BAGDAD. Monsignore, come rappresentante del Vaticano, non si è
sentito minacciato dal messaggio del Califfo al Baghdadi, quando ha
invitato i musulmani ad unirsi a lui, "perché così potranno
conquistare Roma e diventare i padroni del mondo"?
Il nunzio apostolico in Iraq, l’Arcivescovo Giorgio Lingua, sorride
prima di rispondere: "Sinceramente non ho dato peso a quelle parole.
Mi è sembrata più una boutade provocatoria che un’affermazione da
prendere sul serio".

Evidentemente le autorità irachene non la pensano allo stesso modo.
La sede della Nunziatura, nel quartiere di Karada, fino a pochi anni
fa popolato quasi completamente da cristiani gli “eredi dei
crociati” secondo la retorica jihadista - somiglia più ad un
quartiere militare che a una sede diplomatica, circondata com’è da
alti blocchi di cemento sormontati da filo spinato e vigilata da
decine di uomini armati alloggiati in una fila di container
parcheggiati lungo il viale d’accesso, con le divise e la biancheria
stesa ad asciugare.
Lui stesso, l’arcivescovo, un piemontese di 54 anni con importanti
esperienze sul campo, confessa di vivere nello stato di semilibertà,
o di semi reclusione, dipende dai punti di vista, in cui sono
costretti quasi tutti i diplomatici occidentali a Bagdad. Salvo,
ammette timidamente, una "passeggiatina" di un’ora al giorno sulla
terrazza della villa coloniale che ospita la nunziatura.
La capitale irachena è immersa nell’ansia dell’attacco contro la
capitale. L’avanzata dei jihadisti dell’Isis, lo Stato islamico
dell’Iraq e del Levante, "come un coltello nel burro", dice il
monsignore, ha messo a nudo la fragilità dell’Esercito iracheno, per
la gran parte composto da truppe di fede sciita, e svelato
l’esistenza di forti complicità interne, da parte di ex ufficiali
agli ordini di Saddam Hussein e di tribù sunnite esacerbate dalla
discriminazione settaria praticata ai loro danni dal premier sciita
Nuri al Maliki.
"Accettare questo dato di fatto — secondo il Nunzio — vorrebbe dire
accettare la divisione dell’Iraq. Allora, se non si vuole che questo
succeda, bisogna intervenire, ma una reazione militare rischia di
alienare ancora di più la gente, già scontenta dell’operato del
governo".
Quindi, qual è la risposta?
"Sogno — confessa l’inviato del Vaticano — che nasca qualche
profeta... Nel senso che tocca alla società civile organizzarsi,
farsi sentire attraverso la voce di un nuovo Gandhi, di un nuovo
Martin Luther King, che dica quanto siamo stufi di guerra, perché i
politici non sono in grado di farlo".
Nel corso degli ultimi 11 anni, dall’invasione americana in poi, la
minoranza cristiana ha subito attacchi e persecuzioni che ne
hanno minato il rapporto ancestrale con questa terra. Dei quasi un
milione e mezzo di cristiani presenti in Iraq all’inizio del terzo
millennio oltre due terzi sono fuggiti altrove. Praticare la loro
fede è diventato, a tratti, impossibile. Adesso, dopo un periodo di
relativa stabilità arrivano le nuove minacce.
"I trentamila cristiani di Mosul — racconta il Nunzio — hanno
lasciato la città, spesso abbandonando tutti i loro beni, per
rifugiarsi nei centri cristiani della regione autonoma curda. Ci
angoscia il destino di due religiose che compivano la loro missione
in un orfano-
trofio di Mosul. Le due suore, dopo essersi allontanate con gli
altri, erano tornate forse per prendere qualcosa. Sono state rapite
assieme a due ragazze e a un ragazzo di 12 anni, ospiti della
struttura, e di loro non abbiamo più avuto alcuna notizia".
Incertezza anche sullo stato delle chiese di Mosul, "secondo alcuni
saccheggiate, secondo altri lasciate intatte".
La paura di una nuova ondata di violenza anti-cristiana s’è
riverberata fino a Bagdad. L’esodo è ripreso. Ad assistere alla
messa di domenica mattina nella Chiesa della Nostra Signora del
Soccorso, sulle cui mura tardivamente fortificate spicca il
manifesto con le foto dei 47 fedeli uccisi assieme a due preti, il
31 ottobre 2010, in un attacco jihadista cui è seguita l’improvvisa
risposta delle forze di sicurezza, partecipano non più di una
quarantina di fedeli, per la maggior parte anziani. Soltanto chi
sente mancare le energie per affrontare un altro viaggio verso
l’ignoto ha deciso di restare. Gli altri sono tentati di fuggire.
Come Nader, un ingegnere meccanico sui 40 anni, sposato, due figli,
che ha deciso di raggiungere il fratello Ayam in Australia. "Ho
affittato la casa per un anno. Ho venduto i mobili e la macchina.
Partirò in questi giorni. Non mi fido più di al Maliki che mi sembra
più preoccupato di restare al potere ad ogni costo che del futuro
del nostro paese".
Chiedo al Nunzio se l’idea del Califfato, lanciata da Abu Bakr al
Bagdadi possa fare presa sulla popolazione sunnita. "Io credo che
nel momento in cui dovessero dimostrare di saper governare un
territorio così vasto e complesso come quello che hanno conquistato
sarebbero destinati a fallire, perché, anche se hanno rilanciato il
Califfato, non siamo più nel Medio Evo e questo la gente lo sa".
Resta, però, il rischio di dovere fare i conti con una
mentalità radicale, propensa a vedere nei cristiani soltanto gli
eredi dei crociati e, dunque, degli infedeli.
"Finora non hanno dimostrato questo odio anticristiano, i segni
lanciati dagli uomini dell’Isis a questo proposito sono
contraddittori. Ma, certo — conclude il Nunzio — se dovessero
decidere di mettere in pratica il loro programma per i cristiani qui
non ci sarebbe posto".
L'IRAQ NON
ESISTE PIU' !!! (04-07-2014)

Nuove misure
di sicurezza sui voli per gli Stati Uniti per timore di attentati da
parte dei gruppi qaedisti in Siria, Iraq e Yemen. Il presidente Usa
chiede un governo di unità nazionale, ma al-Barzani va avanti sulle
richieste di separazione. L'Is conquista impianto petrolifero
siriano
WASHINGTON - Possono difendere la capitale,
tenere il controllo su Bagdad, ma l'esercito iracheno non è in grado
di riprendere i territorio occupati dagli insorti sunniti. A dirlo è
il capo di Stato maggiore, generale Martin Dempsey, gli fa eco il
segretario alla Difesa Chuck Hagel, che ha parlato alla stessa
conferenza stampa al Pentagono confermando l'invio dei 200
consiglieri militari Usa che stanno valutando la situazione. Il capo
militare ha ribadito che gli Stati Uniti non si faranno coinvolgere
nelle operazioni di combattimento, così come preannunciato dal
presidente Barack Obama.
Ma l'Iraq resta diviso.
Lacerato dalla violenza
settaria. Per un governo di unità sarebbe
necessaria la partecipazione dei curdi, che invece vanno avanti per
la loro strada, pronti a chiedere l'indipendenza.
La regione curda
semi-autonoma nel
nord dell'Iraq
per anni ha minacciato di
separarsi dal resto del
Paese. Ora, con la
rivolta sunnita e le battaglie a Bagdad, i politici
curdi dicono sia arrivato il momento:
l'Iraq è già
diviso lungo linee
settarie ed etniche.
"Il Paese è diviso.
Abbiamo una nuova
realtà" ha detto da Washington Fuad
Hussein, capo di
gabinetto del presidente
regionale curdo
Massoud Barzani.
La situazione è
incandescente.
L'esercito iracheno ha smentito di aver ordinato il ritiro di
migliaia di soldati dalla zona di confine con l'Arabia Saudita.
"Questa è una notizia falsa che ha lo scopo di colpire il morale
della nostra gente e dei nostri eroici combattenti", ha affermato il
portavoce delle forze armate irachene, il generale Qassim Atta. La
frontiera con l'Arabia Saudita - ha assicurato - è "totalmente sotto
il controllo" delle guardie irachene.
Stamani la tv saudita ha annunciato che Riad ha dispiegato 30mila
soldati al confine con l'Iraq dopo che le truppe irachene hanno
abbandonato le loro postazioni, lasciando le frontiere con l'Arabia
Saudita prive di protezione. La stessa emittente aveva diffuso un
video nel quale alcuni soldati con l'uniforme dell'esercito iracheno
testimoniano di aver ricevuto l'ordine dai vertici militari di
ritirarsi dalle zone di confine con i due paesi, senza che fosse
fornita loro alcuna motivazione.
Obama e il re saudita. La "attuale
situazione in Iraq e la minaccia che lo Stato Islamico in Iraq e in
Levante pone all'Iraq e all'intera regione" è stata al centro di un
colloquio telefonico tra il presidente Obama e re Abdullah di Arabia
Saudita. Nel corso della telefonata, Obama e Abdullah "hanno
ribadito la necessità che i leader iracheni procedano in maniera
spedita per formare un nuovo governo in grado di unire tutte le
diverse comunità irachene", si legge in una nota. Obama ha anche
rivolto un invito alla responsabilità dei leader arabi sunniti e
curdi, chiedendo loro di contribuire alla rapida formazione di un
governo di unità nazionale a Bagdad per fronteggiare all'offensiva
jihadista dell'Is.
Scontri vicino a Bagdad. Mentre è di 130
uccisi il bilancio degli scontri armati verificatisi nelle ultime
ore a Karbala, città santa irachena 100 km a sud di Bagdad, tra
forze di sicurezza e miliziani seguaci di un leader religioso ostile
al governo filo-iraniano del premier Nuri al Maliki. I combattimenti
erano scoppiati ieri tra le forze lealiste e miliziani dello shaykh
Mahmud Sarkhi. Quest'ultimo è stato arrestato assieme a 350 suoi
seguaci. Mentre 125 miliziani a lui fedeli son stati uccisi, secondo
fonti governative irachene. Una cinquantina di infermiere indiane
provenienti dallo Stato meridionale di Kerala sono state prelevate
contro la loro volontà dall'ospedale di Tikrit in Iraq, città
attualmente sotto il controllo dello Stato islamico dell'Iraq e del
Levante (Isil). Ne ha dato notizia il portavoce del ministero degli
Esteri indiano Syed Akbaruddin, evitando però di indicare il
responsabile di questa azione. A una domanda circa un possibile
rapimento delle donne, Akbaruddin ha risposto: "in zone di conflitto
non c'è libertà.
Liberati camionisti turchi rapiti in Iraq. In serata è stata confermata la notizia che 32camionisti turchi,
tenuti in ostaggio da giugno in Iraq dagli jihadisti dell'Is, sono
stati liberati e consegnati alle autorità turche nel paese.
Usa rafforzano gli aeroporti.
Gli Stati Uniti hanno comunque annunciato il rafforzamento delle
procedure di sicurezza negli aeroporti internazionali con voli
diretti verso gli Usa per il timore che militanti di al-Qaeda in
Siria e Yemen stiano sviluppando bombe che possano essere nascoste
sugli aerei. Le misure riguarderebbero aeroporti in Europa, Africa e
Medio Oriente, ma non ne è stato diffuso un elenco.
Misure che vengono prese anche in vista della ricorrenza del 4
luglio. Secondo fonti della sicurezza nazionale, membri di al-Nusra
in Siria e di al-Qaeda nella Penisola Arabica stanno collaborando
per la realizzazione di esplosivi che possano superare i normali
controlli. Preoccupano anche i recenti successi militari dello Stato
islamico in Iraq e Siria che può contare su un crescente numero di
militanti dall'America e dall'Europa che possono avere facile
accesso a voli diretti negli Usa.
Ieri il leader dell'Is al-Baghdadi aveva rivolto un appello ai
musulmani di tutto il mondo per venire a combattere sotto la sua
bandiera e aveva minacciato gli Stati Uniti parlando di
un attacco peggiore dell'11 settembre.
Uganda, allarme all'aeroporto.
Uno specifico allarme è stato lanciato oggi per l'aeroporto Entebbe
in Uganda, secondo quanto ha comunicato il Dipartimento di Stato
americano. L'ambasciata degli Stati Uniti a Kampala, in Uganda, ha
ricevuto dalle autorità locali "informazioni" riguardo ad un
possibile attacco all'aeroporto internazionale di Entebbe da parte
di un gruppo terroristico sconosciuto, oggi, 3 luglio, tra le ore 21
e le ore 23 (ora locale)".
MAPPA La cartina
del califfato "immaginato"
L'Is conquista impianto petrolifero siriano.
Proprio oggi i ribelli dell'Is - come rende noto l'Osservatorio
siriano dei diritti dell'uomo - hanno conquistato al-Omar, il più
grande impianto di estrazione di petrolio della Siria, fino ad oggi
nelle mani di altri gruppi ribelli anti-Assad. E nuovi gruppi di
ribelli annunciano il proprio giuramento di fedeltà ad al-Baghdadi,
al Califfato e allo Stato Islamico.
CHE COS'E' L'ISIS ? PERCHE' MINACCIA ANCORA PIU' GRAVEMENTE
IL COSI' DETTO MONDO OCCIDENTALE?? PERCHE' GLI USA COL CAPPELLO
IN MANO VERSO GLI AYATOLLAH IRANIANI??
RISPONDE MASSIMO FINI DI MOVIMENTO ZERO, L'ALA
COMUNITARISTA MEDIEVALISTA ITALIANA. Massimo Fini viene
accostato alla così detta destra terzoposizionista, in realtà è
un pensatore anti-occidentale ed anti-imperialista che ripropone
la società degli open field, dell'ereditarietà dei mestieri e
della compartimentalizzazione societaria.

Quello che sta
accadendo in Iraq, con questa avanzata irresistibile dell’Isis,
alias Stato islamico dell’Iraq e del Levante, è un fenomeno che
può cambiare la storia non solo di quella regione, ma anche
dell’Occidente, nel senso che qui non siamo più a una guerra
interna irachena tra
Sunniti e
Sciiti di cui non fregava niente a nessuno perché se
la vedevano tra di loro. Questi dell’Isis, in realtà, sono una
specie di internazionale del radicalismo islamico.
Ci sono i Sunniti (la parte occidentale
dell’Iraq), ma a questi si sono uniti gli islamici di altri
Paesi, dalla Siria alla Somalia. E tra l’altro ci sono anche
volontari europei. Ci sono 500 britannici, 300 francesi… Quindi
l’obiettivo dell’Isis non è semplicemente quello di conquistare
parte dell’Iraq, ma di muovere una guerra totale al mondo
occidentale. Non è più una questione interna all’Iraq.
Questa situazione è paradossale: che cosa avevano fatto gli
americani? Avevano creato questo governo fantoccio, come hanno
fatto in Afghanistan, e avevano finanziato un esercito (a sua
volta fantoccio). Infatti, di fronte all’avanzata dell’Isis
si è immediatamente liquefatto, non opponendo alcuna resistenza.
L’unica resistenza, adesso, la può fare
l’Iran, mandando le sue truppe. Si creerebbe, così, questa
alleanza curiosa tra Stati Uniti e l’odiato nemico di sempre, il
pericolo numero uno, uno dei Paesi dell’asse del male: l’Iran.
Gli Stati Uniti, dunque, hanno ottenuto un bel risultato…
Ora si devono alleare con l’Iran, ma non è detto che ce la
facciano a respingere l’Isis, perché questi sono infinitamente
più motivati e poi, ripeto, stiamo parlando di una
internazionale del radicalismo. Ci sono più o meno tutti. Manca
la Turchia. La Turchia sta quieta e cauta, perché in questa
avanzata l’Isis ha lasciato perdere i curdi dell'estremo
nord-est iracheno, con cui non hanno contrasto, e infatti
avanzano verso Baghdad, verso il centro-sud dell’Iraq.
E la Turchia ha una enorme paura
(da sempre) che i Curdi iracheni possano unirsi in una
guerriglia con i curdi turchi, che sono 12 milioni di persone. E
se si scatenano i curdi turchi la Turchia è fottuta. Per
questo motivo gli americani per tanto tempo hanno massacrato i
curdi, per interposta persona (Saddam Hussein). Proprio per
impedire che l’indipendentismo curdo si espandesse anche in
Turchia. C’è da tenere presente che i Curdi sono gli unici,
veri, che avrebbero diritto a avere uno Stato, perché tutta
quella zona lì si chiama
Kurdistan (c’è dentro Iraq, Turchia, Azerbaijan,Armenia,Siria,
Iran).
Il fatto, ripeto, è che l’Isis non
incontra una resistenza da parte del esercito regolare, quello
di al-Maliki. Perché i soldati non vogliono combattere e quando
succede questo è l’inizio della fine. Un po’ come la Rivoluzione
d’ottobre, dove lo Zar continuava a mandare eserciti contro i
rivoluzionari, che erano 4 gatti, e gli eserciti si
liquefacevano durante il percorso. E’ quello che sta accadendo.
Non c’è un vero esercito che difende, in questo momento, l’Iraq
creato dagli americani, l’Iraq di al-Maliki.
Gli americani spostano navi, spostano droni, ma questa gente tu
la puoi fermare solo con battaglie di terra e gli americani non
sono in grado di fare battaglie di terra, perché non hanno le
palle per fare le battaglie di terra. Possono essere
equipaggiati come vogliono. Ecco perché è
necessario un intervento iraniano, perché loro a fare la guerra
come si deve sono abituati, l’hanno fatta per 10 anni contro
Saddam Hussein. Pensare di poter fare la guerra solo con i droni
e con l’intelligence o con gli aerei, non è pensabile in una
situazione di questo genere. E poi gli americani non
possono permettersi altri morti dopo l’impressionante numero di
vittime in Afganistan (anche se i numeri occultati).
Tutto, insomma, dipenderà dallo scontro, da chi vincerà lo
scontro tra Isis e Iran. L’Iran è un Paese molto strutturato,
però non è una brigata internazionale, quindi difficilmente
controllabile e non facilmente battibile. E poi continua ad
appropriarsi delle armi che altri lasciano, quindi continua a
rafforzarsi.
Bisognerebbe chiedersi perché si è arrivati a questa situazione.
L’Iraq è un paese creato cervelloticamente dagli inglesi nel
1930, che hanno messo insieme queste tre comunità che non
c’entravano niente l’una con l’altra, e solo un dittatore feroce
poteva tenerle insieme, cioè Saddam Hussein. Lungi da me
difendere Saddamh, ma avere eliminato lui ha creato prima la
guerra civile tra Sunniti e Sciiti, e oggi questa (che è
assolutamente nuova) di queste brigate internazionali che
qualcuno definirebbe del terrore. Sono radicalisti islamici che
hanno le palle piene dell’occidente, oltre che degli Sciiti,
perché sono Sunniti.
La mia idea è sempre stata che la guerra ha una sua ecologia, se
vai a metterci il dito crei sempre sconquassi peggiori di quelli
che volevi evitare. Certe situazioni hanno un loro senso, penso
alla Libia, tu hai ucciso Gheddafi, con cui avevi fornicato fino
al giorno prima e la Libia oggi è una terra totalmente
ingovernata e ingovernabile, che diventa un pericolo per i
francesi e per gli occidentali in generale, che l’hanno
aggredita.