ROMA - Ognuno ha il
suo subprime, la piccola zavorra dimenticata che può affondare il
transatlantico, e l'Europa ha trovato il proprio in Grecia. Il
Paese da cui cinque anni fa partì il contagio del debito sovrano,
sta riportando un'ondata di instabilità sull'intera area
monetaria. Questa volta però è diverso: economie come Cipro (vi
ricordate il cargo pieno di container ripieni di euro per
rinsanguare gli istituti di credito ciprioti al collasso??), il
Portogallo o la stessa Italia sono più esauste e meno resistenti a
un ennesimo terremoto, altre come la Francia possono trovarsi
investite in pieno per la prima volta: l'evoluzione stessa del
mercato dei titoli di Stato ieri ha confermato uno per uno questi
timori.
L'ennesimo dramma della Grecia ha una trama politica emerso alla
luce del sole e un intreccio diplomatico-finanziario rimasto
troppo a lungo nell'ombra. La vicenda politica riguarda
l'incapacità del governo di trovare un nome plausibile, entro
gennaio prossimo, per la presidenza della Repubblica.
Alla maggioranza mancano 29 voti in parlamento per il quorum.
Il premier Antonis Samaras si è ridotto a pensare alla candidatura
di Vangelis Marinakis, presidente dell'Olympiakos, solo perché
guida il club di calcio più popolare del Paese: quando si arriva a
tanto, lo stallo è di certo a un passo e le elezioni anticipate
imminenti. In quel caso, a giudicare dai sondaggi che la danno di
5 punti in vantaggio, può vincere la sinistra radicale di Syriza.
La Grecia è tentata da una svolta radicale della sua politica
europea.
Il leader di Syriza, Alexis Tsipras, in pubblico promette
l'addio al programma della troika e una conferenza internazionale
per liberare la Grecia del suo debito tramite un default
definitivo. In privato invece, con altri leader europei, minaccia
di portare il Paese direttamente fuori dall'euro: non è un caso se
i mercati, con i crolli di questi giorni, hanno iniziato a dare un
prezzo all'ipotesi che l'Italia o il Portogallo a quel punto
possano trovarsi costrette a seguire a ruota. L'Europa e l'Fmi
hanno investito 280 miliardi di euro in Grecia in questi anni,
solo per dimostrare che non esiste una porta d'uscita dall'euro.
Se Atene la smentisse, gli investitori crederebbero che altri
lasceranno la moneta, dunque porterebbero i tassi sui titoli
italiani alle stelle e anche Roma può essere costretta a tornare a
una moneta nazionale.
Samaras, il premier di centro-destra, di fronte agli elettori non
intende lasciarsi scavalcare da Tsipras. Di qui la sua richiesta
attuale di liberarsi anzitempo della troika, benché la Grecia non
sia in grado di stare finanziariamente in piedi da sola.
Fin qui il dramma politico alla luce del sole, ma sottotraccia lo
sta alimentando l'ordito diplomatico-finanziario. Lontano dai
riflettori, nel silenzio di tutti, quest'anno i governi europei
hanno mancato un appuntamento che rischiano di rimpiangere:
all'inizio del 2014 avevano iniziato a discutere l'ipotesi di dare
altro sollievo alla Grecia sul debito.
Niente di diverso dal trattamento che la Gran Bretagna ha
ricevuto dopo la Grande Guerra o la Germania dopo la caduta del
nazismo: il debito pubblico verso gli altri governi - dopo i
salvataggi, 173 miliardi nel caso della Grecia - viene spalmato su
molti decenni a interessi quasi zero. Sarebbe una forma mascherata
di default, già sperimentata da altri Paesi nel '900, e capace di
disinnescare lo choc politico che ora minaccia di nuovo l'Europa.
Ma quell'ipotesi su Atene si è arenata: il governo tedesco si è
opposto, asserendo che una Grecia in deflazione, con un'economia
crollata del 25%, una disoccupazione al 27%, potesse realmente
ripagare un debito al 175% del Pil.
Come già troppe volte in questa crisi, la tattica tedesca si è
dimostrata sbagliata. La Grecia oggi dà (o dava) segni di ripresa,
più della stessa Italia, ma la tensione sociale e la pressione
finanziaria rischiano di trasformarla in un detonatore per
l'Europa. Una concessione sul debito sarebbe costata circa lo
0,7% del Pil europeo, un piccolo pezzo del mercato come lo erano
in America i subprime. Negarla, può provocare una catastrofe
decine di volte più devastante.
La lezione di ieri però è che non tutti sono uguali quando si alza
la tempesta. La Spagna ha distanziato l'Italia per i rendimenti
dei titoli di Stato, ormai più bassi di 37 punti per Madrid,
perché lì la crescita è più alta e il debito più basso. E i bond
sovrani francesi ieri hanno perso più terreno degli iberici,
allontanandosi di 13 punti base in più dai Bund tedeschi. Ce n'è
abbastanza perché il mercato decida di mettere concretamente alla
prova la promessa di Mario Draghi, il presidente della Bce, di
fare "qualunque cosa per preservare l'euro". Ma neanche un'onda
infinita di liquidità può riempire il vuoto della politica, né
quello del buon senso quando non c'è.