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Le
mura aureliane, da Porta san Sebastiano a Porta Ardeatina
RESISTONO AGLI ATTACCHI DI VITIGE
Belisario entra a Roma
Il 9 dicembre (o il 10) del
536
Belisario entrò trionfante a Roma, nella antica capitale dell'impero
romano, dove oramai i fausti di un tempo erano solo un
lontano ricordo, Roma aveva solo 50.000 abitanti, Belisario non
trovò resistenza da parte degli ostrogoti, per poter prendersi
la città, ma subito saputa la notizia un esercito ostrogoto che
si trovava nel
nord Italia si mise in marcia per andar a riprendersi la
città. Belisario quindi inviò un suo ufficiale che consegnò le
chiavi di Roma all'Imperatore
Giustiniano I, e che portò prigioniero a
Costantinopoli il generale ostrogoto che aveva consegnato la
città. Belisario si accorse subito che la situazione delle
mura aureliane (le mura di Roma) era pessima, e quindi
provvide subito a farle riparare, visto che era stato informato
che gli ostrogoti si stavano avvicinando.
Nel febbraio del
537,
trentamila ostrogoti si trovavano alle porte di Roma, pronti ad
assediare la città, per fermare l'avanzata dei Bizantini
capitanati dal generale Belisario, e prendere il possesso
dell'ex capitale dell'impero.
Belisario si trovava svantaggiato, aveva solo
cinquemila uomini, non sufficienti per la difesa della città, e
le mura aureliane erano facilmente espugnabili dato il loro
cattivo stato. Gli ostrogoti si posizionarono attorno alla
città, costruendo sette accampamenti onde bloccare l'arrivo di
rifornimenti e iniziarono i preparativi. Inoltre tagliarono i
quattordici
acquedotti della città per lasciare la popolazione
senz'acqua.
Belisario, per fronteggiare la situazione,
prese i seguenti provvedimenti:[1]
- per impedire ai Goti di penetrare nella
città attraverso gli acquedotti (come aveva fatto Belisario
stesso, tra l'altro, per
espugnare Napoli pochi mesi prima), li fece ostruire con
un solido muro.
- pose a custodia delle porte uomini fidati.
In particolare Belisario decise di sorvegliare egli stesso la
Salaria e la Pinciana, mentre affido a Costanziano la custodia
della Flaminia. Una porta venne serrata con un cumulo di
pietre per impedire a chicchessia di aprirla.
- infine decise, per provvedere ai bisogni
della popolazione, di costruire dei rudimentali ma ingegnosi
mulini ad acqua sfruttando le acque del
Tevere. I Goti, avutene notizia da disertori, tentarono di
sabotare l'invenzione gettando nelle acque del Tevere alberi e
cadaveri. Belisario però riuscì a contrastare i loro tentativi
di non far funzionare i mulini ad acqua con delle funi di
ferro che andavano da una riva all'altra del Tevere e che
impedivano agli oggetti gettati dai Goti nel fiume di
proseguire oltre. In questo modo impediva inoltre ai Goti di
entrare in città tramite il fiume Tevere.
All'alba del diciottesimo giorno d'assedio
gli ostrogoti attaccarono, ma la loro disorganizzazione e
l'inesperienza nell'uso delle macchine d'assedio permise ai
bizantini di ottenere una facile vittoria, mietendo un gran
numero di vittime tra le file nemiche.[4]
L'assalto iniziò con i Goti che facevano avanzare le torri
d'assedio verso le mura. Belisario ordinò allora agli arcieri di
mirare di proposito ai buoi che trainavano le torri in modo da
ucciderli e da impedire alle torri di essere trasportate fino
alle mura; la strategia funzionò e i Goti si trovarono con
un'arma inutilizzabile.[4]
Vitige decide quindi di cambiare strategia: ad
una parte del suo esercito ordinò di tenere occupato Belisario
nella difesa della
Porta Salaria tramite il lancio di strali sopra i merli,
mentre lui e un'altra parte dell'esercito avrebbero tentato
l'attacco alla
Porta Prenestina, più facile da espugnare per il debole
stato delle mura.[4]
Bessa e Peranio, i generali a difesa della porta e delle mura
circostanti, chiesero allora aiuto a Belisario, il quale,
affidata a un suo amico la difesa della Porta Salaria, andò
subito a soccorrere la porta Prenestina.[5]
Belisario, vedendo le mura in cattivo stato, ordinò ai suoi
uomini di non respingere il nemico: lasciò pochi uomini a difesa
dei merli mentre il fior dell'esercito venne collocato vicino
alla Porta. I Goti, entrati da un foro nelle mura, vennero qui
sconfitti e costretti alla fuga. Le loro macchine d'assedio
vennero date alle fiamme.
Un'altra parte dell'esercito goto assalì nel
frattempo la
Porta Aurelia, difesa da Costantino. Quest'ultimo aveva con
sé pochissimi uomini in quanto il Tevere, che scorreva vicino
alla porta e al muro, sembrava proteggerlo abbastanza da un
assalto goto e si preferì lasciare ben difesi parti di mura più
importanti.[4]
I Goti, valicato il Tevere, assaltarono la Porta e il Muro con
ogni macchina d'assedio di sorta (soprattutto scale) e tirando
frecce contro gli Imperiali. Gli Imperiali sembravano disperare:
le baliste erano inutilizzabili in quanto erano a lunga gittata
e quindi erano inservibili per colpire nemici molto vicini alle
mura; i Goti erano in superiorità numerica; e stavano
appoggiando le scale per valicare le mura.[4]
I Bizantini però non si persero d'animo e, facendo a pezzi molte
delle più grandi statue, le gettarono dalle mura contro i
nemici.[4]
La tattica ebbe successo e i nemici iniziarono a indietreggiare;
allora gli Imperiali, rinvigoriti, attaccarono con maggior foga
attaccando i Goti con frecce e pietre. I Goti, respinti, non
attaccarono più, almeno per quel giorno, la porta Aurelia.[4]
I Goti provarono allora ad attaccare la Porta
Trasteverina ma il generale bizantino Paolo riuscì a respingerli
senza problemi.[5]
Rinunciato all'attacco della
Porta Flaminia, protetta da un suolo dirupato e dal generale
bizantino Ursicino, i Goti attaccarono allora la Porta Salaria
subendo gravi perdite.[5]
Giunse infine la notte e la battaglia si concluse con la
vittoria bizantina sui Goti. Curiosamente i Goti non attaccarono
una parte delle mura non riparata da Belisario per la
superstizione dei suoi uomini (essi dicevano che per via di una
leggenda sarebbe stato San Pietro in persona a proteggerle dai
Goti)[5]:
se avessero deciso di attaccarle, forse la battaglia sarebbe
finita in modo diverso per loro.
Ma la vittoria non servì a rompere l'assedio,
e Belisario sapeva che il suo esercito era comunque di gran
lunga inferiore a quello degli Ostrogoti, così decise di inviare
un messaggero all'imperatore
Giustiniano I per chiedere rinforzi:[6]
« Secondo i vostri
ordini, sono entrato nei domini dei Goti, e ho ridotto alla
vostra obbedienza l’Italia, la Campania, e la città di Roma.
[…] Fin qui abbiamo combattuto contro sciami di barbari, ma
la loro moltitudine può alla fine prevalere. […]
Permettetemi di parlarvi con libertà: se volete, che
viviamo, mandateci viveri, se desiderate, che facciamo
conquiste, mandateci armi, cavalli e uomini. […] Quanto a me
la mia vita è consacrata al vostro servizio: a voi tocca a
riflettere, se […] la mia morte contribuirà alla gloria e
alla prosperità del vostro regno. » |
Il giorno dopo la battaglia si vide costretto
ad effettuare delle scelte drastiche per migliorare la difesa
dell'Urbe come far uscire dalla città tutti coloro che non erano
in grado di brandire un'arma (tra questi vi erano le donne e i
bambini), che vennero trasferiti temporaneamente a Napoli.[7]
La decisione di far uscire dalla città le persone non in grado
di combattere era dovuta alla volontà di far durare il maggior
tempo possibile le scorte di cibo utilizzandole solo per sfamare
le persone in grado di combattere, mentre gli altri,
trasferendosi a
Napoli, venivano comunque sfamati.[7]
Le persone trasferite a Napoli vi giunsero o per via mare o
seguendo la
Via Appia, senza venire attaccata dai Goti in quanto,
essendo Roma una città di vastissima estensione, i Goti non
erano riusciti a circondarla tutta quanta, quindi bastò uscire
da una via distante dagli accampamenti goti.[7]
Proprio per questi motivi fu possibile
introdurre a Roma scorte di cibo per parecchi giorni senza
essere notati dai Goti. E, durante la notte, capitava di sovente
che i Mauri, soldati foederati dell'Impero,
facessero delle sortite contro gli accampamenti goti,
uccidendone alcuni durante il sonno e spogliandoli.[7]
Belisario nel frattempo notò la sproporzione tra l'estensione
delle mura e il numero dei soldati che le dovevano sorvegliare e
decise di risolvere il problema obbligando gli abitanti rimasti
a diventare soldati e far ronda sulle
mura aureliane.[7]
Prese delle severe precauzioni per assicurarsi della fedeltà dei
suoi uomini: cambiava due volte al mese gli ufficiali posti a
custodia delle porte della città,[7]
ed essi venivano sorvegliati da cani e altre guardie per
prevenire un eventuale tradimento.
In quei giorni i Bizantini deposero Papa
Silverio, accusato di parteggiare con i Goti, e lo spedirono in
esilio in Grecia. Venne eletto al suo posto Virgilio, gradito
dall'Imperatrice Teodora. Vennero espulsi, per lo stesso motivo,
alcuni senatori.[7]
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