COME NEL FILM DI ALBERTO SORDI(1984): TUTTI DENTRO !!!

Scajola: "Cellulare strumento del cazzo". E chiamava anche con
Viber e Skype
Le carte che hanno portato all'arresto dell'ex ministro di di altre
sette persone accusate di aver favorito la latitenza dell'ex
deputato di FI verso la Dda. C'è anche lettera "decisiva" che
sarebbe di Gemayel. I pm: "L'ex ministro, gli arrestati e Vincenzo
Speziali interferivano su funzioni sovrane"
REGGIO
CALABRIA - Le
carte sono in viaggio e arriveranno non prima di martedì o mercoledì
alla Dda. Sono atti, documenti, pc e materiale informatico
sequestrato dalla Dia nel corso delle perquisizioni fatte
nell'ambito dell'inchiesta che ha portatoall'arresto
dell'ex ministro Claudio Scajola e
di altre sette persone accusate di avere favorito la latitanza
dell'ex deputato di Fi Amedeo Matacena. In questo materiale c'è
anche una lettera che, secondo gli investigatori, potrebbe
costituire un elemento "decisivo" per confermare le accuse a
Scajola. Si tratta di una lettera scritta al computer in francese
con una sigla che secondo gli investigatori potrebbe essere quella
dell'ex presidente libanese Amin Gemayel indirizzata al "mio caro
Claudio". Nella lettera si legge che "la persona potrà beneficiare
in maniera riservata della stessa posizione di cui gode attualmente
a Dubai" e "avrà un documento di identita'". Nella lettera si dice
anche che "troveremo un modo per per fare uscire la persona dagli
Emirati Arabi e farlo arrivare in Libano". Un riferimento chiaro,
per l'accusa, ad Amedeo Matacena, che si trova attualmente -
latitante - a Dubai.
Scajola, gli arrestati e Vincenzo Speziali, quali componenti di
"un'associazione per delinquere segreta collegata alla 'ndrangheta",
hanno posto in essere o comunque agevolato "condotte dirette ad
interferire su funzioni sovrane quali la potesta' di concedere
l'estradizione", da Stati esteri, scrivono i pm della Dda di Reggio
Calabria.
Intanto emergono altri dettagli. "Appare utile ribadire - scrive il
giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, Olga Tarzia,
che ha emesso l'ordinanza nei confronti di Scajola ed altre sette
persone per il favoreggiamento della latitanza di Amedeo Matacena -
che Claudio Scajola e Chiara Rizzo nei loro colloqui utilizzano un
linguaggio volutamente criptico. Così nelle teelfonate spesso si
indicava il figlio di Matacena, ma in realta' ci si riferiva
all'imprenditore latitante. "E' possibile rilevare - scrive il
giudice - che le conversazioni tra Claudio Scajola e Chiara Rizzo
spesso sono schermate, allusive ed indirette, nel tentativo di non
fare comprendere, nell'ipotesi di 'intrusione', il soggetto cui si
riferiscono nei loro dialoghi, alludendo ad esempio in un caso al
figlio della Rizzo, ma in realta' riferendosi ad Amedeo Matacena".
Il telefono cellulare - che Scajola nelle sue conversazioni
definisce "strumento del cazzo" e causa di "esaurimento nervoso",
faceva paura. Al punto che per comunicare venivano usati anche i
nuovi strumenti di comunicazione come Viber e Skype per evitare di
essere intercettati. Inoltre Scajola attendeva la candidatura al
Parlamento europeo e la probabile elezione per poter dare, col
proprio stipendio, 15.500 euro a Chiara Rizzo, per l'anticipo di una
nuova casa in affitto a Montecarlo.
E ancora: esisteva un gruppo di 'amici', tra i quali anche l'ex
ministro Scajola, che lavorava per fare in modo che Amedeo Matacena
non fosse sottoposto all'esecuzione della condanna comminatagli,
rileva il giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Reggio Calabria. Le conversazioni registrate tra la moglie di
Matacena, Chiara Rizzo, e l'ex parlamentare, Claudio Scajola,
consentivano di "apprezzare - afferma il giudice - l'esistenza tra i
due di ottimi e consolidati rapporti personali e di sicure
cointeressenze economiche". "Ancor prima - prosegue - della
decisione della Corte di Cassazione del 5 giugno 2013 che rigettava
il ricorso del Matacena contro la sentenza della Corte d'Assise
d'Appello di Reggio Calabria del 18 luglio 2012 che condannava
l'imputato alla pena di anni 5 di reclusione per concorso esterno in
associazione mafiosa, rendendo definitiva la sentenza a carico
dell'armatore, erano intervenute svariate conversazioni tra Chiara
Rizzo, il citato Scajola,
una collaboratrice dello stesso ed altri personaggi comunque legati
a Matacena e desiderosi di aiutarlo". "Secondo le cadenze - conclude
il giudice - delle conversazioni intercettate, intervallate da
servizi di controllo e videoriprese che corroborano la prospettiva
investigativa di un intenso lavoro svolto dagli "amici" per
garantire che Matacena non fosse sottoposto all'esecuzione della
grave pena che gli era stata comminata".
Scajola arrestato dalla Dia: ha favorito la latitanza di un
condannato per mafia
L'ex ministro accusato di essersi adoperato per l'ex
deputato Pdl Matacena, attualmente a Dubai in attesa di
estradizione. Su di lui anche l'ombra di un sodalizio con la
'ndrangheta. Provvedimenti restrittivi per altre sette persone.
Berlusconi: "Addolorato". Il procuratore De Raho: "Arresto
importante: la legge è uguale per tutti.
REGGIO CALABRIA -
La Dia di Reggio Calabria ha arrestato a Roma l'ex ministro Claudio
Scajola, accusandolo di aver favorito la latitanza dell'ex
parlamentare Pdl Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per
concorso esterno in associazione mafiosa e figlio dell'armatore noto
per avere dato inizio al servizio traghetti nello Stretto di
Messina, morto nell'agosto 2003. Ma, secondo i magistrati, Scajola e
gli altri destinatari dei provvedimenti restrittivi sarebbero anche
parte di un sodalizio criminale politico-imprenditoriale collegato
alla 'ndrangheta. La Dia ha disposto perquisizioni in Piemonte,
Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre
a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società
estere, per un valore di circa 50 milioni di euro.
I provvedimenti di custodia firmati dalla procura di
Reggio Calabria riguardano, oltre all'ex ministro, lo stesso
Matacena, la madre Raffaella De Carolis (ai domiciliari) e la
compagna Chiara Rizzo. Gli arresti domiciliari sono stati disposti
anche per la segretaria dello stesso Scajola, Roberta Sacco, e la ex
segretaria del latitante Matacena, Maria Grazia Fiordalisi,
arrestate rispettivamente a Imperia e a Sanremo.
Degli otto provvedimenti restrittivi, non sono stati
eseguiti quelli destinati a Matacena, tecnicamente latitante sebbene
in agosto sia stato
fermato a Dubai (le autorità dell'emirato gli hanno ritirato il
passaporto) ed è in attesa di estradizione,
e Chiara Rizzo, che risulta ricercata. Gli ultimi due arrestati sono
Martino Politi (custodia cautelare in carcere) e Antonio Chillemi
(domiciliari), accusati a vario titolo di essere prestanome di
Matacena.
Anche Vincenzo
Speziali,
nipote e omonimo dell'ex senatore del Pdl, il cui nome figura in un
decreto di perquisizione. Il procuratore capo di Reggio Calabria
Federico Cafiero De Raho, parlando con i giornalisti, lo ha messo in
relazione con le indagini relative al soggiorno libanese di Marcello
Dell'Utri. Speziali avrebbe goduto di notevoli entrature in Libano,
dove avrebbe dovuto rifugiarsi anche Matacena. Dal decreto di
perquisizione emerge che a Speziali si sarebbe rivolto in più
occasioni Scajola.
La Dia ha perquisito la villa dell'ex ministro a
Imperia e il suo ufficio, sequestrando computer fissi e portatili,
tablet, alcuni smartphone e documentazione cartacea relativa a
società riconducibili all'inchiesta su Matacena. Ad assistere alla
perquisizione della villa c'erano la moglie dell'ex ministro, Maria
Tersa Verda, in lacrime, e l'avvocato di Scajola, Mangia.
Sottoposti a perquisizione anche Giorgio e Cecilia
Fanfani, figli di Amintore Fanfani, Maria Teresa Scajola, Elisabetta
Offmann, Pierluigi Bartolini, Giuseppe Speziali (padre di Vincenzo),
Giovanni Morsenti, Daniele Santucci ed Emo Danesi.
Silvio Berlusconi, antico sodale del politico
arrestato, ha espresso "dolore per Claudio", escludendo qualsiasi
nesso fra la mancata candidatura alle europee di Scajola e vicende
di natura giudiziaria.L'indagine.
L'arresto di Scajola è scaturito dalle indagini sui fondi neri della
Lega Nord, di cui è figura chiave il faccendiere Bruno Mafrici.
Grazie a un'intercettazione gli inquirenti sono venuti a conoscenza
di rapporti fra l'ex ministro e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo.
In particolare, la donna chiedeva a Scajola aiuto ai fini del
trasferimento del marito in Libano. E l'ex ministro si attivava allo
scopo di individuare uno stato estero (appunto il Libano) che
evitasse, per quanto possibile, l'estradizione di Matacena o la
rendesse quantomeno molto difficoltosa.
"Amedeo Matacena godeva e gode tuttora di una rete di
complicità ad alti livelli grazie alla quale è riuscito a sottrarsi
all'arresto", ha detto il procuratore della Repubblica Federico
Cafiero De Raho. "Dalle indagini - ha spiegato il magistrato - si
evidenzia ripetutamente come Scajola sia in rapporti strettissimi
con Matacena e la moglie ai fini di favorire la sua latitanza",
nelle intercettazioni "parlano di dove si può rifugiare".
Dalle attività di intercettazioni, si legge in una
nota della Dia, sono emersi subito"svariati
dialoghi" tra Chiara Rizzo e Claudio Scajola,
che "consentivano di accertare come il politico, ex ministro ed ex
parlamentare, appariva in possesso di informazioni relative allo
stato di latitanza di Matacena, delle cui condizioni e spostamenti
in alcuni stati esteri, funzionali per sottrarsi alla cattura,
veniva costantemente aggiornato".
Occultamento di capitali.
Ma "lo stesso Scajola - prosegue la Dia - con l'apporto determinante
della sua segretaria Roberta Sacco, si attivava alacremente" anche
nel favorire le operazioni di occultamento del patrimonio di
Matacena". Assecondando le richieste della Rizzo anche per lo
spostamento di denaro, in quella che l'inchiesta inquadra come una
operazione effettuata attraverso prestanome, creazione di schermi
societari di aziende controllate estere e conti offshore in paradisi
fiscali.
Il Gip di Reggio Calabria nell'ordinanza di custodia
cautelare descrive Scajola come completamente "asservito" alle
necessità della moglie di Matacena. In particolare in una telefonata
datata 12 dicembre del 2013: l'ex ministro chiamava la signora,
"conversazione - sostiene il Gip - che riguarda lo spostamento di
denaro da un conto corrente all'altro. Si denota l'asservimento
totale dello Scajola alle necessità della Rizzo".
Dalle intercettazioni sono emersi incontri anche tra
Manfrici e Matacena nella casa di quest'ultimo nel principato di
Monaco. Dagli accertamenti è così risultato il coinvolgimento della
moglie di Matacena, della segretaria, della madre e del factotum
Martino Politi, che facevano da prestanome nelle società Solemar srl,
Amadeus spa, Amju international tanker Ltd e Athoschia international
tanker Ltd, queste ultime costituite in Liberia. Società il cui
capitale è stato messo sotto sequestro oltre a quello della Ulisse
shipping srl, Lidico srl, Seafuture sa e Xilo sa (con sede in
Lussemburgo), New life srl unipersonale.
L'indagine ha evitato "la completa schermatura" delle
società facenti capo a Matacena. "Non capita tutti i giorni di
imbattersi in fusioni inverse di società" ha spiegato Gianfranco
Ardizzone, capocentro della Dia di Reggio Calabria, facendo
riferimento al tentativo degli indagati di far confluire una società
più grande in una più piccola per evitare che a Matacena, condannato
per mafia, potesse essere sequestrata. "Adesso la magistratura si
attiverà per avere conto dai Paesi esteri delle società che in quei
territori operavano".
L'ombra della 'ndrangheta.
Ma dietro questa rete di società si nasconderebbe ben altro. Secondo
i magistrati reggini, Scajola e gli altri indagati appartengono a
un'associazione per delinquere segreta, collegata alla 'ndrangheta.
Gli indagati erano in grado di canalizzare e mettere a disposizione
della 'ndrangheta un patrimonio di informazioni riservate e contatti
ad alti livelli. E, attraverso operazioni politiche, istituzionali
ed economiche, essere "il terminale di un complesso sistema
criminale, in gran parte di natura occulta ed operante anche in
territorio estero".
"Un'articolata struttura politico- imprenditoriale -
precisano gli inquirenti -, riferibile alla predetta organizzazione
mafiosa, interessata a mantenere inalterata la piena operatività di
Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile
utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche,
istituzionali ed imprenditoriali dello stesso garantite a livello
regionale, nazionale ed internazionale".
Uomo di Stato al servizio di un condannato per mafia.
"Questi fatti, che rappresentano uno dei più sofisticati modi di
elusione delle norme in materia di prevenzione patrimoniale -
conclude la Dia - dimostrano la pericolosità e il ruolo anche di
soggetti che, pur non essendo mafiosi, prestano le proprie capacità
professionali o la propria rete di influenti amicizie
all'affermazione e alla realizzazione di interessi criminali".
"Aspettiamo sempre l'esito processuale per gioire del
nostro risultato" ha premesso il procuratore, ma "ci muoviamo in un
quadro indiziario grave" emerso a carico dell'ex ministro Claudio
Scajola. "L'aspetto che colpisce tutti noi - ha proseguito De Raho -
è come una persona che abbia ricoperto all'interno dello Stato
posizioni di vertice e di responsabilità così significative, possa
curarsi di un'altra persona condannata per associazione mafiosa a 5
anni di carcere e che si è resa latitante per sottrarsi alla pena".
"Di fronte a legami e frequentazioni intense di
Scajola con un condannato in via definitiva per associazione
mafiosa, credo ci sia bisogno di un approfondimento per capire se
l'ex ministro abbia agito con superficialità - ha osservato De Raho
-, sottovalutando l'importanza che potesse avere per lui, uomo dello
Stato, un rapporto così stretto con Matacena oppure ci siano altre
situazioni evidentemente da verificare".
Arresti che fanno chiarezza.
"Il fatto desta grande impressione proprio per le persone che sono
coinvolte - ha aggiunto il magistrato -. Il loro modo di agire
mostra che quel tipo di condanna (associazione a delinquere di
stampo mafioso, ndr) quasi non significhi nulla per coloro che gli
sono a fianco e che lo sostengono. Soprattutto in questo territorio,
quello calabrese, parliamo di una confusione che esiste tra bene e
male, bianco e nero, e questo è uno degli aspetti che più rendono
difficile la collaborazione tra i cittadini e lo Stato. I cittadini
non sono convinti di quale sia il loro interlocutore e non hanno fiducia
nelle istituzioni".
Per questo, ha concluso il procuratore capo di Reggio
Calabria - si tratta di una ordinanza di custodia importante, per i
soggetti coinvolti e i fatti contestati, ma che deve costituire
ulteriore momento di chiarezza e di riflessione almeno in questo
territorio: la legge è uguale per tutti e noi abbiamo il precetto
dell'obbligatorietà dell'azione penale. Non esistono categorie di
intoccabili. Tutti sono uguali davanti alla legge".
Expo 2015, la cupola bipartisan degli appalti: arrestati Greganti e
Frigerio
In carcere il direttore dell'ufficio contratti dell'Esposizione di
Milano Paris, oltre al "Compagno G", all'ex deputato di Forza Italia
e all'ex senatore Grillo. Per i pm era un'associazione a delinquere
per pilotare bandi. "Ho raccomandato il manager a Berlusconi e
Maroni per sostituire quello arrestato"
Una cupola un
po’ di destra e un po’ di sinistra sugli appalti dell’Expo
2015, ma anche sulla sanità lombarda (ancora una volta). Un
patto tra chi è stato comunista e chi è stato democristiano con chi,
più giovane, gestisce ora gli affari dell’esposizione internazionale
di Milano del prossimo anno. Erano garantite “le imprese
riconducibili a tutti i partiti” dicono i magistrati dell’inchiesta
che oggi, 8 maggio, ha portato a 7 arresti (6 in carcere e uno ai
domiciliari). Se sia una nuova Tangentopoli,
nata all’ombra di Expo
2015, è presto per dirlo. Di certo c’è che i protagonisti
della storia arrivano da quello che sembrava il passato remoto. La
fotografia di gruppo dell’inchiesta assomiglia a una Polaroid
ingallita che improvvisamente riprende colore. A finire in cella,
infatti, non è solo il direttore della pianificazione acquisti di
Expo, Angelo
Paris, ma anche personaggi che hanno punteggiato la bufera
di Mani
Pulite: l’ex segretario regionale della Dc lombarda e
parlamentare di Forza Italia (pluricondannato) Gianstefano
Frigerio, lo storico esponente del Pci Primo
Greganti (il
“compagno G”) e l’imprenditore Enrico
Maltauro. Gli altri a essere stati raggiunti da un ordine
di custodia cautelare in carcere sono stati l’intermediario genovese Sergio
Catozzo (ex Cisl,
ex Udc infine berlusconiano) e l’ex senatore del Pdl Luigi
Grillo, già coinvolto in numerose inchieste (la più nota
quella sulla Banca
Popolare di Lodi, alla fine della quale è stato assolto in
appello). Ai
domiciliari, infine, Antonio
Rognoni, direttore generale di Infrastrutture Lombarde, già
arrestato due mesi fa per presunte irregolarità negli appalti delle
opere pubbliche.
La cupola aveva contatti molto in alto – agli atti ci sono le
telefonate degli arrestati con Silvio
Berlusconi, Cesare
Previti e Gianni
Letta -,
prometteva avanzamenti di carriera e protezioni politiche ai
manager, incontrava direttori di aziende ospedaliere, copriva e
proteggeva le imprese “riconducibili” a tutti i partiti, comprese
“le cooperative”. E appena si verificava un vuoto di potere il
gruppo sembrava pronto a riempirlo con qualcuno di “fidato” per
poter compiere altri reati, tanto da mandare raccomandazioni al
leader di Forza Italia Silvio
Berlusconi, al presidente della RegioneRoberto
Maroni e al suo vice Mario
Mantovani. “Ho mandato un biglietto a Berlusconi, non
chiamo nessuno per telefono – dice Frigerio al telefono – Un
biglietto per Berlusconi e uno a Mantovani dicendo ‘ma la soluzione
migliore si chiama Paris per la direzione’. Una “strategia” per
sostituire proprio l’ex dg di Infrastrutture Lombarde Rognoni. E il
3 febbraio, scrive il gip, proprio Paris partecipa a una cena ad
Arcore.
La cupola che proteggeva “le imprese riconducibili a tutti i
partiti”
In Lombardia sarebbe esistita una vera e propria “cupola per
condizionare gli appalti”,
alcuni dei quali relativi anche ad Expo, come hanno spiegato i
magistrati. La “cupola” prometteva “avanzamenti
di carriera” grazie a “protezioni politiche” a manager e
pubblici ufficiali. Racconta il pm Claudio
Gittardi che
Paris in un’intercettazione telefonica agli atti dice in sostanza:
“Io vi do tutti gli appalti che volete se favorite la mia carriera”.
E il “compagno G”? Secondo gli inquirenti “copriva
e proteggeva le cooperative”: la “saldatura” tra Greganti e Frigerio
“proteggeva le imprese riconducibili a tutti gli schieramenti
politici”. Nelle carte dell’inchiesta compaiono, a quanto si è
appreso, i nomi di Silvio
Berlusconi, Cesare
Previti e Gianni
Letta,
che però non risultano indagati. L’inchiesta che ha portato anche ad
una serie di perquisizioni da parte della Guardia di Finanza e
della Dia milanese, vede al centro i reati di associazione
per delinquere, corruzione,turbativa
d’asta, rivelazione
e utilizzazione del segreto d’ufficio.
“Viavai continuo di imprenditori, dg di Asl, politici”
La “sede sociale” dell’associazione per delinquere che avrebbe
“inquinato” gli appalti era un’associazione culturale intitolata a Tommaso
Moro, lo scrittore umanista autore di “Utopia”. “Neanche la
sua fantasia sarebbe arrivata a tanto”, ha affermato il procuratore
della Repubblica di Milano Edmondo
Bruti Liberati. Frigerio era il presidente del
Centro Culturale Tommaso Moro e alcuni imprenditori, secondo i pm,
avrebbero anche dato “soldi per una pubblicazione riferibile al
figlio di Frigerio”. Nel centro, secondo il pm Gittardi, “c’era una viavai
continuo di
imprenditori, dg di aziende ospedaliere, personaggi di rilievo
politico” e poi una serie di incontri si svolgevano anche “in
alberghi, ristoranti, nel corso di cene a Milano e Roma”. Gli
incontri si svolgevano, come ha spiegato il pm D’Alessio, “anche a
Roma ogni mercoledì”. La “struttura” associativa, come ha
sottolineato Bruti Liberati, “ruotava attorno a Frigerio, Greganti,
Grillo come organizzatori dell’associazione” e aveva per “partecipi
Cattozzo, Paris e Maltauro”. Frigerio, invece, aveva a disposizione,
in particolare, una “squadra” di dg di aziende ospedaliere lombarde.
Questa, hanno sottolineato i pm, “non è un’indagine sull’Expo, ma è
anche un’indagine sull’Expo”.
Una ventina di indagati: “Squadra di direttori generali degli
ospedali a disposizione della cupola”
Sono 12 le misure cautelari rigettate per un totale di circa 20
indagati. Il pm Antonio
D’Alessio parla di ”ramificazioni in diversi settori
dell’amministrazione e agganci politici” di qualsiasi schieramento.
Era una struttura, continuava il magistrato, capace di “avvicinare
il pubblico ufficiale per ottenere anticipi di bandi e di procedure
di gara” ad esempio relativi al progetto delle Vie
d’acqua o
all’area parcheggi per Expo. In questo senso è “sorprendente la disponibilità”
di Paris “di mettere a disposizione informazioni riservate”.
Un’organizzazione che si “rivolge a pubblici ufficiali promettendo
avanzamenti di carriera in cambio di protezione politica” e che ha
dalla sua parte – aggiunge il pm Gittardi – una “capacità
impressionante di interventi in appalti sanitari, con unasquadra
di direttore generali e amministratori a
sua disposizione“.
C’è un richiamo “fortissimo a far parte di una squadra, la capacità
di coprire tutte le aziende operative con collegamenti e protezioni”
riferibili “a qualsiasi schieramento politico”, conclude. Gli
inquirenti milanesi stanno indagando anche su ipotesi corruttive
relative a forniture sanitarie a favore, tra le altre, delle aziende
ospedaliere di Melegnano e Pavia,
per le quali risultano indagati Patrizia
Pedrotti e Paolo
Moroni, rispettivamente direttore amministrativo e generale
del presidio diMelegnano,
e Daniela
Troiano direttore
generale dell’azienda ospedaliera di Pavia.
“Condizionati appalti sui servizi e sull’area parcheggi”
I pm titolari dell’inchiesta – il procuratore aggiunto Ilda
Boccassini, i sostituti Claudio
Gittardi eAntonio
D’Alessio, assieme a Bruti Liberati – hanno chiarito che
l’associazione per delinquere “operativa da un anno e mezzo o due”
avrebbe condizionato o tentato di condizionare almeno da metà del
2013 alcuni appalti dell’Expo, tra cui la gara per “l’affidamento
per le architetture
di servizi”, che sarebbe stata pilotata a favore
dell’imprenditore vicentino Enrico
Maltauro, anche lui finito in carcere. Maltauro, sempre
secondo i pm, avrebbe versato “30-40mila
euro al mese” in contanti o come fatturazione di consulenze
alla “cupola degli appalti”. Paris, importante manager dell’Expo e,
in particolare, responsabile dell’Ufficio contratti, avrebbe
dimostrato “a partire dal settembre-ottobre 2013 piena
disponibilità nei
confronti del sodalizio” e sarebbe stato “totalmente a
disposizione”, tanto che, sempre secondo i pm, “avrebbe fornito notizie
riservate sulle
gare d’appalto e pilotato
le assegnazioni”. Al centro dell’inchiesta ci sono poi
alcuni altri appalti “minori” di Expo come quello “dell’area
parcheggi”. Le indagini poi avrebbero accertato anche la
presunta aggiudicazione illecita di appalti per alcune “aziende
ospedaliere lombarde” e del
progetto “Città della Salute”, nuovo polo che dovrebbe sorgere a Sesto
San Giovanni e che dovrebbe riunire il “Besta” e l’istituto
tumori. Ma non solo: la “cupola” secondo i pm è riuscita
anche a condizionare un appalto con al centro Sogin per
lo smaltimento di scorie nucleari.
L’indagine è nata da un’altra inchiesta che nei mesi scorsi aveva
portato all’arresto dell’ex consigliere lombardo, Massimo
Gianluca Guarischi (ora
sotto processo), per presunte tangenti nella sanità lombarda, un
filone questo che vede indagato in una tranche (distinta
dall’inchiesta scaturita nel blitz di stamani) anche l’ex presidente
della Regione Lombardia, Roberto
Formigoni.
Frigerio, il parlamentare di B. graziato dal Parlamento
Gianstefano Frigerio, attuale collaboratore dell’ufficio
politico del Ppe a Bruxelles, è stato condannato definitivamente a
tre anni e nove mesi per le mazzette sulle discariche lombarde
(corruzione) e a due anni e undici mesi in altri due processi della
Tangentopoli milanese (concussione, corruzione, ricettazione,
finanziamento illecito), salvo per prescrizione nel processo Enel
(corruzione), diventa deputato di Forza Italia nel 2001 (ha un
posto sicuro in Puglia, col nome cambiato in “Carlo” per camuffarlo
meglio), ma non riesce a entrare alla Camera perché lo arrestano
subito. Mentre il presidente Pierferdinando
Casini inaugura i lavori della 14esima legislatura
invocando la Madonna di San Luca, i giudici di Milano provvedono
all’arresto dell’onorevole pregiudicato. Poi ottiene un ricalcolo
della pena, con un congruo sconto, e accede ai servizi sociali. Che
riesce a scontare in Parlamento. Nel 2006, privo del diritto di voto
a causa dell’interdizione dai pubblici uffici, non viene ricandidato.
Ma rimane responsabile dell’Ufficio dei dipartimenti di Forza Italia
e collaboratore del Giornale di Paolo
Berlusconi, che negli anni Novanta gli pagava le tangenti. Il
suo caso in Parlamento dette qualche speranza proprio a Berlusconi
quando – a pochi mesi dalla condanna definitiva per la frode fiscale
di Mediaset – l’ex Cavaliere tentava in tutti i modi di rimanere
senatore, evitando non solo la decadenza – poi avvenuta con il
voto di Palazzo Madama – ma anche l’interdizione dai pubblici
uffici.
Il compagno G, 21 anni dopo
L’ex Compagno
G, ex cassiere di Pci e Pds, classe 1944, fu tra i pochi a
rifiutare ogni collaborazione con i magistrati ai tempi di
Tangentopoli. Era il primo marzo 1993 quando Greganti venne
arrestato in esecuzione di un ordine di custodia firmato dallo
“storico” gip di Mani Pulite Italo
Ghitti su
richiesta del pm Antonio
Di Pietro, con l’accusa di corruzione, per aver ricevuto in
Svizzera, tra il 1990 e il 1992, 621 milioni dal gruppo
Ferruzzi per
appalti Enel. Denaro che, secondo la magistratura, rappresentava la
prima delle due quote riservate al Pci-Pds delle tangenti concordate
con il sistema dei partiti (l’1,6 per cento sul valore delle
commesse). A fotografare quella ripartizione di mazzette ai
magistrati milanesi era stato Lorenzo
Panzavolta, amministratore della Calcestruzzi
di Ravenna, l’uomo che fece materialmente i versamenti
estero su estero. In seguito i versamenti accertati “lievitarono” a
tre: 621 milioni depositati il 21 novembre 1990 sul conto “Gabbietta”
intestato a Greganti alla Banca di Lugano; 525 milioni nel settembre
1992 sul conto 294469 allaBanca
del Gottardo di Zurigo, sempre nella disponibilità di
Greganti; 100 milioni consegnati personalmente nello stesso 1992 al
compagno G. Il quale negò sempre ogni addebito e continuò a ripetere
che si trattavano di consulenze
personali. Alla fine di un’inchiesta “contrastata” che vide
gli inquirenti milanesi dividersi e scontrarsi sul capitolo Pci-Pds,
Greganti venne condannato
a 3 anni e 7 mesi per finanziamento
illecito al suo
partito, pena successivamente patteggiata e ridotta a 3 anni e
confermata dalla Corte di Cassazione nel marzo 2002, ulteriormente
ridotta di sei mesi dopo che Greganti aveva già scontato in regime
di carcerazione cautelare a San Vittore durante le indagini. Del
“compagno G” in seguito si è saputo poco o nulla. Solo che aveva
“abbandonato” la politica e si dedicava ad affari privati. In
passato ha anche difeso la “rivoluzione” giudiziaria milanese
sostenendo che “seppur con errori ed eccessi, senza quell’inchiesta
saremmo finiti come l’Argentina”.
Greganti e il Pd
Ma Greganti ha davvero abbandonato gli ambienti del Pd? Il Pd si è
davvero liberato di Greganti? Nel 2010 Europa raccontava che il
compagno G raccoglieva soldi per il partito. O meglio: alla festa
nazionale del partito, a Torino, era addetto al “coccardaggio“,
cioè l’applicazione dell’adesivo sul petto dell’ospite in arrivo.
Scrisse anche un libro (Scusate
il ritardo) in cui difendeva il suo operato e quello del Pci.
Sembrava scomparso, ma un mese e mezzo fa il suo nome è ricomparso
al principale evento del Pd regionale: la candidatura di Sergio
Chiamparino alla
Regione Piemonte, dopo gli scandali che hanno contraddistinto
l’ultima parte del mandato del presidente uscente Roberto
Cota.
L’ex pm Colombo: “Dopo 22 anni nulla è cambiato”
“Dopo più di vent’anni questi arresti mi lasciano allibito” afferma
all’Adnkronos l’ex
pm di Mani Pulite, oggi consigliere Rai, Gherardo
Colombo. Della “vecchia” inchiesta sul Pci-Pds, Colombo non
si occupò direttamente e non interrogò mai Primo
Greganti. Più volte però l’ex magistrato ha avuto modo di
sentire Frigerio, anche lui coinvolto oggi nell’indagine milanese,
come Greganti protagonista di Tangentopoli. “Sembra proprio – dice
ancora Colombo – che la corruzione in questo Paese non finisca mai.
Certo, la magistratura dovrà accertare quelli che al momento sono
solo ipotesi di reato”. Ipotesi che però, se confermate, “danno un
brutto polso dello stato di salute di questo Paese. Un Paese dove,
dopo 22 anni, nulla è cambiato”. “Gli arresti di oggi – conferma in
un tweet un altro ex pm di Mani Pulite – confermano la necessità di
una nuova Mani Pulite. Il Parlamento si dissoci da coloro che hanno
problemi di giustizia”.
Mps, il sodalizio criminale del presidente del Mens Sana passato
alla Lega Basket
L'arresto del patron della squadra tanto cara a Giuseppe Mussari
conferma quanto scritto dal Fatto nel gennaio 2013. Che non aveva
però scalfito l'apprezzamento dei 16 presidenti dei team di Serie A
che lo hanno appena incoronato presidente
Destini sempre più incrociati tra Giuseppe
Mussari e Ferdinando
Minucci, arrestato giovedì per il suo
“ruolo di ideatore e regista” del “sodalizio criminale” che secondo
la Procura
di Siena si muoveva dietro le quinte
del Mens
Sana Basket. E l’incrocio non
riguarda solo il Monte
dei Paschi di Siena, al centro dei
rapporti tra il deus
ex machina della squadra e il suo tifoso
e sponsor all’epoca alla guida della banca senese. Entrambi infatti
hanno goduto fino all’ultimo della stima più totale delle
rispettive associazioni
di categoria tanto da arrivarne alla
presidenza (è il caso di Minucci alla Lega
Basket) o da spingersi a un passo dal
secondo mandato (come accaduto a Mussari per l’Abi che
l’ha scaricato solo quando proprio non c’era più niente da fare)
anche quando il sospetto sul loro operato era ben più di un’ombra.
L’inchiesta che insieme ai quattro
arresti domiciliari e ai sequestri
patrimoniali per
oltre 14 milioni di euro, sta portando a galla quello che i
magistrati e la Guardia
di Finanza definiscono
appunto un “sodalizio criminale” con diverse finalità, non fa che
confermare e arricchire di dettagli quanto Il
Fatto Quotidiano aveva
scritto il 29 gennaio del 2013 in un articolo che anticipava le acrobazie
finanziarie dei vertici della squadra
avallate da Mps e
necessarie a far quadrare i conti in modo da garantire l’iscrizione
ai campionati, accostandole proprio all’inchiesta dei pm sui
presunti pagamenti
in nero dei cestisti che
a fine 2012 aveva registrato una serie di perquisizioni
a tappeto tra Siena e Rimini. Eppure
l’8 febbraio scorso, mentre gli inquirenti proseguivano il loro
lavoro, i presidenti delle 16 squadre di Serie A non
hanno avuto alcun imbarazzo a eleggere Minucci alla presidenza della
Lega Basket (l’inizio del mandato è fissato per il primo luglio) con
14 voti a favore e 2 contrari.
Un plebiscito che ricorda da molto
vicino gli
attestati di stima che Mussari riceveva copiosamente in ambito
bancario e politiico fino a poco prima di essere abbandonato al suo
destino e che era stato trainato dai sì di Milano,
Cantù e Sassari con
l’opposizione delle sole Virtus
Bologna e Roma.
Al momento dell’elezione Renato
Villalta, numero uno della società
emiliana, aveva spiegato in poche parole il suo no: “I principi
della Virtus e i miei non collimano con i suoi”. A cose fatte,
soltanto nelle scorse settimane, poi, è arrivata una presa di
posizione del presidente della Federbasket Gianni
Petrucci ad incrinare gli ampi
consensi attorno all’ex dirigente di Siena. Ed erano rimbalzate voci
di sondaggi
informali per tastare la
disponibilità dell’ex manager Ferrari Stefano
Domenicali e del presidente della
Legacalcio Serie B Andrea
Abodi, il primo fuori budget e il
secondo vincolato a un altro anno di contratto. Sottotraccia un nome
che continua a circolare è quello di Maurizio
Gherardini, senior advisor degli
Oklahoma City Thunder e nome accostato negli scorsi giorni alla
Reyer Venezia.
Difficile che le cose possano restare
immutate dopo gli eventi delle ultime ore. Il comunicato della
Guardia di Finanza, infatti, parla molto chiaro a proposito degli
arresti a carico di Minucci, della sua principale collaboratrice Olga
Finetti, di Stefano
Sammarini e
Nicola Lombardini soci dellaEssedue
Promotion e
della Brand
Management per
“i reati di associazione a delinquere con lo scopo di commettere una serie
indeterminata di delitti tributari“,
nonché dei sequestri preventivi per equivalente per un totale di 14
milioni di euro ripartiti in 9,835 milioni per Minucci e Finetti e
in 4,045 milioni a carico degli altri due.
“Le investigazioni di natura
economico-finanziaria unitamente ad attività tipica di Polizia
Giudiziaria condotte dalla Compagnia della G.di F. di Siena hanno
delineato, per gli anni almeno dal 2006 ad oggi i ruoli ed i compiti
dell’intero sodalizio criminale che aveva nel presidente Minucci il
suo ideatore e regista”, si legge nella nota. Che parla di “disinvolta
gestione economica della società
sportiva” che ha consentito “alla dirigenza di raggiungere finalità
diverse: elevare lo spessore della squadra ingaggiando atleti
di fama internazionale pagati
anche in nero su conti esteri e
quindi maggior competitività sportiva; alterare i risultati
dei bilanci in modo da iscriversi
regolarmente ai vari campionati; produrre provviste
di denaro contante per spese fuori
bilancio e anche per l’arricchimento
personale esentasse”.
Il meccanismo della frode prevedeva
l’utilizzo di fatture
per operazioni inesistenti emesse da
società create ad hoc, contesto in cui si inquadrano i rapporti tra
di prestazione di servizi tra Mens Sana e la Essedue per
sponsorizzazioni, eventi, promozione etc. A sua volta la Essedue
aveva contratti speculari “con terze
società compiacenti riconducibili a Galluzzi
Alberto“. Quest’ultimo
”contestualmente agli accrediti era uso prelevare
in contanti l’equivalente dell’82%,
costituendo in tal modo una provvista
finanziaria occulta a disposizione
del sodalizio criminoso”. Il denaro ritornava quindi alla Essedue e
di qui alla dirigenza della Mens Sana. Il 18% restava invece a
Galluzzi come “commissione” il 7% veniva trattenuto dalla Essedue,
il 5% a Minucci che si stima prudenzialmente abbia percepito in
nero almeno 2 milioni di euro ”oltre
allo stipendio corrisposto dalla società, gli emolumenti
gonfiati e i benefit che arrivavano
alla società di famiglia per la gestione pubblicitaria del
palazzetto dello sport”. Mentre “la restante parte veniva utilizzata
per finalità extra bilancio ed era completamente occultata al
fisco”.
Per quanto riguarda i campioni, “è stato
appurato che ai cestisti siano stati accreditati, oltre al compenso
dichiarato nei contratti depositati in Lega, una serie di altri
emolumenti ottenuti sotto forma di diritti d’immagine e/o altre prestazioni
certificate da società estere. Queste
erano appositamente costituite dallo stesso cestista o dal suo
procuratore. In alternativa si avvaleva di un’azienda nazionale
compiacente a cui il cestista fittiziamente cedeva tali diritti”.
L’evasione
di 25 Top Player della Mens Sana “è
stata quantificata in circa 16 milioni” e 17 atleti sono stati
denunciati per omessa/infedele
dichiarazione fiscale.
Poi i rapporti con il Monte dei Paschi e
la vendita
gonfiata del ramo d’azienda merchandising che
ha fatto scattare la terza fase dell’inchiesta. “Approfittando delle
professionalità interne alla società e dei rapporti
preziosi con la Banca Monte dei Paschi –
si legge ancora nella nota – nel 2012 fu individuata la soluzione
perfetta per fare un nuovo maquillage al bilancio e avere i
requisiti per potersi iscrivere ai campionati”. Lo stratagemma è
appunto la creazione da parte di Sammarini di una società ad hoc per
farle comprare il marchio Mens Sana. Con una supervalutazione
di 8 milioni di euro che
ha comportato la scrittura in bilancio di una maxi plusvalenza
invece del debito contratto (da Sammarini con Mps) per
l’acquisizione. “Questo dato, unitamente ai dati falsi già iscritti
in precedenza quale conseguenza delle fatture per operazioni
inesistenti ha di fatto alterato e sistematicamente falsificato le
poste iscritte al bilancio descrivendo una realtà
economico-finanziaria ben diversa dalla realtà”. I conti sono poi
stati presentati ai soci in versioni diverse. E da qui è scaturita
una denuncia al cda da parte di alcuni azionisti, il cui esito
ultimo è stato il fallimento della società e l’accusa di false
comunicazioni sociali e bancarotta
fraudolenta in
capo a Minucci e al suo staff.
“In conclusione le indagini hanno
dimostrato come l’associazione a delinquere interessata dall’Operazione
Time Out abbia messo in atto un disegno
criminale ben preciso cercando di
utilizzare le ingenti
sponsorizzazioni ottenute dal gruppo
Monte dei Paschi, si parla di 100
milioni di euro in 7 anni (2006-2013),
per una gestione del tutto personale della società Mens Sana”,
conclude la nota. Le sole contestazioni fiscali riguardano 27
milioni di imponibile sottratto al fisco, 15 milioni di Iva, quasi 3
milioni di ritenute previdenziali non versate e 18 milioni di
redditi non dichiarati.
Questi i fatti con cui dovranno fare i
conti in Lega Basket dove per ora si “prende atto” degli eventi che
“saranno oggetto di “apposita analisi in una prossima assemblea”. Di
certo c’è che le decisioni dovranno essere rapide. L’arresto è
arrivato in un momento cruciale per la programmazione della nuova
stagione, alla quale il futuro presidente stava già lavorando. Molto
dipenderà da un’eventuale mossa di Minucci che non ha ancora firmato
un contratto con la Lega, impegnata però da una delibera
vincolante. Quello delle dimissioni è
lo scenario più invocato in via informale in queste ore dai
presidenti di Serie A. Altrimenti verrà convocata un’assemblea
straordinaria che porterà a una
clamorosa retromarcia dopo il sì convinto e gli applausi scroscianti
d’inizio febbraio, quando i fatti che hanno portato ai domiciliari
l’ex dirigente senese erano già in larga parte noti. A Siena,
invece, resta il rimpianto dei 100 milioni perduti oltre alle
incognite sulla restituzione dei denari prestati a Sammarini per il
marchio. La sponsorizzazione invece scade quest’anno dopo che nel
2012 il neo ad Fabrizio
Viola aveva confermato l’impegno di
circa 10 milioni dedicandosi personalmente alla ricerca di un paio
di sponsor scaduti, come dimostra lo scambio di mail con suo figlio
Gianluca e, prima, con Minucci, finito nelle carte dell’inchiesta
sul dissesto della banca.
“Una indagine particolarmente complessa
e complicata dalla condizione ambientale che ha creato non poche
difficoltà”, ha commentato intanto il pm Antonino
Nastasi, titolare dell’inchiesta che
“continua, stiamo raccogliendo prove”. “Alla base delle misure
cautelari – ha spiegato Nastasi – l’inquinamento
probatorio. Nel corso delle indagini
sono stati distrutti alcuni documenti”. Il pm ha anche specificato
che “sono state accertate fughe di notizie che hanno permesso
l’eliminazione di alcuni documenti che, se trovati, avrebbero
permesso di ricostruire uno spaccato più ampio”. Secondo Nastasi i
documenti sarebbero stati eliminati “da soggetti che hanno aiutato
le persone raggiunte dalla misura di custodia cautelare”.
Daniele De Santis non era solo: commando di almeno 4 persone
Confermato l'arresto per il capo ultras romanista: sarebbe stato
solo lui a sparare, ma non avrebbe agito da solo. Il prefetto di
Roma ha anticipato alle 17.45 il big match previsto per domenica
sera
Inchiesta giudiziaria e polemica politica. Sono ancora al centro
della cronaca gli scontri di sabato sera. Secondo il pm, Daniele
De Santis avrebbe
attaccato i supporter napoletani con un commando organizzato di
almeno quattro persone non ancora identificate. Intanto proseguono
le indagini per ricostruire il momento della sparatoria e quello del colloquio
tra Hamsik e Genny ‘a carogna. Sul fronte
politico-istituzionale sono intervenuti sia il presidente Napolitano che
il capo della polizia Pansa;
entrambi hanno duramente condannato il tifo violento e difeso
l’operato della polizia.
Pm: “De Santis ha agito con un commando organizzato” - Daniele
De Santis non
era solo al momento degli scontri con i supporter del Napoli”.
Secondo gli inquirenti il capo curva romanista avrebbe agito
all’interno di un commando
organizzato di
cui facevano parte almeno altre 4 persone e tutti avrebbero
partecipato al lancio
di pietre contro
il pullman dei tifosi napoletani. A partire da questa convinzione,
gli investigatori stanno provando a identificare queste persone che,
dopo aver assistito alla reazione dei supporter napoletani,
sarebbero fuggite, lasciando solo De Santis. Intanto il gip ha
confermato l’arresto per l’uomo che continua a sostenere la sua
innocenza: “Ho ricordi confusi, ma non
sono stato io a sparare“, ha ribadito. Le sue dichiarazioni
non hanno fatto cambiare idea al gip che nell’ordinanza di arresto
ha descritto De Santis come un soggetto dalla “natura
incontenibile e specialmente violenta“ e “un generale
atteggiamento di sfida nei confronti dell’ordinamento e delle sue
regole”. Il gip di Roma, Giacomo
Ebner, ha confermato la versione secondo cui a sparare
sarebbe stato solo ‘Gastone’, ma pare ormai certo che al momento
dell’esplosione dei colpi non fosse l’unica persona presente sulla
scena. Intanto gli inquirenti continuano i sopralluoghi nella zona
in cui si sono svolti gli scontri. L’ispezione si è resa necessaria
per ricostruire le varie fasi degli incidenti, culminate con il
ferimento di Ciro Esposito.
Roma-Juventus anticipata alle 17.45 - Il
Prefetto di Roma ha stabilito che Roma-Juventus,
che si sarebbe dovuta giocare domenica 11 maggio alle 20,45, sarà anticipata
al pomeriggio. La decisione arriva in seguito alle
polemiche degli ultimi giorni, che avevano messo al centro delle
preoccupazioni la sicurezza della capitale, già messa a dura prova
dagli scontri di sabato scorso. Il timore degli inquirenti è che
potrebbero ripetersi gli incidenti, con gli ultras napoletani forse
intenzionati a ritornare nella capitale per ‘vendicarsi’
dell’aggressione giallorossa prima della finale di Coppa
Italia.
Gip non convalida arresto per Ciro Esposito - Ciro
Esposito, il tifoso napoletano rimasto gravemente ferito
negli scontri a Roma prima della finale di Coppa Italia, invece, è
libero. Per lui non è stato disposto alcun provvedimento:
“Il gip ha rigettato qualunque misura cautelare avanzata dal pm per
Ciro e ha accolto le richieste della difesa. Vince la giustizia, e
vincerà anche Ciro la partita per la vita. Tecnicamente è libero e
teniamo a dedicare questa vittoria alla madre del ragazzo”, questo
il commento di Angelo
Pisani, legale di Esposito. Grande sollievo da parte dei
parenti, ancora allarmati per le condizioni cliniche del giovane,
che al momento restano stazionarie. Per gli altri due ultras
napoletani, Alfonso
Esposito e Gennaro
Fioretti, il gip ha previsto invece l’obbligo
di firma.
Genny ‘a carogna indagato per violazione delle norme - Intanto
sono scattate le indagini anche per Genny
‘a Carogna e Massimiliano
Mantice, a cui sono già stati assegnati 5 anni di Daspo, massima
sanzione prevista al momento, per il comportamento tenuto allo
stadio Olimpico prima del match di Coppa Italia. Entrambi
sono sottoposti a inchiesta per violazione della legge sulla
sicurezza negli impianti a causa dello “scavalcamento e invasione
di campo in
occasione di manifestazioni sportive”. Per Genny ‘a carogna si
indaga anche sulla violazione delle norme su “striscioni o cartelli
incitanti la violenza o recanti ingiurie o minacce” per la maglietta
“Speziale libero”.
Alfano: “Non c’è stata la trattativa”. Ma la Procura indaga - Per
quanto riguarda la presunta trattativa con gli ultras, dopo
aver riferito ieri davanti alla Camera sugli scontri di sabato,
il ministro dell’Interno Angelino
Alfano è tornato
a difendere pubblicamente il lavoro delle forze dell’ordine: “Le
donne e gli uomini in divisa sono lì per garantire la libertà”, ha
sottolineato. Ieri Alfano ha
escluso qualsiasi trattativa con gli ultras nel
pre partita di Napoli-Fiorentina, ma la Procura di Roma ha deciso
comunque di aprire un’inchiesta per chiarire quanto successo sotto
la curva del Napoli al
momento del discusso colloquio tra Hamsik e Genny ‘a carogna.
Gli inquirenti hanno deciso di acquisire le riprese televisive per
chiarire le dinamiche dell’accordo.
Napolitano: “Intransigenza assoluta verso il tifo violento” – Dopo
l’intervento di lunedì scorso, in cui aveva invitato le
società sportive “a rompere con i facinorosi”, il presidente
della Repubblica Giorgio
Napolitano è
tornato a occuparsi del problema della violenza degli ultras.
Condanna durissima per “chi si presenta con spranghe, bombe-carta,
chi attacca senza scrupolo sapendo di poter colpire gravemente, chi
incendia e devasta”. Napolitano chiede “intransigenza assoluta” nei
confronti di questi soggetti, motivo per cui “alimentare diffidenza
nei confronti della polizia è un danno grave per la vita democratica
del paese”.
Pansa: “Queste situazioni non si dovranno più ripetere” - Sugli
scontri di sabato parole dure anche da parte del capo della polizia Alessandro
Pansa: “Situazioni come quella di sabato non si dovranno
più ripetere”. Poi ha ribadito l’impegno
delle forze dell’ordine per
combattere il tifo
violento: “Negli ultimi 12 mesi abbiamo arrestato 128
supporter rispetto i 41 dell’anno precedente”, inoltre
“individueremo più incisive forme di contrasto”.
“Meta”, condannato gotha ‘ndrangheta: 27 anni a De Stefano, 20 a
Condello
Chiuso a Reggio il maxiprocesso istruito dal pm Lombardo contro
le cosche più potenti del capoluogo. Condannati Giuseppe De Stefano,
figlio del mammasantissima Paolo, e Pasquale Condello, detto "il
supremo". Vent'anni anche a Pasquale Libri e Giovanni Tegano. Il
ruolo degli "invisibili" tra mafia, politica e massoneria
Chi dalla cella, chi collegato in
videoconferenza, il gotha della ‘ndrangheta ha assistito in silenzio
alla lettura della sentenza del maxiprocesso
“Meta”, nato da un’inchiesta del
sostituto procuratore della Dda Giuseppe
Lombardo che,
nel 2010, ha stroncato le principali famiglie mafiose di Reggio
Calabria.
Dopo quattro giorni di camera di
consiglio, il presidente del Tribunale Silvana Grasso ha inflitto
condanne pesantissime ai boss e ai luogotenenti delle cosche
reggine. Sono state accolte, in
sostanza, le richieste del pm che aveva auspicato 400 anni di
carcere per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario.
A partire da Giuseppe
De Stefano, capocrimine e figlio
del mammasantissima don
Paolo, che è stato condannato a 27
anni di carcere. I giudici hanno inflitto 20 anni agli altri
componenti del “direttorio” ‘ndranghetista: Pasquale
Condello, detto il “Supremo”, Pasquale
Libri e Giovanni
Tegano. Ventitré anni, infine,
anche a Domenico
Condello, detto “Gingomma”, nipote
del boss diArchi,
considerato dalla Direzione distrettuale antimafia l’elemento di
raccordo tra i boss e il resto dell’organizzazione.
Tutti gli altri imputati sono stati condannati a pene fino a 21 anni
di carcere. Tra questi anche il capocosca di Sinopoli, Cosimo
Alvaro (17 anni
e 9 mesi di reclusione), che, nell’ottobre 2006, partecipò a una
festa per l’anniversario dei genitori di Domenico e Carmelo
Barbieri, il primo condannato con il rito abbreviato mentre al
secondo oggi sono stati inflitti 3 anni di carcere. A quella festa
parteciparono anche molti
politici tra cui, come emerge in un’informativa del Ros, anche l’ex
sindaco di Reggio e governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti,
oggi candidato alle europee nella lista del Nuovo Centrodestra.
Dopo il processo “Olimpia” degli anni Novanta, questa è la più
importante inchiesta che, quattro anni fa, ha portato all’arresto di
42 persone. Nel corso del processo, il pm
Lombardo ha più
volte ribadito che le indagini continuano e che, in realtà,
l’inchiesta che ha portato alla sentenza emessa oggi è solo “Metà”
delle indagini che stanno conducendo i carabinieri del Ros.
Sempre il sostituto Lombardo, infatti, nei mesi scorsi ha modificato
il capo di imputazione dell’associazione mafiosa inserendo il
concetto di “invisibili”,
quei soggetti mafiosi dalle “menti raffinate” che tirano le fila dei
rapporti tra ‘ndrangheta, politica e massoneria. Una sorta di
“livello superiore” (con cui possono avere a che fare solo i quattro
boss componenti del “direttorio”) sul quale presto la Procura di
Reggio, guidata da Federico
Cafiero De Raho, potrebbe fare luce.
Ritornando alla sentenza di oggi, il Tribunale ha disposto un
risarcimento danni di 2 milioni di euro per lo Stato italiano e per
tutte le altre istituzioni che si sono costituite parte civile. I
boss, infine, dovranno pagare altre 500mila euro all’associazione “Libera”.
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