca, lasciando al proprio destino il
defenestrato numero due del Reich, Goering,che pomposamente si
crogiolava nell'estremo sud della Baviera pensando di essere al
sicuro,ed il mefistofelico Himmler, che dalla roccaforte di Praga,una
volta vista la liquefazione del fronte orientale si precipitava
anch'esso nell'estremo nord allo scopo di ricevere un assurdo
"lasciapassare". Il 9 maggio da Flensburg veniva dato il placet alla
firma dell'armistizio, il 18 maggio tutti i componenti dell'ultimo
gabinetto nazista venivano arrestati: iniziava così il Processo di
Norimberga....
.....
...
RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)
QUESTA E'
UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI
SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI,
DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO
NELLA MERDA FINO AL COLLO E
PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE
PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE
SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"
Rifondazione e Pdci,
funzionari cassintegrati
Finiti i fondi dei due partiti
di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro
Da partiti che ambivano a
rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti
"da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un
articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca,
la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di
Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le
ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro
apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i
giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e
prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di
deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente
combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che
colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il
diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve,
della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa
melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le
organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica.
Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma
che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti -
come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.
NON PIU’ VIRTUOSI. Il
nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto,
che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era
additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo
tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale:
apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e
militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia
che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è
che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160
mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione
ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa
integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è
l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del
segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui
il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.
Ancora più drammatica la
situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu
oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e
direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso
il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le
pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati.
Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido
presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un
partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo
tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il
settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che
hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo
surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha
tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso
discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche
anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto
in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza,
visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non
fanno più nessun credito.
Infine il doloroso capitolo del
bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti:
il tesseramento, il
finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti
locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al
partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato
il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento
alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né
Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un
piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti
ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di
centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati.
Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero
Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di
euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione.
Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano
arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma,
ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto
al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di
finanziamento.
NAPOLI ADDIO. A via del
Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una
vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza
Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover
sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per
giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in
cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di
Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in
solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila
copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica
dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.
Le ultime elezioni vedevano
partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal
punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In
queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4
del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei
rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un
apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile:
mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per
resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum,
ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e
libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione
(18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista
al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha
speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco
Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300
mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di
più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?
LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE
ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO
L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER
TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI
CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' -
ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER
LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA
LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32
MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA
DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE
CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO
PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO
IL TRIS DEI MERDOSI....
Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi,
l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto
mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai
riuscito né provato prima d'ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava
ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma?
Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge
del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che
si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge,
quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne).
Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di
altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile
perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di
questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo
firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di
Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine
del "dialogo sulle riforme", portò la gente in piazza del Popolo a
protestare contro l’atto eversivo.
Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: "Se il
governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro
le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole". Qualcuno, chiedendo
scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i
piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera,
bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella
maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai
accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità
riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze –
come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale
– a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di
un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.
Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario
successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le
pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio.
Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le
elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la
maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una
leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai
magliari di Palazzo Chigi "legge salva-effetti", e sbrogliare il gran casino
creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.
Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla
finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente
avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto
avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe
detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è
astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e
poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici
le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e
a scendere in piazza del Popolo contro "l’attacco violento alle
istituzioni"....QUELLA STESSA GENTE DEL POPOLO DELLA MERDA VIOLA, CON LE
CANTANTI GRIFFATE, LE STRONZATE PAGATE,ECC...
Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto,
ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli.
Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma
comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente
concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro
lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv
Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio "perché
il Pd non ha avuto nulla in cambio". Gli inciuci dei centrosinistri col
Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un
do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.
RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)
QUESTA E'
UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI
SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI,
DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO
NELLA MERDA FINO AL COLLO E
PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE
PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE
SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"
Rifondazione e Pdci,
funzionari cassintegrati
Finiti i fondi dei due partiti
di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro
Da partiti che ambivano a
rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti
"da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un
articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca,
la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di
Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le
ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro
apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i
giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e
prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di
deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente
combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che
colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il
diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve,
della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa
melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le
organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica.
Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma
che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti -
come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.
NON PIU’ VIRTUOSI. Il
nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto,
che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era
additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo
tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale:
apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e
militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia
che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è
che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160
mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione
ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa
integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è
l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del
segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui
il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.
Ancora più drammatica la
situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu
oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e
direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso
il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le
pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati.
Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido
presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un
partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo
tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il
settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che
hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo
surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha
tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso
discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche
anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto
in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza,
visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non
fanno più nessun credito.
Infine il doloroso capitolo del
bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti:
il tesseramento, il
finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti
locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al
partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato
il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento
alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né
Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un
piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti
ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di
centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati.
Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero
Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di
euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione.
Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano
arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma,
ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto
al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di
finanziamento.
NAPOLI ADDIO. A via del
Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una
vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza
Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover
sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per
giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in
cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di
Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in
solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila
copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica
dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.
Le ultime elezioni vedevano
partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal
punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In
queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4
del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei
rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un
apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile:
mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per
resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum,
ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e
libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione
(18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista
al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha
speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco
Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300
mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di
più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?
LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE
ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO
L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER
TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI
CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' -
ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER
LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA
LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32
MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA
DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE
CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO
PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO
IL TRIS DEI MERDOSI....
STORIA
LA FINE DEI GIOCHI GLADIATORI
Nei primi due secoli dell’era cristiana era impensabile per i romani
una vita senza spettacoli gladiatori o con le belve. Anche nel III
d.C., quando la situazione economica non era più così florida e i
problemi alle frontiere cominciavano a farsi pressanti, gli
anfiteatri continuavano ad essere sede di combattimenti, anche se
gli organizzatori, soprattutto nelle province, si mostravano più
cauti e preferivano non esagerare con le spese. Un’altra ragione che
fece diminuire il numero degli spettacoli, sia nella parte orientale
sia in quella occidentale, fu la diffusione del cristianesimo, i cui
pensatori, tra i quali Tertulliano, manifestarono sempre più
frequentemente preoccupazioni sugli effetti che i giochi gladiatori
avevano sugli spettatori e criticavano il fatto che un potere
temporale, quello degli imperatori o degli amministratori locali,
potesse concedere la grazia, attributo prettamente divino. Ai tempi
di Costantino (prima metà del IV d.C.), che concesse libertà di
culto ai cristiani, alcuni vescovi proibirono i giochi nelle città
orientali e negarono il battesimo ai gladiatori. A Roma, i giochi
continuarono tanto che, nel 393, il senatore Simmaco offrì un grande
spettacolo di dieci giorni. Quando, però, l’imperatore Teodosio
dichiarò il cristianesimo religione di stato, l’influenza dei
seguaci del nuovo culto fece pian piano affievolire l’interesse per
gli eventi dell’anfiteatro. Va anche detto che le esigue risorse
economiche rendevano impossibile l’acquisto di un gran numero di
animali o l’ingaggio di bravi gladiatori, quindi gli spettacoli, che
sarebbero stati ben miseri, non erano granché attraenti.
Di certo si sa che uno degli ultimi spettacoli tenutisi nel Colosseo
fu nel 519 d.C. e coinvolse esclusivamente animali provenienti dall’Africa.Nel
V secolo d.C., la grave crisi economica che colpì l’Italia costrinse
gli abitanti di Roma a sopravvivere con le proprie forze. La fame e
la malaria, causata dal fatto che molti territori circostanti la
città, rimasti incolti, erano diventati paludosi, decimarono la
popolazione al punto che dagli ottocentomila mila abitanti del 400
d.C. si passò ai trentamila nel 568 d.C.
La condizione in cui versavano i monumenti e gli edifici cittadini
era deprimente: Cassiodoro parla di granai crollati, statue
abbattute e colonne di marmo segate per essere riutilizzate. Questa
sorte toccò anche al Colosseo, lasciato praticamente inutilizzato e
danneggiato anche da catastrofi naturali, come il terremoto del 508
d.C. Nonostante gli ingressi fossero stati sbarrati, in molti non
rispettavano il divieto di entrare: così, oltre ai saccheggi, si
assistette alla trasformazione degli spazi sotto le gradinate in
stalle e rifugi per emarginati.
Pare che a metà del Medioevo si fosse persa anche la consapevolezza
di che cosa fosse stato il Colosseo: i Mirabilia Urbis Romae, guida
per pellegrini dell’XI secolo, riportano, per esempio, che era stato
un tempio pagano, sormontato da una cupola in bronzo dorato e con al
centro la statua di Apollo. Altri credevano che fosse una sorta di
Pantheon, dove tutti gli dei pagani erano stati venerati.
Congetture a parte, nel Medioevo l’anfiteatro Flavio fu usato anche
come fortezza dalla famiglia dei Frangipane, all’epoca dei saccheggi
normanni (fine XI secolo), oltre che come luogo di rifugio per
mendicanti.
L’epoca della grandi spoliazioni coincise con la metà del XV secolo:
una fattura del 1452 indica che, sotto Niccolò V, furono rimosse dal
Colosseo, in circa otto mesi, 2522 tonnellate di marmo.Per fortuna
del Colosseo, dopo la desolazione medievale e le spoliazioni
rinascimentali, la cristianità cominciò a considerarlo il luogo del
martirio di molti santi, anziché quello di manifestazioni pagane, e
nel 1749 papa Benedetto XIV vi consacrò ufficialmente le già
presenti stazioni della Via Crucis.
Contemporaneamente a questa consacrazione, si diffuse la moda del
Grand Tour: così, poeti e scrittori da tutta Europa presero a
immortalare nei loro scritti l’anfiteatro di Roma. Ci fu persino un
botanico, Richard Deakin, che, vagando per le gradinate e i cunicoli
dell’edificio, trovò 420 specie di piante, alcune esotiche, lì
cresciute perché i loro semi erano probabilmente arrivati tra il
pelo degli animali selvatici fatti esibire negli spettacoli antichi.
Le descrisse in un’opera intitolata Flora in the Colosseum (1855).
Quando Roma divenne capitale del regno d’Italia, il Colosseo fu
affidato agli archeologi, non senza vivaci proteste da parte del
clero. Tolte le macerie dall’ipogeo, vennero portati alla luce
alcuni locali sotterranei, cosa che permise di constatare la perizia
ingegneristica dei romani.
Negli anni Trenta del secolo scorso, perché il monumento avesse
maggior risalto e fosse direttamente collegato al Teatro di Marcello
e al Foro Romano, vestigia di un glorioso impero che si voleva far
rinascere, interi quartieri furono demoliti. E quando Hitler venne
in visita a Roma nel 1938, Mussolini ebbe modo di far risaltare
ancor più i resti dell’antica Roma illuminandoli a giorno con
l’aiuto di 45.000 lampadine attaccate a cavi lunghi 160 km. Per
l’illuminazione del Colosseo furono usate lampadine rosse, che
diedero all’edificio un aspetto surreale. Hitler rimase così stupito
dall’opera che, tornato in Germania, progettò la costruzione di un
edificio simile a Norimberga. Le cose, però, andarono diversamente e
i disegni non furono mai realizzati.
All'indomani della Battaglia
del Frigido, le orde del Visigoto
Alarico devastarono l'intera Grecia per 5 lunghissimi anni:tutte le
grandi città furono messe a ferro e fuoco ad eccezione di Atene e
Tebe. A contrastarlo fu il generalissimo Stilicone che nel 397
bloccava il visigoto a Pholoe in Arcadia, tuttavia l'indisciplina
delle sue truppe favori Alarico che riusci a strappare un trattato
che gli permetteva di transitare in Epiro col grado di Magister
Militum. Stilicone
pur se forte militarmente, non
era in grado di distruggere il comandante visigoto che si ritrovò
una via di fuga ad ovest verso le porte che aprivano all'Italia.
Cosi quando Stilicone mosse guerra in Rezia con tutte le sue legioni
per contrastare l'ennesima invasione, Alarico sfondava i Clastra
Julii dell'Italia Nord orientale invadendo Venetia ed Istria. Nel
novembre del 401 l'Italia si ritrovava i visigoti in casa, decisi a
marciare verso ROMA. Nella crisi più totale, Stilicone si vide
costretto a richiamare tutte le legioni rimaste sul Reno ed in
Britanna: una EVACUAZIONE EPOCALE che sancirà la CADUTA DEL LIMES
OCCIDENTALE, tuttavia non c'era altra scelta. L'intero confine
renano-danubiano era soggetto a continui sconfinamenti ormai
incontrollabili e non esistevano più riserve per la difesa
dell'Italia. Con tutto quello che aveva Stilicone riusci' a
respingere i visigoti prima a Pollenzo, Pasqua del 402, poi a Verona
(nel 403)
Entrambi gli schieramenti avevano
subito pesanti perdite, cosi Stilicone ed Alarico giunsero ad un
accordo: il generale romano concedeva terre ad Alarico nell'Illirico
in cambio dell'azione militare dei visigoti in Epiro ai danni della
Parte Orientale. Alarico cosi lasciava l'Italia, Stilicone a sua
volta non smobilitava in quanto nel 405 scesero in Italia i GOTI di
RADAGAISO: in una battaglia ferocissima a FIESOLE questi furono
massacrati nell'agosto del 406. Da li, nel dicembre 406 Stilicone
veniva richiamato urgentemente in Gallia: IL LIMES ERA STATO
SFONDATO DA BEN 4 POPOLI E NON C'ERANO DIFESE.
Stilicone con forze
raccogliticce tentava un contrattacco ad ovest, ad est Alarico era
in attesa di rinforzi da Stilicone che non arrivavano. Stizzito per
la situazione mosse le sue orde di nuovo ai confini orientali
d'Italia. Ora Stilicone NON aveva
più uomini per contrastare il pericolo: le ultime legioni
britanniche che dovevano affluire si erano ammutinate nelle Gallie
eleggendo un loro imperatore,Costantino III, il generale cosi'
convinse la corte dell'imperatore legittimo a versare un tributo in
oro ad Alarico. L'idea di Stilicone altresì era quella di utilizzare
i Visigoti come arma da scagliare nelle Gallie contro l'imperatore
usurpatore e contro Vandali,Alani,Svevi,Asdingi. Un piano enorme che
non convinse la corte di Roma: l'imperatore legittimo temeva un
tradimento, cosi fece arrestare ed uccidere il generale. PER ROMA E'
L'INIZIO DELLA FINE.
La scelta dell'imperatore Onorio si
rivelerà CATASTROFICA segnando le sorti dell'intera Pars
occidentalis. Solo i barbari erano in grado di rimaneggiare le
fortissime perdite dell'esercito romano: l'assassinio di Stilicone
scatenò uno spaventosa persecuzione dei barbari che servivano
nell'esercito dell'impero. Nel 408 moltissimi militi d'origine
germanica andarono ad ingrossare le fila dell'esercito di Alarico
che mosse guerra a Roma invadendo agilmente l'Italia nel 408.
L'intero percorso che li portò a Roma venne messo a ferro e fuoco e
la città eterna cinta da un pesantissimo assedio.
Con i Visigoti che assediano Roma,
senza un comandante militare in grado di muovere legioni, con un
imperatore usurpatore, Costantino III, che staccò le Gallie e l'Hispania
da Roma, i popoli che avevano sfondato il limes iniziarono una
profonda penetrazione nei territori dell'impero.
Nel frattempo il senato aveva inviato un'ambasceria
presso Onorio per comunicargli le proposte di Alarico in cambio
della pace: il re goto, in cambio di una modesta somma di denaro e
della cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di rango
illustre, offriva non solo la sospensione delle ostilità ma anche
un'alleanza militare contro qualunque nemico dello stato romano.[46] Dopo
il pagamento del tributo, Alarico tolse momentaneamente il blocco
alla città, concedendo per tre giorni agli abitanti di Roma la
possibilità di uscire liberamente dalle mura per acquistare al Porto
le provviste necessarie e portarle dentro la città.[46] Tuttavia,
alcuni soldati visigoti, disobbedendo agli ordini del loro re,
aggredirono alcuni cittadini romani usciti dalle mura per fare
acquisti al porto.[46] Quando
Alarico ne venne informato, volle punire gli autori
dell'aggressione, per rendere chiaro e tondo che quell'atto era
stato commesso contro la sua volontà.[46] I
Visigoti si allontanarono momentaneamente dall'Urbe, spostandosi inTuscia.[46] Nel
frattempo, numerosi schiavi fuggirono da Roma, e si arruolarono
nell'esercito di Alarico, portandolo ad annoverare 50.000 soldati.[46] Tutti
questi avvenimenti avvennero negli ultimi mesi dell'anno 408.
ANNO DOMINI 409.
L'imperatore
Onorio continuava a temporeggiare mal consigliato: dalla Dalmazia
fece affluire una legione che doveva rafforzare le difese di Roma.
Questa venne incredibilmente intercettata dai Visigoti su strade da
loro sorvegliate: fu una carneficina. Solo il comandante Valente, il
suo secondo Prisco Attalo ed un centinaio di uomini, riuscì ad
entrare in Roma. Il disastro venne accentuato da Alarico che rimise
sotto assedio l'Urbe. Con il nuovo assedio in atto, ripresero le
negoziazioni tra l'imperatore ed il re visigoto. Tempo perso che
Alarico sfruttò per riassediare Roma costringendo il Senato a
nominare un anti imperatore nella figura di Prisco Attalo che doveva
fungere da passacarte favorevole ai Visigoti. Con un suo uomo in
Roma, Alarico marciò verso Ravenna per assediarla e per far fuori se
possibile Onorio, mentre contemporaneamente Attalo spediva in Africa
suoi uomini allo scopo di occuparla per mantenere costante gli
approvvigionamenti per Roma, l'Africa era in mano a uomini di
Onorio. Il nodo non funzionò per il fallimento di Attalo che venne
destituito da Alarico.
ANNO DOMINI 410.
Alarico occupava stabilmente l'Intera Italia Centrale da due anni ma
non gli era riuscito di eliminare Onorio, nè di occupare Roma.
L'Urbe ora era senza approvvigionamenti di grano e cosi Alarico
decise di assediarla per la terza volta: la città apri le porte al
re Visigoto stremata dalla fame e per la prima volta dai tempi di
Brenno, la città venne occupata e saccheggiata pesantemente per tre
lunghissimi giorni, 24-27 agosto del 410.
Con
un bottino sconfinato, Alarico prosegui la sua marcia di distruzione
in Campania ed in Calabria con l'intento di imbarcarsi per l'Africa
allo scopo di occuparla per i rifornimenti di grano. L'idea era
quella di dominare l'Italia dall'Africa. Non ci fu nulla da fare:la
flotta che doveva portarlo a Cartagine non esisteva, cosi il re fece
dietro front: tuttavia sulla via del ritorno improvvisamente moriva
nei pressi di Cosenza. La tradizione vuole che fosse sepolto con
tutte le sue ricchezze nel letto del Busento appositamente deviato.
I Visigoti si attardarono
ulteriormente nel Sud d'Italia: dovevano procedere coi funerali del
loro primo Re, dovevano procedere con l'elezione del successore,
dovevano intavolare trattative con l'Impero sul da farsi. Questo
protrarsi fu devastante per tutta la costa tirrenica del Sud, messa
letteralmente a ferro e fuoco.
ANNO DOMINI 411.
Nelle
Gallie la situazione vedeva Vandali,Alani e Svevi stanziarsi nella
parte meridionale della Spagna dopo una lunghissima marcia dal Reno
piena di assedi e distruzioni. Di fronte a questo temporaneo
alleggerimento, un generale di Costantino III, Geronzio, iniziò a
muovere le sue legioni proprio contro Costantino che gli scagliò
addosso il suo esercito.
ODOACRE,magister militum e primo re
di Eruli e Sciri dal 4 settembre 476 Prefetto del Pretorio d'Italia
ed Illirico
Questa data non fu certo un evento traumatico per chi la visse e
tantomeno un evento da ricordare per gli storici dell’epoca
tardo-antica, ma di fatto pose fine alla lunga agonia dell’Occidente
romano. Vediamo cosa accadde quel giorno.
Antefatto
storico. Lo stato in cui era ridotta la dignità imperiale
per mano dei generali barbari (magistri
militum) che spadroneggiavano a corte, indusse i sovrani di
Costantinopoli a prendere sotto la loro loro tutela l’Impero romano
d’Occidente e, dopo la morte del generale Ricimero, l’imperatore
d’Oriente, Leone, designò al trono d’Occidente un proprio generale,
Giulio Nepote, che aveva sposato sua nipote. Giulio Nepote cercò di
consolidare i territori dell’Italia e della Gallia che ancora si
trovavano sotto il controllo dell’Impero d’Occidente in maniera
diplomatica, ma ormai l’autorità imperiale era alla mercé degli
eserciti romani e barbarici e fu costretto a cedere l’Alvernia,
provincia della Gallia, ai Visigoti che se ne erano impadroniti.
Contro questo cedimento insorse il suo generale Oreste, d’origine
gotica, il quale lo destituì e al suo posto nominò il figlio Romolo,
che era appena adolescente e per la sua giovane età, o forse anche
per scherno, fu denominato Romolo Augustolo. Quindi, con le sue
milizie, marciò contro Ravenna, dove si trovava Giulio Nepote, il
quale lasciò la città e si rifugiò nei suoi possedimenti in
Dalmazia.
Romolo, secondo fonti diverse, aveva tra i dieci e i quattordici
anni, e non era quindi in grado di assumere le responsabilità del
governo imperiale. L’effettivo potere fu detenuto da Oreste e durò
poco tempo (474-475).
Agosto 476 d.C. Scoppiò una ribellione tra i contingenti
barbari (in gran parte mercenari Eruli) dell’esercito di stanza in
Italia, che reclamavano per i loro servigi (tra i quali
l’allontanamento dell’ex imperatore Giulio Nepote) un terzo delle
terre possedute dai grandi latifondisti. La richiesta, che
comportava la spoliazione dei più ricchi e autorevoli proprietari
italici, non fu accolta. Al rifiuto dei Romani, Odoacre si fece
nominare re (dei barbari) e promettendo ai suoi soldati ciò che era
stato loro negato, si scontrò con il potere centrale. In un primo
scontro Odoacre ebbe la meglio su Oreste, che fu catturato e ucciso.
4 settembre 476 d.C. avvenne lo scontro decisivo presso la
capitale Ravenna: il fratello di Oreste, Paolo, fu ucciso e Romolo
Augusto fu deposto da Odoacre, che rimandò le insegne imperiali a
Costantinopoli, chiedendo l’approvazione all’imperatore d’Oriente
Zenone del titolo direx.
Odoacre risparmiò la vita al giovane imperatore in virtù proprio
della sua giovane età. Romolo Augustolo fu esiliato a Napoli e
rinchiuso nell’antica villa di Lucullo, il Castellum
Lucullianum che corrisponde all’attuale Castel dell’Ovo (che
sorge sull’isolotto di Megaride). Secondo alcune fonti, gli fu anche
concesso un vitalizio di seimila solidi annui, pari alla rendita di
un senatore facoltoso, per consentirgli di vivere con i propri
parenti in maniera dignitosa.
Che fine fece l’imperatore legittimo Giulio Nepote? Odoacre
destituì sì Romolo Augustolo e si sottomise all’autorità
dell’imperatore d’Oriente Zenone, ma le cose non sarebbero tutte
dovute andare proprio così. Zenone, accettando ad Odoacre il titolo
di “re”, aveva invitato questi a riconoscere il legittimo imperatore
Giulio Nepote, esiliato anni prima da Oreste. Odoacre non invitò mai
Nepote a ritornare in Italia come imperatore, ma nonostante questo
le monete coniate (da Odoacre) recavano il nome di Nepote.
Giuridicamente parlando, quindi, nel 476 d.C. vi erano due
imperatori nella norma (Occidente e Oriente) e, solo dopo la morte
del collega d’Occidente, Zenone assunse formalmente il titolo di
imperatore unico di tutte e due le parti dell’Impero.
Il patricius e
l’imperatore.Veniamo ora alla questione di
Odoacre e in che modo avviene il suo riconoscimento da parte
orientale. Odoacre chiede a Zenone (imperatore d’Oriente) il
riconoscimento del governo dell’Italia e delle province confinanti
e l’assegnazione del titolo di patricius (lo
stesso che aveva avuto il generale barbaro Ricimero che tanto
aveva influenzato le sorti dell’ultimo ventennio): fin qui non vi
è nulla di strano, dato che avevano – nel bene e nel male – sempre
convissuto le figure dipatricius (omagister
militum) barbari con quella dell’imperatore.
L’accettazione di Odoacre da parte di Zenone è comunque relativa:
in qualità di patricius,
Odoacre non è la figura più in alto nella gerarchia occidentale,
bensì la seconda: la prima è proprio Nepote.
Odoacre accetta apparentemente questa subordinazione
all’imperatore d’Occidente, coniando anche monete a nome di
“Giulio Nepote Augusto”, ma non cedendo l’effettivo potere
politico che resta nelle sue mani.
Epilogo. Come andò a finire tutta questa storia? Ebbene,
Giulio Nepote era seriamente intenzionato, forte dell’appoggio di
Zenone, a riprendersi il trono imperiale. Ma… facciamo un altro
passo indietro!
Nepote, una volta investito del titolo di imperatore d’Occidente
nel 474, aveva dovuto scontrarsi con un altro pretendente al
trono, nominato dal barbaro e patricius Gundobado,
tale Glicerio. Non vi fu alcuna battaglia, e l’usurpatore Glicerio
venne deposto e costretto a prendere i voti, quindi nominato
vescovo di Salona in Dalmazia. La convivenza a Salona tra l’ex
imperatore e vescovo Glicerio e l’imperatore Nepote non deve
essere stata delle migliori: stando alle fonti, Glicerio collaborò
con i due generali (Ovida e Viatore) per assassinare Nepote, cosa
che avvenne alla vigilia della spedizione di Nepote in Italia
contro Odoacre, che saputa la notizia della sua morte organizza a
sua volta – col pretesto di vendicarne la morte – la riconquista
della Dalmazia.
TEODORICO
TOTILA
ALBOINO
L'INVASIONE LONGOBARDA,568 D.C.
Alboino strinse un nuovo accordo con gli Avari offrendo loro le
terre fin lì occupate in Pannonia;
tuttavia, se l'invasione fosse fallita, i Longobardi avrebbero
riottenuto la Pannonia.[14] In
ogni caso, Alboino temeva un attacco alle spalle da parte degli
Avari durante l'invasione, in un momento di vulnerabilità da parte
longobarda.[15]
Stretta l'alleanza per il giorno di Pasqua,
il 2Aprile[16] del568,
l'invasione partì. La massa era composta da centomila-centocinquantamila
persone (le stime sono molto incerte); i guerrieri erano una minoranza
(circa 30 000), perché il grosso era costituito dalle loro famiglie; alla
spedizione parteciparono anche guerrieri sassoni.[17] Più
che strettamente militare, l'esodo aveva quindi caratteristiche migratorie,
con masserizie e mandrie di bestiame al seguito.
L'invasione partì dall'estremità occidentale del lago
Balaton.[16] Il
percorso seguito dall'orda è incerto, ma probabilmente sfruttò le strade
romane che dallaPannonia la
portò a varcare l'Isonzo.
Una leggenda narra che, prima di entrare in Italia, Alboino salì su un
monte, il Matajur,
che da lui avrebbe preso il nome ("Monte Re").[18] Il
monte si trova sulla valle del fiume Natisone, tuttavia è più probabile che
i Longobardi abbiano percorso la comoda strada romana che da Emona
(l'odiernaLubiana)
scendeva ad Aquileia,
lungo la valle del fiume
Vipacco.
I Bizantini non
offrirono resistenza, rinchiudendosi nelle loro città fortificate, il che
potrebbe avvalorare la teoria di un trasferimento concordato, anche se può
spiegarsi altrimenti con la tattica usuale dell'esercito
bizantino, che, piuttosto che affrontare l'invasore in una battaglia con
il rischio di farsi annientare l'esercito, preferiva attendere che
l'invasore si ritirasse con il bottino, cosa che i Longobardi non fecero,
occupando invece permanentemente le terre invase.[13] La
prima città di rilievo a cadere nelle mani di Alboino, all'inizio del 569,
fuForum
Iulii (Cividale
del Friuli), che il re assegnò al nipote Gisulfo,
che divenne così il primo duca
di Cividale con il compito di difendere l'avanzata longobarda da
eventuali attacchi da est e di garantire una via di fuga.[19]
La conquista delle principali città
dell'Italia nordorientale procedette con rapidità nell'estate-autunno 569;
caddero Aquileia, Vicenza eVerona,
dove Alboino stabilì il suo primo quartier generale.[20] La
presa diMilano,
il 3 settembre[21],
concluse la migrazione. I Longobardi si erano stanziati nella fascia
pedemontana fra le Alpi e il Po, quasi a protezione del resto della
penisola, ancora sotto governo bizantino. Paolo Diacono riferisce che solo Pavia si
oppose ai nuovi venuti. L'assedio della città sulTicino si
sarebbe protratto per tre anni.[22] Lo
storico Aldo Settia ha peraltro messo in dubbio la realtà storica di tale
assedio.[23]
Tra il 570 ed il 572
Conquistate Parma, Modena, Bologna, Imola,
Lucca, Chiusi, Camerino, Benevento. Prime incursioni di Langbärten e Sassoni
in territorio franco.
572
Cade Pavia dopo un assedio di tre anni, re
Albwin, riconoscendo il valore dell’unica città che resistette con valore ai
Langbärten, la elegge a capitale del regno. (la leggenda vuole invece che il
cavallo di re Albwin, mentre questi varcava le porte della città, si
accasciò al suolo e non si mosse finché il re non promise salva la vita di
coloro che per anni gli resistettero dentro le mura di Pavia).
26 Giugno 572
Re Albwin viene assassinato a Verona. Cleph/Clefi
viene eletto re a Pavia, egli continua l’espansione longobarda sia sul
territorio italiano (uccidendo molti nobili romani, forse per vendicare la
congiura che portò all’assassinio di re Albwin, cacciandone altri) che verso
quello franco
.
574
Dopo un anno e sei mesi di regno (con a
fianco la regina Masane) Cleph venne assassinato. Inizia il periodo di
dominio ducale durante il quale la Langbard viene divisa tra i suoi 35 duchi
(a seguito di ciò molti nobili romani vengono eliminati o sottomessi,
diventando dei tributari; stessa sorte toccò anche ai sacerdoti mentre le
chiese venivano depredate). I duchi fedeli alla causa longobarda sono però
pochi: sicuramente tra questi “nazionalisti” vi sono Zaban di Pavia, Wallari
di Bergamo, Alichis di Brescia, Evin di Trento e Gisulf di Cividale; degli
altri la quasi totalità venne facilmente comprata dal soldo bizantino.
Alcuni duchi organizzano un corpo di
spedizione per entrare nelle Gallie. Entrati in territorio franco i
Langbärten si scontrano con i Burgundi di Amato, patrizio della Provenza al
servizio del re franco Gunthram/Guntrammo, che vengono annientati (lo stesso
Amato viene ucciso mentre si dava alla fuga). Questa scorreria in territorio
franco procurò ai Langbärten un grandissimo bottino con il quale ritornarono
a casa. Una seconda scorreria non fu così fortunata in quanto i Langbärten,
spintisi fino a Mustiascalmi (?), vicino a Embrun, furono circondati da
Eunio (detto anche Mummolo) e dai suoi Burgundi; molti Langbärten caddero
mentre gli scampati che non vennero fatti prigionieri fecero ritorno in
Langbard. In seguito irrompono in territorio franco i Sassoni che si
accampano presso la città di Stablone (Canton de Mezel), colti di sorpresa
da Mummolo in un giorno subiscono gravi perdite, ma, dopo la tregua della
notte, si riorganizzano per dar battaglia, solo in seguito ad ambascerie tra
le due fazioni ed alla restituzione del bottino razziato lo scontro è
evitato ed i Sassoni possono valicare le Alpi e ritornare dalle loro
famiglie; insofferenti verso il dominio ducale raggiunte le loro famiglie si
organizzano per abbandonare il regno e fare ritorno alla terra dei loro
padri passando per la Gallia.
575
I duchi Amo/Amone, Zaban (duca di Pavia) e
Rodan partono alla conquista rispettivamente di Arles, Valenza (sul Rodano)
e Grenoble, ma vengono respinti dal generale franco Mummolo e poi attaccati
a Susa dal comandante bizantino Sisinnio.
In seguito a queste sconfitte i Langbärten dovettero pagare un tributo annuo
ai franchi e ceder loro le città di Aosta e Susa (che da questo momento
saranno i confini della Neustria longobarda). Su queste sconfitte pesò senza
dubbio il fatto che l’esercito longobardo non poteva vantare grande forza
offensiva in quanto le sue file vennero ad assottigliarsi con la corruzione
dei duchi meno “nazionalisti”; infatti un contingente longobardo forte di
ben 60.000 uomini, sicuramente fedeli ai duchi al soldo bizantino,
combatteva in Siria, agli ordini di Bisanzio, contro i Persiani (tale forza
verrà poi fatta tornare in Langbard con la speranza di stimolare nuove
defezioni verso le fila imperiali).
Ragilone, conte longobardo di Lagare (val
Lagarina, la valle principale dell’Adige a nord della chiusa di Verona, fino
a Calliano), dopo aver razziato la cittadella di Nanno consegnatasi ai
Franchi venne attaccato e sconfitto a Campo Rotaliano (val di Ral, tra Nanno
e Trento) dal duca franco Cramnichi.
576
A Ravenna i bizantini sbarcano un ingente
corpo d’armata, comandato dall’esarca Baduario, che verrà in seguito
annientato dai Langbärten (non se ne conoscono le coordinate).
Tiberio
Costantino, reggente dell'Impero d'Oriente a nome del folle Giustino
II, aveva comprato una tregua sul fronte persiano, non valida tuttavia
per l'Armenia, e questo gli permise di inviare nuove truppe in Italia,
comandate dal genero di Giustino II, Baduario.
Baduario dovette arrivare a Ravenna nel
575/576, dove sembra che edificò una Chiesa, con nuove truppe provenienti
dall'Oriente, di cui le fonti non riferiscono la forza e la composizione
etnica, ma che alcuni studiosi hanno congetturato potesse contenere anche
mercenari longobardi. Un passo della Storia Ecclesiastica di Giovanni
di Efeso evidenzia infatti che 60.000 longobardi avevano combattuto nel 575
in Siria al servizio dell'Impero,[5] e
non è da escludere che abbiano poi seguito Baduario in Italia.[6] Inoltre
è possibile che a Benevento e a Spoleto fossero insediati, fin dai tempi
della fine dellaguerra
gotica (535-553), gruppi di Longobardi come foederati dell'Impero,
a cui Baduario potrebbe aver richiesto sostegno contro i Longobardi ostili
all'Impero. Queste sono però solo delle congetture, sicché l'unica fonte che
descrive (in un rigo solo) la spedizione di Baduario è la Cronaca diGiovanni
di Biclaro:
(LA)
«Baduarius gener Iustini principis in Italia a Longobardis proelio
vincitur et non multo plus post inibi vitae finem accipit.»
(IT)
«Baduario genero del principe Giustino viene vinto in battaglia dai
Longobardi e non molto tempo dopo trova qui la fine della sua vita.»
LA FINE DEL TARDO IMPERO E L'INIZIO
DELL'ALTO MEDIOEVO ITALICO - 568 - 584
In questi 16 anni di invasione
longobarda, per indirizzo specifico perseguito sin da Alboino,gli
invasori procedettero sistematicamente a disintegrare letteralmente
quelle che erano le strutture politico-amministrative tardo
imperiali, li dove i longobardi occupavano in pianta stabile un
territorio, tutta l'impalcatura di uffici pubblici amministrativi e
giuridici veniva disintegrata e sostituita da una feroce divisione
sociale per cui i germani erano i padroni assoluti ed i romani i
servi.
Il sistema economico dellatarda
antichità,
imperniato su grandi latifondi lavorati
da contadini in condizione semi-servile, non fu rivoluzionato, ma
solo modificato affinché avvantaggiasse i nuovi dominatori.[4]
In questo modo
I prodotti della terra venivano ripartiti con i
sudditi romanici che
la lavoravano, riservando ai Longobardi un terzo (tertia)
dei raccolti. I proventi non andavano a singoli individui, ma alle fare,
che li amministravano nelle sale (termine
che ricorre tuttora nellatoponomastica italiana).
579
Faruald/Faroaldo, duca di Spoleto, occupa
Classe (porto di Ravenna).
580
Occupata Perugina.
581
Il duca franco Cramnichi si spinse a
devastare Trento, ma il duca della città longobarda, Ewin, lo insegue e a
Salorno sconfigge i Franchi. A questa, fino al 590, seguirono altre
invasioni franche (a volte supportate dai bizantini) che nonostante le
conquiste non si conclusero mai positivamente per i nemici delle “lunghe
barbe”.
584
Childeberto II, istigato dall’imperatore
Maurizio, invade il regno longobardo. Non riuscendo a scontrarsi con i
Langbärten, che si riparavano nelle città fortificate, si fece corrompere
dai doni di questi e ritornò in Francia.
Agilulfo
compì alcune scelte simboliche volte al tempo stesso a rafforzare il
proprio potere e ad accreditarlo presso la popolazione di
discendenza latina. La cerimonia di associazione al trono del
figlioletto Adaloaldo,
nel 604,
seguì un rito bizantineggiante; scelse come capitale non più Pavia,
ma l'antica metropoli romana di Milano eMonzacome
residenza estiva; definì se stesso, in una corona votiva,Gratia
Dei rex totius Italiae ("Per
grazia di Dio re di tutta Italia", quindi non più soltantorex
Langobardorum,
"Re dei Longobardi").[11]
Il
Partito Comunista d'Italia- 1921-1943- (Sezione della Internazionale Comunista)
è stato un
partito politico italiano attivo legalmente dal
1921 al
1926 e
clandestinamente dal 1926 al
1943,
quando riprese l'attività legale come
Partito Comunista Italiano
(1943-1990)[1](
svolta di salerno, aprile 1944).
Avente sede a
Milano
nella palazzina di
Porta Venezia, ebbe come organo di stampa quotidiano centrale
Il Comunista fino al
1922 e,
dal
1924,
l'Unità.
Il II Congresso del
Comintern fra
luglio
e
agosto del
1920
decide che i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21
condizioni che prevedevano, fra l'altro, l'espulsione di ogni
riformista e il mutamento di nome dei in partiti in "Partito
Comunista". Alla fine del Congresso, il
27 agosto il presidente del Comintern
Zinov'ev con
Bucharin e
Lenin
inviavano al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano
l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni.
L'appello sarà pubblicato in Italia solo il
30 ottobre su L'Ordine Nuovo, quindicinale socialista
torinese diretto da
Antonio Gramsci.
Il
15 ottobre 1920 a
Milano
ha luogo una conferenza di tutti coloro che accettano senza riserve
le 21 condizioni del Comintern. Si incontrano così gli astensionisti
vicini ad
Amadeo Bordiga, gli ordinovisti di Gramsci e massimalisti
terzinternazionalisti come
Egidio Gennari,
Nicola Bombacci,
Bruno Fortichiari e
Francesco Misiano. La conferenza si concluderà con
l'approvazione del manifesto Ai Compagni e alle Sezioni del
Partito Socialista Italiano. Il manifesto si conclude con la
proposta del cosiddetto programma di Milano in 10 punti ed è
sottoscritto da Bombacci, Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano,
Umberto Terracini e il segretario della
Federazione Giovanile Socialista Italiana,
Luigi Polano. Nasce così la frazione comunista del Psi.
I 10 punti su cui si formò il Partito Comunista d'Italia
Nell'attuale regime capitalistico si sviluppa un sempre
crescente contrasto fra le forze produttive ed i rapporti di
produzione, dando origine all'antitesi di interessi ed alla
lotta di classe tra il proletariato e la borghesia dominante.
Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal
potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema
rappresentativo della democrazia, costituisce l'organo per la
difesa degli interessi della classe capitalistica.
Il proletariato non può infrangere né modificare il
sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva
il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere
borghese.
L'organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del
proletariato è il partito politico di classe. Il Partito
Comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente
del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici,
volgendosi dalle lotte per gli interessi di gruppi e per
risultati contingenti alla lotta per la emancipazione
rivoluzionaria del proletariato; esso ha il compito di
diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di
organizzare i mezzi materiali di azione e di dirigere nello
svolgimento della lotta il proletariato.
La guerra mondiale, causata dalle intime insanabili
contraddizioni del sistema capitalistico che produssero
l'imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione
del capitalismo in cui la lotta di classe non può che
risolversi in conflitto armato fra le masse lavoratrici ed il
potere degli Stati borghesi.
Dopo l'abbattimento del potere borghese, il
proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con
la distruzione dell'apparato sociale borghese e con la
instaurazione della propria dittatura, ossia basando le
rappresentanze elettive dello Stato sulla sola classe
produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe
borghese.
La forma di rappresentanza politica dello Stato
proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori (operai e
contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio della
rivoluzione proletaria mondiale e prima stabile realizzazione
della dittatura proletaria.
La necessaria difesa dello Stato proletario contro
tutti i tentativi contro-rivoluzionari può essere assicurata
solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla
dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda
politica, e con la organizzazione armata del proletariato per
respingere gli attacchi interni ed esterni.
Solo lo Stato proletario potrà sistematicamente attuare
tutte quelle successive misure di intervento nei rapporti
dell'economia sociale con le quali si effettuerà la
sostituzione del sistema capitalistico con la gestione
collettiva della produzione e della distribuzione.
Per effetto di questa trasformazione economica e delle
conseguenti trasformazioni di tutte le attività della vita
sociale, eliminandosi la divisione della società in classi
andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico, il
cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della
razionale amministrazione delle attività umane.
DALLA
SCONFITTA DEL CENTRALISMO ORGANICO e dal rifiuto del "partigianismo"
ALLA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (1943-1952)
STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D'OGGI (I)
If linked: [English] [French]
[German] [Spanish]
Amadeo Bordiga (Ercolano,
13
giugno
1889
–
Formia,
23
luglio
1970)
è stato un
politico,
rivoluzionario comunista
italiano.
Fu a capo della principale corrente (quella degli astensionisti
del
PSI) che portò alla fondazione del
Partito Comunista d'Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso
di
Livorno del PSI nel
1921. Da
militante rivoluzionario, lottò apertamente contro l'involuzione
stalinista della
Terza Internazionale e si adoperò, fino ai suoi ultimi giorni, per
il partito comunista mondiale, cioè per un partito che fosse sempre
perfettamente coerente con la dottrina marxista e che superasse i limiti
intrinseci di omogeneità teorica della stessa formula
dell'Internazionale comunista.
La formazione di Bordiga
fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei
politici moderni, egli, abbracciando il marxismo, sottopose fin da
ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il
contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza
moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste,
piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui
autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari
problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu
matematico, esperto di
geometria proiettiva, insegnante all'università
di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale
(appassionato d'arte, fondò tra l'altro la
Biennale di Venezia).
La madre, Zaira degli
Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno
fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente familiare fu
dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che
seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a
proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse,
Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva
già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo
professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al
Partito Socialista Italiano.
L'opposizione dei
socialisti radicali alla
Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza,
come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del
1912 fondò
con alcuni giovani compagni il Circolo
Carlo
Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal
partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre
bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana
del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco
si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei
congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva
l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad
est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia.
Il suo rifiuto
dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei
suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla
democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata
all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione
dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il
Socialista,
1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari
socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo
della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei
socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della
massoneria.
Allo scoppio della
guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente
antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere
l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per
grave
miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel
1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire
né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il
risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e
17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917
Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria",
della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi
all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.
Allo scoppio della
Rivoluzione russa nell'ottobre del
1917, aderì
al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista
Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista
in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu
questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine
Nuovo di
Antonio Gramsci e
Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a
Livorno
nel gennaio
1921 per formare il
Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga
divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel
dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da
Lenin per
entrare nella
Terza Internazionale.
Nel corso delle dispute
su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso
dell'Internazionale Comunista nel
1920, fece
aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante
l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI,
le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso
Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui
Bordiga rispose negli anni Cinquanta con un saggio contro i
falsificatori di Lenin). La storia del movimento comunista mondiale, con
la disastrosa deriva opportunista e stalinista di tutti i partiti
comunisti, accelerata ed aggravata proprio dalla tattica del fronte
unico, si prese poi la briga di dimostrare la correttezza delle
posizioni astensioniste.
Sotto la guida
carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere
un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito
all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva
prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli
intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si
fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su
quello che proprio in quel periodo si stava configurando come
"centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu
spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della
Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga
chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di
essere già il progetto, la base fondante della società futura e da
questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni
meccanismo interno mutuato dalla società presente.
Bordiga fu eletto nel
Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel
1923. Nel
giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla
direzione del partito per ordini di
Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato
esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la
Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci,
Togliatti,
Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si
stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante
disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.
Subito dopo il Congresso
di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra
Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò
al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di
intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere
il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino
sull'isola
di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei
prigionieri. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica
finché il
20
marzo
1930
venne espulso per aver difeso
Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non
poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla
polizia fascista.
Bordiga aveva un rapporto
quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci,
fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente
di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento
evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Gli fu amico anche
nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse
conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri
centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione
della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche
sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del
partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e
dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano.
Quando il gruppo
gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua
rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i
comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla
concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919
interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo
della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali
condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento
Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e
sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di
fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo
umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da
dozzina".
Gramsci ammetteva di non
accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose
a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli
del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in
margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a
una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario
da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente
acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non
comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una
azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le
altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale".
Al confino insieme per
qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci
organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna
"materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in
cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando
alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno (Le
citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).
In seguito allo sbarco
alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel
1944,
intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del 1921. Con la
guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni
del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni
congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato
nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò
quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945),
organo del neo-costituito
Partito Comunista Internazionalista.
All'uscita della rivista
"Prometeo" (1946),
organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un
Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento
programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul
filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le
origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale
impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti
a dimostrare che l'URSS
era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo
di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo
stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in
Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".
Germania Federale, 1967. Durante una
manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di
Germania Federale, 1967. Durante una
manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di
Persia Reza Pahlavi e consorte, la polizia attacca duramente i
manifestanti e spara e uccide lo studente Benno Ohnesorg. Ulrike
Meinhof, moglie, madre e giornalista militante della sinistra
radicale tedesca, scrive articoli di fuoco contro l’intervento
americano in Vietnam e in difesa degli studenti liquidati dal
governo e dalla stampa come meri teppisti. Dopo l’incendio
acceso in un magazzino di Francoforte, Ulrike conosce e
intervista in carcere una delle responsabili: Gudrun Ensslin,
figlia disinibita di un pastore protestante, madre di un figlio
ripudiato e compagna di politica e di cuore di Andreas Baader.
Affascinata dalla forza delle loro idee e della loro azione
politica, la giornalista aiuta Gudrun a far evadere il suo
compagno nella primavera del ‘70. L’evasione di Baader diventa
l’atto di nascita della RAF (Rote Armee Fraktion) e avvia la
clandestinità della Meinhof. Elaborato il manifesto
programmatico del gruppo armato, la Meinhof segue i compagni nei
campi militari palestinesi, dove verranno addestrati alle armi e
alla guerriglia urbana. Baader, Meinhof e Gudrun, rientrati in
patria, rapinano le banche e compiono attentati dinamitardi e
omicidi per abbattere il capitalismo e lo “Stato maiale”.
Inaugurano in questo modo dieci anni di piombo e sangue che li
condurranno dritti all’inferno, condannandoli all’isolationsfolter
e al suicidio collettivo nella divisione di massima sicurezza di
Stammheim. Dietro di loro resteranno soltanto l’ottusità
dogmatica e i troppi caduti incolpevoli.
È incredibile come due film distanti anni luce per concezione di
linguaggio e per intenzioni artistiche, come La banda Baader
Meinhof di Uli Edel e Buongiorno, notte di Marco
Bellocchio, attraversino lo stesso territorio (la ribellione
collettiva delle lotte sociali confluita e seppellita
definitivamente dalla lotta armata) legati da innumerevoli
interferenze e da sorprendenti contiguità. Concepiti in una
libertà di ispirazione completa e disinteressata a dimostrare
una tesi, le due opere si muovono dentro il sogno o dentro l’action
a partire dai dati di realtà, dalla cronaca e dalle
testimonianze di eventi cruciali che hanno generato infinite
storie e mitologie. È evidente che combinati i due aspetti
finiscano col rimandare e alludere a questioni politiche ancora
brucianti, generando nello spettatore rimproveri o encomi
secondo le differenti sensibilità chiamate in causa dai film.
Innestando immagini documentarie nel fluire di un racconto di
finzione, Edel, come Bellocchio, non vuole tanto restituire
all’epoca la sua verità in termini di “costume” ad uso della
verosimiglianza dell’assunto, quanto creare il contrappunto
della Storia con cui finiscono per interagire i personaggi in
una sorta di montaggio delle attrazioni fra gli eccidi
legittimati dai governi (Vietnam, Cambogia, Palestina) e le
esecuzioni dell’uomo politico (o economico), segnalando
l’equivalenza fra gli atti criminali statali e quelli dei
combattenti della RAF. Chi ha accusato Edel di aver fallito
l’obiettivo dichiarato di smontare il mito della RAF o di
essersi magari soltanto limitato a questo, non ha intuito
l’insistenza su una prospettiva altra, più profondamente umana e
lucida. Non ha avvertito il dolore costante che attraversa il
film e che pesa sulle spalle dei suoi straordinari interpreti,
sulla morte “per fame” di Holger Meins e sull’epilogo,
l’omicidio a sangue freddo dell’industriale Hanns Martin
Schleyer eseguito dalla “seconda generazione”.
In quelle due immagini c’è l’impatto dell’emozione, il dolore
per la perdita di una vita, il rimpianto per tutto quello che
avrebbe potuto essere e non è stato, per il funerale dell’essere
umano lasciato senza consolazione in un bosco o nel corridoio di
un penitenziario. La banda Baader Mainhof ci rammenta
che se gli anni Sessanta furono quelli del rinnovamento e dei
movimenti, gli anni Settanta furono quelli del dolore e del
rimpianto. Furono la strana normalità di tre ragazzi chiusi in
casa e scesi in strada per godere della libertà come violenza,
saltando da una finestra in un vuoto allucinatorio, nell’utopia
della distruzione e del suo potere salvifico. Nella velocità
dell’action Edel coglie e abita fino in fondo la dimensione
sospesa della decennale esperienza terrorista, ostaggio del
proprio delirio. Se la notte di Bellocchio riscopriva il
(buon)giorno, quella di Edel non sa sognare albe né può offrire
fughe immaginarie ai prigionieri di questa tragedia.
Rita, una donna dal carattere forte e
ribelle, in passato ha fatto parte della RAF, organizzazione
terroristica attiva in Germania negli anni '70. Rifugiatasi
nell'allora Repubblica Democratica Tedesca, ha cercato di
lasciarsi alle spalle il passato, ricostruendosi una vita
all'apparenza normale nell' "altro mondo" che sognava: qui trova
l'amore e diventa amica di Tatjana, una donna che invece sogna
di andare a vivere oltre il Muro, nella Germania Ovest. Ma
proprio la riunificazione delle due Germanie segnerà la fine di
tutto questo: Rita, braccata ancora una volta, dovrà infine fare
i conti con il suo passato. Il film è stato presentato alla
Berlinale 2002, dove le due attrici protagoniste sono state
premiate con l'Orso d'Argento.
Leggi le recensioni da altri dizionari:
1989. Christiane (Katrin Sass) vive
nella Germania dell'Est ed è una socialista convinta. La
donna cade in coma poco prima della caduta del muro di
Berlino. Quando si risveglia, otto mesi dopo, il figlio Alex
tenta di evitarle lo shock e fa di tutto per evitare che la
madre scopra che il paese è "caduto nelle mani dei
capitalisti". Campione di incassi in Germania. Che fare
quando la storia va avanti per tenere tranquilli coloro i
quali credevano di essere nel giusto? Raccontargli menzogne
come gli venivano raccontate prima. Con la non secondaria
differenza che a Lenin si è detto goodbye ma il futuro non è
rose e fiori. Satira ben calibrata quella di questo film che
i tedeschi ( e in particolare i berlinesi) hanno gradito
moltissimo. Nel film non c'è un pacchetto di caffè o di
sigarette che non ricordi loro un passato recente e non
piacevole.
Leggi le recensioni da altri
dizionari:
Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd
Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia
di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR.
Un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente
scrupolo. Dopo aver assistito alla pièce teatrale di Georg
Dreyman, un noto drammaturgo dell'Est che si attiene alle linee
del partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro
della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di
Dreyman, l'attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare
prove a carico dell'artista per avere campo libero. Ma
l'intercettazione sortirà l'esito opposto, Wiesler entrerà nelle
loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice
discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo
toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede
incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione.
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro
lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il
regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un
bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli
che colpirono il fanciullo che era allora. L'incoscienza e la
paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di
un'infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione. La
riflessione e l'interesse per il comportamento della
popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti
del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e
documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti
raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema
che finirà per implodere e abbattere il Muro.
La stretta sorveglianza, le perquisizioni, gli interrogatori, la
prigionia, la limitazione di ogni forma di espressione e
l'impossibilità di essere o pensarsi felici sono problemi troppo
grandi per un bambino. Le vite degli altri ha così il
filo conduttore ideale nel personaggio dell'agente della Stasi,
nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall'appartamento
della coppia protagonista. È lui, la spia, il singolare deus ex
machina che non interviene dall'alto, come nella tragedia greca,
ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell'ideologia
abbattuta dalla bellezza dell'uomo e dalla sua arte. Personaggio
dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento
imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore. Il
"metodo" della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno
e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli
altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino
in fondo con le loro idee. Gerd Wiesler contribuisce alla
riuscita dello "spettacolo" con suggerimenti, correzioni (alle
azioni della polizia), aggiustamenti (dei resoconti di polizia)
e note di regia che se non avranno il plauso dei superiori
avranno quello dei sorvegliati. "Attori" che recitano la vita ai
microfoni della Stasi e nella cuffia stereo dei suoi funzionari.
La vita quotidiana fatta di paure ed espedienti è restituita da
una fotografia cupa e bruna, tinte monocromatiche che avvolgono
i personaggi decisi a sopravvivere, a compromettersi e a
resistere. La Stasi aveva un esercito di infiltrati,
duecentomila collaboratori, Donnersmarck ne ha scelto uno e lo
ha drammatizzato con la prova matura e sorprendente di Ulrich
Mühe. Il drammaturgo "spiato" è invece Sebastian Koch,
l'ufficiale riabilitato di
Black Book,
intellettuale "resistente" per salvare l'anima del teatro e
della Germania.
Senzani,
il leader brigatista torna libero
"Dopo 23 anni di carcere sono un uomo diverso"
Il capo delle Br
più sanguinarie esce per "estinzione della pena". Con Mario Moretti
guidò il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro
ROMA - "I giudici
che m'hanno esaminato negli ultimi dieci anni hanno potuto
constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato
l'estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho
riconosciuto i miei errori davanti al tribunale di sorveglianza. Ora
sono un uomo libero. La politica del resto l'ho abbandonata da un
pezzo, ma non le mie idee di sinistra". La politica Giovanni Senzani
la praticava nelle colonne delle Brigate Rosse. Una parabola
terribile.
Aveva studiato a Berkeley. Era un criminologo di un certo talento.
Insegnava nelle università di Firenze e Siena. Scrisse perfino un
libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e
Liberazione. Poi il demone della violenza politica lo risucchiò nel
gorgo degli anni di piombo. A metà degli anni Settanta s'era
accostato alle Br, nella cui sezione genovese militava suo cognato
Enrico Fenzi: nel 1970 aveva sposato la sorella, Anna. Dopo il
sequestro Moro ne assunse di fatto il comando, insieme a Mario
Moretti. "Figura assolutamente atipica nel panorama del terrorismo
di sinistra italiano: il leader dell'ala più sanguinaria", lo definì
l'ex presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle
stragi Giovanni Pellegrino. Si disse che coltivasse legami con pezzi
deviati dei servizi segreti. In carcere divise la detenzione con Ali
Agca, indottrinandolo, secondo una certa vulgata, sulla pista
bulgara. Fu lui a trovare l'appartamento in via della Stazione di
Tor Sapienza a Roma dove venne sequestrato il giudice Giovanni D'Urso
e che Moretti, in tuta da ginnastica e attrezzatura da carpentiere,
trasformò velocemente in una prigione. E al compagno titolare
dell'immobile, che osò fargli un'osservazione, sibilò gelido: "Non
puoi saperlo meglio di me, che ho già fatto cinque sequestri".
Senzani gestì il sequestro di Ciro Cirillo ed ebbe l'ergastolo per
l'uccisione di Roberto Peci, trucidato il 3 agosto 1981 in un
casolare sull'Appia dopo un sequestro durato 53 giorni. Aveva la
sola colpa di essere il fratello del primo pentito delle Br,
Patrizio. Con una telecamera Telefunken avevano registrato tutti gli
interrogatori e quando lo finirono con undici colpi di pistola -
avvolgendo il cadavere in un drappo rosso sormontato dalla scritta
"Morte ai traditori" - uno dei sicari immortalò la scena con la
Polaroid. Fu una ferocia assoluta. Il sostituto procuratore Macchia
giunse sul posto, vide la scena e finì a terra svenuto.
Senzani lo presero sei mesi dopo. Gli anni Settanta erano finiti da
un pezzo. Nella foto segnaletica scattata in questura ha la zazzera
in disordine, un barbone incolto, lo sguardo scocciato. Non si è mai
pentito, né dissociato. Otto mesi fa ha quindi finito di scontare la
sua pena, ma la notizia è trapelata solo ora. Gli ultimi cinque anni
li aveva trascorsi in regime di libertà condizionale. Non poteva
uscire di casa dopo le ore 23 e aveva l'obbligo di presentarsi due
volte al mese in questura. Ci furono aspre polemiche per quella
concessione fatta dal tribunale di sorveglianza. "Risponderà davanti
a Dio di quello che ha fatto" commentò la madre di Peci, Amelia. Per
la Procura generale di Firenze non sussisteva "il requisito del
sicuro ravvedimento" e così fece ricorso. Ma la Cassazione alla fine
diede ragione a Senzani. "La nostro fortuna è stata quella di aver
trovato giudici scevri di condizionamenti" chiosa l'avvocato
Bonifacio Giudiceandrea. Dice Senzani, che oggi ha 68 anni: "Sono in
pensione, anche se continuo a collaborare con le Edizioni della
Battaglia. Verrà il tempo di parlare del mio passato".
Giovanni Senzani,
il capo più ambiguo e sanguinario delle Brigate Rosse,
ha finito di scontare definitivamente la sua pena otto mesi fa. Ma
la notizia è trapelata soltanto ieri, nessuno finora se ne era
accorto. Del resto l’ex criminologo, che fu consulente del ministero
di Grazia e Giustizia durante il sequestro Moro, era in libertà
condizionale da almeno cinque anni e
precedentemente aveva ampiamente usufruito del beneficio di
lavorare, all’esterno del carcere, presso una piccola casa editrice
che ogni giorno da anni raggiungeva pedalando la sua bicicletta. A
darne la notizia è stato l’edizione locale de La Repubblica,
al quale l’ex brigatista ha detto: ”I giudici hanno potuto
constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato
l’estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho
riconosciuto i miei errori davanti al Tribunale di sorveglianza. Ora
sono un uomo libero. La politica l’ho abbandonata da un pezzo, ma
non le mie idee di sinistra”. Ottimo, peccato che per sostenere
che Senzani è cambiato bisognerebbe sapere chi sia davvero stato in
passato. E questo nessuno sembra in grado di dirlo.
Nella sua scarna biografia è scritto che negli anni Settanta fu un
criminologo di un certo talento. Si era laureato nella città
californiana di Berkeley, insegnava nelle
università di Firenze e Siena,
scrisse persino un libro per Jaca Book, la casa
editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il
prestigioso incarico di consulente di via Arenula,
proprio negli anni in cui cadevano uno dopo l’altro, ammazzati dalle
Brigate Rosse, magistrati come Palma,
Minervini, Tartaglione, i più impegnati
nella riforma delle carceri. Omicidi rivendicati da comunicati Br
che grondavano di informazioni riservate, si parlò
di una Talpa interna ma lui rimse al suo posto. A Roma usufruiva in
via della Vite di un appartamento che divideva a metà con un
regista, che era però anche un informatore del Supersismi,
la tecnostruttura di stampo piduista ancora avvolta dal mistero.
Le note di agenzia ribadiscono ancor oggi che “Senzani guidò con
Moretti il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro”. In
effetti non fu mai condannato per il rapimento e l’uccisione del
Presidente, fu proprio il Sismi, allora diretto dal generale
Santovito (tessera P2 1630) a tirarlo fuori dal processo
grazie a un affidavit in cui si sosteneva che il professor
Senzani era in quei mesi impegnato in uno stage negli Usa. Nessuno
mai ritenne di approfondire la validità di una simile informativa,
anche se disperatamente l’ex vice questore di Genova Arrigo
Molinari andava sostenendo di avere le prove certe della
presenza di Senzani in Italia in quel periodo grazie intercettazioni
telefoniche, aprile 1978, tra alcuni medici genovesi e il
criminologo che appariva preoccupato dal fatto che un brigatista
torinese, gravemente ferito durante un attentato, potesse riprendere
conoscenza (e parlare).
Fu la commissione d’inchiesta sulle Stragi di Giovanni
Pellegrino a illuminare le molte zone d’ombra del
brigatista-criminologo. L’indagine, affidata al maggiore del Ros
Massimo Giraudo, focalizzò l’attenzione su
Palazzo Caetani, proprio quello di fronte al quale fu
ritrovata la Renault Rossa con all’interno il cadavere di
Moro il 9 maggio 1978. L’indagine condusse al sospetto che
fosse proprio quella l’ultima prigione di Aldo Moro, a partire dai
filamenti di tessuti, ritrovati sui suoi vestit che riportavano ai
magazzini sotterranei dei commercianti ebrei. Ebbene Senzani, quale
studioso apprezzato negli Usa, sembra frequentasse all’interno di
Palazzo Caetani un misterioso Centro Studi.
All’epoca dominus di Palazzo Caetani era Hubert
Hòward, un naturista americano che fu anche presidente di
Italia Nostra, cognato del musicista Igor
Markevitch sul cui ruolo di Anfitrione nel rapimento Moro
si è molto fantasticato. Hòward aveva partecipato alla liberazione
di Firenze, era rimasto molto legato ad ambienti importanti della
città. Molti passaggi riportano al capoluogo toscano, a quel
Comitato esecutivo delle Br, regia di comando del sequestro Moro.
Proprio lì, tanti anni dopo, il 3 marzo 1993 – la Prima
Repubblica era già stata travolta da Tangentopoli
e Andreotti stava per essere indagato dai
magistrati di Palermo – ecco che ricompare l’ombra del
Superservizio durante i lavori di ristrutturazione nel
palazzo nobiliare del defunto marchese Bernardo Lotteringhi
della Stufa. Si scoprì una soffitta piena di armi, tutte
avvolte con giornali risalenti al 1978. Il marchese rivelò che il
padre Alessandro aveva messo disposizione di un amico “importante”
il primo piano dell’edificio per incontri riservati e colloqui
telefonici (era stata collocata una cabina con segreteria
telefonica) per consentire contatti con una “fonte” in grado di
riferire sul sequestro Moro. L’amico era il colonnello
Federigo Mannucci Benincasa, capo del centro di
Controspionaggio di Firenze, mosaico di oscurità e
depistaggi. La fonte? I sospetti si concentrarono su Giovanni
Senzani, nessuno del resto ha mai creduto che il capo del Comitato
rivoluzionario toscano fosse negli Usa durante il sequestro Moro. E
lo storico Giuseppe De Lutiis insinua che sia stato
lui a condurre l’interrogatorio di Moro nel carcere, del resto era
l’unico in grado di farlo.
E’ questa la zona più in ombra della biografia di Senzani. Tutte le
informazioni che abbiamo riferito sono frutto dell’indagine
parlamentare, mai acquisite dal processo giudiziario. Il suo ruolo
di capo Br diventa esplicito a partire dal 3 agosto 1981,
quando fu ritrovato in un casolare sull’Appia il corpo trucidato di
Roberto Peci, dopo 53 giorni di prigionia con tanto
di interrogatorio, processo e condanna finale. Macabra pantomima del
processo Moro, chi sa mai a chi rivolta e perché. L’unica colpa di
Roberto era quella di essere fratello di Patrizio,
il primo brigatista pentito. Ci sono poi le cupe
pagine del sequestro Cirillo che vedono Senzani
spartirsi con i vertici del Sismi che facevano capo al generale
Pietro Musumeci (anche lui piduista) il riscatto
cui generosamente avevano partecipato gli imprenditori napoletani
interessati a spartirsi la torta degli appalti post-terremoto. Non
sappiamo chi sia oggi Giovanni Senzani, soprattutto non sappiamo chi
sia mai stato. Vale la pena di citare l’ironica risposta che diede
il pm Tindari Baglioni alla domanda di un giudice
che voleva sapere se davvero lo Stato fosse impreparato di fronte
alle Br. “Non so, certo sia noi che le Brigate rosse avevamo lo
stesso consulente, e cioè il Senzani”.
Musashi (nave da battaglia,
72000T,affondata a Leyte il 26 ottobre 1944)
(1942): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3),
12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm (8x3), 4x13 mm
(2x2). Nel
1944
sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati , mentre la difesa
antiaerea ravvicinata venne incrementata a 130 mitragliere da
25 mm perlopiù in impianti binati
Corazzatura
torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180mm tetto, 400
fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso il
fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura
superiore da 152mm; ponti corazzati, 200 principale, 9mm
antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione
comando, 550mm
Nel giugno 1937, degli ingegneri del cantiere
Mitsubishi di
Nagasaki, incluso il direttore Kensuke Watanabe e l'ingegnere
navale Kumao Baba, ricevettero ordine di iniziare i preparativi
per la costruzione di una nave da battaglia della nuova classe.
L'espansione dello scivolo numero 2 ispirò gli esecutivi della
marina ad ingaggiare il cantiere di Nagasaki per l'oneroso
contratto. Appositamente per questa nave furono costruite delle
gru galleggianti della capacità di 150 e 350 tonnellate per
sollevamenti pesanti. Costruita sotto le più strette misure di
segretezza, tra cui l'erezione di grandi schermi per nascondere la
costruzione dall'ambasciata statunitense di fronte al porto, la
nave da battaglia fu impostata il
1 novembre1940,
e trascorse quasi diciotto mesi in allestimento. La data del varo
fu rivista varie volte per consentire le modifiche richieste dalla
marina, incluse una corazzatura maggiore sulle torrette da 155 mm
e l'installazione di sistemi di comunicazioni agguntivi.
Varata il
5
agosto1942,
si diresse all'arcipelago di
Truk, dove divenne la nave ammiraglia dell'ammiraglio
Isoroku Yamamoto. Dopo la sua morte avvenuta il
18 aprile1943,
la Musashi trasportò in Giappone le sue ceneri. Fece
ritorno a Truk il
5
agosto1943,
e vi rimase fino al
10 febbraio1944.
La sua unica attività in questo periodo fu un'uscita verso le
isole Marshall , durante la quale non incontrò alcuna forza
nemica. Il
29 marzo1944,
fu colpita da un siluro del
USS Tunny, e dovette ritornare in Giappone per delle
riparazioni e delle modifiche al suo armamento antiaereo.
Durante la
battaglia del golfo di Leyte, assieme alla Yamato, fece
parte della forza centrale del vice ammiraglio
Takeo Kurita. In questa battaglia il
24 ottobre1944,
venne attaccata nel mare di
Sibuyan da aerei delle navi americane: il primo contatto con gli
aerei nemici avvenne alle 10:27, quando otto bombardieri
SB2C Helldiver provenienti dalla
USS Intrepid attaccarono la nave con bombe da 227 kg. Ondata
dopo ondata, gli attacchi dalle navi USS Intrepid,
USS Essex e
USS Lexington centrarono la nave con 17 bombe e 20 siluri. La
Musashi si rovesciò a babordo, e affondò alle 19:25
del
24 ottobre, portando con sé più di 1000 dei suoi 2399 membri
dell'equipaggio; 1376 uomini vennero soccorsi dalle
cacciatorpediniere Kiyoshimo e Shimakaze.
"Den ensomme Nordens Dronning", ovvero La Regina
solitaria del Nord, datole dai
Norvegesi
La Tirpitz fu una
nave da battaglia della
Kriegsmarine
tedesca, seconda e ultima unità della
Classe Bismarck. Essa fu concepita, insieme alla gemella
Bismarck, per essere la punta di
diamante della marina tedesca. Entrata in servizio molto dopo
lo scoppio della
seconda guerra mondiale, la nave partecipò a pochissime azioni
belliche, passando la maggior parte della sua vita a nascondersi
nei
fiordi
norvegesi dagli attacchi degli
Alleati; di fatto essa ebbe funzione di "fleet in being", cioè
quella di tenere occupata una gran quantità di forze nemiche per
via della sua pericolosità potenziale.
Dopo l'affondamento della gemella Bismarck, fu
soprannominata dai norvegesi "La regina solitaria del Nord" ("Den
ensomme Nordens Dronning").
Inizialmente la nave venne assegnata alla flotta che operava
nel
Mar Baltico, ma questa formazione venne sciolta dopo poco
tempo e la Tirpitz venne inviata in Norvegia, da dove
avrebbe dovuto prendere parte alle missioni contro i
convogli che rifornivano l'Unione
Sovietica; la nave giunse a
Trondheim il
12 gennaio1942.
Il
6 marzo1942
prese parte alla sua prima missione operativa (Operazione
Sportpalast) cercando di attaccare il convoglio PQ-12, ma le
avverse condizioni del mare impedirono l'intercettamento; la
portaerei britannica
HMS Victorious lanciò contro la nave dodici
aereosiluranti
Fairey Albacore, ma l'attacco non ebbe esito e due aerei
furono abbattuti. La breve missione mise subito in luce un grave
aspetto negativo che avrebbe fortemente condizionato le future
operazioni della nave: in un solo giorno di navigazione la
Tirpitz e i suoi
cacciatorpediniere di scorta avevano consumato 8.100
tonnellate di carburante, una cifra insostenibile in quel momento
per la Germania
[2].
Nella notte tra il
30 e il
31 marzo, la nave, ancorata a Trondheim, fu oggetto di un
pesante attacco aereo ad opera di bombardieri
Halifax e
Lancaster, i soli velivoli dotati di sufficiente autonomia per
raggiungere Trondheim dalla
Gran Bretagna; la scarsa visibilità e la cortina fumogena
stesa sopra la corazzata fecero fallire la missione, e dodici
aerei furono abbattuti. Il
2
luglio la Tirpitz uscì in mare per attaccare il
convoglio PQ-17 (Operazione Rosselsprung), ma le avverse
condizioni meteo fecero ancora una volta fallire
l'intercettamento; il
sommergibile sovietico K 21 dichiarò di aver colpito la
corazzata con un
siluro, ma la nave non riportò alcun danno. Le difficoltà
riscontrate nella navigazione nelle
acque artiche obbligarono la nave a sottoporsi ad alcuni
lavori di manutenzione a Trondheim.
Tra il
26 e il
30 ottobre1942,
i britannici cercarono di attaccare la Tirpitz impiegando i
sommergibili tascabili
Chariot, copia britannica dei
SLC
italiani (Operazione Title). Il
peschereccioArthur, dotato di equipaggio norvegese,
trasportò due Chariot e sei
sommozzatori britannici fino all'imboccatura del fiordo di
Trondheim; i Chariot vennero calati in acqua e agganciati all'
Arthur con una speciale attrezzatura, che permetteva al
peschereccio di rimorchiarli mantenedoli sotto il pelo dell'acqua.
La nave riuscì ad avvicinarsi ad una distanza di 5
miglia dalla Tirpitz, ma una improvvisa tempesta ruppe
i cavi di rimorchio, e i Chariot affondarono prima che i
sommozzatori britannici potessero riprendere il controllo.
L'equipaggio dell' Arthur e i sommozzatori vennero tutti
fatti prigionieri dai tedeschi
[3].
Nel
settembre del
1943,
l'Ammiragliato
britannico decise di tentare un nuovo attacco alla Tirpitz
impiegando i minisommergibili
Classe X (Operazione Source); sei di questi vennero
traninati da sommergibili normali fino all'imboccatura del firdo
di Alta. Due X Craft andarono dispersi durante il lungo viaggio
verso la Norvegia, mentre un terzo (l'X 5) si guastò durante la
navigazione e dovette essere affondato. Nelle prime ore del
mattino del
22 settembre, i tre minisommergibili superstiti penetrarono in
immersione nel fiordo di Alta. Uno di essi, l'X 10, ebbe dei gravi
problemi meccanici e dovette tornare indietro. Il
tenente
Donald Cameron, al comando dell'X 6, riuscì invece ad
avvicinarsi alla Tirpitz e a trovare un varco nella rete
parasiluri disposta intorno alla nave; mentre si avvicinava allo
scafo, tuttavia, l'X 6 urtò un banco di sabbia, facendo spuntare
dall'acqua parte della torretta e mettendo così in allarme le
sentinelle tedesche. Mentre i tedeschi aprivano il fuoco con le
mitragliatrici e i cannoncini, Cameron riuscì ad avvicinarsi
ulteriormente alla Tirpitz, riuscendo anche a sganciare le
due cariche a tempo di cui era dotato, che rotolarono però a poca
distanza dallo scafo della nave. Poco dopo l'X 6 riemerse, e
Cameron e gli altri tre membri dell'equipaggio vennero fatti
prigionieri. Mentre i tedeschi erano impeganti a prestare soccorso
all'equipaggio dell'X 6, davanti alla Tirpitz emerse
dall'acqua l'X 7 del tenente
Basil Place; l'X 7 era riuscito ad aprirsi un varco nella rete
parasiluri e ad avvicinarsi allo scafo della corazzata,
depositando come previsto le due cariche a tempo di cui era
dotato. Mentre si allontanava, l'X 7 rimase impigliato nella rete
parasiluri, e nel tentativo di liberarsi era riemerso; i tedeschi
aprirono subito il fuoco sul piccolo mezzo, che tuttavia fu in
grado di divincolarsi dalla rete e di fuggire.
Informato dell'accaduto, il capitano della Tirpitz Hans
Meyer ordinò di condurre la nave in acque più profonde. Mentre
erano in corso queste manovre, la corazzata venne investita da due
potenti esplosioni. L'onda d'urto delle detonazioni raggiunse
anche l'X 7, facendolo riaffiorare; Place e un altro marinaio
riuscirono ad abbandonare il sommergibile, che poco dopo affondò
trascinando con se gli altri due membri dell'equipaggio. La
Tirpitz rimase a galla, ma riportò danni gravissimi: le
quattro torri dei cannoni da 380 mm si staccarono dai basamenti,
uno dei cannoni da 150 mm rimase completamente bloccato, i
meccanismi di tiro subirono gravi danni, e il rivestimento della
turbina di
babordo si piegò impedendo alle eliche di girare; la tenuta
stagna aveva impedito l'affondamento, ma nello scafo si aprirono
varie falle e un certo numero di intelaiature venne spezzato
[4].
Il fatto che la nave fosse ancora a galla trasse in inganno la
ricognizione britannica, che si rese conto dei danni riportati
dalla corazzata solo al termine della guerra. I tenenti Cameron e
Place vennero decorati con la
Victoria Cross, mentre agli altri membri dell'equipaggio dei
due sommergibili vennero distribuite tre
Distinguished Service Order e una
Conspicuous Gallantry Medal.
L'Operazione Tungsten e gli attacchi delle portaerei
[modifica]
La Tirpitz venne trainata nel
fiordo di Kaa, un crepaccio al largo del fiordo di Alta; sulle
scogliere venne disposto un gran numero di batterie contraeree,
mentre sulle pareti del fiordo venne installata una conduttura in
grado di avvolgere in breve tempo la nave con una cortina
fumogena. Vista la mancanza di strutture portuali adeguate ad una
nave delle dimensioni della Tirpitz, le riparazioni
dovettero essere effettuate in acqua, e, nonostante l'arrivo di
numerosi tecnici ed operai direttamente dalla Germania,
procedettero lentamente. L'11
febbraio1944,
bombardieri sovietici decollati da
Arcangelo tentarono di attaccare la corazzata, ma 11
bombardieri su 15 non trovarono il fiordo, mentre gli altri
mancarono il bersaglio.
Nell'aprile
del 1944,
la
Royal Navy pianificò una nuova serie di bombardamenti contro
la corazzata, questa volta ad opera di
bombardieri in picchiata imbarcati su portaerei. Il
3
aprile venne lanciato il primo attacco (Operazione Tungsten):
una grossa squadra navale, composta dalle portaerei
HMS Victorious e
HMS Furious, dalle navi da battaglia
HMS Duke of York e
HMS Anson e da 14 tra incrociatori e
cacciatorpediniere, lanciò 42 bombardieri
Fairey Barracuda e vari
caccia
Corsair,
Hellcat e
Wildcat di scorta. Attaccando in due ondate, i bombardieri
britannici piazzarono 15 bombe da 500 kg sulla corazzata: alcune
bombe esplosero sulle torrette corazzate provocando pochi danni,
ma altre penetrarono il ponte superiore ed esplosero nei
compartimenti sottostanti, provocando 122 morti e 316 feriti tra i
membri dell'equipaggio; nonostante l'incendio scoppiato, la nave
non riportò danni gravi. I britannici persero due Barracuda e un
Hellcat
[5].
Altre tre missioni delle portaerei britanniche, previste per il
24 aprile, il
15 maggio e il
28 maggio vennero annullate a causa delle condizioni del mare,
mentre il
17 luglio (Operazione Mascot) i Barracuda trovarono la
nave completamente avvolta dal fumo e mancarono il bersaglio. Il
24 agosto (Operazione Goodwood III) un Hellcat riuscì a
piazzare una bomba sulla torre n.2, mentre un Barracuda sganciò
una bomba perforante che trapassò due ponti ma non esplose; questi
attacchi non provocarono che danni minimi, ma rallentarono i
lavori di riparazione della nave.
Il compito di attaccare la Tirpitz tornò di nuovo ai
bombardieri pesanti della RAF. Il
15 settembre 27 Lancaster attaccarono la corazzata impiegando
le
bombe Tallboy dal peso di 5.400 kg; delle 16 bombe
effettivamente lanciate, una sola colpì la nave, trapassando il
ponte e il rivestimento laterale ed esplodendo in acqua,
deformando gravemente lo scafo a
prua.
Vista l'impossibilità di riportare la nave in Germania per le
riparazioni, l'ammiraglio
Karl Dönitz, comandante della Kriegsmarine, ordinò di
trasferire la nave in acque più basse, dove, in caso di
affondamento, sarebbe stato possibile recuperarla. Spostandosi
alla velocità ridotta di 10 nodi, la Tirpitz giunse a
Sørbotn, presso
Tromsø, dove venne adibita a batteria costiera galleggiante.
Il 12 novembre1944,
la nave venne attaccata da 31 Lancaster (Operazione Catechism);
delle 29 Tallboy effettivamente lanciate, tre colpirono la
corazzata, perforando il ponte corazzato al centro della nave,
distruggendo due caldaie e una sala macchine e provocando uno
squarcio lungo 14 metri nello scafo. Le fiamme avvolsero in breve
tempo la nave, che iniziò ad inclinarsi. Dopo che un'altra
esplosione ebbe squarciato la torre n.3, la nave si capovolse
completamente e affondò, anche se la cima della
chiglia rimase fuori dall'acqua. Dei
1.700 membri dell'equipaggio presenti a bordo, 1.058 persero la
vita (tra cui il nuovo comandante,
capitano di vascello Weber), mentre 87 furono salvati dalle
squadre di salvataggio che praticarono fori nella chiglia con le
fiamme ossidriche
[6].
Al termine della guerra, lo scafo venne venduto come ferraglia
al governo norvegese e demolito tra il
1948
e il 1957.
Yamato (nave da battaglia,72000
t,affondata ad Okinawa, 7 aprile 1945)
(1941): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3),
12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm, 8x13 mm. Nel
1945
sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati e le 2 torri
laterali di questo tipo vennero rimpiazzate da altre 6 binate
da 127/40 mm mentre la difesa antiaerea ravvicinata venne
incrementata a 146 mitragliere da 25 mm per lo più in impianti
binati
Corazzatura
torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180 mm tetto,
400 fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso
il fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura
superiore da 152 mm; ponti corazzati, 200 principale, 9 mm
antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione
comando, 550 mm.
La Yamato (大和), fu una
nave da battaglia della
Marina Imperiale Giapponese. Insieme alla pariclasse
Musashi fu la più grande nave da battaglia mai
costruita, con un dislocamento di 65.027 tonnellate ed armamento
principale costituito da 9 cannoni da 460 mm.
Lo sviluppo della Yamato giunse al termine di un lungo
processo di revisione dei piani di sviluppo della Marina Imperiale
Giapponese, nella ottica di adeguare le unità belliche navali
giapponesi nel contesto di grande potenza economica e commerciale
quale già il Giappone si apprestava a divenire in quegli anni.
Nel
marzo
1937, dopo una lunga sperimentazione su modelli in scala
condotta nella vasca del Centro per le Ricerche Tecniche Navali di
Tokio, venne elaborato il progetto definitivo che prevedeva
una nave da 68.000 tonnellate. La Yamato venne impostata
presso l'Arsenale di Kure il
4 novembre1937,
fu varata l'8
agosto1940
ed entrò in servizio il
16 dicembre1941
(nove giorni dopo l'attacco a
Pearl Harbor). Era nelle intenzioni della Marina Imperiale
Giapponese di costruire quattro navi di questa classe, ma la
Shinano, ancora sullo scalo, venne convertita in portaerei
e fu affondata nel
1944
silurata dal sommergibile americano Archerfish, la quarta nave,
identificata solo come Nave da Guerra N. 111 venne smantellata nel
1943,
quando era completata per circa il 30%. I piani per una classe
Super Yamato dotata di cannoni da 508 mm vennero
abbandonati.
Le navi da battaglia della classe Yamato erano superiori come
armamento e stazza alle nuove navi da battaglia
statunitensi
classe Iowa che vennero progettate per sostenere le flotte
portaerei vista la loro grande velocità di progetto di ben 33 nodi
ed erano usate come le giapponesi classe Kongo. La lenta e
inutilizzata Yamato rimase ferma in porto per gran parte della
guerra. Poteva essere usata solo a sostegno di sbarchi in aree
intensamente difese. Situazione che non si presentò mai ai
giapponesi. Per le navi da battaglia statutitensi l'armamento
principale previsto era costituito da cannoni da 406 mm, mentre la
scelta Giapponese cade su un calibro superiore (460mm).
Le torri trinate da 460mm, due a prua e una a poppa, pesavano
ciascuna 2.510 tonnellate senza munizionamento. Lo sviluppo di
questi nuovi cannoni venne mantenuto segreto, ufficialmente
l'armamento di questa classe di navi era stabilito fossero pezzi
da 406mm, lo stesso calibro previsto per la classe statunitense
Classe Iowa; nei bilanci annuali della Marina Imperiale
Giapponese, gli ingenti costi di sviluppo di questi nuovi cannoni
vennero ripartiti su voci diverse, di modo che potessero passare
inosservati ai servizi di spionaggio stranieri. Ma il complesso di
artiglierie non è da considerarsi per via del calibro superiore a
quello delle navi statunitensi, questi avevano disponibilità di
acciai migliori.
La Yamato in costruzione
Tavola prospettica della Yamato nella sua configurazione
finale
Dal
12 febbraio1942
all'11
febbraio1943
la Yamato fu la nave ammiraglia del comandante
Yamamoto, avvicendata poi dalla Musashi. Prese parte alla
battaglia delle Midway (giugno1942),
senza tuttavia riuscire ad arrivare a distanza utile per poter
ingaggiare le portaerei americane. Nel corso del
1943,
la Yamato tornò nel cantiere di
Kure
ove la sua dotazione di artiglieria antiaerea venne notevolmente
potenziata. Verso la metà del 1943 fece ritorno a Truk, assieme
alla gemella Musashi per proteggere le
isole Marshall e le
isole Gilbert, senza però mai giungere a contatto con le forze
americane e restando a Truk per la maggior parte del tempo. Il
24 dicembre1943,
venne gravemente danneggiata da un siluro del sommergibile
USS Skate ed i lavori di ripristino furono conclusi
solo nell'aprile1944.
Durante questi lavori due delle torrette da 155mm furono rimosse e
sostituite da ulteriori armi antiaeree. Tornata in servizio
attivo, prese parte alla
battaglia del Mare delle Filippine (giugno) e a quelle
del Golfo di Leyte e
del Golfo di Samar (ottobre); qui, per la prima volta, fece
uso del suo armamento principale, sparando 104 colpi da 460mm e,
probabilmente, colpì un
cacciatorpediniere ed una
portaerei. Tornò in patria nel mese di novembre. Durante
l'inverno venne ulteriormente potenziato il suo armamento
antiaereo.
L'ultima missione della Yamato fu l'Operazione
Ten-Go (l'ultima sortita della marina imperiale Giapponese),
organizzata in seguito all'invasione di
Okinawa (1
aprile1945).
Sotto il comando del Vice-ammiraglio Yokuyama e con la scorta di
un incrociatore leggero ed otto cacciatorpediniere, fu mandata ad
attaccare la flotta americana che appoggiava lo sbarco nella parte
occidentale dell'isola. Lo scopo era quello di allontanare da
Okinawa le portaerei per favorire l'attacco dei
kamikaze contro la flotta di invasione (circa 1.500 navi) che
appoggiava lo sbarco. Se fosse riuscita a raggiungere Okinawa, la
Yamato sarebbe dovuta andare ad arenarsi tra Hagushi e Yontan e
combattere sino all'ultimo come
batteria costiera, in appoggio ai difensori dell'isola.
Poiché fin dall'inizio questa era stata intesa come una
missione suicida, fu rifornita del carburante sufficiente per il
solo viaggio di andata verso Okinawa; comunque gli addetti al
deposito di carburante di
Tokiuyama, coraggiosamente, ignorarono gli ordini e fornirono
molto più carburante alla squadra. La Yamato e la sua scorta
lasciarono il porto di Tokuyama il pomeriggio del
6
aprile1945.
La mattina del
7
aprile la squadra fu avvistata all'uscita del Mare Interno del
Giappone da due sottomarini USA e da un
ricognitore della portaerei
Essex.
Verso mezzogiorno, una forza
di quasi 400 aerei americani della Task Force 58, in ondate
successive, attaccò le unità giapponesi. Alle 12:41 la Yamato fu
colpita dalle prime due bombe. Fu colpita complessivamente da
almeno 13 siluri e 10 bombe prima che, verso le 14:20 esplodesse
il deposito munizioni N.1. La nave si inclinò sul
fianco sinistro ed affondò, mancavano circa 370 miglia a
Okinawa. Nell'affondamento persero la vita circa 2.375 uomini
e ci furono 269 sopravvissuti. Delle navi della sua scorta,
quattro furono affondate e cinque gravemente danneggiate e
costrette a rientrare in Giappone. Le perdite americane furono 10
aerei e 12 piloti. Il
relitto giace a circa 300 metri di profondità ed è stato
esplorato nel
1985
e nel
1999.
La Yamato nel 1941
L'esplosione della Yamato
La Yamato nella cultura e nella finzione
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Dopo Stalingrado -
3 febbraio 1943 - 3 maggio 1944
La battaglia di Novorossijsk si svolse tra il
4 e il 15 febbraio 1943 nell'ambito dei più vasti
eventi delfronte
orientale dellaseconda
guerra mondiale. Caduta in mano alle forze
dell'Asse nel settembre 1942, la città diNovorossijsk rappresentava
un importante scalo nelle acque delMar
Nero e la sua riconquista costituiva un obiettivo strategico
per le forze dell'Unione
Sovietica. Agli ordini del generale Ivan
Maslennikov e dell'ammiraglioFilipp
Oktâbr'skij, le unità dell'Armata
Rossa lanciarono quindi un'offensiva nelle prime ore del 4
febbraio per riconquistare la città con un'operazione anfibia
lungo la costa a sud-ovest dell'abitato di Novorossijsk.
Lo sbarco principale, appoggiato da lanci di paracadutisti e
bombardamenti dal mare da parte delle navi della Flotta
del Mar Nero, fu tentato nei pressi della località di
Južnaja Ozerejka, mentre uno sbarco secondario con funzione
diversiva aveva luogo all'imboccatura meridionale della Baia
del Cemes nei pressi del villaggio di Stanička. Lo sbarco a
Južnaja Ozerejka si trasformò ben presto in un disastro: le
imbarcazioni sovietiche che tentavano di arrivare a riva furono
accolte da un pesante fuoco di sbarramento da parte dei
difensoritedeschi eromeni,
che impedirono l'afflusso di ulteriori rinforzi; le poche
centinaia di soldati sovietici sbarcati furono ben presto
eliminate nei giorni seguenti sancendo il fallimento
dell'operazione.
Il piccolo distaccamento sceso a terra a Stanička riuscì invece
a stabilire una solida testa
di ponte; immediatamente rinforzato da ulteriori reparti,
nei giorni seguenti il contingente riuscì a espandere il
perimetro fino ad arrivare nei pressi dei sobborghi di
Novorossijsk dove fu infine bloccato dalle truppe dell'Asse. La
città di Novorossijsk rimase quindi in mano ai tedeschi fino al
settembre 1943, quando venne infine sgombrata dagli occupanti.
Posta lungo la costa meridionale della regione del Kuban' in
fondo allaBaia
del Cemes, la città di Novorossijsk rappresentava un
importante scalo navale nel bacino del Mar
Nero; a seguito dell'invasione
tedesca dell'URSS e della conseguente occupazione dellaCrimea e
dell'Ucraina,
la città era divenuta inoltre un'importante base navale avanzata
per le unità della Flotta
del Mar Nero sovietica, scacciate dai loro ancoraggi
principali diSebastopoli e
a corto di scali attrezzati per il ricovero e la riparazione
delle imbarcazioni più importanti. L'occupazione di Novorossijsk
rappresentava quindi un importante obiettivo strategico per le
forze tedesche impegnate, dalla fine del giugno 1942, nella
grande e risolutiva offensiva sferrata nella Russia meridionale
(la cosiddettaoperazione
Blu): lanciato nella sua corsa verso i campi petroliferi
del Caucaso,
il Gruppo
d'armate A delGeneralfeldmarschallWilhelm
List distaccò quindi la17ª
Armata del generaleRichard
Ruoff perché occupasse Novorossijsk e gli altri importanti
centri costieri della regione del Kuban'.
Le forze di Ruoff, composte da truppe tedesche e romene,
attaccarono Novorossijsk alla fine dell'agosto 1942, e per il 10
settembre la città e il suo porto erano cadute in mano alle
forze dell'Asse nonostante la dura resistenza opposta dai
difensori sovietici. Le unità dell'Armata
Rossa, tuttavia, mantennero il possesso dei sobborghi
orientali della città e della strada costiera che correva verso
sud, impedendo ai tedeschi di avanzare ulteriormente lungo la
costa del Kuban' prima che l'inverno imponesse un forzato stop
alle operazioni; l'attenzione dei tedeschi era stata del resto
dirottata molto più a nord sul fronte davanti Stalingrado,
dove era in corso una
feroce battaglia[1].
La situazione mutò drasticamente nel novembre 1942, quando i
sovietici diedero il via a una serie di controffensive
accerchiando le forze dell'Asse a Stalingrado (operazione
Urano) e spezzando in più punti il loro fronte lungo il fiume
Don entro la fine dell'anno. Con la prospettiva che i
sovietici potessero raggiungere le coste delMar
d'Azov e tagliarlo fuori, il Gruppo d'armate A dovette
immediatamente arrestare l'avanzata alla volta del Caucaso e
dare il via a una ritirata generale alla volta dell'Ucraina;
pensando di poter riprendere l'avanzata in futuro, però,Hitler pretese
che la 17ª Armata mantenesse il possesso della regione del Kuban'
attestandosi a difesa[2].
La difesa di Novorossijsk e di tutta la costa meridionale della penisola
di Taman' era responsabilità delV
Corpo d'armata tedesco del generaleWilhelm
Wetzel; a protezione della costa a sud-ovest di Novorossijsk
era schierata la 10ª Divisione di fanteria romena, rinforzata da
alcuni reparti di artiglieria costiera, di artiglieria
contraerea e di proiettori
da ricerca tedeschi. Le operazioni di ricognizione delle
spiagge eseguite dalle unità sovietiche nei giorni precedenti
avevano attirato l'attenzione delle forze dell'Asse, e alle
00:35 del 4 febbraio il comando del V Corpo mise in stato di
massima allerta tutti i reparti dipendenti circa la possibilità
che il nemico potesse lanciare un'operazione anfibia. Le manovre
diversive sovietiche iniziarono come previsto alle 00:45, con
una serie di bombardamenti aerei e navali in vari punti della
costa; il lancio dei paracadutisti tra Glebovka e Vasilevka ebbe
luogo come previsto, anche se uno degli aerei da trasporto
dovette rientrare alla base senza essere riuscito a individuare
la zona di lancio, riducendo di un buon 25% la consistenza della
forza sovietica: più che causare danno alle forze dell'Asse,
questo lanciò finì però con il dare un'indicazione precisa sul
luogo dell'imminente sbarco sovietico[3][7].
Truppe sovietiche a bordo di carri leggeri M3 Stuart,
ceduti dagli Stati Uniti per effetto della legge Lend-Lease
Alle 02:30 le unità sovietiche iniziarono il tiro contro le
postazioni tedesco-romene a Južnaja Ozerejka. Il bombardamento
fu molto pesante, con almeno 2.000 colpi di grosso calibro
sparati dalle navi del gruppo di Vladimirskij cui si unirono
alcune batterie di lanciarazzi Katjuša montati
su imbarcazioni leggere (il primo impiego di un tale sistema
d'arma in ambiente navale)[3];
tuttavia, la mancanza di un efficace sistema di direzione del
tiro lasciò intatte molte delle postazioni difensive dell'Asse.
Gli incrociatori cessarono il fuoco alle 03:00, anche se i
cacciatorpediniere continuarono a cannoneggiare le spiagge fino
all'arrivo dei primi mezzi da sbarco alle 03:30[8].
Non appena le prime imbarcazioni dei sovietici si avvicinarono
alla spiaggia, furono inquadrate dai proiettori tedeschi e fatte
oggetto di un pesante fuoco di artiglieria, mortai e
mitragliatrici; molte imbarcazioni furono colpite e ilcutterSKA-051,
centrato in pieno, esplose e affondò con la morte di tutti gli
occupanti tra cui il comandante della forza di avanguardia
sovietica, tenente
comandante A. P. Ivanov: questa perdita in particolare fu
molto grave, perché lasciò i primi reparti sbarcati senza guida
e coordinazione. Le lente chiatte cariche dei carri armati si
rivelarono bersagli anche troppo facili per i cannonieri
dell'Asse: la prima di esse venne colpita a circa 200 metri
dalla spiaggia e iniziò ad affondare con tutti i dieci carri
leggeri ancora a bordo, obbligando i 350 uomini imbarcati a
nuotare nell'acqua gelida per mettersi in salvo. La seconda
chiatta riuscì ad avvicinarsi fino a 100 metri dalla riva prima
di essere immobilizzata da un ostacolo sommerso: il bersaglio
immobile fu incendiato dal fuoco nemico e infine esplose
fragorosamente dopo che le fiamme ebbero raggiunto le munizioni
stivate a bordo, ma sette dei dieci carri riuscirono a sbarcare
e a raggiungere la riva nonostante le alte onde.
Il successo nel respingere rapidamente lo sbarco sovietico a
Južnaja Ozerejka instillò un falso senso di sicurezza nei
comandi tedeschi, che sottovalutarono la testa di ponte a
Stanička e si mossero troppo lentamente per eliminarla:
un'offensiva in tal senso fu progettata dalla 17ª Armata per il
7 febbraio, in attesa che la 198ª Divisione fanteria tedesca
completasse il trasferimento da Krasnodar a
Novorossijsk. All'opposto, il comandante del Fronte del Caucaso
Maslennikov non mostrò alcuna esitazione e ordinò che la testa
di ponte venisse immediatamente rinforzata e tenuta a ogni
costo: nel giro di pochi giorni circa 17.000 uomini, 21 cannoni
e 74 mortai della 18ª Armata furono sbarcati all'interno
dell'angusto perimetro, rendendo vano qualunque tentativo
tedesco di ributtare in mare i sovietici. Il maggiore Kunikov
non poté tuttavia godersi il suo successo: nella notte tra l'11
e il 12 febbraio rimase gravemente ferito dopo aver calpestato
unamina,
e benché evacuato cadde vittima della gangrena in
un ospedale di Gelendžik il 14 febbraio seguente; Kunikov fu
insignito postumo del titolo diEroe
dell'Unione Sovietica, massima onorificenza nazionale
dell'URSS[3][10].
Nonostante vari contrattacchi tedeschi, le forze sovietiche
ammassate nella Malaja Zemlja, ora agli ordini del
colonnello Potapov della 255ª Brigata, riuscirono non solo a
tenere la posizione ma anche a espandere lentamente il perimetro
della testa di ponte. I tedeschi tenevano le alture dominanti e
battevano costantemente le postazioni nemiche con fuoco
d'artiglieria e incursioni aeree, obbligando i sovietici a
sbarcare i rifornimenti solo con il favore del buio;
ciononostante, le forze di Potapov riuscirono a conquistare
l'intero abitato di Stanička il 10 febbraio e a spingersi fino
ai sobborghi meridionali di Novorossijsk il 14 febbraio,
ampliando il perimetro della Malaja Zemlja a 34
chilometri di lunghezza e sette di profondità. Alla fine,
entrambe le parti si attestarono a difesa anche per il
peggiorare delle condizioni meteo[3].
Il gruppo scultoreo del memoriale di Novorossijsk; il
monumento è stato realizzato sul luogo dello sbarco delle
truppe di Kunikov a Capo Khako
La grande offensiva sovietica per liberare Novorossijsk e
schiacciare la 17ª Armata tedesca nel Kuban andò incontro a un
sostanziale fallimento: lo sbarco a Južnaja Ozerejka fu una
pesante sconfitta che costò ai reparti sovietici 630 caduti in
combattimento, più di 200 annegati durante lo sbarco e 542
prigionieri caduti in mano ai tedeschi, mentre gli scontri per
il possesso della Malaâ Zemlâ, protrattisi per diversi
mesi a seguire, causarono non meno di 21.000 perdite nei ranghi
dell'Armata Rossa[3].
È difficile dire se il possesso di Capo Khako si sia rivelato di
qualche utilità per le forze sovietiche: la postazione negava ai
tedeschi l'uso del porto di Novorossijsk, ma la 17ª Armata
disponeva di ulteriori scali portuali e campi d'aviazione nelle
sue retrovie nella penisola
di Taman', che si dimostrarono più che adeguati per portare
a termine la progressiva evacuazione dell'armata dalla
cosiddetta "testa
di ponte del Kuban'" più avanti nel corso dell'anno; benché
fondamentalmente inutili nell'agevolare la riconquista di
Novorossijsk, gli scontri di Malaâ Zemlâ furono nondimeno
mitizzati dalla propaganda sovietica[11].
La liberazione di Novorossijsk dovette attendere ancora diversi
mesi. Il 17 aprile i tedeschi sferrarono una grande
controffensiva (operazione
Neptune) contro le postazioni sovietiche nella Malaâ
Zemlâ impiegando tre divisioni; seguirono pesanti scontri
con i sovietici attestati a difesa che portarono alla
riconquista da parte tedesca di parte del terreno perduto in
febbraio, ma l'operazione si concluse il 23 aprile senza essere
riuscita a eliminare completamente la testa di ponte sovietica[12].
La situazione rimase fondamentalmente stazionaria fino ai primi
di settembre 1943, quando i tedeschi avviarono infine
l'evacuazione della regione del Kuban; approfittando dell'avvio
del ripiegamento, nella notte tra il 9 e il 10 settembre i
sovietici lanciarono un nuovo grande attacco sul fronte di
Novorossijsk: l'azione fu appoggiata da vari sbarchi anfibi a
nord e ovest del porto di Novorossijsk, anche se senza troppo
successo. Il V Corpo d'armata trattenne le forze sovietiche quel
tanto che bastava a completare la demolizione delle strutture
portuali della città, dopodiché si ritirò verso ovest;
Novorossijsk fu quindi completamente liberata dai sovietici il
16 settembre 1943[13].
BATTAGLIE DI KARKOW, Tenuta del KUBAN:
MARZO_APRILE 1943
ULTIMA OFFENSIVA DELLA WERMACHT:KURSK, luglio
1943
DAL disastro di KURSK (agosto 1943) alla seconda
offensiva sovietica del 24 dicembre 1943-19 febbraio 1944.
Dopo la breve controffensiva
di Žytomyr che,
nonostante qualche successo, non era riuscita a riconquistareKiev e
a rioccupare le posizioni sulDnepr,
le forze della Wehrmacht nel
settore meridionale del fronte orientale si trovarono a
fronteggiare dal 24 dicembre1943 una
nuova offensiva generale del 1° Fronte Ucraino del generaleNikolaj
Fëdorovič Vatutin che,
con il rinforzo di notevoli masse corazzate,
riuscì a sfondare
le linee della 4ªPanzerarmee del
generaleErhard
Raus,
schierata sul fianco sinistro del Gruppo
d'armate Sud del
feldmaresciallo Erich von Manstein, a riconquistareŽytomyr il
1º gennaio1944 ed
avanzare, nonostante le gravi difficoltà climatiche ed il
precoce disgelo, versoKorosten', Berdyčiv eVinnicja[6].
A quel punto la situazione
del Gruppo d'armate Sud rimase precaria e divenne ancor più
grave dopo il cedimento dell'8ª Armata del generaleOtto
Wöhler che, attaccata dal 2° Fronte Ucraino del generaleIvan
Stepanovič Konev, dovette ripiegare abbandonando con la sua
ala destra le posizioni sul Dnepr e cedendo il 7 gennaio
l'importante posizione di Kirovograd[7].
Mappa con il saliente di Korsun' e le direttrici
dell'attacco sovietico a tenaglia.
In questo modo il Gruppo d'armate Sud, pur avendo evitato una
sconfitta definitiva, perse le sue posizioni difensive sul Dnepr
tranne nel tratto del fiume di 50 chilometri
a monte di Čerkasy difeso
dai due corpi dell'ala sinistra dell'8ª Armata, il 42° (generale
Lieb) e l'11º Corpo d'armata (generale Stemmermann). Queste
truppe tedesche rimaste a difesa del fiume si trovavano però,
dopo gli sfondamenti a nord ed a sud dei generali Vatutin e
Konev, in una posizione pericolosamente esposta con i fianchi
vulnerabili ed il rischio di rimanere isolati in una sacca nel
caso di un'offensiva a tenaglia sovietica[8].
Truppe d'assalto sovietiche durante la battaglia di
Korsun'.
Stalin incaricò ilmarescialloGeorgij
Konstantinovič Žukov in persona di coordinare, organizzare e
dirigere, come rappresentante dello Stavka, le operazioni del 1°
e 2° Fronte Ucraino sui due lati del saliente di Korsun'; in
pochi giorni le forze sovietiche vennero raggruppate e
rafforzate per sferrare l'attacco il prima possibile. Il
generale Vatutin, che ricevette di rinforzo la 27ª Armata, il
67º Corpo di fucilieri, il 2º Corpo di cavalleria della Guardia,
il 5º Corpo meccanizzato e i due corpi corazzati della2ª
Armata corazzata, organizzò una massa d'urto sul suo fianco
sinistro costituita dalla 40ª e 27ª Armata sostenute dalla forza
di sfondamento della 6ª
Armata corazzata, una nuova formazione di carri appena
costituita sotto il comando del generale Andrej
Grigor'evič Kravčenko[10].
Il generale Konev, sul lato meridionale del saliente, schierò
invece la 4ª Armata della Guardia e la 53ª Armata con l'esperta 5ª
Armata corazzata della Guardia del generalePavel
Rotmistrov mantenuta pronta per sfruttare il successo ed
avanzare verso nord; nel complesso l'Armata Rossa avrebbe
impegnato contro le forze tedesche nell'area Korsun'-Čerkasy, 27
divisioni di fucilieri, quattro corpi corazzati, un corpo
meccanizzato, quasi 4.000 cannoni e mortai e 370 mezzi corazzati[10].
Il generale Konev iniziò per primo l'offensiva il 24 gennaio con
un potente sbarramento d'artiglieria seguito dall'attacco delle
divisioni di fucilieri della 4ª Armata della Guardia (generale
A. I. Rihov) e della 53ª Armata (generale I. V. Galanin),Il 2°
Fronte Ucraino poté quindi impegnare in combattimento fin dalle
ore 12.00 del 25 gennaio la 5ª Armata della Guardia del generale
Rotmistrov con il 20º e il 29º Corpo carri (con 218 carri armati
e 18 semoventi[11]).
Il contrattacco organizzato dai generali Stemmermann e von
Vormann con la11.
Panzer-Division,
la 14.
Panzer-Division e
la57ª
Divisione fanteria non
ebbe successo aKapitonovka[12]
L'offensiva del 1° Fronte Ucraino del generale Vatutin fu più
difficile; iniziata il 26 gennaio con uno sbarramento
d'artiglieria di 40 minuti, si sviluppò lentamente contro
le difese del 7º Corpo d'armata tedesco;
la 6ª Armata corazzata, costituita da pochi giorni con il 5º
Corpo carri della Guardia e
il 5º Corpo meccanizzato, era inesperta ed equipaggiata solo con
160 carri armati e 50 cannoni semoventi. Le divisioni fucilieri
della 27ª Armata riuscirono infine a sfondare ed il generale
Kravčenko, sollecitato da Žukov e da Vatutin a velocizzare
l'avanzata, costituì un "gruppo mobile" al comando delmaggior
generale Savelev
che aggiròVynohrad e,
dopo aver respinto la
88ª e 198ª Divisione fanteria tedesche,
puntò direttamente suZvenyhorodka.
Il raggruppamento di Savelev (50 carri armati e 200 soldati)
raggiunse Lysjanka la
notte del 27 gennaio
ed il mattino successivo, dopo duri combattimenti, penetrò nei
quartieri nord-occidentali di Zvenigorodka
In pochi giorni quindi si trovarono accerchiate in
una
grande sacca di oltre 100 chilometri di larghezza le divisioni
dell'11º e del 42º Corpo d'armata; si trattava
di un complesso di forze, al comando del generale Wilhelm
Stemmermann costituito dalla 88ª, 389ª, 57ª e 72ª Divisione
fanteria, dalla5.
SS-Panzer-Division "Wiking", dalla Brigata
SS "Wallonien" (di reclutamento belga), dal cosiddetto
"reparto di corpo d'armata B" (unità della 112ª, 332ª e 255ª
Divisione fanteria), e da altre formazioni della
168ª, 167ª,
213ª, 323ª Divisione fanteria e della 14.
Panzer-Division. In totale circa 56.000 soldati
accerchiati, secondo le fonti tedesche, mentre i sovietici
ritennero di aver intrappolato almeno 100.000 uomini[17].
Hitler, ripetendo le decisioni prese durante la battaglia
di Stalingrado, rifiutò di autorizzare una ritirata delle
truppe a rischio di accerchiamento.
Il generale Stemmermann riuscì a costituire un fronte solido.
ma, contrariamente ai propositi iniziali di Hitler, dovette
abbandonare le posizioni sul Dnepr di Čerkasy e restringere il
suo fronte. Il 42º Corpo d'armata quindi abbandonò le rive del
fiume.
La Luftwaffe impiegò l'8º Corpo aereo del generale Seidemann
per contrastare l'aviazione sovietica e organizzare il ponte
aereo, e le squadriglie da trasporto del maggiore Kaap
riuscirono a trasportare nella sacca in quindici giorni 2.026
tonnellate di materiali e ad evacuare per via aerea 2.835 feriti[20].
Aerei da trasporto tedesche nell'aeroporto di Korsun'
per rifornire le truppe accerchiate nella sacca.
In realtà, dopo la chiusura della sacca di Korsun' il
feldmaresciallo von Manstein e gli altri generali tedeschi
avevano temuto un disastro ancor più grave, ipotizzando la
possibilità che le armate sovietiche dei generali Konev e
Vatutin, trascurando le truppe accerchiate, sfruttassero
immediatamente il varco aperto nelle linee nemiche, difeso in un
primo momento solo dalla 198ª Divisione fanteria, per continuare
l'avanzata verso ovest in direzione del Bug
Orientale e delDnestr[21].
Al contrario Stalin, il maresciallo
Žukov ed il generale Konev
erano preoccupati per la minaccia rappresentata dalla grande
sacca di Korsun' di cui sopravvalutavano la consistenza.
Ritenendo di avere circondato l'intera 8ª Armata tedesca con
circa dieci divisioni ed oltre 100.000 uomini, l'alto comando
sovietico considerò essenziale, prima di riprendere l'offensiva
generale, stringere il cerchio su queste forze, organizzare un
solido fronte esterno di accerchiamento per proteggersi da
possibili controffensive nemiche e sferrare al più presto un
attacco decisivo per distruggere le forze tedesche all'interno
della sacca[17]. Il
generale Konev, deciso a schiacciare le truppe accerchiate sotto
il fuoco dell'artiglieria, dei bombardamenti aerei e delle sue
unità mobili, concentrò la 27ª Armata, la 52ª Armata e la 4ª
Armata della Guardia, con tredici divisioni di fucilieri, 2.000
cannoni e 138 carri armati. I primi attacchi furono sferrati sul
lato sud della sacca lungo il fiume Olsanka e sul fronte nord in
direzione di Korsun', ed incontrarono una dura resistenza dei
tedeschi. Non ottennero alcun risultato gli appelli alla
defezione od alla resa diramati ai soldati tedeschi accerchiati
dai rappresentanti delComitato
della Germania Libera costituito
inUnione
Sovietica da
una parte degli ufficiali superiori catturati aStalingrado;Le
divisioni corazzate tedesche, richiamate precipitosamente da
altri settori del fronte orientale, ebbero gravi difficoltà a
raggrupparsi in tempo utile soprattutto a causa della rasputica,
il precoce disgelo che rese paludose e quasi intransitabili le
mediocri piste della steppa. Inoltre Hitler decise di dirottare
la 24.
Panzer-Division del
generale von Edelsheim, di cui era previsto l'impiego nel
settore sud della sacca, verso la testa di ponte diNikopol' (a
sua volta sottoposta a duri attacchi nemici), indebolendo così
le forze assegnate al contrattacco.
Le tre deboli divisioni rimaste al generale von Vormann (3.
Panzer-Division, 11. Panzer-Division e 14. Panzer-Division[26])
non ottennero risultati e vennero rapidamente bloccate ad oltre
30 chilometri dalla sacca dalla resistenza sovietica della 5ª
Armata corazzata della Guardia[27];
quindi solo il 3º Panzerkorps poté sviluppare il suo
attacco ed in un primo momento solo con una parte delle sue
forze[28].
Il generale Breith attaccò all'alba del 4 febbraio con la 16.
Panzer-Division, la 17.
Panzer-Division, rinforzate dal Panzerverband Bäke,
un reggimento corazzato misto di carri pesanti Panzer
VI Tiger I ePanther guidato
dall'espertotenente
colonnelloFranz
Bäke. Protetti sui fianchi da due divisioni di fanteria, i panzer (circa
160 mezzi corazzati) avanzarono faticosamente sul terreno
melmoso penetrando le linee della 6ª Armata corazzata sovietica
che ridotta a meno di 100 carri.
Il maresciallo Žukov, preoccupato dalla minacciosa avanzata
tedesca, rinforzò opportunamente le indebolite forze della 6ª
Armata corazzata del generale Andrej Kravčenko con una parte
della 27ª Armata di fucilieri, con tre reggimenti di carri
pesanti Stalin e
con la massa della 2ª Armata corazzata del generaleSemën
Bogdanov.
Nel frattempo continuava il tentativo del 3º Panzerkorps di
sbloccare le forze del generale Stemmermann:
un tentativo del reparto di panzer del tenente Ciliox
di conquistare di sorpresa un ponte sul fiume aLysjanka non
ebbe successo la notte del 12 febbraio. Il 13 febbraio il
battaglione corazzato del capitano Cramer fece un nuovo
tentativo e riuscì il giorno seguente ad attraversare il
Gnylyj-Tikyč su un ponte intatto nonostante la dura resistenza
dei mezzi corazzati del 5º Corpo carri della Guardia[31].
Dopo aver raggiunto Lisjanka a est del fiume, divenne decisivo
per i tedeschi conquistare l'importante quota 239, difesa dal
grosso del 5º Corpo carri della Guardia del generale Savelev con
circa 50 T-34. Il gruppo corazzato della 1. Panzer-Division al
comando del tenente colonnello Frank ed il Panzerverband Bäke,
appoggiati dai granatieri del capitano Ebeling, cercarono quindi
di conquistare l'altura con un nuovo attacco condotto in un
clima invernale estremo, ma, nonostante qualche successo, non
riuscirono a raggiungere l'obiettivo contrastati da una
resistenza sempre più solida.
La 1. Panzer-Division,
completamente esausta e
rimasta con soli 12 carri armati,
dovette sospendere gli attacchi e passare sulla difensiva[32].
A nord-ovest ed a ovest di Lysjanka la situazione tedesca stava
peggiorando: la 16. e la 17. Panzer-Division dovettero
contrastare la pericolosa controffensiva dei corpi meccanizzati
della 2ª Armata corazzata del generale Bogdanov, mentre la Leibstandarte SS esaurì le sue forze nei combattimenti di
Vynohrad. Il 16 febbraio il generale Walther
Wenck, capo di stato maggiore della 1. Panzer-Division, si
recò al posto comando avanzato e convenne sull'impossibilità per
il 3º Panzerkorps di riprendere l'offensiva di fronte
alle difese sovietiche del 1° Fronte Ucraino del generale
Vatutin; quindi i panzer dei gruppi Frank e Bäke, giunti a circa
nove chilometri dalle forze accerchiate del generale Stemmermann,
sospesero gli attacchi e si schierarono a difesa di Lysjanka
cercando di resistere in quella posizione esposta in attesa
dell'arrivo delle truppe della sacca.
Mappa con l'indicazione della marcia delle truppe
tedesche per uscire fuori dall'accerchiamento.
Il 7 febbraio il feldmaresciallo von Manstein e l'alto comando
tedesco compresero che la situazione all'interno della sacca,
pressata dai continui attacchi sovietici, stava diventando
sempre più difficile
Quindi alle ore 11.40 venne diramato al generale Stemmermann,
dal comando dell'8ª Armata, l'ordine decisivo di restringere
ulteriormente la sacca ed iniziare un movimento di ritirata a
sud in direzione di Šenderivka.
L'11 febbraio dopo duri scontri i tedeschi riuscirono a occupare
Novobuda e Šenderivka che venne conquistata dai soldati della
Divisione corazzata SS "Wiking"; nei giorni seguenti la 72ª
Divisione fanteria riuscì
ad arrivare, dopo penosi sforzi di
fronte alle linee di sbarramento sovietiche fino a Chyl'ky e
Komarivka,
a sette chilometri dalle linee del
3º Panzerkorps bloccato
a Lysjanka, mentre la brigata di volontari belgi SS "Wallonien"
difese con gravi perdite Novobuda. Tutte le truppe della "sacca
mobile" si concentrarono quindi intorno a Šenderivka, in un
territorio di sette chilometri per otto al riparo nelle
abitazioni del villaggio; dopo l'abbandono il 10 febbraio
dell'aeroporto di Korsun'.A causa delle difficoltà climatiche,
il comandante del 2° Fronte Ucraino dovette inizialmente
rinviare l'attacco decisivo contro Šenderivka; impegnando
equipaggi volontari ed aerei leggeri il generale Konev riuscì
infine a sferrare un attacco aereo in massa la notte del 16
febbraio che incendiò e devastò il villaggio e costrinse i
soldati tedeschi ad abbandonare le rovine ed esporsi all'aperto
dove subirono un pesante sbarramento a distanza ravvicinata
dell'artiglieria sovietica[37].: quindi
alle ore 11.05 del 15 febbraio venne diramato l'ordine al
generale Stemmermann di cercare di sfondare a tutti i costi con
le "proprie forze" in direzione di Lysjanka-quota 239, senza
attendere aiuti dall'esterno. Il generale Stemmermann, dubbioso
sulla possibilità dei suoi soldati, ormai esausti e
disorganizzati di sfondare da soli, credette tuttavia che la
quota 239 fosse già in possesso dei tedeschi mentre invece si
sarebbe trovato di fronte su quelle posizioni i fucilieri, i
carri armati ed i cavalieri sovietici pronti ad attenderlo.
ANNIENTAMENTO TOTALE ! 14 FEBBRAIO
1944:Hitler perde altri due Corpi d'Armata
Il generale Stemmermann decise di abbandonare o distruggere
prima della sortita tutti gli automezzi, i cannoni, i carri
armati e l'equipaggiamento pesante rimasto, anche molti feriti
vennero abbandonati; con le truppe ancora efficienti organizzò
quindi due colonne guidate dai generali Lieb eGille (il
comandante della SS "Wiking"), mentre egli rimase con la
retroguardia costituita dalla 57ª e 88ª Divisione fanteria[38].
Truppe sovietiche catturano alcuni soldati tedeschi.
Reparti tedeschi di una Panzer-Division nell'inverno
1944; le forze corazzate tedesche uscirono molto
indebolite dai combattimenti di Korsun'.
La mattina del 17 febbraio la colonna tedesca, guidata dai pochi
mezzi corazzati superstiti del reggimento corazzato della SS "Wiking",
sbucò fuori dal terreno irregolare e arrivò nei campi aperti
ricoperti di neve dove però trovò ad attenderla il massiccio
sbarramento predisposto dal generale Konev per sferrare il colpo
finale al nemico, già logorato dalle privazioni e dalle fatiche
della battaglia e della ritirata[37].
Inizialmente le avanguardie della 72ª Divisione fanteria
riuscirono a sfuggire ed a raggiungere le posizioni della 1. Panzer-Division, ma il resto della divisione venne colpito dal
fuoco dell'artiglieria sovietica e poi distrutto dall'attacco
dei carri armati; anche la SS "Wiking", rimasta con pochi mezzi
motorizzati, cadde in un'imboscata di mezzi corazzati sovietici
nella gola di Pošapinzij e quindi dovette ingaggiare un violento
combattimento senza riuscire a sfondare[39].
I carri armati dell'Armata Rossa avanzarono in mezzo alla
fanteria tedesca in marcia e travolsero uomini e animali; gli
equipaggi schiacciarono sotto i cingoli i fuggiaschi, senza
risparmiare neppure i feriti. Anche la cavalleria cosacca
sovietica intervenne in forze e devastò all'arma bianca le
colonne a piedi tedesche[37].
I superstiti reparti tedeschi arrivarono, dopo aver forzato il
primo sbarramento sovietico, sulle rive del fiume Gnylyj-Tikyč
dove si verificò un nuovo e drammatico combattimento.
I generali Lieb e Gille riuscirono a raggiungere, con una parte delle forze
della "Wiking" e con altri reparti tra cui i sopravvissuti della
SS "Wallonien", le linee del 3º Panzerkorps e quindi la
salvezza[40],
le retroguardie tedesche rimasero invece bloccate sul fiume dove
subirono il bombardamento dell'artiglieria e un nuovo attacco
dei carri armati e della cavalleria sovietica. Il generale Konev
guidò personalmente, a bordo di un carro armato, questo attacco
finale: la gran parte dei soldati tedeschi venne uccisa dalla
cavalleria o schiacciata sotto i cingoli[41],
secondo le indicazioni del generale, che sollecitò la massima
decisione, si preferì uccidere piuttosto che catturare
prigionieri[37].
In quest'ultima fase della battaglia si verificarono fenomeni di
dissoluzione e di panico tra le truppe tedesche, una parte dei
soldati per sfuggire alla cavalleria cosacca si gettò nelle
acque del fiume, dopo aver abbandonato le armi; solo pochi
sopravvissero e raggiunsero la salvezza, il generale Stemmermann,
rimasto con i suoi uomini al centro della sacca, venne ucciso
dall'esplosione di una granata[42].
La mattina del 19 febbraio il reparto di punta della 1.
Panzer-Division abbandonò, dopo aver recuperato gli ultimi
superstiti della sacca, le sue posizioni esposte su quota 239 e
ripiegò su linee più arretrate; la battaglia di Korsun' era
finita.
Secondo le fonti tedesche circa 35.000 soldati (su un
totale di 56.000 uomini accerchiati nella sacca) riuscirono a
sfuggire ed a rientrare nelle linee tedesche; le perdite quindi
ammonterebbero a 18.800 soldati tra morti, prigionieri e
dispersi[43].
il feldmaresciallo von Manstein e i generali tedeschi sul
fronte orientale compresero la gravità della sconfitta che
peggiorava ulteriormente la situazione generale nel settore
meridionale. Dopo la perdita delle divisioni accerchiate nella
sacca di Korsun' e il grave indebolimento delle preziose
Panzer-Division, dissanguatesi nel coraggioso tentativo di
portare soccorso alle truppe intrappolate, diveniva più
difficile mantenere le posizioni ed evitare un crollo delle
difese nel caso di una nuova offensiva generale dell'Armata
Rossa[46].
Mezzi e materiali tedeschi abbandonati durante la
ritirata.
Le fonti storiche russo-sovietiche hanno sempre riportato dati
molto diversi sulle perdite tedesche nella battaglia, calcolando
55.000 morti e feriti e 18.000 prigionieri catturati dal 1° e 2°
Fronte Ucraino, oltre a tutte le armi ed il materiale[47];
secondo lo storico britannico Alexander Werth è verosimile che
le cifre sovietiche siano attendibili e che comprendano tutte le
perdite subite dai tedeschi nella "piccola Stalingrado sul
Dnepr"[48] comprese,
oltre alle truppe nella sacca, i reparti della Wehrmacht della
colonna di soccorso del generale Hube e delle altre divisioni
dell'8ª Armata del generale Wöhler[49]
GUERRA
DI SIRIA : 2011 - ?
La Russia schiera i suoi uomini nella
Siria del Nord
L'inviato speciale russo in Siria, Alexander Lavrentyev, smentisce che
ci siano stati accordi tra il presidente turco e Putin. Tra minacce e
rassicurazioni, Recep Erdogan torna a parlare dalle colonne del Wall
Street Journal: "Il mondo ci sostenga o si prenda rifugiati"
"La
comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o
cominciare ad accettare i rifugiati" dalla Siria. Lo scrive il
presidente turcoRecep
Tayyip Erdogan in
un editoriale pubblicato sulWall
Street Journal per
sostenere le sue ragioni sull'offensiva militare contro i curdi nel
Nord-Est della Siria, arrivata al quinto giorno.
L'offensiva di Ankara, chiamata "Fonte di pace" dal
presidente turco" è iniziat ail 9 ottobre dopo l'annuncio del presidente
Donald Trump di ritirare tutte le truppe Usa dal territorio siriano.
Annuncio poi in parte ritrattato. Le forze militari americane ora si
stanno spostando verso il sud del Paese. L'operazione militare turca è
stata lanciata contro le milizie curde nel Nord-Est della Siria,
impegnate nella lotta all'Isis.
L'editoriale di Recep Erdogan sul Wall Street Journal
"La Turchia sta intervenendo dove altri hanno mancato di
agire" è il titolo dell'intervento di Erdogan sul quotidiano americano.
"I flussi di rifugiati siriani, la violenza e l'instabilità ci hanno
spinto ai limiti della nostra tolleranza", scrive ricordando l'impegno
del suo Paese nell'ospitare 3,6 milioni di rifugiati siriani e
rivendicando di aver speso "40 miliardi di dollari per offrire loro
educazione, assistenza sanitaria e alloggio". Tuttavia, insiste, "senza
supporto finanziario internazionale non possiamo impedire ai rifugiati
di andare in Occidente".
Spiega quindi di aver deciso l'offensiva in Siria dopo
aver "concluso che la comunità internazionale non avrebbe compiuto i
passi necessari" ad affrontare la situazione. E rassicura, impegnandosi:
"Nessun combattente dell'Isis lascerà il Nord-Est della Siria". Sono
venti le prigioni dove sono tenuti 1500 jihadisti tra i più pericolosi
su un totale di 12 mila. Centinaia di sostenitori del Califfato sono già
scappati da un campodurante l’offensiva militare turca ad Ain Issa, a
circa 70 chilometri da Kobane, la roccaforte curda dove da ieri è
arrivato l'esercito di Assad a sostegno dei curdi.
"Siamo pronti a cooperare con i Paesi d'origine e le
organizzazioni internazionali per la riabilitazione delle mogli e dei
figli dei terroristi foreign fighter", aggiunge il leader di Ankara, che
però non risparmia critiche ai Paesi occidentali che non avrebbero
finora voluto occuparsi della questione, evitando anche di riprendersi i
propri combattenti jihadisti detenuti nelle prigioni curde. "Gli stessi
Paesi che oggi danno lezioni alla Turchia sui valori della lotta all'Isis
non sono stati capaci di fermare il flusso di terroristi foreign fighter
nel 2014 e nel 2015".
La battaglia di Manbij
L'esercito siriano del presidente Bashar al-Assad ha il
"totale controllo" della città di Manbij, località curda strategica nel
Rojava. Lo ha annunciato il ministero della Difesa russo, citato da Interfax.
Mosca ha aggiunto che "la polizia militare russa sta pattugliando il
perimetro di Manbij lungo la linea di contatto tra gli eserciti siriano
e turco". Oggi doveva essere il giorno del confronto tra le truppe di
Damasco e quelle di Ankara con i ribelli siriani filo-turchi dell'ELS,
nella città di Manbij, località strategica.
Le reazioni internazionali
L'inviato speciale russo in Siria, Alexander Lavrentyev,
ha detto che "L'offensiva turca è inaccettabile. Non permetteremo che
Turchia e Siria si scontrino". Al confine si iniziano a vedere blindati
russi affiancati a quelli siriani. Il ministero della Difesa a Mosca ha
reso noto infatti che militari russi stanno pattugliando la 'linea di
contatto' tra le forze siriane e turche nel Nord-Est. Il presidente
turco aveva dichiarato ieri che era d'accordo con Putin sulle città di
Kobane e Manbij, dichiarazione smentita dal funzionario russo che ci ha
tenuto a sottolineare che non c'è mai stato alcun accordo e che invece
Mosca sta facendo da intermediario tra i curdi e Damasco.
Donald Trump ieri ha annunciato le sanzioni alla Turchia
e invia il suo vice, Mike Pence ad Ankara. E intanto twitta, lavandosi
le mani: "Ben venga chiunque voglia aiutare i curdi: russi, cinesi o
Napoleone Bonaparte. Spero che abbiano successo. Noi siamo a 7 mila
miglia di distanza". A chiedere uno stop all'offensiva Turca, oggi è
intervenuta anche la Cina, che ha chiesto ad Ankara di "tornare sul
binario corretto" della ricerca di una soluzione politica della
questione. Lo ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di
Pechino, Geng Shuang, che ha chiesto anche il rispetto della sovranità,
dell'indipendenza, dell'unità e dell'integrità territoriale della Siria.
La Volkswagen ha rimandato invece la decisione sulla
prossima apertura di uno stabilimento in Turchia a Smirne. Lo ha reso
noto un portavoce dell'azienda tedesca. "La decisione sul nuovo
stabilimento è stata aggiornata dal board di Volkswagen AG", ha
riferito, aggiungendo che l'azienda guarda con preoccupazione agli
sviluppi attuali nella regione. In molti ritengono che la Bulgaria possa
sostituire la Turchia nella pianificazione di un nuovo stabilimento,
riferisce la Dpa.
La Gran Bretagna ha annunciato la sospensione di
"ulteriori licenze" alla Turchia per forniture di "equipaggiamenti che
possano essere usate in operazioni militari in Siria". Lo rende noto il
ministro degli Esteri, Dominic Raab, in risposta all'offensiva
anti-curda di Ankara promettendo invece solo "una continua revisione"
delle esportazioni di armi già in essere. Raab condanna quella turca
come "un'azione sconsiderata e controproducente, che dà forza alla
Russia e al regime di Assad", dicendo di non aspettarsela "da un
alleato".
Le Ong lasciano il Nord-Est
Si sono interrotti completamente gli aiuti internazionali
nel Nord-Est siriano, lo riferiscono fonti curde. Già ieri si era saputo
che lo staff internazionale delle organizzazioni umanitarie era stato
costretto a lasciare la zona, ormai diventato incandescente. Anche lo
staff internazionale dell'ong italiana Un
Ponte Per,
fino a ieri unica ong italiana presente sul posto, aveva abbandonato
l'area.
Come formattare il PC ed installare Windows 7
Prima di poter formattare il PC dovrai però andare a modificare
alcuni parametri presenti nel BIOS/UEFI e
solo successivamente potrai installare Windows 7 osservando la procedura che
poi ti illustrerò. Detto questo, ecco quindi spiegato come
formattare il PC ed installare Windows 7.
...
Bloccare video su YouTube per bambini su smartphone e tablet
Trovi interessante la Modalità con restrizioni di YouTube e vorresti
attivarla anche sul tuo smartphone e/o sul tablet? Allora questa è la
sezione più adatta a te, nella quale andrò a illustrarti come effettuare
quest’operazione sui dispositivi portatili in tuo possesso. Inoltre, avrò
cura di mostrarti il funzionamento di YouTube Kids, una
“versione” di YouTube sviluppata da Google e dedicata espressamente ai più
piccoli.
Attivare la Modalità con restrizioni
Al bisogno, è possibile bloccare i contenuti tramite la Modalità con
restrizioni di YouTube sia dall’app per smartphone e tablet Android eiOS,
sia dalla versione “mobile” del sito Web: tieni però presente che, come già
detto in precedenza, tale operazione dev’essere effettuata su qualsiasi
dispositivo venga usato dalla persona da “proteggere”.
Per impostare il blocco nell’app di YouTube, avvia innanzitutto quest’ultima
dal drawer di Android o dalla schermata Home diiOS,
tocca sull’immagine del profilo collocata in alto a destra
e seleziona la voce Impostazioni dal menu proposto.
A questo punto, se ti trovi su Android, tocca la voce Generali e individua
la voce Modalità con restrizioni: per attivarla, sposta su ON la
levetta corrispondente e il gioco è fatto. SuiOS,
invece, l’opzione relativa al blocco dei contenuti è presente nel menu
generale delle impostazioni.
Se è tua intenzione attivare la Modalità con restrizioni nella versione
mobile del sito di YouTube, collegati alla stessa e fai tap sul
pulsante (⋮) collocato in alto a destra. Successivamente,
tocca la voce Impostazioni e, per abilitare il blocco,
pigia sulla voce Disattivato corrispondente alla dicitura Modalità
con restrizioni. Tutto qui!
Nota:
qualora, in entrambi i casi, dovessi notare un filmato che non ritieni
adatto a tuo figlio, pigia sul pulsante (⋮) ad
esso corrispondente e pigia sulla voce Non
sono interessato dal
menu mostrato a schermo.