La porno star tedesca Ina Groll, nota con il nome d'arte di Kitty Blair, è stata cacciata dal partito di estrema destra Ndp per aver fatto sesso in un film con un attore nero.Lo riporta il Daily Mail.

La ragazza, 28 anni, bionda e supertatuata, aveva partecipato a diverse campagne in favore del partito, finchè uno dei suoi leader non ha visto il film in questione. La vicenda è finita anche su Facebook dove è stato commentato: "Coloro che vendono il proprio corpo per denaro e disonorano la loro razza non hanno posto nel nostro gruppo".

Per motivi opposti, Groll è stata bandita anche dall'industria pornografica tedesca: "Accogliamo attori di tutti i colori di pelle e tutte le nazionalità, ma non accogliamo nazisti. Se avessimo saputo delle sue attività politiche, l'avremmo mandata via subito", ha detto il portavoce dell'industria porno, John Thompson.

Magherini morto dopo l’arresto. Il 118 al medico: ‘Ha due carabinieri sopra, è nudo’

Il calciatore è deceduto nella notte tra il 2 e il 3 marzo per strada a Firenze. Era stato fermato dalle forze dell'ordine. Nei 50 minuti di chiamate i militari e i soccorritori descrivono quanto sta succedendo. L'avvocato prepara la denuncia nei confronti di paramedici e carabinieri

Martedì mattina l’avvocato Fabio Anselmo presenterà al Tribunale di Firenze una denuncia nei confronti dei paramedici e dei carabinieri presenti durante gli ultimi istanti di vita di Riccardo Magherini, l’ex calciatore della primavera della Fiorentina morto la notte tra il 2 e il 3 marzo scorso a Firenze dopo avere incontrato sulla sua strada una pattuglia di carabinieri. Il tutto dopo che settimana scorsa, in una conferenza stampa al Senato, i legali della famiglia avevano mostrato un video atroce nel quale si vedeva Riccardo, schiacciato a terra da quattro carabinieri, gridare: “Aiuto, non ammazzatemi, ho un figlio piccolo”. E si sentiva la voce di un testimone inveire contro imilitari che, a suo dire, lo stavano prendendo a calci. Insieme al video erano anche state mostrate delle foto di una violenza inaudita, in cui il cadavere di Riccardo presentava ecchimosi ed escoriazioni, sulle braccia, le gambe, le tempie, l’addome e, soprattutto, alla schiena. Per questo la famiglia chiede giustizia, e ha deciso di procedere con la denuncia contro noti.

Nel frattempo è stato anche possibile di accedere alle telefonate intercorse di tra i carabinieri e il118, dalla 1.21 di quel maledetto 3 marzo, quando nella prima telefonata i militari che hanno immobilizzato Riccardo chiedono l’intervento dei medici, fino alle 2.12 quando il medico comunica alla centrale del 118 che l’uomo è in “arresto cardiaco”. Grazie a questo materiale a disposizione, ora diventa anche possibile raccontare cosa successe quella notte in un ordine cronologico abbastanza lineare. Alle 1.21 un carabiniere chiede l’intervento del 118 spiegando che sono intervenuti su una persona “che sta completamente fuori, a petto nudo, e urla”. L’ambulanza parte pochi minuti dopo ma, evidentemente, non riesce a trovare la via, tanto che alla 1.31 i militari richiamano il 118 spiegando che sentono le sirene ma nessuno è ancora arrivato sul posto, e che “l’uomo continua a fare il matto”. Tre minuti dopo, alla 1.34 uno dei volontari dell’ambulanza dellaCroce Rossa inviati sul posto chiama il centralino del 118, dice di essere arrivato e che l’uomo “ha reagito in maniera violenta, gli sono addosso in due per tenerlo fermo e vogliono il medico”.

Parole strane, che contrastano con la drammaticità della situazione riportata dal video, e con le numerose testimonianze che vogliono, a quell’ora, Riccardo Magherini essere già inerte e silenzioso. Forse morto. Tra l’altro da queste ed altre testimonianze pare che uno dei paramedici sul posto abbia cercato il suo battito cardiaco di Riccardo, collegando l’apposita macchinetta al dito e, non ricevendo risposte, se non una linea piatta, abbia detto: “Sarà rotta la macchinetta anche perché sembra che respiri”. Poco dopo questa telefonata infatti, la centralinista del 118, del tutto inconsapevole della gravità della situazione, chiama il medico dicendo: “Ci vogliono due uomini forti, c’è uno che ha tirato le manette ai carabinieri, ha due carabinieri sopra, è nudo”.

Alla 1.44 infine giunge la seconda ambulanza, stavolta con il medico a bordo, che arriva credendo di dover sedare Magherini, e invece si trova a dovere fare un lungo massaggio cardiaco ad una persona che non dà più segni di vita. L’ultima chiamata alle 2.12 è quella del medico che chiama il 118 per comunicare che “il ragazzo che era stato immobilizzato dai carabinieri è in arresto cardiaco, sono per strada”. Quando il medico ipotizza che il ragazzo abbia una trentina di anni, l’interlocutore gli chiede: “Ha preso roba?”. Il medico risponde: “Poi ne parliamo”.

Invece sulla vicenda cala il silenzio, Riccardo è l’unica persona che viene indagata, per morte in conseguenza di altro reato (probabilmente spaccio), in quella che il presidente dellaCommissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi, definisce una ‘doppia morte’. “La morte fisica – spiega – è seguita da una seconda morte, una stigmatizzazione del defunto che deve deformare la vittima agli occhi dell’opinione pubblica, per potere poi dire: se l’è cercata”. Quella conferenza stampa in Senato – le dure parole di Manconi e dell’avvocato Anselmo che paragonavano la morte di Riccardo a quelle di Uva, Aldrovandi, Ferulli – non è andata giù allaProcura della Repubblica, che ha subito diffuso un comunicato in cui si sosteneva “nei filmati in possesso di questo ufficio non si evidenziano violenze di alcun genere nei confronti di Magherini”.

Eppure da quanto emerso qualche giorno fa su Repubblica il 17 marzo il pm Luigi Bocciolini, incaricato delle indagini, mandava all’allora legale della famiglia Magherini, Luca Bisori una mail privata in cui era scritto: “Sotto il profilo del segreto investigativo, Le rappresento la situazione: vi è in fondato (questo errore di battitura sta per infondato? o forse: il fondato? o ancora, data la vicinanza delle lettere sulla tastiera, di: un fondato? ndr) motivo di ritenere che almeno uno dei militari intervenuti abbia colpito il ragazzo con dei calci al fianco mentre era a terra ammanettato. Non appare essere, allo stato, una condotta influente sotto il profilo eziologico con l’evento “morte”, ma le indagini proseguono per individuare il militare (quanto meno sussiste l’art. 581 c.p., percosse)”.

Un cambiamento di verso piuttosto curioso e repentino, che l’avvocato Fabio Anselmo, mentre prepara la denuncia che sarà depositata domattina, a ilfattoquotidiano.it spiega così: “Siamo basiti da questo atteggiamento contraddittorio della Procura di Firenze, sono curiose dichiarazioni scadenzate che sembrano essere dirette all’opinione pubblica dimenticando che della vicenda ci sono molti testimoni. Qui nessuno vuole mettere in dubbio il prestigio dell’Arma dei Carabinieri, si parla piuttosto di un arresto immotivato e ingiusto, che per giunta ha portato alla morte di un uomo. Se tutti i cittadini italiani che, in un momento di difficoltà, necessitano assistenza psichiatrica devono essere condotti alla morte, allora lo stato di diritto è finito”.

‘Il pretore’, il racconto breve di Piero Chiara al cinema dal 3 aprile – il trailer

Il film, diretto da Giulio Base e interpretato da Francesco Pannofino, è la trasposizione del "Il pretore di Cuvio" del 1973. L'osservatore del mondo della provincia settentrionale scrisse decine tra romanzi e racconti brevi, iniziando ad avere un successo di pubblico fuori dall’ordinario attorno ai 50 anni, quando nel 1962 uscì “Il piatto piange”

Piero Chiara, chi era costui? Torna nelle sale cinematografiche dal 3 aprile 2014 con Il Pretore,diretto da Giulio Base e interpretato da Francesco Pannofino, la trasposizione di un racconto breve – Il pretore di Cuvio (1973) – del colpevolmente dimenticato scrittore di Luino (Varese). Nato nel 1913 sul Lago Maggiore, Chiara fu uno di quei casi commerciali e critici che animò il panorama della letteratura italiana tra gli anni sessanta e ottanta. Il sornione osservatore del mondo della provincia settentrionale scrisse decine tra romanzi e racconti brevi, iniziando ad avere un successo di pubblico fuori dall’ordinario attorno ai 50 anni, quando nel 1962 uscì “Il piatto piange”. Da lì in avanti fino alla morte avvenuta a Varese nel 1986, i suoi libri furono un record di tirature dietro l’altro con oltre 400mila copie vendute in media per ogni titolo.

Il cinema, e la tv, si impossessarono dei suoi scritti fin da subito rendendoli, con la collaborazione diretta di Chiara, script mai così felicemente memorabili in immagini come lo erano stati sulla carta. Gli esempi più riusciti furono comunque: Venga a prendere il caffè da noi (1971), tratto da La spartizione, La stanza del vescovo (1976) e Il cappotto di Astrakan (1979). “L’unica soddisfazione è di carattere economico”, dichiarò lo scrittore luinese a metà anni ottanta, “Apprezzo quei registi come Lattuada o Risi che riescono a rispettare abbastanza lo spirito del libro, ma inevitabilmente ci sono cadute nell’erotismo che nelle mie opere non si trovano. Quando un uomo e una donna vanno a letto, io mi fermo fuori della stanza: lascio lì i miei personaggi. Il cinema invece entra nella camera, piazza la macchina da presa e ritrae tutto. Proprio tutto”.

Al centro di ogni racconto di Chiara sono sempre emersi, richiamando un modello alla Balzac, quelle esistenze di provincia tranquille in superficie ma segretamente devastate da passioni tumultuose, poi filtrate attraverso uno sguardo e una penna mai moralista. “Nel film ambientato durante gli anni trenta in provincia di Varese nella Valcuvia”, spiega il regista Base al fattoquotidiano.it, “c’è la trama essenziale del libro di Chiara: il triangolo lui-lei-l’altro, l’abuso di potere, il perbenismo di provincia, la giustizia che non arriva mai e quando arriva non rappresenta mai la scelta più giusta, insomma tematiche più che attuali”. Protagonista de Il pretore è Augusto Vanghetta (Pannofino), fortunosamente finito a rappresentare la legge dopo la prima guerra mondiale, uomo dagli appetiti sessuali voraci dentro e fuori i bordelli di paese, protagonista cornificato di una tresca tra il suo assistente di studio e la moglie apparentemente sterile con tragico epilogo per tutti. Una trasposizione filologica, quella firmata Base, girata nei luoghi originari del libro di Chiara, fortemente voluta dall’attrice protagonista luinese Sarah Maestri.

“Curo la regia di Don Matteo da 10 anni”, spiega Base, “e ricevo un trattamento snobistico che trovo un po’ stupido dal cinema sedicente intellettuale un po’ come Chiara subì all’apice della sua carriera”. Piero Chiara fu un atipico e bizzarro antifascista (“il fascismo fu la condizione inevitabile di un popolo che non aveva tradizioni di libertà (…) gli italiani hanno sempre amato la sottomissionee ne sono continuamente in cerca anche oggi”, spiegò negli anni settanta), finito massone nelle fila del partito liberale, arrivato ad un successo editoriale paragonabile a volumi d’affari alla Fabio Volo o Andrea Camilleri, infine ostracizzato dalla critica letteraria nel momento in cui il suo nome andava a ruba tra gli scaffali delle librerie: “La mia scrittura è mercimonio intellettuale? Prostituzione narrativa?”, rispondeva il luinese nel 1984 all’intervistatore Davide Lajolo, “oso pensare che vi sia, in questi venti anni di sempre rinnovato favore dei lettori, un significato critico non trascurabile, in qualche modo somigliante a quello per i libri del passato etichettati come classici proprio perché erano piaciuti a tutti: agli uomini di cultura e anche ai semplici lettori, fra i quali si annidano milioni di persone più intelligenti e più dotate di fiuto artistico dei cosiddetti uomini di cultura”. 

Telecomunicazioni, il Parlamento europeo vota: aboliti i costi del roaming dal Natale 2015

Dal 15 dicembre 2015 i cittadini in viaggio in Europa smetteranno di pagare i costosi balzelli del roaming, e cioè quella spesa aggiuntiva per avere la possibilità di continuare a telefonare e navigare con lo smartphone dall'estero.
E' arrivato oggi infatti il voto del Parlamento europeo che segna un avanzamento del pacchetto sulle telecomunicazioni "Connected continent" avviato dalla Commissione europea lo scorso autunno, nell'ambito di una votazione più ampia per realizzare un continente connesso senza tariffe alle stelle per gli europei in viaggio.

E' una vittoria voluta prima di tutto dalla vicepresidente della Commissione europea Neelie Kroes, incaricata di dare impulso all'agenda digitale del continente: la creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni per avvantaggiare non soltanto i cittadini ma soprattutto le imprese. "L'Unione europea è proprio questo: eliminare le barriere per semplificare la vita e ridurre i costi. Quasi tutti noi dipendiamo oramai quotidianamente dalle connessioni mobili e internet. Abbiamo il diritto di sapere che cosa acquistiamo, senza essere imbrogliati e con la possibilità di cambiare idea" ha detto Kroes.

Secondo quanto riportato dalla France Presse, saranno abbattuti non soltanto i costi di roaming per le chiamate e i messaggi inviati dall'estero, ma anche l'utilizzo della rete mobile.

Nello stesso regolamento adottato oggi, il Parlamento ha dato il via libera al principio giuridico della "neutralità delle rete" (net neutrality) destinata ai provider, che non potranno più privilegiare un certo tipo di traffico remunerativo, come quello dei video in streaming, né potranno bloccare servizi come Skype e Whatsapp, nemmeno se questi sono in competizione con prodotti sviluppati dagli stessi provider.

I due testi, la fine del roaming e il via libera alla neutralità del web, dovranno essere sottoposti al vaglio del Consiglio europeo - che rappresenta i 28 Paesi membri dell'Unione europea.

Telegram, la chat supersicura che insidia WhatsApp: "Cinque milioni di nuovi utenti in un giorno"

Domenica scorsa, dopo il black-out dell'app appena acquistata da Mark Zuckerberg, il record di nuove registrazioni. Ma il boom continua in queste ore. La nuova creatura dei fratelli Durov, gli stessi del social network russo Vkontakte, promette più riservatezza, sessioni criptate, server distribuiti e chat di gruppo fino a 200 contatti

MORS tua, vita mea. È quello che devono aver pensato sabato scorso Nikolai e Pavel Durov, i fondatori di Telegram (ma soprattutto del social network russo Vkontakte), quando la strapagata WhatsApp si è bloccata per diverse ore. D'altronde l'acquisizione dell'app di messaggistica statunitense, leader del settore, da parte di Facebook non è andata giù a milioni di utenti, turbati fondamentalmente da questioni di privacy. Un flusso sempre più massiccio di persone ha quindi dato il via all'usuale trasloco di applicazione, tipico di questi casi. A dire il vero, anche WhatsApp, nonostante l'incidente ai server del fine settimana, sostiene di aver guadagnato un'ulteriore quindicina di milioni di utenti in pochi giorni. Lo ha detto ieri il cofondatore Jan Koum al Mobile World Congress di Barcellona mentre annunciava l'introduzione delle telefonate dalla prossima primavera. Rimane il fatto che Telegram, la nuova app di messaggistica supersicura che sta esplodendo in queste ore, afferma di aver raccolto domenica scorsa, cioè nelle 24 ore successive al blocco della più celebre app, quasi 5 milioni di nuovi utenti. Un boom soprattutto europeo che ha provocato a sua volta un sovraccarico ai server, un black-out di un paio d'ore e la presenza fissa nelle classifiche dei servizi più scaricati in decine di mercati. Alle sigle cui siamo abituati  -  WhatsApp, Line, Viber, WeChat, Skype  -  c'è dunque da aggiungere anche Telegram, che allo scorso ottobre vantava appena 100mila utenti attivi su base quotidiana. Un salto incredibile frutto di un insieme di fattori, alcuni casuali, ma anche dell'offerta particolare. L'app è infatti blindata: i messaggi sono criptati e possono essere programmati, un po' come su Snapchat, in modo che si autodistruggano dopo un certo  lasso di tempo dalla lettura. Roba per far chiacchierare Edward Snowden e Julian Assange fra Londra e la Russia. Non finisce qui. I server dell'app sono distribuiti nel mondo: questo significa più velocità, quindi tempi di consegna dei messaggi minimi, e massima sicurezza. Non bastassero queste rassicurazioni sotto il profilo della tutela della privacy, ci sono altre caratteristiche che rendono il programmino piuttosto appetibile. Per esempio l'organizzazione "cloud based" dei contenuti, cioè la possibilità di accedervi da qualsiasi dispositivo, anche da Pc. E il fatto di essere open source: le Api, cioè le interfacce di programmazione, e il protocollo sono liberi. Intorno alla creatura dei fratelli Durov possono quindi fioccare altre applicazioni. In effetti già ne esistono di non ufficiali per Windows, Windows Phone, Mac e Linux. Dulcis in fundo, l'app è gratuita e dà la possibilità di inviare contenuti di qualsiasi dimensione a chat di gruppo, anche segrete, fino a 200 contatti. 

"Ci aspettavamo un milione di nuove registrazioni al giorno  -  si leggeva nei giorni scorsi sul profilo Twitter ufficiale dell'app  -  5 milioni è qualcosa di folle. Francamente, avremmo preferito avere una crescita graduale. Il nostro piano era quello di essere pronti per questo genere di esplosione nel giro di un paio di mesi, non ora". E invece, come sempre succede negli equilibri mobile, sono stati gli utenti  -  ormai dipendenti dalle chat quasi più che dai social network  -  a decidere che il momento giusto per decollare era proprio questo. Quando WhatsApp è appena finita nelle fauci dell'ex énfant prodige di Harvard per la mostruosa cifra di 19 miliardi di dollari e le persone hanno cominciato a chiedersi se non fosse possibile cautelarsi dalla potenziale intrusione della lunga mano di Facebook in oltre 450 milioni di rubriche telefoniche. Nel giro di pochi giorni sono saltate fuori petizioni online, proteste e catene di sant'Antonio sull'applicazione, alcune popolate anche di notizie di pura fantasia. Insomma, un certo panico collettivo di cui Telegram  -  ma c'è da scommettere anche Snapchat, Peek, Backchat e simili, come sta avvenendo per la svizzera Threema, che però si paga  -  sta beneficiando a piene mani. D'altronde i segnali si erano visti già lo scorso 21 febbraio: 800mila nuovi utenti appena firmato il patto più ricco della Silicon Valley. La spavalderia dei fratelli fondatori, che hanno addirittura lanciato una specie di sfida agli hacker, invitandoli a violare le proprie conversazioni, ha fatto il resto. 

Lanciata lo scorso agosto per iPhone e a ottobre per Android, Telegram è in realtà gestita da un team di base a Berlino. Tenersi a debita distanza dall'ombra del Cremlino è sempre stata una preoccupazione dei fratelli Durov. Anche per il nuovo programma, come per Vkontakte, l'app preferisce affittare spazio e servizi in data center e server in giro per il mondo, da Londra a San Francisco passando per Helsinki e Singapore. Anche dal punto di vista dei soldi, la coppia non vuole correre rischi: il principale finanziatore è infatti proprio Pavel Durov, che ha versato una generosa ma non meglio quantificata donazione tramite il suo nuovo progetto Digital Fortress. "Telegram non è pensato per produrre profitti  -  si legge sul sito dell'app  -  non venderà mai pubblicità e non accetterà mai investimenti esterni. Non è in vendita. Non stiamo costruendo un database ma un programma di messaggistica per le persone". Come è evidente anche dai toni delle comunicazioni, l'approccio è totalmente diverso rispetto al più grande concorrente a stelle e strisce. I fondatori vogliono che il telegramma a prova di spione rimanga una sorta di iniziativa no-profit, anche per evitare  -  come avevano raccontato tempo fa a TechCrunch  -  grane legali e commerciali. Dovessero servire altri fondi, potrebbero arrivare da donazioni o servizi in-app come un numero telefonico virtuale.

 

Ecclestone evita un mld di tasse e incassa gli alimenti dalla moglie

Il patron della Formula Uno ha siglato un accordo tombale con il fisco inglese versando 10 milionI di sterline. Lo Stato indagava su un'evasione da 1,2 miliardi. E intanto l'ex moglie, dopo la separazione, gli versa 60 milioni l'anno: a lei era intestato il suo patrimonio da 3 miliardi

 

LONDRA - Pagare al fisco 10 milioni di sterline (12 milioni di euro) invece di 1 miliardo e 200 milioni di sterline (1 miliardo e mezzo di euro) può sembrare un'offerta troppo bella per essere vera per un contribuente sospettato di evadere le imposte. Eppure è proprio questa l'offerta che Bernie Ecclestone si è sentito proporre dagli inquirenti del ministero delle Finanze britannico, dopo nove anni di indagini nei suoi confronti: e in cambio di quel piccolo gruzzolo, rispetto all'immensa capitale che il fisco pensava fosse stato evaso, il patron della Formula Uno fu in grado di chiudere e archiviare l'inchiesta contro di lui. 

Il clamoroso accordo risale al 1996. E' venuto alla luce soltanto ora grazie a un servizio di "Panorama", settimanale di approfondimento della Bbc, che lo manderà in onda questa sera e che il Daily Mail ha anticipato stamane. In pratica i legali di Ecclestone, nella discussione con i legali dell'ufficio delle tasse, si sono sentiti fare la proposta di un pagamento - molto modesto rispetto all'entità delle cifre imputate al boss della Formula Uno - e senza fare domande lo hanno accettato subito come una sorta di salvacondotto che chiudesse il contenzioso con lo Stato. 

La Bbc ha scoperto il patto indagando su un altro aspetto poco chiaro degli affari di Ecclestone: il fatto che la sua ex-moglie Slavica pagasse all'imprenditore una sorta di "alimenti" per 60 milioni di sterline l'anno (circa 70 milioni di euro) nel quadro degli accordi raggiunti

dalla coppia quando ha deciso di separarsi. E' piuttosto insolito che sia la ex-moglie a versare una somma mensile o annuale all'ex-marito, e ancora più insolito quando l'ex-marito è considerato uno degli uomini più ricchi di Gran Bretagna. Ma è venuto fuori che l'originale misura deriva dalla decisione di Ecclestone di intestare a Slavica, con cui ancora andava d'amore e d'accordo, e alle loro due figlie Petra e Tamara, il fondo di investimenti da 3 miliardi di sterline (3 miliardi e mezzo di euro - a tanto viene stimato secondo le indiscrezioni) che aveva aperto negli anni 90 nel paradiso fiscale del Liechetenstein. 

Apparentemente, intestandolo alla consorte e alle figlie, lui era ancora più al sicuro da imposizioni del fisco britannico. Ma questo ha comportato che, al momento del divorzio, fosse Slavica a versare soldi a lui, e non il contrario, perché se da un lato i soldi in Liechtenstein erano in sostanza di Bernie, formalmente appartenevano a Slavica, Petra e Tamara, lasciando Ecclestone fuori da tutto.

Questa prassi è a sua volta venuta alla luce soltanto grazie al processo in cui il patron della Formula Uno è imputato in questi giorni a Monaco di Baviera, in cui Ecclestone è accusato di corruzione perché avrebbe pagato una bustarella da 27 milioni di euro a un banchiere tedesco che mediò la vendita della Formula Unoa una società di investimenti della City favorevole a lasciare a Bernie il comando del circo delle corse. Lui si proclama innocente, negando di avere pagato alcuna tangente. Quanto al fondo in Liechtenstein non costituisce alcuna violazione della legge. E anche l'accordo con il fisco per pagare 10 milioni di sterline di tasse invece di più di 1 miliardo è legale. Ma lo scandalo dal punto di vista etico è tale che ora l'ufficio delle imposte potrebbe decidere di riaprire l'indagine contro Ecclestone. Il quale, dall'alto dei suoi 83 anni e della sua abitudine alla vita spericolata, non sembra eccessivamente turbato dall'ondata di rivelazioni che lo riguardano.