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BOTTE, MANGANELLI E VESTALI FANATICHE:
IL PARTITO DELLA DIOSSINA NAZIONALE VERSO L'ANNIENTAMENTO DEL QUARTO
STATO
Il segretario Cgil interviene dopo gli
scontri a Roma in cui tre operai sono rimasti feriti per le
manganellate della polizia: “Quello che è avvenuto è gravissimo
e chiediamo al governo di risponderne. Ho detto ad Alfano che
occorre molta attenzione perché in una situazione così difficile
non si sa dove si va a finire” (di S. Cannavò). Risponde
il premier Renzi: “Accerteremo responsabilità, i nostri atti
saranno conseguenti”. Oggi il ministro Alfano riferisce in
Parlamento
datece
la Carfagna”. Il mormorio circolava ironico l’altro giorno in Transatlantico,
proprio mentre si diffondeva la notizia che Pina Picierno
aveva detto della Camusso che era stata eletta a capo della Cgil con tessere
false. Aridatece la Carfagna. Un paradosso, una provocazione, a dire che, in
fatto di personalità politiche con una qualche vicinanza al leader,
Mara Carfagna, per taluni già vituperatissimo simbolo di una carriera
politica costruita grazie ai cordiali rapporti con Silvio Berlusconi, ha a
conti fatti mostrato nel tempo, tutto sommato, uno spessore politico maggiore
di talaltri renziani oggi saliti all’onor delle cronache. Quanto meno lei, la
Carfagna, gaffe e scivoloni li ha sempre risparmiati, sia a se stessa che agli
altri.
La grana non è scoppiata con la manifestazione
di Fiom e Cgil sabato scorso a Roma, che in fondo ha lasciato Matteo Renzi
tranquillo a curare lo splendore della sua Leopolda a Firenze. La
deflagrazione è arrivata oggi con
le botte della polizia agli operai della ThyssenKrupp di Terni arrivati
nella capitale per raggiungere in corteo il ministero dello Sviluppo
Economico e chiedere un incontro con la titolare Federica Guidi. Per il
premier scoppia l’allarme piazza. In vista delle altre manifestazioni che ci
saranno, dei licenziamenti all’orizzonte, dello sciopero generale che sarà
proclamato dalla Cgil per la metà di novembre. L'invito, ripetuto ai suoi, è
ad abbassare i toni, evitare che su un terreno come quello della crisi
industriale si possano provocare lacerazioni e scontri. In più, ci si mette
pure Pina Picierno a imbrattargli la battaglia contro i sindacati, con una
gaffe televisiva contro Susanna Camusso (“Eletta con tessere false, la Cgil
ha pagato i bus per la manifestazione di Roma…”) che i renziani cercano
subito di riparare. Insomma, è una giornata nera a Palazzo Chigi. E se Renzi
riesce in qualche modo a mettere mano al caos scatenato dall’eurodeputata
(che si sarebbe giocata la candidatura a governatore della Campania), gli è
più difficile recuperare sulle cariche agli operai della Fiom, segretario
Maurizio Landini compreso visto che anche lui ha preso una manganellata. Il
premier gli parla al telefono. “Quelle botte ci danneggiano…”, ammettono
nella cerchia renziana del Pd. Nel pomeriggio tra Palazzo
Chigi e Viminale si tenta di capire la dinamica dei fatti accaduti in piazza
Indipendenza, dove gli agenti in assetto antisommossa hanno bloccato a
manganellate il corteo degli operai che voleva proseguire fino al ministero
della Guidi. La spiegazione ufficiale è che avrebbero deviato dal percorso
autorizzato. Ma al di là dei dettagli, è il fatto in sé a scatenare la
preoccupazione del premier e dei suoi.
Fanno particolarmente male le parole di Landini, segretario
metalmeccanico ad altissimo tasso di popolarità ormai, agli antipodi
rispetto a Renzi eppure stimato dal presidente del Consiglio. “Il problema
non sono gli agenti che sono in piazza e che sono lavoratori come noi –
strilla Landini, fumante di rabbia davanti alle telecamere - ma gli ordini
che arrivano. Basta Leopolde: il premier chieda scusa”. Già, gli ordini.
Renzi chiede spiegazioni ad Alfano in una lunga conversazione telefonica,
chiede di avere una analisi dettagliata dell'accaduto per accertare le
responsabilità e per evitare che nascano strumentalizzazioni su quanto è
successo. Il sottosegretario alla
presidenza Graziano Delrio annuncia “dispiaciuto” che “in poche ore Alfano
ha garantito tutta la documentazione per ricostruire in modo puntuale
l'accaduto”. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando esprime “grande
preoccupazione” parlando al telefono con il titolare del Viminale e gli
chiede di “chiarire”. Con lui anche i Giovani Turchi. Mentre i deputati
Francesco Laforgia, Gianni Cuperlo, Andrea De Maria, Giuseppe Guerini, Marco
Miccoli, Monica Gregori presentano un’interrogazione al premier e ad Alfano
pure questa per “chiarire”. In aula alla Camera Sinistra e libertà espone
cartelli per chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno, ricordando
che “è dal caso Shalabayeva in poi che ha dimostrato scarse capacità”. In serata Alfano incontra
Landini e gli altri leader sindacali al ministero. Probabilmente domani
riferirà al Senato sui fatti di oggi. Ma tra i renziani non c’è aria di
dimissioni del ministro dell’Interno. Anche perché l’agognato rimpasto che
Renzi aveva in programma per l’autunno – approfittando della necessità di
dover sostituire Federica Mogherini agli Esteri – non è realizzabile. “Non
si può fino a quando non verranno trovati i numeri con cui allargare la
maggioranza e rendersi autonomi da Ncd…”, dice un parlamentare renzianissimo.
Chiaramente, l’obiettivo è attingere dal bacino M5s che, come ha detto lo
stesso premier nell’ultima direzione Dem, “è in sgretolamento”. Ma fino ad
allora, niente rimpasto. Alfano resta agli Interni, malgrado il premier
abbia accarezzato l’idea di spostarlo alla Farnesina. Nel frattempo però la
piazza ribolle. Magari non a livello numerico (gli operai delle acciaierie
di Terni erano poche centinaia) ma a livello di umore: rabbia per i
licenziamenti, per le tante vertenze in corso. E la situazione rischia di
sfuggire di mano, come è successo oggi. “Proprio con gli operai di Terni,
dopo che “il premier li ha incontrati alla Leopolda domenica scorsa, dopo
che su quell’azienda il governo ha garantito massimo impegno…”, dicono i
renziani. Già proprio Terni. Ma al ministero oggi c’è anche il tavolo per la
Trw di Livorno, fabbrica di componenti di auto, e per la Jabil di Marcianise,
ditta di componenti elettroniche. “Tutte multinazionali, che chiudono in
Italia. Sono questi gli investimenti stranieri di cui parla il premier”,
dice Michele De Palma, responsabile Fiom. E’ questo bagno di paese
reale che oggi manda in fibrillazione premier e governo. Nel pomeriggio
Renzi incontra i vertici di Federacciaio e di Cassa Depositi e prestiti. Il
tuffo odierno nell’ignoto delle contestazioni future paradossalmente riesce
ad arginare anche il caos scatenato dalla Picierno in tv. A Renzi quella
frase contro la Camusso non è piaciuta. Non perché adesso gli interessi
difendere la Cgil: giammai. Soprattutto dopo l’intervista di oggi a
Repubblica, in cui la leader sindacale imputa al premier di essere stato
“messo al governo da Marchionne” e dai “poteri forti”. Piuttosto, il
segretario del Pd ci tiene a non delegare a nessun altro le sue
delicatissime battaglie contro il sindacato o anche quelle contro i
magistrati. Sono entrambi due dossier nevralgici del renzismo che il
segretario Dem vuole trattare in prima persona. Per non correre rischi.
Esattamente come è accaduto oggi, quando la Picierno, ospite ad Agorà, “si è
fatta prendere dalla tentazione emulativa del leader…e ha sbracato…”,
riflettono nel Pd alla Camera. Sono rischi del mestiere di
leader, soprattutto se sei Renzi. Ad ogni modo, Picierno viene subito
corretta dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini: "Siamo sicuri che Pina
Picierno non voleva offendere nessuno, può capitare nel corso di dibattiti
accesi, di dire parole eccessive”. L’eurodeputata si scusa. Ma in
Transatlantico si vocifera che questo incidente abbia messo la pietra
tombale sulla sua corsa a governatrice della Campania alle prossime
regionali. Al suo posto, gira il nome di Raffaele Cantone, ma non sembra che
il supercommissario anti-corruzione sia interessato a lasciare a metà il
lavoro iniziato all’Expo. Ex consigliere politico di Massimo
D’Alema a Palazzo Chigi nel 1998, oggi convinto renziano. Questo il profilo
di Claudio Velardi, che in un'intervista a Italia Oggi, entra a gamba tesa
nella
battaglia interna al Partito Democratico. Di Matteo Renzi dice che “è
l’unico che in Europa è riuscito a mettere in discussione i sacri
parametri”, una cosa “clamorosa, capace di fare da battistrada a un’ampia
riflessione”; inoltre “è vero, ha fatto
molti annunci, ma ha realizzato già quello che molti altri governi non
hanno fatto nelle decine di anni precedenti”. Degli avversari di Matteo
Renzi, invece, dice che sono tutti “quaquaraquà”, dei “rottami della
politica e della informazione”, caratterizzati da “boria e prosopopea, un
po’ ridicola” nella loro opposizione. Per quanto riguarda il presidente
del Consiglio, Velardi afferma che “è un po’ Berlusconi e un po’ Andreotti”.
Come il primo “fa tutti gli annunci di questo mondo. Sono fantastici,
meravigliosi e non li critico affatto”. Come il secondo “è nu carro pa’ ‘a
scesa, direbbero a Napoli, cioè è impegnato nel mantenere l’assetto
dell’esecutivo e a che non si ribalti. Ecco quindi le frenatine, i piccoli
accordi, le concessioni”. Velardi
critica duramente la minoranza dem e gli oppositori del premier. “È un
meccanismo che scatta su tutto: Renzi dice di scassare qualcosa, di voler
fare una rivoluzione in un settore? Prima lo irridono: “È impossibile”
commentano, “chi sei tu per pensare di poterlo fare?”, gli chiedono, “non
sei in condizione”, obiettano. Poi si mettono a fargli le bucce nel
dettaglio, provvedimento per provvedimento”. Quanto alla minoranza del Pd,
“ci vorrebbe un leader con le palle”, dice senza mezze misure, “ci vorrebbe
qualcuno che fosse disposto ad attraversare il deserto, a mettere in forse
le sinecure del partito, il posto in lista, il vitalizio e ricostruisse un
posto della vecchia sinistra”. Per Claudio Velardi è “incredibile”
leggere
l’intervista al Sole 24 Ore di Massimo D’Alema, “una pagina intera a
mondare l’arancio, a infilarsi in cento cosettine, con puntiglio. Dopodichè,
nella sostanza, anche lui può parlarne perché Renzi ha fatto quella
rivoluzione chiamata Jobs Act”. L’effetto delle parole dell’ex premier è
quello di rafforzare Renzi, “non c’è alcun dubbio. Ma questo è propriamente
il paradosso di un certo anti-renzismo: ricorre continuamente cose che il
premier ha fatto e sta facendo”. Secondo Velardi, Renzi accoglie tutto
questo con una risata, “ride di questi conati da vecchia classe dirigente
che non batte più chiodo e che ha reazioni psicanalitiche appena si sveglia
la mattina. E soloneggia”. Ed ancora: “Se mi dessero due soldi, che
lavoriamo per campare – prosegue Velardi – andrei io a fargliela
l’opposizione a Renzi. Lo inchioderei sullo scarto fra annuncio e
realizzazioni, ma non nel senso della differenza fra slide e provvedimenti,
quanto fra distanza della rottamazione e la prassi”. |
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