Stragi del ’92, quel disegno politico dietro
le bombe: summit e presagi prima di Capaci. Ascolta la prima
puntata del podcast Mattanza.
La domanda senza risposta se la pongono subito, il 24 maggio
del ’92. Il giorno dopo la strage di Capaci, Oscar
Luigi Scalfaro prende la parola davanti al
Parlamento riunito e dice: “Senza invadere il campo di chi
deve investigare e far giustizia ci si chiede:ma
è solo mafia, questa?”. Trent’anni dopo una
risposta ancora non c’è.
Una versione pacificata –Quella domanda,
infatti, lo Stato ha preferito metterla da parte. Sulle
stragi si è costruita una narrazione ufficiale senza punti
interrogativi:Giovanni
Falcone ePaolo
Borsellino sono stati ammazzati da Cosa nostra – e
solo da Cosa nostra – in segno di ritorsione. ColMaxiprocesso avevano
fatto inceppare il rodato meccanismo dell’impunità per i
boss, che quindi si sono vendicati. Ma poi sono stati
puniti:Salvatore
Riina eBernardo
Provenzano sono morti in galera, Giovanni Brusca e
gli altri hanno beneficiato di sconti di pena ma solo dopo
essere diventati pentiti. Gli eroi sono morti, ma lo Stato
poi ha vinto. Unanarrazione
tragica e piena di pathos, una versione pacificata
dei fatti, perfetta per le fiction della tv. Ma che ha un
problema: non corrisponde alla verità. E infatti rischia di
crollare sotto il peso di quello che emerge dalle indagini e
dai processi.
Il podcast del Fatto Quotidiano – Sulle
stragi, infatti, esistono ancora oggi enormi buchi di trama
che questa rassicurante narrazione si limita a omettere:
mandanti esterni mai individuati, piste investigative mai
battute, moventi molto più complessi della semplice
vendetta. È mettendo insieme tutti questi elementi cheMattanza racconta
le stragi del ’92.
Il podcast
prodotto dal Fatto
Quotidiano raccoglie
le testimonianze di investigatori e testimoni, sopravvissuti
e killer. È composto da 8 puntate: la prima esce oggi ed è
disponibile gratuitamente su ilfattoquotidiano.it e su tutte
le principali piattaforme (Spotify, Apple podcast e Amazon
music). Mattanza si articola in due blocchi da quattro
puntate ciascuno: il primo, che racconta le vicende legate a
Falcone e alla strage di Capaci, verrà pubblicato nel mese
di maggio, con una puntata nuova online ogni settimana. Il
secondo, invece, ricostruisce i misteri della strage di via
d’Amelio e verrà rilasciato nel mese di luglio.
Un anno di presagi – Mattanza
ricostruisce i vari punti oscuri di quella stagione che fa
da cerniera tra la Prima e la Seconda Repubblica. Prima di
diventare l’anno diTangentopoli e
delle bombe, il ’92 è stato unanno
di presagi.
Nei primi giorni di marzo un detenuto del carcere di Firenze
invia ai giudici di Bologna una lettera in cui parla di una
“nuova
strategia della tensione in Italia”
che sarà attuata nei cinque mesi successivi, fino a luglio.
In quel periodo – sostiene – “accadranno eventi intesi a
destabilizzare l’ordine pubblico” e cioè esplosioni che
colpiranno persone “comuni” in luoghi pubblici, il sequestro
e l’eventuale “omicidio” di un esponente politico della Dc,
il sequestro e l’eventuale “omicidio” del futuro Presidente
della Repubblica. Passano pochi giorni e ammazzano Salvo
Lima,
il viceré siciliano di Giulio
Andreotti.
Chi l’ha scritta quella lettera? Elio
Ciolini, un
uomo legato all’estrema destra, condannato per il
depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. Come fa
ad anticipare l’omicidio Lima, la strage di Capaci, quella
di via d’Amelio? Come fa a parlare di esplosioni che
colpiranno “persone comuni”, arrivando quindi a predire le
stragi del ’93?La
genesi di tutto –E
dire che quella di Falcone non doveva essere neanche una
strage ma un semplice omicidio. Un commando guidato da Matteo
Messina Denaro eGiuseppe
Graviano doveva
colpire a Roma, dove il giudice girava con un protezione
molto blanda. Poi però Riina cambia idea, richiama i suoi e
spiega che bisogna tornare in Sicilia dove avevano trovato
“cose più grosse”. Quali? Il pentitoGaspare
Spatuzza individua
in quel cambio di strategia un passaggio fondamentale: “La
genesi di tutta questa storia è quando non si uccide più
Falcone a Roma con quelle modalità e si inizia quella fase
terroristica mafiosa, da lì non è solo Cosa nostra”.La
firma delle stragi –Secondo
l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto
Scarpinato,
è l’intera fase di programmazione delle stragi che non
appartiene a Cosa nostra: “Alla fine del ’91 – racconta – vi
sono delle riunioni tra alcuni capimafia, che hanno la
caratteristica di essere tutti massoni. Si comincia a
discutere di un progetto molto complesso, che era stato
suggerito dall’esterno. Le entità esterne ci mettono il
software, il progetto politico, Cosa Nostra ci mette
l’hardware, il braccio militare”. Sono le riunioni di Enna,
quelle in cui Riina spiega ai suoi che era arrivato il
momento di punire i nemici storici di Cosa nostra e pure gli
ex amici, quelli che avevano tradito. Il capo dei capi dice
anche un’altra cosa: gli omicidi e le stragi andranno
rivendicati usando la firma della Falange
Armata.
È una sigla oscura che aveva esordito l’anno prima per
rivendicare l’omicidio di un educatore carcerario a Milano.
Poi aveva messo la firma sui delitti della Banda
della Uno Bianca.
Quindi spunta in Sicilia, a Enna, in bocca a Riina: chi gli
ha suggerito usarla? A questa domanda, ancora oggi, non
sappiamo rispondere.Uomini
cerniera –Quello
che sappiamo è che nel dicembre del 1991 a Enna c’è
pure un personaggio che non fa parte di Cosa Nostra. Si
chiamaPaolo
Bellini ed
è stato recentemente condannato all’ergastolo per la bomba
alla stazione diBologna.
E’ famoso perché durante le stragi s’infiltra in Cosa nostra
su ordine dei carabinieri: doveva recuperare opere d’arte
rubate e in cambio offriva un miglioramento delle condizioni
carcerarie per i mafiosi. Il suo “gancio” era un ex compagno
di cella: Nino
Gioè,
uno che aveva fatto parte del commando di Capaci e che poi
morirà in carcere, vittima di un suicidio che sa molto di
omicidio. È Gioè che Bellini sostiene di aver contattato già
nel dicembre del 1991, quando scende in Sicilia perché –
sostiene – deve recuperare dei soldi. Deve andare a Palermo,
ma per dormire sceglie di arrampicarsi tra tornanti e buche
e fermarsi a Enna, la città più remota dell’isola, l’unico
posto d’Italia dove in quei giorni nevica: che senso ha
fermarsi lì? Trent’anni dopo le domande sulle stragi sono
ancora tutte lì.
Superbonus, Draghi a Strasburgo: “Non siamo
d’accordo, costi triplicati”. La replica M5s: “La
Commissione Ue ha più volte lodato la misura”.
A febbraio si era limitato a sottolineare che coloro che
“tuonavano” in difesa del superbonuserano
“quelli che hanno scritto la legge che permette di fare lavori senzacontrolli“.
Ora Mario
Draghi torna
all’attacco dellosconto
fiscale del 110% per
gli interventi di efficientamento energetico e antisismico
fortemente voluto nel 2020 dal Movimento
5 Stellee
confermato dal suo governo con alcune modifiche
sul meccanismo di cessione dei crediti applicabile
anche alle altre agevolazioni fiscali. Intervenendo alla
plenaria del Parlamento
Europeo il
premier ha rivendicato che il suo governo è “nato come
governoecologico,
fa del clima e della transizione
digitale i
suoi pilastri più importanti”. Ma, ha detto, “non
siamo d’accordo su tutto,
sul bonus del 110% non
lo siamo,
perché il costo di
efficientamento è più chetriplicato e
iprezzi degli
investimenti per attuare le ristrutturazioni sonotriplicati,
perché (il
superbonus ndr)
toglie la trattativa
sul prezzo“.
Cioè: visto che paga lo Stato, chi ingaggia una ditta per
fare i lavori non ha interesse a cercare di strappare sconti.Il
deputato M5s Riccardo
Fraccaro,
padre della norma, ha risposto a stretto giro: “Mario Draghi
nel suo intervento a Strasburgo durante la plenaria del
Parlamento europeo ha dichiarato di non essere d’accordo sul
Superbonus; sinceramente lo avevamo già dedotto dai
continui blocchi e
dalle modifiche apportate alla misura nei mesi scorsi che di
fatto hanno rischiato di renderlainutilizzabile.
Vorrei ricordare al nostro presidente del Consiglio che il
superbonus è espressione della volontà
parlamentare di tutte le forze politiche,
e per questo, anche se il suo giudizio personale è negativo,
non può boicottare una
misura che peraltro in più occasioni ha ricevuto lodi dalla
stessa Unione Europea”. Il riferimento è alplauso
arrivato lo scorso dicembre dal vicepresidente della
Commissione Ue Frans
Timmermanse dalla commissaria Ue per
l’Energia Kadri
Simson e
alla “promozione” arrivata a inizio marzo nel report pubblicato
dall’European
Construction Sector Observatory secondo
cui “ha avuto grande successo” e “sta generando un’elevata e
crescente domanda”.
Il documento assegna alla misura un punteggio di 4
stelle su 5 e auspica un’estensione
dei tempi per l’attuazione degli interventi
approvati – cosa che ilgoverno
Draghi ha appena previsto nel decreto
Aiuti – , un’allargamento
del campo di applicazione ad altre tipologie di
edifici come gli hotel, una ulteriore semplificazione delle
procedure per rendere più facile l’accesso alla detrazione e
eventualmente una modifica dei requisiti di efficientamento
minimi (oggi è sufficiente un miglioramento di due classi
energetiche). La richiesta europea è insomma di rendere la
misura più efficace, certo non di limitarne la portata.
Quanto all’esplosione dei prezzi lamentata dall’ex
presidente Bce,a
febbraio il ministro della Transizione Ecologica Roberto
Cingolani ha firmato un decreto che fissa i tetti
massimi di costo per gli interventi.
Le parole di Draghi non sono piaciute nemmeno alla deputata
di FacciamoECO Rossella
Muroni, che intervenendo in Aula alla Camera in
replica all’informativa del governo sulle misure contro il
caro energia ha detto: “Mi preoccupano le dichiarazioni del
premier Draghi che a Bruxelles ha affermato di non
condividere il superbonus. Una misura strategica che
ci sta aiutando a migliorare la prestazione energetica delle
nostre case, a tagliare
le emissioni e a sostenere l’edilizia di qualità.
Una misura che sta contribuendo in modo significativo ai
dati positivi sul Pil che il governo cita volentieri”
Incidenti sul lavoro, Inail: “Nei primi tre
mesi del 2022 saliti del 50%, boom nei trasporti e
magazzinaggio. 189 quelli mortali: quattro in più”
Almeno due morti bianche al giorno. E un aumento
delle denunce di infortunio del 50% rispetto
ai primi tre mesi del 2021. NellaGiornata
mondiale per la salute e sicurezza sul
lavoro, idati
Inail aggiornati
al primo trimestre 2022 raccontano di un trend in forte
aumento. Le comunicazioni di incidenti di qualsiasi gravità
arrivate all’istituto tra gennaio e marzo sono state 194.106 contro
le128.671 del
primo trimestre del 2021 e le 130.905 di gennaio-marzo 2020
segnato però dallockdown.
Quelli con esito mortale sono stati 189,
quattro in più rispetto alle 185 registrate nel primo
trimestre del 2021 e 23 in più rispetto alle 166 dello
stesso periodo 2020. “Numeri inaccettabili,
e i numeri reali sono ancora più alti, a causa delle mancate
segnalazioni in maniera particolare nei settori fragili”,
commenta Tina Balì, segreteria nazionale Flai
Cgil.
“Evidentemente non bastano le politiche di prevenzione fin
qui adottate, occorre un drastico
cambio di passo.
La sicurezza sul lavoro non è un costo ma un investimento.
Bisogna agire di più sulla prevenzione, sulla capacità di
costruire reti e sulla formazione continua”.L’incremento dei
casi mortali rispetto allo scorso anno riguarda i casi in
itinere durante il tragitto casa-lavoro, passati da 31 a 51,
mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono scesi da
154 a 138. L’aumento ha riguardato l’industria
e servizi (da
158 a 160 denunce) e l’agricoltura (da
16 a 20 casi). Ha riguardato solo ledonne,
con un aumento da 14 a 24, mentre tra gli uomini c’è stata
una discesa da 171 a 165. Secondo i dati Inail, sono in
aumento le denunce dei lavoratori italiani (da 158 a 163),
in calo quelle dei comunitari (da 9 a 8) e in parità quelle
degli extracomunitari (18 in entrambi i periodi).
Dall’analisi per classi di età, da segnalare gli aumenti
dei decessi tra gli under 40 (da
34 a 49 casi) e tra i 45-49enni (da 22 a 24), mentre sono in
calo quelli tra i 40-44enni (da 17 a 16).
In generale, gli incidenti di ogni livello di gravità sono
notevolmente aumentati: quelli sul luogo di lavoro dai
115.286 del primo trimestre 2021 ai 176.545 del
2022 (+53,1%) e quelli in itinere hanno fatto registrare un
aumento del 31,2%, da 13.385 a17.561.
A marzo 2022 il numero degli infortuni sul lavoro denunciati
ha fatto segnare un +46,6%
nella gestione Industria e servizi(dai
109.662 casi del 2021 ai 160.813 del 2022), un -0,4% in
Agricoltura (da 5.891 a 5.866) e un +109,1% nel Conto Stato (da
13.118 a 27.427). Incrementi degli infortuni in occasione di
lavoro si osservano in tutti i settori produttivi, in
particolare nei Trasporti
e magazzinaggio(+166,9%), nella Sanità
e assistenza sociale (+110,4%) e nell’Amministrazione
pubblica (+73,8%).
L’analisi territoriale evidenzia un incremento delle denunce
di infortunio in tutte le aree del Paese: più consistente
nel Sud (+64,3%),
seguito da Nord-Ovest(+63,4%),
Isole (+60,7%), Centro (+51,3%)
eNord-Est (+31,8%).
Tra le regioni con i maggiori aumenti percentuali si
segnalano principalmente laCampania (+116,2%),
laLiguria (+85,3%)
e ilLazio (+73,8%).
L’aumento che emerge dal confronto di periodo tra il 2022 e
il 2021 è legato sia alla componente femminile, che registra
un +72,9% (da 51.550 a 89.130 denunce), sia a quella
maschile, +36,1% (da 77.121 a 104.976). L’incremento ha
interessato sia i lavoratori italiani (+54,6%) che quelli
extracomunitari (+35,1%) e comunitari (+25,6%).
Le multinazionali che
producono, utilizzano e riciclano enormi volumi diimballaggi
in plastica e
che si sono impegnate a cambiare strada stanno riducendo il
consumo di quella vergine. Ma il ritmo è ancora lento e le
azioni non sonosufficienti.
I progressi, infatti, sono in gran parte guidati dal
crescente utilizzo di contenuto riciclato nel packaging,
mentre sono scarsi gli sforzi per eliminare monouso eimballaggioinutile.
E pochissimo si fa sul fronte del riuso.
Certo, l’anno del Covid-19 non ha aiutato, ma resta il fatto
che l’impiego di materiale vergine è diminuito di poco più
dell’1% nel 2020 rispetto all’anno precedente, mentre il
ricorso a confezioni ricaricabili è
stato pari a meno del 2% di tutta la plasticamessain
commercio.
L’ultimo rapporto della Ellen
MacArthur Foundation mostra
come hanno agito, nel 2020, alcune delle multinazionali che
immettono sul mercato piùtonnellate di
plastica, tra le centinaia di realtà che aderisconoGlobal
Commitment and Plastic Pact network.
L’iniziativa, promossa dalla fondazione, prevede di rendere
pubbliche le quantità di polimeri utilizzate,
ridurre l’uso di materiale vergine, eliminare gli imballaggi
non riciclabili e non necessari e assicurare la messa in
commercio di soliinvolucririutilizzabili,
riciclabili o compostabili. Per il report, hanno fornito i
loro dati (oltre a 18 governi), anche 130 aziende, che
rappresentano più di un quinto del mercato globale degli
imballaggi in plastica. Tra queste CocaCola,
PepsiCo, Nestlé,
Danone, Unilever,
Mars, Henkel,
L’Oreal, Colgate-Palmolive e l’italiana Ferrero.Se
dal 1950 al 2018 si è passati, con una crescita
esponenziale, da circa 2 milioni di tonnellate diplastica
vergine utilizzata
a oltre 300 milioni di tonnellate, nel 2019 e nel 2020 si
sono registrate per la prima voltariduzioni rispettivamente
dello 0,6% e dell’1,2%. “Una traiettoria discendente – si
spiega nelreport –
rafforzata da nuovi impegni per ridurre l’uso totale di
plastica o plastica vergine in termini assoluti entro il
2025, che quest’anno è diventato unrequisito
obbligatorio per
aderire alGlobal
Commitment”.
Si prevede, infatti, che questi obiettivi porteranno a una
riduzione totale della plastica vergine utilizzata dai
firmatari negli imballaggi di circa il 19% entro il 2025
(rispetto al dato del 2018). E che, insieme al raggiungimento dei
target sul contenuto riciclato negli imballaggi, eviterebbe
la produzione di circa 8
milioni di tonnellate di
plastica vergine ogni anno (con un risparmio di 40 milioni
di barili di petrolio). Ma siamo nel campo delle intenzioni.Di
concreto c’è che la riduzione della
plastica vergine utilizzata tra il 2018 e il 2020 è stata in
gran parte determinata dall’aumento dell’uso di quellariciclata,
principalmente negli imballaggi in PETrigido,
come quello delle bottiglie di acqua e latte e di alcuni
flaconi. E, comunque, si è passati dal 5,2% di contenuto
riciclato (sul
totale dell’imballaggio in plastica utilizzato dalle
aziende) del 2018, al 6,3% del 2019 per arrivare all’8,2%
nel 2020. Sulla base degliattuali
obiettivi,
circa l’80% della prevista riduzione del contenuto vergine
per il 2025, continuerà a dipendere proprio dall’aumento
del contenutoriciclato.
Ma gli analisti osservano “un allarmante scarso
investimento” per ridurre il ricorso al monouso:
la maggior parte delle azioni (il 76%) “implicano la
sostituzione con altra plastica o carta”, mentre solo per il
24% dei casi si tratta di “cambiamenti sostanziali”, come
l’eliminazione diretta o il passaggio a modelli di
riutilizzo. Di fatto, meno del 2% degli imballaggi in
plastica dei firmatari delCommitment è
stato progettato per essere riutilizzabile nel 2020. La
quota è addirittura diminuita, passando dall’1,8% del 2019
all’1,6% del 2020. Più della metà di tutte le aziende che
aderiscono non produceimballaggi in
plastica riutilizzabili. Anche il livello diambizione è
basso: solo l’11% dei firmatari ha lanciato più di tre
progetti pilota sul riutilizzo nel 2020, mentre il 56% non
ne ha lanciato nessuno. Il risultato di tutto questo è che
il 34,7% della plastica utilizzata negli imballaggi che nel
2020 le aziende hanno messo sul mercato non è nériutilizzabile,
né compostabile e
neppurericiclabile.
Di conseguenza, il packaging che
rientra in almeno una di queste opzioni rappresenta il 65,3%
(percentuale in aumento di appena lo 0,5%), ma per la
stragrande maggioranza perché è riciclabile. E si parla
sempre di ciò che fanno lemultinazionali che
aderiscono all’iniziativa, senza considerare tutte le
aziende che ogni giorno a livello globale operano in questo
settore. L’80% del mercato degliimballaggi in
plastica è fuori da azioni e impegni, mentre si prevede che
la domanda dipackaging in
plastica raddoppierà nei prossimi due decenni.
Legge salvasuicidi, nel 2021 boom di istanze
dagli indebitati: +64% a Milano, +350% a Roma.
Commercialisti: “Avvisaglie di tempesta”.
La lentezza dell'iter, che prevede la definizione di una
proposta di accordo finalizzata a ripagare parte del debito
in funzione delle risorse disponibili, fa da tappo
rischiando di alimentare fenomeni usurari. Le stime: stando
a un sondaggio ben 371.500 imprese non fallibili potrebbero
presto chiedere di beneficiare dell'opportunità. Senza
contare i privati. La Città Metropolitana di Bologna ha
aperto nel 2018 uno sportello ad hoc che fornisce assistenza
anche nella preparazione della documentazione necessaria.
Con la crisi che incalza i debiti aumentano
anche traprivaticittadini, professionisti,
imprenditori agricoli e artigiani.
Crescono così anche le istanze di accesso alle procedure di sovraindebitamento previste
dalla legge
3 del 2012, tristemente nota comesalvasuicidi. Ma
lalentezza dell’iter
che prevede la definizione di una proposta
di accordo finalizzata
a ripagare parte del debito in funzione delle risorse
disponibili fa da tappo, rischiando di alimentarefenomeni
usurari.
Non c’è ancora un dato nazionale per il 2021, ma le
rilevazioni sul territorio, raccolte dal fattoquotidiano.it, mostrano
uno scenario a tinte fosche. E per laFondazione
nazionale dei commercialisti il
trend in ascesa rappresenta solo la prima avvisaglia di una
vera e propriatempesta che
potrebbe manifestarsi una volta esauriti gli effetti dei
ristori governativi. Secondo un sondaggio fatto dai
ricercatori della Fondazione nel 2021 ci sono371.500 imprese
non fallibili – si tratta di imprenditori agricoli epiccoli
imprenditori commerciali –
che potrebbero ben presto chiedere di beneficiare della
legge. Ben il29,3%
del totale di
queste tipologie di imprese che danno lavoro ad oltre
455mila dipendenti.Tornando ai numeri già accertati, a Bologna lo
sportello sovraindebitamento della Città metropolitana ha
segnalato un aumento
delle istanze del 12% nel
2021 raggiungendo quota 164. Ma, da ottobre 2018, il numero
di richieste di informazioni sono state ben586,
in buona parte provenienti da privati. A Milano,
sempre nel 2021, le richieste di aiuto alla Camera arbitrale
sono schizzate del 64% passando
dalle 123 pratiche del 2020 alle 192 istanze dello scorso
anno. Con l’11% dei debitori totalmente incapienti. ARoma,
l’Ordine dei commercialisti ha segnalato un aumento del 357%
da 7 pratiche del 2020 a 32 del 2021. A Venezia,
infine, sempre secondo i commercialisti, nel 2021 le istanze
sono state 39,
in aumento dell’11 per cento. Ma nell’intera Regione guidata
da Luca
Zaia la
situazione è decisamente peggiore:387 istanze,
in crescita di oltre il 18% rispetto al 2020, con un picco a
Vicenza (220), seguita da Verona (75) e Padova (53). Del
resto, già nel 2020, sull’intero territorio nazionale, il
ministero della Giustizia aveva registrato più di6mila
istanze di cui 1500 relative al 2019.
Di queste il 56% (circa tremila) risultavano pendenti,
mentre le composizioni segnalate dai tribunali, erano
appena 677 (+10%
nel 2021), una goccia nel mare rispetto alle procedure.
Segno che da una parte la domanda è decisamente elevata,
dall’altra il meccanismo è troppo lento rispetto alle
necessità pressanti dei sovraindebitati.
SUPER DELINQUENZA ED ORGANIZZAZIONI ARMATE
Ndrangheta a Roma, le intercettazioni: "Siamo pronti a fare la
guerra". Così i boss si sono presi la Capitale
La "scalata" di Vincenzo Alvaro dal Café de Paris
alla prima filiale delle cosche in città. Il ruolo di 'Ntoni
Scarpacottta Carzo: "Prima eravamo sparpagliati ora siamo un
esercito"
“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”. La ‘ndrangheta ha
aperto ufficialmente bottega nella capitale. Un’informazione che
ormai circolava da tempo dagli addetti ai lavori ma che ha
trovato conferma ufficiale solo oggi con l’inchiesta “Propaggine”,
che ha portato a due ordinanze di custodia cautelare emesse dai
gip su richiesta delle Dda
di Roma e
diReggio
Calabria. Nel
filone calabrese dell’indagine, coordinata dal procuratoreGiovanni
Bombardieri è
finito agli arresti domiciliari anche un politico, il sindaco di
CosoletoAntonino
Gioffré,
accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Nel paesino
nella piana di Gioia
Tauro,
sotto l’influenza della cosca Alvaro, il sindaco, eletto con la
lista civica “Alleanza per i valori”, in sostanza avrebbe
favorito l’assunzione di un altro soggetto
indagato.Complessivamente, 29
sono le persone finite in carcere mentrecinque
i soggetti per i quali il gip ha disposto gli arresti
domiciliari.
Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione a
delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento commesso al fine
di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e la detenzione e
vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. In
manette sono finiti i vertici della cosca Alvaro. Oltre al
sindaco di Cosoleto, Antonino
Gioffré,
ai domiciliari, sono stati arrestati Carmine
Alvaro detto
‘u cuvertuni’, ritenuto il capo locale diSinopoli.
In manette anche i capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro
detto ‘ciccio testazza’, Antonio Alvaro detto ‘u massaru’,
Nicola Alvaro detto ‘u beccausu’ e Domenico Carzo detto ‘scarpacotta’. Nel
troncone reggino dell’inchiesta, secondo gli inquirenti, si è
riusciti a dimostrare come i tentacoli della cosca Alvaro-Penna si
sarebbero allungati sull’amministrazione comunale diCosoleto.
Nel piccolo paesino della Piana
di Gioia Tauro,
ci sarebbe un locale di ‘ndrangheta autonomo nelle attività
illecite ordinarie ma funzionalmente dipendente da quello di
Sinopoli. Dalle indagini, infatti, è emerso un forte interesse
della cosca all’esito
delle elezioni amministrative del
Comune di Cosoleto del 2018 vinte dal sindaco Gioffré che era in
contatto con l’indagatoAntonio
Carzo.Le
indagini sviluppate dal Centro
Operativo Dia di Roma hanno
fornito gravi indizi dell’esistenzadell’associazione
di ‘ndrangheta denominata
cosca Alvaro-Penna, i cui sodali risultano detentori di un
radicato controllo del territorio e delle attività economiche,
nonché infiltrate nella gestione di alcune amministrazioni
locali. Il possesso di armi, anche da guerra, da parte dei
componenti dell’associazione criminosa determina la pericolosità
dell’associazione stessa. Sul filone romano dell’inchiesta, la
Dia ha eseguito numerose
perquisizioni e
altre43
ordinanze di custodia cautelare.
Il blitz ha interessato diverse zone della capitale e della
provincia di Roma.
Alcuni indagati sono accusati di far parte di una
locale di ‘ndrangheta,
radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e
il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico,
panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii
esausti. Secondo gli inquirenti, l’organizzazione criminale
faceva sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine
di schermare la reale titolarità delle attività.L’inchiesta
delle due Procure ha consentito di dimostrare per la prima volta
come la cosca Alvaro abbia dato vita, nella capitale, ad
un’articolazione criminale. Era il cosiddetto “locale
di Roma”
che rappresenta un “distaccamento”
autonomo del sodalizio radicato in Calabria e in particolare con
quella che gli inquirenti chiamano “casa madre sinopolese” che
ha il compito di trovare una soluzione alle frizioni tra i
sodali romani. Per risolverle i due capi locale di Roma venivano
in Calabria per discuterne durante con i vertici della famiglia
in occasione di eventi particolari, quali matrimoni o funerali.
“Noi a Roma siamo una propaggine
di là sotto“,
dicono gli indagati in un’intercettazione. La ndrina romana
riconosciuta ufficialmente dalla “casa
madre ”
in Calabria. Il gruppo criminale era guidato dai bossVincenzo
Alvaro e
Antonio Carzo. Proprio Alvaro è il boss intercettato mentre
sostiene: “Siamo
una carovana per fare la guerra“.
Benvenuti nel sito ufficiale DEL DIARIO DI BORDO DI
INTERNOTIZIE.IT a partire dal 21 aprile 2022 riprendendo da
INTERNOTIZIE.D
Il pezzo si spezza in due tronconi a causa dell'incedere
rapido degli eventi: oggi La Russia incassa
involontariamente lo STOP TURCO all'entrata simultanea di
Svezia e Finlandia nella NATO, un grosso intoppo per i paesi
scandinavi dovuto al probabile voto contrario della Turchia
avverso ai due paesi scandinavi. La Russia si troverebbe con
un grosso problema sul fianco Nord, un fallimento clamoroso
della politica internazionale se l'intento era quello di
tenere lontana la NATO dai confini russi. Sempre oggi, in
data 13 maggio 2022, per la prima volta i vertici militari
statunitensi chiamano i vertici militari russi, il tutto in
una cornice che parla sottotraccia di un golpe in Russia
contro Putin sospettato di essere gravemente ammalato. Sul
campo di battaglia l'esercito russo si sta ritirando da
Karkhiv, prima grande città a nord del DONBASS, ma sta
avanzando a sud.Seguendo gli splendidi articoli sul campo di
INSIDEOVER, conosciamo che l'Armata Russa sta attaccando con
forza il saliente ucraino di Severodonetsk, un cuneo tra le
cittadine di Bilohorivka a nord e Popasna a sud. In questo
cuneo Kiev ha schierato ben 10 brigate. Se i russi riescono
ad isolare questo Corpo d'Armata chiudendo la linea
Popasna_Bilohorivka proprio alle spalle di questo
raggruppamento, l'intero Donbass è andato perso per Kiev con
in più l'apertura di uno squarcio in direzione Kramatorsk,
questa città è uno snodo focale sia a nord verso Karkhiv che
può essere attaccata da sud, sia ad ovest, verso il cuore
dell'Ucraina, verso Poltava. Karkhiv ha visto i russi
ritirarsi verso il loro confine ma non è una rotta, cosa
significa? Significa che la difesa è molto aggressiva col
chiaro intento di tenere impegnate le forze ucraine lì,
piuttosto che dispiegarle nel saliente. Il saliente sarà una
carneficina con i russi che ad un certo punto riprenderanno
l'avanzata su Kharkiv molto probabilmente saltando la grossa
città per dirigersi più a sud isolandola dal resto del
paese.
12-05-22, 78° GIORNO DI GUERRA
L'ESERCITO RUSSO IN GRAVE RITIRATA A KARKIV, MESSO SOTTO
PRESSIONE DAGLI UCRAINI CHE NELL'OBLAST DI LUHANS FANNO
SALTARE IN ARIA I PONTI PER IMPANTANARE, COME A
KIEV,L'AVANZATA DEI CARRI RUSSI CHE HANNO BISOGNO DI STRADE
sopratutto FERRATE. I RUSSI PER RAPPRESAGLIA BOMBARDANO I
GRANAI DI ODESSA, MENTRE IL FIANCO NORD RUSSO ENTRA IN CRISI
CON LA SPINTA FRENETICA DELLA FINLANDIA AD ENTRARE NELLA
NATO. MOSCA CHIUDE IL FLUSSO DI GAS VERSO LA POLONIA E
MINACCIA DI FARE ALTRETTANTO NEI CONFRONTI DI HELSINKY.PUTIN
E' IN GRANDISSIMA DIFFICOLTA' SOPRATTUTTO A LIVELLO
MILITARE: COME SPIEGATO DALL'EX LEADER DI WAGNER, IL
PRESIDENTE RUSSO HA GIOCATO D'AZZARDO AD AGGREDIRE UN PAESE
CON UN ESERCITO DI 300.000 UOMINI CON 250.000 UOMINI
SPARPAGLIATI SU UN FRONTE MOSTRUOSO ED A NULLA STA VALENDO
AVER DIMEZZATO LA LINEA DI COMBATTIMENTO. MANCANO GLI UOMINI
E LA SOLA CONCENTRAZIONE DI FUOCO NON BASTA. Altresì
totalmente disastrosi i comportamenti delle truppe di Mosca
che sistematicamente si lasciano andare ad azioni brutali ed
ammazzamenti folli, senza alcuna giustificazione, come se
comunque facenti parte di un modus operandi a prescindere
per cui in ogni caso bisogna raggiungere una cifra di morti
ammazzati che siano soldati nemici oppure no. L'azione di
denazificazione si sta trasformando in massacro e sterminio
sul modello EINSATZ, un assurdo ideologico portato avanti da
un esercito erede DISGRAZIATO dell'Armata Rossa. All'assurdo
ideologico si sta unendo IL TOTALE DISPREZZO delle alte
sfere militari russe verso il soldato, il quale non solo
viene lasciato totalmente solo e senza ordini, ma
addirittura AFFAMATO col chiaro intento di scatenare i più
bassi istinti bestiali irrefrenabili e fuori controllo: dal
quale ad esempio è esploso IL POGRON DI BUCHA, una sorta di
RIEDIZIONE AGGIORNATA dell'HOLOMODOR STALINIANO degli anni
trenta del novecento. A livello politico internazionale, se
l'intento era quello di spingere la Nato a 3000 km dalla
frontiera russa facendo salvo il fianco Baltico, visto che
le repubbliche Baltiche fanno già parte della Nato MA CHE E'
SOLO con i confini dell'Estonia che la Nato tocca la Russia,
assieme alla Norvegia nell'estremo nord, bene, questo
intento sta fallendo IN MANIERA MACROSCOPICA in quanto
l'adesione a tappe forzate della FINLANDIA espone
praticamente l'intero NORD RUSSO sotto schiaffo NATO. Un
fallimento poderoso e colossale perchè INEVITABILMENTE
metterà il presidente Putin a dover spostare uomini e
risorse ANCHE A NORD, quando già ora NON CI SONO UOMINI
SUFFICIENTI per coprire il fronte di guerra del sud-est
ucraino. All'interno della federazione si assiste altresì al
crescere di una forte avversione verso il centro e
l'arruolamento anche negli sconfinati territori siberiani,
da secoli vastissimo bacino periferico USATO dal centro COME
CARNE DA CANNONE. I centri reclute dati alle fiamme ne sono
testimonianza, il segno evidente che le notizie dal fronte,
nonostante la censura, corrono veloci e fanno propendere le
giovani reclute a fuggire da quell'inferno che il solo
guazzabuglio ideologico DUGHINIANO non può imbiancare ed
abbellire. Altresì il presidente russo sa benissimo che al
centro e nella parte continentale è estremamente difficile
reclutare uomini soprattutto dopo vent'anni di fortissime
iniezioni di CONSUMISMO che si è sostituito totalmente al
COMUNISMO. La spaventosa crescita dei prezzi delle materie
prime stà paradossalmente favorendo l'economia russa, la
quale incassa miliardi di dollari che usa da una parte per
finanziarsi la guerra e dall'altra, grazie alle
triangolazioni commerciali che eludono L'EMBARGO TOTALE, per
comprare merce e cibo occidentali allo scopo di riempire lo
stomaco del russo "medio" che in questo modo si fa
pochissime domande e si abbevera volentieri alla PROPAGANDA.
Lo chiamano “la Brigata delle tenebre”, è la truppa di
mercenari di Putin, per molti una delle sue armi segrete,
forse la più pericolosa. È famoso per la ferocia delle
proprie operazioni, in Siria come in Africa e Ucraina, dove
ha combattuto e sta combattendo al fianco (ma sarebbe meglio
dire all’ombra) degli eserciti e degli schieramenti
ufficiali. Il Gruppo Wagner è questo, ma anche molto altro.
Per la prima volta viene raccontato dall’interno, grazie
alla testimonianza di un suo ex ufficiale, Marat Gabidullin.
“Io, comandante di Wagner” (288 pagine, 18,90 euro, codice
ISBN 979128002 29571, edito da Libreria Pienogiorno) esce
oggi in contemporanea internazionale. Ma ha anche rischiato
di non uscire mai. Nel 2020 un piccolo editore siberiano
aveva annunciato la pubblicazione della prima testimonianza
non anonima dall’interno del gruppo di mercenari, ma il
giorno dopo l’autore aveva ricevuto minacce tali da
costringerlo ad annullare il progetto. Ora questa
testimonianza viene alla luce. Per gentile concessione
dell’editore e in anteprima per l’Italia,
ilfattoquotidiano.it pubblica qui sotto un estratto del
documento.
Ucraina, nei villaggi liberati a Est dove Mosca abbandona i
cadaveri dei suoi soldati
Nella zona orientale di Kharkiv gli ucraini ricacciano le
truppe russe verso il confine. E raccolgono i corpi che il
Cremlino non vuole mostrare
Guerra in Ucraina, prima interruzione dei flussi di gas
“causa azioni delle forze russe”. Stop compensato con
forniture da altri punti
Il
tracciato passa infatti dalla stazione di compressione diNovopskov attraversando
ilDonbass e
i russi, accusa la società, stannosottraendo parte
del gas in transito (si suppone per destinarlo proprio alle
regioni separatiste). Questo mette in pericolo “lastabilità e
lasicurezza dell’intero
sistema di trasporto del gas”, afferma Kiev. Di qui la
decisione di invocare la clausola
di forza maggiore e
interrompere il trasporto, dopo aver “ripetutamente
informato Gazprom” dei problemi legati alla presenza delle
truppe di Mosca.Per la stazione di confine di Novopskov
passa quasi un terzo dei flussi verso l’Europa via Ucraina:
fino a 32
milioni di metri cubi al
giorno. Di conseguenza secondoYuriy
Vitrenko, numero
uno della compagnia statale ucraina degli idrocarburiNaftogaz,
le forniture caleranno di altrettanto a meno che la Russia
non reindirizzi il
gas alla stazione di compressione diSudzha,
più a nord e in corrispondenza dei territori controllati da
Kiev (vedi
cartina sopra).
“Il trasferimento del flusso non richiede alcun
costo aggiuntivo da parte russa e
non vi sono ostacoli tecnici per tale operazione”,
sottolinea il comunicato di Gtsou. “In questo modo la Russia
sarebbe in grado di mantenere il transito attraverso
l’Ucraina e di adempiere ai propri obblighi nei confronti
dei partner europei”.
Il gruppo russo Gazprom –
secondo cui il transito è sempre andato avanti “indisturbato”
e la quota di forniture compromesse ammonta a solo un quarto
del totale e non un terzo – a parole ha respinto al
mittente questa opzione, anche se i dati preliminari sul
flusso mostrano quantità più elevate attraverso una seconda
stazione nel territorio controllato dall’Ucraina.
Il sistema italiano per ora non registra rallentamenti negli
arrivi “grazie all’interconnessione delle reti e alla
diversificazione delle fonti di importazione”, fa sapere Snam.
Dai dati pubblicati in tempo reale sul suo sito risulta che
i flussi a
Tarvisio sono in diminuzione rispetto a martedì:
circa1,6
milioni di metri cubi standard all’ora contro i2,4 di
ieri mattina. Ma sono in parte compensati da un maggior
afflusso aPasso
Gries (da Norvegia e Paesi Bassi), dove stanno
arrivando 2,1 milioni di metri cubi all’ora a fronte degli
1,5 di martedì mattina, e a Mazara
del Vallo(dall’Algeria, 2,8 MSm3
contro 2,6). Dunque la domanda al momento è soddisfatta e
proseguono anche le iniezioni di gas in stoccaggio.
I prezzi nei
primi scambi ad Amsterdam, piazza di riferimento per
l’Europa, hanno superato i100
euro al megawattora toccando i 103, in aumento del
4% rispetto alla chiusura di martedì. Poi hanno ripiegato
verso i 93 euro.
L'Isola dei
Serpenti e la Bielorussia, le nuove minacce sul fronte Ovest
Il Donbass, il Mar Nero, Sumi e la minaccia
da nord di Lukaschenko: tutti i fronti del conflitto a quasi
80 giorni dall'inizio dell'invasione.
Il confine dell'Ucraina con gli altri stati è lungo4558km,
suddivisi fra Russia (1 576 km),Moldavia (939 km),
Bielorussia (891 km),Romania (169 km
a sud, 362 a ovest),Polonia (428 km),Ungheria (103 km),
eSlovacchia (90 km),
oltre ai 2 872 km di costa marittima.
10-05-22, 76° GIORNO DI GUERRA
Tre missili ipersonici su Odessa
Tre missili Kinzhal –
i nuovi missili ipersonici della Russia – sono stati sparati
ieri sera da un aereo su unhotel nella
zona diOdessa,
colpito anche un centro commerciale con altri sette missili.
Lo ha reso noto Sergey
Bratchuk, portavoce dell’amministrazione militare
regionale di Odessa citato dalla Cnn che ha geolocalizzato e
verificato l’autenticità di due video che circolano sui
social e mostrano danni significativi alla struttura
turistica di Zatoka. Le unità russe hanno attaccato ieri la
città usando sottomarini, navi e aerei. La Cnn afferma che
non è chiaro perché sia stato colpito l’albergo e chi o cosa
potesse ospitare.
"Mentre la Russia sfila sulla Piazza Rossa,
migliaia di suoi soldati morti sono ammucchiati in sacchi
su treni frigorifero". Lo scrive su Twitter Anton
Gerashchenko, consigliere del ministro degli Interni
ucraino, citando il servizio di Al Jazeera English. "I russi
si rifiutano di prenderli, così l'Ucraina potrebbe anche
doverli seppellire a spese proprie", aggiunge.
Oim,
oltre 8 mln di sfollati interni e 13,7 mln totali
Il numero di sfollati interni a causa della guerra in
Ucraina ha superato la soglia degli 8 milioni. È quanto
emerge dall'ultimo rapporto dell'Organizzazione
internazionale per le migrazioni (Oim), secondo cui gli
sfollati interni sono 8.029.000, su 13.686.000 persone
totali costrette a lasciare le proprie case.
Kiev: ancora 100 civili nell’Azovstal
“Oltre ai militari,
nei rifugi rimangono almeno
100 civili. Tuttavia, ciò non riduce la densità
degli attacchi da parte degli occupanti. L’artiglieria
pesante e gli aerei hanno continuato a bombardare l’impianto
per tutto il giorno. I tentativi di prendere d’assalto il
terreno continuano a fallire”. Lo afferma il consigliere del
sindaco di Mariupol PetroAndryushchenko su
Telegram, citato da Ukrinform, a proposito della situazione
nell’acciaieria Azovstal di Mariupol.
Attacchi aerei ripetuti, più di uno all’ora
nell’ultimo giorno, insieme a“operazioni
di assalto” via terra. LaRussia stringe
nuovamente in una morsa di fuoco l’acciaieriaAzovstal diMariupol,
dove centinaia di combattenti ucraini continuano a
resistere. E dove, secondo Kiev,
ci sono ancora 100
civili rifugiati nei sotterranei. L’assedio
all’impianto siderurgico, circondato da settimane dalle
truppe di Mosca, è ripartito – ha spiegato il consigliere
del sindaco di Mariupol – dopo che un convoglioOnu ha
lasciato la regione diDonetsk.
I russi hanno cercato di far saltare un ponte usato
per leevacuazioni,
ha aggiunto, così da bloccare gli ultimi soldati –
appartenenti al reggimento Azov e
a una brigata dellaMarina
ucraina – rimasti all’interno. Le unità di Mosca,
sostiene il battaglione con componenti neonazisti, stanno
usando “artiglieria navale, razzi
Mlrs, Ur-77, carri armati”. Attraverso il loro
canale Telegram, i soldati sostengono che nelle ultime 24
ore l’esercito russo ha effettuato34
attacchi aerei sul territorio dello stabilimento,
inclusi 8 con bombardieri
strategici.
Una situazione
critica, aggravata dalla presenza, secondo il
consigliere del sindaco di Mariupol Petro
Andryushchenko, di “almeno 100 civili” ancora nei
rifugi: “Ciò non riduce la densità degli attacchi da parte
degli occupanti”, ha sostenuto. Ma finora i tentativi di
prendere l’impianto – dove sventola ancora labandiera dell’Ucraina
– sono “falliti”. Il tempo però stringe e l’esercito di Kiev
sta lavorando ad unpiano
militare per salvare i combattenti, ha detto l’ex
comandante del reggimento Azov Maxim
Zhorinin una intervista esclusiva a Canale
24 riportata da Unian.
La strategia viaggia in parallelo con i canali
diplomatici già aperti. Zhorin ha annunciato i
preparativi per l’operazione militare spiegando che vengono
sviluppati con laleadership delle
forze armate ucraine. Tuttavia, ha spiegato, sarà prima
necessario completare l’equipaggiamento
militare e il rifornimento
delle armi. “Non sono sicuro che attualmente i
combattenti che si trovano sul territorio dell’Azovstal
abbiano tanto tempo, quindi ci stiamo preparando e lavorando
in parallelo in due direzioni: diplomatica e militare per
tirarli fuori”, ha affermato. L’operazione “potrebbe essere
in più fasi raggruppando le unità” asserragliate
nell’impianto.
“Allargare l’Unione europea all’Ucraina ora? E’ un discorso
assurdo”. Così Marco
Travaglio ad‘Accordi&Disaccordi’,
il talk politico in onda su Nove,
ha commentato un passaggio dell’intervento di Mario
Draghi a Strasburgo in
cui il presidente del consiglio italiano auspicava
“l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea” in nome di un
processo di allargamento accelerato. “Quel discorso di
Draghi, per fortuna, non l’ha sentito nessuno, perchése
capovolgevi le telecamere vedevi un emiciclo completamente
deserto.
– ha detto il direttore de Il
Fatto Quotidiano –
Quindi il nostro peso è dimostrato dal fatto che quando
parla Draghi, almeno in Europa, nessuno lo sta a sentire. Ma
è il
capolavoro dell’ipocrisia.
Quell’uomo lì, da presidente della Bce, è quello che ha
fatto la famosa cura
“lacrime e sangue” ai
greci. E se facciamo entrare l’Ucraina, che è un Paese che
era già fallito prima della guerra e mi posso immaginare in
che condizioni economiche si ritroverà alla fine della
guerra, poi che cosa gli fanno?La
cura da cavallo? Manda
la Troika dopo averli fatti entrare, chiedono lacrime e
sangue dopo tutto il sangue e le lacrime che hanno versato
in questa guerra?Ma
di cosa stanno parlando? Ma
come possono pensare di far entrare un Paese che ha
nell’esercito regolareil
battaglione Azov?
Lo scopriranno dopo? O se ne accorgono prima?”, ha concluso
il giornalista.
Mariupol, i
parenti dei soldati del battaglione Azov chiusi
nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"
“Basta chiacchiere, è ora di fare qualcosa per salvarli”. Le
mogli e le fidanzate, le madri e i fratelli dei soldati del
battaglione Azov chiusi nell’acciaieria dell’Azovstal a
Mariupol alzano la voce contro il governo Zelensky,
accusandolo di non fare abbastanza per risolvere l’assedio
che minaccia di ucciderli tutti. “Siamo disperate, forse il
nostro governo non vuole parlare di Azov e Mariupol… Stanno
cercando di tapparci la bocca e di chiudere l'argomento
Mariupol in modo che la gente non parli e si dimentichi
della guarnigione militare. Non ci supportano”, dice a
Repubblica la sorella di un soldato del battaglione Azov
chiuso nell’acciaieria.
Giovedì pomeriggio, per il secondo giorno consecutivo, un
gruppo di parenti e amici dei soldati del battaglione Azov
ha attraversato le vie del centro di Kiev diretto a piazza
Majdan, per protestare e chiedere di salvare i soldati
intrappolati nell’acciaieria. Ma se mercoledì la
manifestazione si era conclusa pacificamente a Majdan,
giovedì le cose sono andate molto peggio. I manifestanti si
sono trovati davanti la polizia che li ha dispersi,
“prendendo i documenti degli uomini” e fermando alcuni degli
organizzatori. La manifestazione non era stata autorizzata,
e gli organizzatori si sono difesi dicendo che alcuni non
erano stati avvertiti ed erano scesi in piazza comunque.
La motivazione ufficiale per la negata autorizzazione e la
successiva repressione è l’esistenza della legge marziale,
che rende automaticamente impossibile organizzare qualsiasi
protesta. Ma la mossa resta singolare, perché il battaglione
Azov in questo momento in Ucraina è al massimo della sua
popolarità: la strenua resistenza per la difesa di Mariupol
ha trasformato tutti i soldati del più discusso tra i
reggimenti della guardia nazionale ucraina in un manipolo di
eroi. E allora cosa sta succedendo?
Gli organizzatori della manifestazione vanno oltre: dicono
che le loro pagine social e i post in cui parlano di Azov e
in sostegno dei soldati del reggimento sono stati
cancellati, sono letteralmente “spariti” dalla rete. E la
disperazione per non vedere alcuna plausibile soluzione che
possa portarli in salvo - al contrario dei civili per i
quali almeno un’ipotesi tramite i corridoi verdi è tuttora
in piedi - monta in rabbia.
I rapporti difficili tra il governo e il reggimento - figlio
del battaglione che ci conquistò pessima fama di crudeltà
nella guerra del Donbass, venendo formalmente accusato di
crimini contro l’umanità da diverse istituzioni
internazionali - sono ben noti. Nei precedenti governi Azov
aveva potuto contare su una forte spalla nel governo, e in
particolare nel ministero degli Interni. Ma i tempi sono
cambiati. Lo stesso presidente Zelensky, che nel 2019 aveva
conferito un onore militare al comandante del reggimento
Denys Prokopenko, si era visto negare il saluto militare in
un segno di spregio che non ha certo dimenticato; neppure
quando di fronte alla pressione popolare gli ha conferito,
il 19 marzo, il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con
l’Ordine della Croce d’Oro.
Un mese fa - mentre andavano avanti complesse trattative sui
massimi sistemi con i negoziatori russi fino
all’appuntamento decisivo di Istanbul, e intanto Mariupol si
sgretolava tra migliaia di civili morti - il vicecomandante
del reggimento Sviatoslav Palamar aveva rotto il silenzio
con un messaggio video fortemente polemico: “I politici
dicono costantemente che ‘li sosteniamo, siamo in costante
contatto con loro’, ma per più di due settimane nessuno
risponde al telefono e nessuno comunica con noi”.
C’era volta molta diplomazia per rientrare nei ranghi. La
protesta sollevava dubbi sulle reali intenzioni del governo
di Kiev sulla difesa a oltranza di Mariupol, praticamente
impossibile e molto costosa per il numero di vittime che
avrebbe comportato. Davvero, ci si domandava, il governo
pensava di fare qualcosa per smorzare il dramma che si stava
profilando nell’acciaieria? Un contrattacco, come chiedevano
i soldati asserragliati? Una trattativa efficace?
La difesa di Mariupol serviva a Kiev per
tenere occupati contingenti importanti di soldati russi che
si sarebbero riversati altrove, ma era anche un grosso
problema negoziale perché non poteva essere militarmente
difesa. E una tragedia di proporzioni epocali avrebbe reso
impossibile qualsiasi ipotesi di trattativa. Come avrebbe
potuto, il governo, accettare qualsiasi minimo compromesso
di fronte all’eccidio di una comunità e al sacrificio dei
“patrioti” del reggimento Azov e degli altri reduci
superstiti, come il 36esimo di marina?Il
giorno successivo la risposta non era venuta dal governo né
direttamente dal presidente Zelensky. Era arrivata dal
generale Valeriy Zaluzhnyi, il capo delle forze armate che
gode di grande fiducia tra i militari e di una notevole
autonomia rispetto alla politica: in una dichiarazione su
Facebook aveva sostenuto che "le comunicazioni con le unità
delle forze di difesa che eroicamente resistono nella città
sono mantenute stabili, facciamo il possibile e
l'impossibile per la vittoria e la protezione delle vite dei
militari e dei civili. Abbiate fede nelle forze armate
dell'Ucraina". Ora, però, la fede dei familiari è
decisamente svanita.
Mappa
della Confederazione POLACCA nel 1701, con i confini
identici a quelli del 1733.Come si vede dalla cartina, la
Polonia deteneva l'intera Ucraina a ovest del fiume Dnepr
ad eccezione dell'oblast di Kiev.
Zelensky: “Pace se Mosca torna su posizioni 23/2”
L’Ucraina sarebbe disposta ad accettare un
accordo di pacedi compromesso con
laRussia se
le forze di Mosca si ritirassero “sulle posizioni del 23
febbraio”. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky,
intervenendo in video alla Chatham House, think tank
britannico con sede a Londra, e lasciando intendere che
almeno per ora Kievnon
pretenderebbe la restituzione della Crimea, annessa
dai russi nel 2014. “Da parte nostra non tutti i ponti
diplomatici sono stati bruciati”, ha poi precisato, evitando
di avanzare richieste pure su quella parte del Donbass fraDonetsk e Lugansksottratta
a sua volta al controllo di Kiev dal 2014
Kiev: “Un elettricista traditore ha fatto entrare i russi ad
Azovstal”
In un video pubblicato in rete, il consigliere del ministero
degli Interni ucraino Anton
Gerashchenko ha affermato che i russi sono riusciti
a entrare nell’acciaieria Azovstal di Mariupol con l’aiuto
di unelettricista che
conosceva la pianta dello stabilimento. “Ha mostrato loro i tunnel
sotterraneiche portano alla fabbrica
– ha detto Gerashchenko – e i russi hanno iniziato a
prenderli d’assalto usando le informazioni che hanno
ricevuto dal traditore”.
Kiev, iniziata una controffensiva a Kharkiv e
Izium
L'Ucraina ha avviato
operazioni di controffensiva nelle aree di Kharkiv e Izium.Lo
ha comunicato il comandante delle forze armate di Kiev
Valery Zaluzhny in un aggiornamento sul terreno con il
generale Mark Milley, capo di stato maggiore americano,
secondo quanto riporta Ukrainska Pravda.Zaluzhny
ha anche spiegato che i russi stanno concentrando la loro
offensiva in direzione di Lugansk, e si segnalano aspri
combattimenti a Popasna, Kreminna e Torsky. Ed ha rilevato
che i russi hanno ripreso a usare missili da crociera per
colpire le rotte delle forniture militari agli ucraini.
Quindi, ha ribadito la necessità di nuove armi.
Procuratrice ucraina: “Centinaia di civili e oltre 500
soldati feriti dentro Azovstal”
“Durante gli ultimi giorni siamo stati in grado di evacuare
circa trecento
civilidall’acciaieria Azovstal.
Tuttavia ci sono ancora centinaia di civili e oltre cinquecento
soldati feriti intrappolati all’interno. A seguito
di un altro bombardamento dell’impianto, due donne civili
sono state uccise”. Lo ha detto la procuratrice generale
dell’Ucraina Iryna Venediktova, intervenendo da remoto alla
Conferenza dei procuratori generali del Consiglio d’Europa,
in corso oggi e domani a Palermo. “I russi aumentano i loro
sforzi per demolire l’impianto, che funge da rifugio per i
civili”, ha spiegato. “Ieri hanno fatto irruzione nei tunnel
sotterranei dove sono in corso pesanti combattimenti. Si può
solo immaginare l’entità delle atrocità nell’antica
Mariupol”.
Anche la fidanzata di Putin nella black list delle sanzioni
Ue
C’è anche Alina
Kabaeva,
39enne ex campionessa di ginnastica ritmica e fidanzata di
Vladimir Putin, tra i personaggi vicini al presidente russo
candidati ad entrare nella black list Ue che è parte
integrante del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia.
A quanto si è appreso da fonti europee, il nome di Kabaeva è
stato aggiunto, insieme a quelli di altri tre personaggi,
all’elenco proposto dal Servizio per l’azione esterna (Seae)
della Commissione Ue, arrivato così a comprendere 68
persone. Se il documento otterrà l’ok unanime dei 27 Stati
membri, per Kabaeva scatteranno il divieto di ingresso nei
Paesi membri dell’Unione e il congelamento dei beni da lei
detenuti negli stessi Paesi.
“Violenti combattimenti
nelle acciaierie Azovstal”
“Violenti combattimenti” sono
in corso nell’acciaieriaAzovstal di
Mariupol. Lo ha confermato alla tv ucraina il sindato di
Mariupol,Vadym
Boichenko, citato dal Guardian.
“I russi stanno
accerchiando Severodonetsk”
“A Popasna eRubizhne la
gente ha cibo e acqua per una settimana. Accedere alle
città è molto complicato. Impossibile portare aiuti
umanitari e evacuare le persone. I russi stanno
attaccandoVoevodivka il
villaggio nei pressi diSeverodentsk.
Cercano di accerchiare e prendere Severodonetsk”. Lo
riferisce su Telegram Serhii Haidai governatore regione
di Luhansk.
Mariupol: persi contatti
con soldati nelle Azovstal
Il sindaco di Mariupol, Vadym
Boichenko, ha riferito alla tv ucraina che sono
stati persi i contatti con i combattenti di
Kiev nell’acciaieria
Azvostal di Mariupol. Lo riporta il Guardian.
03-05-22,69° GIORNO DI GUERRA
Ucraina, il Papa: ‘Non andrò a Kiev, ma ho
chiesto incontro a Putin. La sua ira facilitata
dall’abbaiare della Nato alle porte della Russia’.
Papa Francesco non
si recherà aKiev,
come ipotizzato nel corso delle settimane scorse, ma ha già
chiesto a Vladimir
Putin di
poterlo incontrare aMosca.
È il Pontefice stesso a rivelarlo in un’intervista
rilasciata al direttore del Corriere
della Sera, Luciano
Fontana,
aggiungendo che l’azione diplomatica della Santa
Sede è
iniziata immediatamente dopo lo scoppio del conflitto: “Il
primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino
Zelensky al telefono – dice – Putin invece non l’ho
chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno
ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto
chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato
dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli
ho detto‘per
favore fermatevi’“.L’azione
militare di Mosca, però, è andata avanti senza sosta e così
il Papa ha deciso di provare a contattare direttamente il Cremlino.
“Ho chiesto al cardinale Parolin,
dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il
messaggio che io ero
disposto ad andare a Mosca –
aggiunge il Pontefice – Certo, era necessario che il leader
del Cremlino concedesse qualche finestrina.Non
abbiamo ancora avuto risposta e
stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa
e voglia fare questo incontro in questo momento”. Un
atteggiamento che, sostiene Bergoglio, dimostra la mancanza
di volontà del presidente russo di frenare l’avanzata dei
suoi uomini, almeno per ora. Un’avanzata che, aggiunge però,
può essere legata “all’abbaiare
della Nato alle
porte della Russia” che ha indotto il capo del Cremlino a
reagire male e a scatenare il conflitto: “Un’ira che non so
dire se sia stata provocata – aggiunge -, ma facilitata
forse sì”.
La verità, sostiene, è che quella ucraina è solo l’ultima
goccia di una scia di sangue che dall’inizio degli Anni
Duemila ha attraversato molte guerre, tutte alimentate da
interessi di Stato: “La Siria,
lo Yemen,
l’Iraq,
in Africa una
guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettinointeressi
internazionali – continua – Non si può pensare che
uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato
libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il
conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che
avevano reagito nelDonbass,
ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio”.
A Francesco viene anche chiesto un parere sull’invio
di armi all’Ucraina da parte dei Paesi occidentali,
ma su questo dice di non avere una posizione definita,
nonostante durante il suo pontificato si sia sempre
schierato contro la produzione massiva e il commercio
diffuso di mezzi d’armamento: “Non so rispondere, sono
troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire
gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno
provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati
servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si
fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto.Il
commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo
contrastano”. E ha colto l’occasione per ricordare le proteste
dei portuali di Genova contro le navi cariche di
armi passate per la città ligure: “Due o tre anni fa a
Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano
essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello
Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno
detto ‘pensiamo ai bambini dello Yemen’. È una cosa piccola,
ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così”.E
poi chiude: “A Kiev per ora non vado. Ho inviato il
cardinale Michael
Czerny,
(prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo
umano integrale) e il cardinale Konrad
Krajewski,
(elemosiniere del Papa) che si è recato lì per la quarta
volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare
a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un
prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se
Putin aprisse la porta…”. Ha avuto poi anche l’occasione di
parlare con il Patriarca della Chiesa Ortodossa russa Kirill che
in queste settimane si è contraddistinto per il suo appoggio
alla decisione diVladimir
Putin di
invadere l’Ucraina: “Ho parlato con lui 40 minuti. I primi
venti con una carta in mano mi ha letto tutte le
giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto ‘di
questo non capisco nulla.Fratello,
noi non siamo chierici di Stato,
non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma
quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di
Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il
fuoco delle armi’. Il
Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin.
Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere
un segnale ambiguo”. L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il
rapporto con Mario
Draghi è
buono, è molto buono. È una persona diretta e semplice. Ho
ammiratoGiorgio
Napolitano,
che è un grande, e ora ammiro moltissimo Sergio
Mattarella.
Rispetto tanto Emma
Bonino:
non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di
tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau”.
Guerra Russia- Ucraina, Kiev: “Individuato
l’artefice della strage di Bucha. È il comandante russo
Sergey Kolotsey”
L’Ucraina ha
identificato il militare russo che sarebbe l’artefice delmassacro
di civili a Bucha. Secondo quanto riferisce la
procuratrice generale ucraina, Iryna
Venediktova, dietro quei corpi massacrati,
torturati, giustiziati con le mani legate dietro la schiena
si nasconde la regia di Sergey
Kolotsey, comandante di un’unità della Guardia
nazionale russa. Oltre ad aver comandato la carneficina, una
delle più gravi finora registrate nel corso dell’intero
conflitto ucraino, Kolotsey, bielorusso di origine, è
accusato di avere personalmente ucciso
quattro uomini disarmati il 18 marzo e di avertorturato
un civile il 29.
Le vittime collegate al militare russo sono state trovate
con le mani legate dietro la schiena e un cappuccio in
testa, “sul corpo anche dei segni di tortura – ha spiegato
la procuratrice – Una delle sue vittime è stata anche
costretta a confessare attività
sovversive contro i russi dopo essere stata
picchiata selvaggiamente con un manico di fucile. Ha poifinto
di eseguire un’esecuzione puntandogli l’arma sulla
tempia per poi sparare un colpo vicino al suo orecchio”.
L’uomo, inoltre, si è reso protagonista anche delle razzie
di prodotti dalle case e dai magazzini cittadini,
poi inviati in Russia. Sui social sono circolate le sue foto
intento ad accaparrarsi diversi oggetti da uno stabilimento.
Procuratrice generale dell'Ucraina: identificato primo russo
sospettato massacro Bucha
Sergey Kolotsey, comandante di un'unità della Guardia
nazionale russa, è stato accusato di aver "ucciso quattro
uomini disarmati" a Bucha il 18 marzo che "sono stati
trovati mani legati dietro la schiena e segni di torture" e
di "aver torturato un altro civile il 29 marzo". Lo
riferisce il procuratore generale ucraino Iryna Venediktova.
"È stato anche stabilito che il militare russo -secondo
quanto riferisce l'ufficio del Procuratore generale su
Telegram - ha costretto un'altra vittima a confessare
attività sovversive contro l'esercito russo. Per fare
questo, ha picchiato l'uomo in particolare con il manico del
fucile. Fingendo un'esecuzione ha sparato vicino
all'orecchio di un civile disarmato. Sono in corso verifiche
per stabilire se è responsabile di altri crimini".
Karaganov, consigliere di Putin: “È una
guerra esistenziale con l’Occidente. Colpire obiettivi in
Europa? È possibile, se va avanti così”.
Ammette che il suo Paese
ha colpito per primo,
ma lo ha fatto “prima che la minaccia (ucraina, ndr)
diventasse ancora più letale”. Una “guerra
esistenziale”
che per l’autore della ‘dottrina
Putin‘
ha provocato – e tuttora provoca – non solo morti, ma la
perdita della “superiorità
morale”
dei russi: “Ora siamo sullo stesso terreno dell’Occidente.
L’Occidente ha scatenato diverse aggressioni. Ora siamo
sullo stesso terreno morale. Ora siamo uguali, stiamo
facendo più o meno come voi“.
Inutile far riferimento ai tentativi diplomatici che
avrebbero potuto far desistere la Russia dall’invadere il
paese confinante: “Dagli occidentali abbiamo avuto promesse
di tutti i tipi in questi trent’anni. Ma ci hanno mentito o
le hanno dimenticate”.L’unico
grande errore commesso
dalla Russia, nella visione di Karaganov, fuaccettare nel
1997 il ‘Founding
Treaty‘
sulle relazioni Russia-Nato, che prevedeva l’allargamento
dell’Alleanza Atlantica. “Firmammo perché eravamo disperatamentepoveri,
al collasso – afferma – ma questo allargamento è quello di
un’alleanza aggressiva. È un cancro e noi volevamo fermare
questa metastasi. Dobbiamo farlo, con un’operazione
chirurgica”.A
suo avviso, “le uccisioni di massa in Kosovo (contro i
serbi, ndr)
sono avvenuti dopo lo stupro della Serbia. Fu un’aggressione
indicibile. E il processo
a Milosevic è
stato un triste e
umiliantespettacolo dimeschinità
europea“.
Oltretutto, il dittatore serbo fu giudicato dal Tribunale
penale internazionale,
il cui diritto non è riconosciuto dalla Russia, come l’ordine
europeo emerso
dopo la caduta del muro di Berlino: “Non
dobbiamo riconoscere un
ordine costruito contro la Russia. Abbiamo cercato di
integrarci, ma era una Versailles 2.0. Dovevamo distruggere
quest’ordine. Non con la forza, ma attraverso una
distruzione costruttiva rifiutando di parteciparvi. Ma
quando la nostra ultima richiesta di fermare la Nato è stata
respinta, si è deciso di usare la forza”.Sull’obiettivo
della guerra in Ucraina, il capo del Consiglio di politica
estera e della difesa ha le idee chiare: “La maggior parte
delle istituzionisono,
secondo noi, unilaterali
e illegittime.
Minacciano la Russia e l’Europa orientale. Noi volevamo una
pace giusta, ma l’avidità e la stupidità degli americani e
la miopia degli europei ci hanno rivelato che questi attori
non la vogliono. Dobbiamo correggere
i loro errori“.
Ascoltando le sue parole, la possibilità che il conflitto
possa allargarsi e coinvolgere anche altri Paesi non è da
escludere del tutto, perché “se va avanti così, gli obiettivi
in Europa potrebbero essere colpiti o
lo saranno per interrompere le linee di comunicazione”.Un’ipotesi,
quest’ultima, che non considera i recenti fallimenti
dell’esercito russo,
come il ritiro delle truppe dalla capitale ucraina. “E se
l’operazione su Kiev avesse lo scopo di distrarre le forze
ucraine dal teatro principale a sud e sud-est? – domanda
retoricamente – Tra l’altro le truppe russe sono state molto
attente a non
colpire obiettivi civili,
abbiamo usato solo il 30-35% delle armi”. I massacri
avvenuti negli scorsi giorni e documentati dai media
internazionali non fanno testo, nella visione di Mosca: “La
storia di Bucha è
unamessinscena,
una provocazione”.Karagarov
ignora le prove. Ma ignora anche le risorse e le persone
perse in 44 giorni di guerra: i
russi sono “pronti
a sacrificare tutto ciò
per costruire un sistema
internazionale più vitale.
Vogliamo costruire un sistema internazionale più giusto e
sostenibile. Diverso da quello emerso dopo il crollo
dell’Unione Sovietica e che, a sua volta, ora sta crollando.
Ora ci stiamo tutti fondendo nel caos. Vorremmo costruire la
Fortezza Russia per difenderci da questo caos, anche se per
questo diventeremo più poveri”. Per evitare tutto ciò, per
ottenere un cessate il fuoco, “l’Ucraina deve diventare neutrale e
completamente demilitarizzata:
niente armi pesanti, qualsiasi parte dell’Ucraina rimanga.
Ciò dovrebbe essere garantito da potenze esterne, compresa
la Russia, e nessuna esercitazione militare dovrebbe aver
luogo nel paese se uno dei garanti è contrario. L’Ucraina
dovrebbe essere un cuscinetto
pacifico”.PerSergej
Karaganov,
ex consigliere di Putin,
quella in Ucraina è una guerra
contro l’Occidente.
Intervistato dal Corriere
della Sera,
il capo del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca
ha spiegato che il conflitto era
a suo avvisoinevitabile perché
l’Ucraina “è
stata riempita di armi e
le sue truppe sono state addestrate dalla Nato, il loro
esercito è diventato sempre più forte”. Inoltre, stando alle
sue parole, c’è stato “un rapido aumento delsentimento
neonazistain
quel Paese. L’Ucraina stava diventando come la Germania intorno
al1936-‘37“.
La versione di uno degli uomini più ascoltati da Putin è
quella che Mosca continua a propagandare dall’inizio del
conflitto, da un lato negando massacri e dall’altro
addossando alla Nato le
mosse che hanno portato all’invasione dell’Ucraina.
Mariupol, i
parenti dei soldati del battaglione Azov chiusi
nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"
“Basta chiacchiere, è ora di fare qualcosa per salvarli”. Le
mogli e le fidanzate, le madri e i fratelli dei soldati del
battaglione Azov chiusi nell’acciaieria dell’Azovstal a
Mariupol alzano la voce contro il governo Zelensky,
accusandolo di non fare abbastanza per risolvere l’assedio
che minaccia di ucciderli tutti. “Siamo disperate, forse il
nostro governo non vuole parlare di Azov e Mariupol… Stanno
cercando di tapparci la bocca e di chiudere l'argomento
Mariupol in modo che la gente non parli e si dimentichi
della guarnigione militare. Non ci supportano”, dice a
Repubblica la sorella di un soldato del battaglione Azov
chiuso nell’acciaieria.
Giovedì pomeriggio, per il secondo giorno consecutivo, un
gruppo di parenti e amici dei soldati del battaglione Azov
ha attraversato le vie del centro di Kiev diretto a piazza
Majdan, per protestare e chiedere di salvare i soldati
intrappolati nell’acciaieria. Ma se mercoledì la
manifestazione si era conclusa pacificamente a Majdan,
giovedì le cose sono andate molto peggio. I manifestanti si
sono trovati davanti la polizia che li ha dispersi,
“prendendo i documenti degli uomini” e fermando alcuni degli
organizzatori. La manifestazione non era stata autorizzata,
e gli organizzatori si sono difesi dicendo che alcuni non
erano stati avvertiti ed erano scesi in piazza comunque.
La motivazione ufficiale per la negata autorizzazione e la
successiva repressione è l’esistenza della legge marziale,
che rende automaticamente impossibile organizzare qualsiasi
protesta. Ma la mossa resta singolare, perché il battaglione
Azov in questo momento in Ucraina è al massimo della sua
popolarità: la strenua resistenza per la difesa di Mariupol
ha trasformato tutti i soldati del più discusso tra i
reggimenti della guardia nazionale ucraina in un manipolo di
eroi. E allora cosa sta succedendo?
Gli organizzatori della manifestazione vanno oltre: dicono
che le loro pagine social e i post in cui parlano di Azov e
in sostegno dei soldati del reggimento sono stati
cancellati, sono letteralmente “spariti” dalla rete. E la
disperazione per non vedere alcuna plausibile soluzione che
possa portarli in salvo - al contrario dei civili per i
quali almeno un’ipotesi tramite i corridoi verdi è tuttora
in piedi - monta in rabbia.
I rapporti difficili tra il governo e il reggimento - figlio
del battaglione che ci conquistò pessima fama di crudeltà
nella guerra del Donbass, venendo formalmente accusato di
crimini contro l’umanità da diverse istituzioni
internazionali - sono ben noti. Nei precedenti governi Azov
aveva potuto contare su una forte spalla nel governo, e in
particolare nel ministero degli Interni. Ma i tempi sono
cambiati. Lo stesso presidente Zelensky, che nel 2019 aveva
conferito un onore militare al comandante del reggimento
Denys Prokopenko, si era visto negare il saluto militare in
un segno di spregio che non ha certo dimenticato; neppure
quando di fronte alla pressione popolare gli ha conferito,
il 19 marzo, il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con
l’Ordine della Croce d’Oro.
Un mese fa - mentre andavano avanti complesse trattative sui
massimi sistemi con i negoziatori russi fino
all’appuntamento decisivo di Istanbul, e intanto Mariupol si
sgretolava tra migliaia di civili morti - il vicecomandante
del reggimento Sviatoslav Palamar aveva rotto il silenzio
con un messaggio video fortemente polemico: “I politici
dicono costantemente che ‘li sosteniamo, siamo in costante
contatto con loro’, ma per più di due settimane nessuno
risponde al telefono e nessuno comunica con noi”.
C’era volta molta diplomazia per rientrare nei ranghi. La
protesta sollevava dubbi sulle reali intenzioni del governo
di Kiev sulla difesa a oltranza di Mariupol, praticamente
impossibile e molto costosa per il numero di vittime che
avrebbe comportato. Davvero, ci si domandava, il governo
pensava di fare qualcosa per smorzare il dramma che si stava
profilando nell’acciaieria? Un contrattacco, come chiedevano
i soldati asserragliati? Una trattativa efficace?
La difesa di Mariupol serviva a Kiev per
tenere occupati contingenti importanti di soldati russi che
si sarebbero riversati altrove, ma era anche un grosso
problema negoziale perché non poteva essere militarmente
difesa. E una tragedia di proporzioni epocali avrebbe reso
impossibile qualsiasi ipotesi di trattativa. Come avrebbe
potuto, il governo, accettare qualsiasi minimo compromesso
di fronte all’eccidio di una comunità e al sacrificio dei
“patrioti” del reggimento Azov e degli altri reduci
superstiti, come il 36esimo di marina?Il
giorno successivo la risposta non era venuta dal governo né
direttamente dal presidente Zelensky. Era arrivata dal
generale Valeriy Zaluzhnyi, il capo delle forze armate che
gode di grande fiducia tra i militari e di una notevole
autonomia rispetto alla politica: in una dichiarazione su
Facebook aveva sostenuto che "le comunicazioni con le unità
delle forze di difesa che eroicamente resistono nella città
sono mantenute stabili, facciamo il possibile e
l'impossibile per la vittoria e la protezione delle vite dei
militari e dei civili. Abbiate fede nelle forze armate
dell'Ucraina". Ora, però, la fede dei familiari è
decisamente svanita.
Mappa
della Confederazione POLACCA nel 1701, con i confini
identici a quelli del 1733.Come si vede dalla cartina, la
Polonia deteneva l'intera Ucraina a ovest del fiume Dnepr
ad eccezione dell'oblast di Kiev.
Zelensky: “Pace se Mosca torna su posizioni 23/2”
L’Ucraina sarebbe disposta ad accettare un
accordo di pacedi compromesso con
laRussia se
le forze di Mosca si ritirassero “sulle posizioni del 23
febbraio”. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky,
intervenendo in video alla Chatham House, think tank
britannico con sede a Londra, e lasciando intendere che
almeno per ora Kievnon
pretenderebbe la restituzione della Crimea, annessa
dai russi nel 2014. “Da parte nostra non tutti i ponti
diplomatici sono stati bruciati”, ha poi precisato, evitando
di avanzare richieste pure su quella parte del Donbass fraDonetsk e Lugansksottratta
a sua volta al controllo di Kiev dal 2014
Triangolazioni attraverso il Kazakistan per far arrivare
prodotti di lusso in Russia,
nonostante le sanzioni occidentali. La voce gira da
settimane negli ambienti della moda e da lì, attraverso
segnalazioni anonime è arrivata fino all’attenzione del Copasir cui
spetterà l’indagine e la verifica. Che la cosa avvenga lo
conferma a ilfattoquotidiano.it una
fonte che chiede di rimanere anonima. In sostanza, anziché
spedire direttamente a un importatore diMosca,
la via per aggirare le norme approvate dall’Unione europea
dopo l’invasione dell’Ucraina prevede
il coinvolgimento di un soggetto con partita Iva del Paese
ex sovietico che proprio con la Russia confina. Da lì la
merce potrà arrivare in unaboutique di
Mosca o San Pietroburgo per soddisfare i desideri delle
classi dirigenti e alta borghesia russe, proprio quelle che
le sanzioni sul lusso vorrebbero colpire. Del resto chi oggi
fa partire una spedizione per ilKazakistan non
ha più incombenze del solito, oltre alla compilazione di un
modulo da consegnare al trasportatore in cui in sostanza
dichiara che “la merce è autorizzata per esportazione,
transito e importazione in accordo con le regole Ue”, dunque
non è sotto sanzioni, e che “destinazione e utilizzo finale
sono in Kazakistan”.
“Annessione e
Stati amici”, il piano del Cremlino per smembrare l’Ucraina
A maggio i referendum per unire Donetsk e Lugansk a Mosca.
Verrebbe inglobata anche Mariupol. Consultazione per
l’indipendenza nella città occupata di Kherson. Nel mirino
pure la Transnistria
“I russi hanno chiuso un’area di Mariupol per assaltare
Azovstal”
Le forze russe hanno chiuso un’area
di Mariupol in vista di un altro possibile tentativo di
prendere d’assalto l’acciaieriaAzovstal,
il complesso in cui è asserragliata la resistenza ucraina.
Lo ha riferito Petro Andrushchenko, consigliere del sindaco
della città. “Per ora, gli occupanti hanno chiuso nuovamente
la piazza del distretto della Rive Gauche dal Parco Veselka,
a nord dell’acciaieria. Ciò potrebbe essere dovuto a un
altro tentativo di prendere d’assalto Azovstal oppure a
scontri di strada”.
Dalla Libia
all'Ucraina, Putin invia altri 200 mercenari della Wagner
contro Kiev.
Dopo avere lasciato la nazione africana sono
stati riassegnati al fronte ucraino per rinforzare le forze
russe in difficoltà. E altri 1.000 militari siriani,
schierati dal Cremlino in appoggio ai mercenari in terra
libica, sarebbero pronti a unirsi a loro.
Mariupol ancora sotto attacco
anche dopo lo stop ordinato da Putin: un tank russo continua
a sparare sotto i bombardamenti
A Mariupol continuano i bombardamenti nonostante l'ordine
di accerchiare ma non assaltare l'impianto siderurgico
emanato in diretta tv dal presidente Vladimir Putin. Il
consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andryushchenko,
ha denunciato in un video l'uso delle forze da parte dei
militari di Mosca. Il filmato pubblicato sul profilo
Telegram del Center for Strategic Communications and
Information Security mostra un tank russo contrassegnato
con una "V". "Tali mezzi sono apparsi in città solo dopo l
'"ordine" di Putin di fermare l'assalto ad Azovstal", ha
dichiarato Andryushchenko. Le immagini satellitari
scattate mercoledì 27 aprile da Planet Labs PBC e
analizzate dall'Associated Press mostrano che gli attacchi
russi si sono intensificati nell'acciaieria Azovstal di
Mariupol. Dalle foto si vede che attacchi concentrati
hanno gravemente danneggiato una struttura centrale. Si
stima che circa 1.000 civili siano nell'acciaieria insieme
a circa 2.000 combattenti ucraini.
In un videomessaggio il comandante della 36esima
brigata delle forze navali ucraine spiega
che la situazione nello stabilimento
Azovstal è
“molto
difficile“.
“Nel nostro gruppo ci sono più di 600
soldati feriti con diversi livelli di gravità –
– afferma Volynsky – Hanno un estremo bisogno di assistenza
medica”. “Abbiamo anche dei civili qui con noi, ce ne sono
centinaia,decine
di bambini, molte persone con disabilità, anziani.
I civili muoiono qui insieme a noi nel bunker”.
Ucraina, l’ordine è: difendere la democrazia con le armi,
censurando le opinioni (anche il Papa).
Se nel 1968 la
rivoluzione giovanile sognava “la fantasia al potere”, nel
2022, a guerra d’Ucraina in corso, tra civili ammazzati a
gogò, regnail
cinismo dei governi e
della stampa asservita che fingono di difendere l’Ucraina,
mentre usano la ‘scusa’ della guerra per uccidere i principi
e i valori ‘liberali’ tanto strombazzati, ma che per
‘lorsignori’ sono inutili orpelli. È
la democrazia ologramma.Costoro
mischiano i loro interessi con quelli di Putin, mentre fanno
finta di difendere l’Ucraina, inviando armi obsolete delle
“pulizie di Pasqua” dei loro magazzini che devono essere
aggiornati. Lo dimostra l’aumento del 2% del Pil in
armamenti di “ogni singolo Paese”, alla faccia della
maschera dell’Europa unita.
Le armi sono come il maiale: non si butta via nulla. Se
non servono, si spediscono alle Ucraine di turno, facendosi
anche “difensori di civiltà”, come il bue (Biden) che dà del
cornuto all’asino (Putin). Granitici custodi dei “valori
occidentali”, ma guai a compromettersi con la nobile scusa
di “scatenare la guerra nucleare” (traduzione: purché
lontana da noi).
È bastato che il papa,
in tempo reale, dicesse di vergognarsi di quei Paesi che
hanno deciso l’aumento del 2% del Pil, definendoli “pazzi”,
ed ecco scattare la regola dei riflessi condizionati alla
Pavlov: censura
immediata del papa da parte di tutti gli atei devotiche
vorrebbero un papa sacrestano, e silente, pronti ad
accusarlo dopo perché non ha aperto bocca. Il Tg1 (!) e
tutto il cucuzzaro televisivo e stampato, arruolato al grido
di Deus
‘el volt, lo accusano accusarlo pubblicamente didisfattismo con
la mannaia della ‘libera’ (sic!) stampa: il
papa non è dei nostri. È sufficiente che un
analista di professione, il Prof.Alessandro
Orsini, che, oltre ad insegnare da cattedra, va
bene quando scrive sulle riviste specializzate (riservate
agli addetti competenti!), ma è terribile se parla al grande
pubblico e dice che inviare armi alla Ucraina è prolungare
la guerra e il martirio: così egli offre sponda
all’aggressore, con cui, finisca come finisca, bisogna pour
trattare. La democrazia è servita, anche con le mèches.Gli
armaioli sono democratici finché
la democrazia non ostacola il florido mercato delle armi,
diversamente la democrazia è sbagliata e bisogna
‘riconvertirla’ ai sacri interessi dell’occidente che, pur
avendo fatto cose peggiori di Putin, è buono, a prescindere.
LaNato è
un santuario di devoti che organizza pellegrinaggi ai
confini di Stati da soggiogare, fa esercitazioni per
intimorire la Russia e colleziona Paesi, allargandosi quasi
del doppio, anche dopo avere esaurito il proprio compito,
essendo scomparso il comunismo sovietico.Motivo? Il
suo vero obiettivo è sempre stato quello di ‘smembrare’ la
Russia e riportarla al sec. XVI, quando esistevano tante
Russie e tante tribù.È
la pax americana,
di cui l’inesistente Europa è il chierichetto turiferario e
porta candelieri. Portatori sani di immensa menzogna. Nella
liturgia cattolica, quella candela che il chierichetto porta
dietro al celebrante, residuo di un tempo senza elettricità,
ironia della sorte, si chiama bugia.
La liturgia dell’occidente è figlia di una bugia che, a sua
volta, è madre prolifica di bugie ammantate di ideali
inesistenti.
Gandhi liberò l’India dal dominio dell’Impero britannico,
mezzo nudo, offrendo sé e il suo popolo al massacro, sì,
sfidando i carri armati e i soldati armati fino ai denti di
S.M. Britannica a petto nudo. Vinse
lui non le armi. Tutta la Commissione e tutto il
Parlamento Europeo e tutti i Parlamentari d’Europa che,
stando in piedi, inneggiavano Zelensky, avrebbero dovuto
andare in Ucraina con i loro corpi e con tutto il Popolo
ucraino e i pellegrini di tutto il mondo scendere per le
strade ucraine e sfidare Putin a sparare sulle folle e sui
simboli dell’Europa, mai nata, e restare lì a fare
resistenza attiva e disarmata fino almare
di Azov, coperto da un mare umano, respingendo
armati e carri armati oltre i confini dell’Ucraina: Putin e
la sua ferraglia sarebbero stati sconfitti.
L’aumento del 2% di Pil era stato previsto nel 2014, ma
ora l’occasione ucraina è una manna del cielo per
realizzarla senza batter ciglio. Ah, la memoria! Infatti, su
proposta della Lega (fonte: Mil.Ex, Osservatorio),
sottoscritta da PD, FI, IV, M5S, il Parlamento ha presentato
un odg che impegna il governo all’aumento (16-03-2022).
Presenti 421: sì 391; no 19. Ora
prepariamoci ai tagli sulla spesa sociale, sulla
scuola, sulla sanità, sugli aiuti ai non abbienti, sugli
aiuti all’estero, perché sono sempre i poveri che pagano la
guerra e la pace a beneficio degli armaioli che scelgono la
guerra e i loro profitti. Al tepore del gas russo-americano,
godiamoci il salotto buono nelle comode pantofole.
Ipocriti, almeno taceste!
21 aprile, 57° giorno di
guerra:
Il presidente russo ha fermato improvvisamente l'offensiva
finale sull'impianto nella città costiera ormai quasi
totalmente conquistata. Al suo interno rimangono 2.500 tra
membri del battaglione Azov, della 36esima brigata e
volontari stranieri, ma anche centinaia di civili che non
hanno abbandonato la struttura nel corso delle ultime
evacuazioni programmate: resta da capire se volontariamente
o no.
“Bloccate l’acciaieria Azovstal in
modo chenon
possa passare una mosca“.
Con una sola frase rivolta al suo ministro della Difesa,
Sergej Shoigu, Vladimir
Putin ha
probabilmente sintetizzato quella che al momento è la
strategia che ha in mente perespugnare
l’ultimo avamposto delle
forze ucraine nellaMariupol già
“liberata” dai militari russi, al termine di un assedio che
va avanti ormai da settimane. Nessuno spreco di forze o di
vite nelle proprie truppe, ma soprattutto nessunmassacro
di civili:
gli 11 chilometri quadrati dell’impianto verranno sigillati,
nel tentativo di stanare
gli avversari provati
da giorni di combattimenti, dalla fame e dalla sete. Ma
anche per convincere le centinaia di civili che si calcola
siano presenti all’interno a lasciare la struttura, o
quantomeno a ribellarsi alle forze ucraine nel caso in cui
vengano usati comescudi
umani,
così da poter sferrare l’attacco finale ai circa 2.500
tra membri del battaglione
Azov, membri della 36esima
brigatae volontari
stranieri senza
rischiare un massacro tra la popolazione locale.
Guerra Russia-Ucraina, Kiev: “Il leader
ceceno Kadyrov aveva ricevuto un piano per uccidere
Zelensky”.
Il leader ceceno Ramzan
Kadyrov ha
ricevuto un piano perassassinare il
presidente ucraino Zelensky il
3 febbraio durante un incontro con il presidente russo
Vladimir Putin. Lo ha detto il segretario del Consiglio
nazionale di Sicurezza e difesa ucrainoOleksiy
Danilov,
parlando ad una radio ucraina, secondo quanto riporta
l’agenzia Ukrinform.
Secondo Danilov, il piano per eliminare il presidente
ucraino era stato concordato in quella riunione e Kadyrov si
era impegnato perché la propria unità cecena completasse la
missione. L’intelligence di Kiev sta verificando. “Abbiamo
monitorato tutti e tre i gruppi. Uno di loro è stato
eliminato dai nostri militari. Due in seguito hanno lasciato
il nostro paese. Uno ora si trova nella regione di Donetsk,
l’altro nella città di Mariupol, ma non sono in prima
linea”, ha precisato Danilov.
La Russia all’assalto dell’oro del Sudan e
così con le ricchezze dell’Africa finanzia la guerra in
Ucraina
L’attenzione della Russia alla conquista dell’Africa non
poteva mica scordarsi di passare attraverso il Sudan, un
Paese ricco e ancora largamente inesplorato. Le materie
prime presenti nell’ex possedimento anglo egiziano sono
notevoli ma qualcosa di facilmente sfruttabile e
immediatamente fruibile deve aver attratto le attenzioni del
Cremlino: l’oro.
Il nuovo legame tra Russia e Sudan si è manifestato
chiaramente con l’astensione di Khartoum nel voto di
condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. La mozione
approvata da 141 Paesi ha avuto 5 voi contrari (tra cui
quello dell’ineffabile Eritrea) e 35 astensioni, appunto.
Un’astensione prevedibile dopo la recente
visita a Mosca di una delegazione sudanese, capeggiata
dal vicepresidente del Sudan, il tagliagole Mohamed Hamdan
Dagalo, meglio conosciuto come Hemetti, in passato uno dei
capi dei janjaweed, i tristemente noti diavoli a cavallo
(come li chiamava la popolazione) che bruciavano i villaggi,
stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i
bambini per renderli schiavi
Dagalo, che è anche a capo delle Rapid
Support Forces (RSF), il
nuovo nome con cui di sono riciclati i janjaweed, ha
incontrato anche il viceministro della Difesa russo,
Alexander Fomin il 26 febbraio scorso, due giorni dopo
l’inizio della guerra in Ucraina. Durante i colloqui le due
parti hanno concordato di incrementare la cooperazione
militare. Finora non è trapelato nulla sull’accordo della
costruzione della base navale russa a Port Sudan. Il governo
di transizione ha comunque preso l’impegno di riesaminare la
questione quanto prima.
Il vicepresidente sudanese ha
avuto anche colloqui con il vice-primo ministro Alexander
Novak. Le parti sono interessate a sviluppare la
cooperazione in diversi settori, tra questi quello minerario
e petrolifero, nonché nella costruzione di infrastrutture
elettriche e l’uso pacifico dell’energia nucleare.
Ovviamente non poteva mancare un faccia a
faccia con il potente
ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Viktorovič Lavrov,
che, secondo un comunicato rilasciato dal governo di
transizione di Khartoum, ha detto che la Russia segue da
vicino gli sviluppi in Sudan, e ha aggiunto di essere
convinto che i sudanesi sapranno risolvere i loro attuali
problemi, sottolineando “nessuna interferenza da parte di
Mosca”.
Cameron Hudson, un ex alto funzionario del
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed esperto del Sudan
presso l’Atlantic
Council’s Africa Center, ritiene che la giunta di
transizione spera chiaramente di ottenere, grazie alla la
visita di Hemetti, il sostegno finanziario della Russia per
sollevare l’economia deficitaria del Paese; potrebbe servire
come una minaccia per l’Occidente, a meno che non riprenda i
prestiti e trattenga le sanzioni, i militari al potere non
esiteranno certamente di calarsi totalmente nell’orbita
russa.
Come se non lo fosse già. Da
anni sono presenti i mercenari russi del gruppo Wagner nel
Paese, molto attivi già ai tempi dell’ex dittatore Omar al
Bashir. Gerrit Kurtz, ricercatore delGerman
Institute for International and Security Affairs, ha
rivelato a al-Monitor,
giornale on line, fondato dall’imprenditore arabo-americano
Jamal Daniel, con base a Washinton DC, USA, che, in
particolare Hemetti e le RSF hanno già beneficiato in
passato dell’appoggio di Mosca, compresi contratti
sull’estrazione mineraria, supporto nell’ambito delle
comunicazioni e della sicurezza.
Non va dimenticato che il Sudan è ricco in
giacimenti auriferi, eppure è una delle nazioni più povere
al mondo. Per la maggior parte l’oro viene estratto in
miniere a conduzione artigianale che mette in grave pericolo
i minatori. Basti pensare che a dicembre sono morte oltre 30
persone nel West-Kordofan, in Darfur, in un giacimento che
ufficialmente risultava chiuso.
Ma le autorità di Khartoum, in
particolare il ministero delle Miniere, non si preoccupano
più di tanto a far rispettare le leggi, come per esempio
quella che vieta ai minatori artigianali di scavare oltre
una certa profondità. Sta di fatto oltre l’80 per cento
dell’oro estratto nel Paese proviene da questi siti
informali, strettamente controllati dai militari e dove
lavorano oltre 2 milioni di persone per un misero tozzo di
pane.
Il numero due delle autorità di transizione ha
interessi sostanziali nel settore. La sua azienda di
famiglia, Al Gunade, è nell’estrazione e nel commercio
dell’oro. Secondo documenti visti dalla ONG Global Witness,
il Sudan esporta ogni anno 16 miliardi di dollari d’oro
negli Emirati Arabi.
Anche i russi hanno ottenuto molte licenze,
sembra che in un solo giorno l’ex dittatore Al Bashir ne
abbia rilasciate 50, senza effettuare i dovuti controlli
sulle compagnie russe, alcune delle quali senza esperienza
nel settore.
E, secondo un’inchiesta di The
Telegraph, la Russia
avrebbe contrabbandato centinaia di tonnellate di oro dal
Sudan negli ultimi anni.
Dal 2010 il Cremlino ha più che quadruplicato la
quantità di oro detenuto nella Banca centrale, creando così
un “forziere di guerra” attraverso un mix di importazioni
dall’estero e vaste riserve d’oro interne come terzo
produttore mondiale del prezioso metallo.
Sempre in base a The
Telehraph, anche se le
statistiche ufficiali non evidenziano esportazioni
importanti di oro verso la Russia, un dirigente, che ha
voluto mantenere l’anonimato, di una delle più grandi
compagnie aurifere sudanesi ha detto al quotidiano inglese
che il Cremlino è il più grande attore straniero nell’enorme
settore minerario del Paese.
20
Aprile 2022, inizia la SECONDA OFFENSIVA RUSSA in Ucraina,
il 2 Aprile si era conclusa la PRIMA OFFENSIVA RUSSA
incentrata su Kiev e risoltasi in un disastro.
Francia, Macron rieletto col 58% di voti. Le
Pen al 41: estrema destra mai così forte dal 1958. Mélenchon:
“Un oceano di astensionismo”.Una
vittoria annuncia, ma mai
così faticosa e
in una Franciamai
così spaccata. Emmanuel
Macron è
stato rieletto presidente in Francia con
il58,54% dei
consensi: è il terzo dopo Mitterrand e Chirac a ottenere un
secondo mandato e a restare all’Eliseo. Ha vinto in un
momento storico di grande instabilità, nonostante le grandi
divisioni che non è riuscito a sanare nel Paese e sotto gli
occhi di una dirigenza europea terrorizzata dall’ipotesi di
una sconfitta. A non farcela invece, è stataMarine
Le Pen.
Ha perso, proprio come cinque anni fa, ma questa volta si è
presentata sorridente davanti ai suoi: l’estrema destra ha
ottenuto il 41,46%
dei consensi, 13
milioni di voti e
un risultato che nella Quinta
repubblica,
ovvero dal 1958, mai era stato così alto. “Per noi è
un’eclatante vittoria”, ha proclamato. E nessuno può davvero
smentirla. Macron,
poco dopo, davanti ai sostenitori riuniti sotto la
Torre Eiffelha annunciato l’inizio di
una nuova
era, ma prima di tutto ha dovuto riconoscere quella
parte di Paese che non l’ha voluto: “Dovrò rispondere alla
rabbia”, ha detto.Al
di là delle promesse, ora per i partiti francesi il pensiero
è già alle elezioni legislative dei prossimi 12-19 giugno:
perché con un Paese così spezzettato, è possibile pensare
alla coabitazione, ovvero a una maggioranza in Parlamento
che non sia di diretta emanazione del presidente della
Repubblica. L’obiettivo fa gola a tanti. Intanto al Rassemblement
National di Le Pen,
che sogna la rivincita. Ma non è la sola forza ad ambire al
colpo. E lo ha detto chiaramente, non appena chiuse le urne,
proprio Jean-Luc
Mélenchon:
il leader della sinistra radicale può dare il via alla sua
di campagna elettorale dopo il risultato sorprendente al
primo turno. “Macron è stato mal rieletto in un
oceano di astensione“,
ha dichiarato. “Ora eleggetemi primo ministro, il
terzo turno comincia stasera“.
Ballottaggi, per il
centrodestra una débâcle ma
chi perde di più è Meloni
Fratelli d’Italia, dopo due
anni di ascesa ininterrotta,
subisce il primo importante
stop. Il verdetto conferma la
difficoltà del centrodestra e
in particolare delle sue
formazioni maggiori, Lega e
Fdi, di trovare candidati
credibili a Roma come a Milano
e in generale in tutte le
grandi città.
Questa tornata amministrativa
è una sconfitta gravissima per
il centrodestra. Ma a pagare
il prezzo più alto è Giorgia
Meloni, che, dopo due anni di
ascesa ininterrotta, subisce
il primo importante stop. La
sconfitta di Enrico Michetti a
Roma grava infatti soprattutto
sulle sue spalle perché è la
leader di Fdi ad aver
sponsorizzato e fortemente
voluto l’avvocato noto per le
sue partecipazioni a una radio
della Capitale. Un arresto che
pesa e che meriterebbe
un’attenta riflessione. Gli
attacchi delle ultime
settimane sulla vicinanza alla
destra estrema non sono
infatti sufficienti a spiegare
le ragioni dell’esito
elettorale.
Lega e Fdi hanno
consapevolmente rinunciato a
candidature forti a Roma e
Milano
Un verdetto che conferma la
difficoltà del centrodestra e
in particolare delle sue
formazioni maggiori, Lega e
Fdi, di trovare candidati
credibili a Roma come a Milano
e in generale in tutte le
grandi città. La sconfitta di
Michetti brucia tanto quanto
quella di due settimane fa nel
capoluogo lombardo. Sono
infatti due facce della stessa
medaglia. La estrema
competizione tra Meloni e
Salvini ha paradossalmente
convinto entrambi che
l'obiettivo fosse anzitutto
evitare che qualcuno potesse
beneficiare del risultato
elettorale. Si è preferito
così rinunciare a candidature
forti (almeno secondo quanto
rilevato da tutti i sondaggi)
come Albertini a Milano e
Bertolaso a Roma che non
sarebbero stati riconducibili
all’uno o all’altra leader. È
vero che entrambi hanno
declinato l’invito, ma questo
è avvenuto dopo aver preso
atto che sulla loro possibile
investitura c’era tutt’altro
che un sostegno unanime.
Statuto M5s, per
l’associazione Rousseau
Vito Crimi non è più
leader. Grillo
smentisce: “Fino alla
nomina del comitato
resti capo politico”.
Mentre in Senato si vota
la fiducia a Draghi,
nel Movimento
5 stelle si
apre lo scontro anche
sulla leadership
interna. A metà giornata
infatti, l’associazione
Rousseau,
ufficializzando il
risultato del voto che
ha abolito il ruolo di
capo politico in favore
di un comitato a 5, ha
anche annunciato che “da
oggi termina la reggenza
di Vito
Crimi“.
Un annuncio però che
l’associazione,
presieduta da Davide
Casaleggio,
non era titolata a fare.
Tanto che in serata è
arrivata la replica di Beppe
Grillo che
ha confermato il ruolo
del capo politico fino
all’elezione dei cinque
membri.“Caro Vito”, ha
scritto Grillo nel
messaggio poi pubblicato
da Crimi su Facebook,
“non ritengo di
condividere l’assunto
secondo il quale con la
modifica odierna dello
Statuto, cessando
l’organo “capo
politico”, cesserebbe
anche la tua reggenza. A
mio avviso, invero, la
tua reggenza da capo
politico resta in vigore,
a prescindere dalle
modifiche statutarie,
fino a quando non
saranno nominati i 5
componenti del nuovo
Comitato direttivo,
essendo del resto
impensabile che il
MoVimento resti privo di
rappresentanza per tutto
il tempo occorrente per
portare a termine la
procedura di nomina
(raccolta delle
candidature, voto e
proclamazione)”. E
ancora: “Comunque la tua
reggenza da capo
politico, fino a quando
non saranno nominati i 5
componenti del nuovo
Comitato direttivo, è
avallata anche dall’art.
7, lett. d), dello
Statuto, dove prevede
che “Qualora la carica
di un membro del
comitato direttivo si
renda vacante, il membro
più anziano del Comitato
di Garanzia, ne assume
temporaneamente le
veci”. A maggior ragione
in questo caso
specifico, in cui tutti
i membri del Comitato
direttivo devono ancora
essere nominati”.
In sostegno di Crimi,
nel corso della
giornata, sono
intervenuto vari
parlamentari. “Vito
Crimi resterà in carica
fino all’elezione del
comitato direttivo. Dispiace
essere costretti a
specificare una ovvietà
del genere“, ha
detto Francesco
Silvestri,
deputato e tesoriere del
gruppo alla Camera.
“Dispiace anche perché
siamo costretti a
disinnescare l’ultimo
tentativo di
delegittimazione nei
confronti di chi ha
preso sulle spalle il
peso del Movimento in un
momento difficilissimo,
garantendo un grande
impegno e una assoluta
lealtà. A Vito Crimi il
mio sostegno e anche il
mio ringraziamento per
tutto quello che ha
fatto”. Tra le prime a
chiedere il cambio al
più presto era stata Barbara
Lezzi:
“Dobbiamo tutti
ringraziare Vito Crimi
per il lavoro svolto” ma
adesso “non può più
decidere nulla in nome e
per conto del M5S”.
Dopo ore di silenzio, in
serata è arrivata la
nettissima replica di
Crimi. “La mia funzione
di reggenza, al
contrario di quanto è
stato erroneamente
affermato, non è
conclusa e, interpellato
in tal senso il Garante
Beppe Grillo, proseguirà
fino a quando non
saranno eletti i 5
membri del nuovo
Comitato”, precisa il
capo politico attaccando
frontalmente Rousseau: “Non
è stato convocato alcun
conclave degli iscritti,
la vita politica del M5S
è coordinata dai suoi
organi”.
Coronavirus mondo, seconda
ondata in Cina: 108 nuovi
casi. Parziale riapertura
della Spagna 13-04-20
1.850.527, secondo i dati diffusi dalla Johns Hopkins University.
Ci sono stati 114.245 decessi a livello globale. I morti negli Usa
hanno superato i 22 mila.
Di queste,
19.899 sono
decedute (+431, +2,2%)
e 34.211 sono guarite (+1.677,
+5,2%).
Attualmente i soggetti
positivi sono 102.253, +1.984
rispetto a ieri (+ 2%) e
il conto sale a 156.363
aggiungendo ai casi
attualmente attivi anche morti
e guariti.
in
Italia nelle ultime 24 ore, per un totale che arriva a18.849
morti e
147.577 casi registrati di coronavirus dall’inizio
della pandemia nel nostro Paese. I dati comunicati nel corso della
conferenza stampa della Protezione Civile sonoleggermente
miglioririspetto
a quelli di giovedì,
quando l’incremento era stato di 610
morti e
oltre4200 nuovi
casi. A testimoniarlo è anche l’andamento dellacurva
di crescita del
contagio che, dopo essere tornata sopra il 3% giovedì, oggi è al2,75%.Un
ulteriore dimostrazione che il trend è stabile e
non è ancora iniziata ladiscesa
netta del
contagio.xs
Gli Stati Uniti (884 morti in
24 ore: si tratta di un
record) sono il paese più
colpito con un bilancio
complessivo di 215.417 e oltre
5mila morti. Seguono l'Italia
e la Spagna, ora al terzo
posto per numero di decessi.
Spagna, 10mila morti, 950 in
24 ore
La Spagna registra un nuovo
drammatico aumento nei decessi
per il coronavirus: 950 morti
in sole 24 ore che portano il
totale delle vittime a 10.003.
In crescita anche i contagi da
Covid-19, 8.102 nuovi casi
nelle ultime ore per un totale
di 110.238, secondo le
autorità sanitarie spagnole.
«Quello che ora
sappiamo con sicurezza è che
ormai i numeri della Lombardia
non significano più nulla. La
situazione è fuori controllo,
in senso etimologico». Enrico
Bucci, professore di Biologia
dei sistemi alla Temple
University di Philadelphia, da
giorni studia i numeri di
contagiati, guariti, deceduti
in Italia, per interpretare
l’andamento dell’epidemia che
sta sconvolgendo il paese.
Coronavirus dalla Cina, cresce a 106
il numero dei morti
28 gennaio 2020.
Pechino chiede di rinviare i viaggi
all'estero. Evacuati giapponesi,
cominciano i cittadini britannici.
Cinque casi sospetti a New York. In
Italia in corso accertamenti su
pazienti a Pistoia e a Napoli. Le
autorità sanitarie cinesi: "Si
trasmette principalmente per via aerea
ma anche tramite il contatto"
Nei Paesi europei questi prodotti usa e getta devono essere
raccolti nell’indifferenziato. Non in Italia, dove vanno
conferiti nell’umido. Ma il 63% dell’umido finisce in impianti
anaerobici che, per una serie di ragioni, difficilmente riescono
a degradare la plastica compostabile, mentre il resto viene
portato in siti di compostaggio dove non è detto che queste
plastiche restino il tempo necessario a degradarsi. Così, molti
di questi rifiuti finiscono in inceneritori o discariche.
Greenpeace: "Siamo di fronte a un greenwashing di Stato, che si
trasforma in una presa in giro nei confronti della collettività"
Negli ultimi anni gli scaffali dei
supermercati si sono riempiti di prodotti in ‘plasticacompostabile’
le cui etichette lasciano credere ai consumatori di
acquistare un materiale ‘a impatto zero’, che si decompone come
la buccia di una mela.Non
è affatto così,
tanto che nella maggior parte dei Paesi
europei questi
prodotti usa e getta devono essere raccolti nell’indifferenziato.
Non in Italia, dove vanno conferiti nell’umido.
Peccato che il 63% dell’umido finisce in impianti
anaerobici che,
per una serie di ragioni, difficilmente riescono a degradare la
plastica compostabile, mentre il resto viene portato in siti dicompostaggio dove
non è detto che queste plastiche restino il tempo necessario adegradarsi.
Così, molti di questi rifiuti finiscono in inceneritori odiscariche.
Nell’ambito della campagna ‘Carrelli
di plastica’, ilfattoquotidiano.it pubblica
in anteprima i risultati dell’inchiesta condotta dall’Unità
Investigativa diGreenpeaceItalia.
Tutti gli impianti contattati dall’associazione, ma anche
laboratori ed esperti del settore, segnalano problematiche con
i prodotti
monouso in
plastica compostabile realizzati – almeno parzialmente –
modificando chimicamentepolimeri
naturali derivanti,
ad esempio, da canna da zucchero o mais. E alcuni imprenditori
del settore raccontano: “Ci hannominacciato,
dicendo che ci avrebbero fatto causa se continuavamo a
raccontare questa verità”.
“Siamo di fronte a un greenwashing di
Stato, che si trasforma in una truffa nei confronti della
collettività” spiegaGiuseppeUngherese,
responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace. Secondo UgoBardi,
professore di chimica-fisica all’Università di Firenze e
delegato della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile
“la plastica compostabile è stata venduta al pubblico come sostituto
green della
plastica e invece non è così. Non dovremmo usarla. Basterebbe,
invece che fare di testa nostra, rispettare lanormativaUe”.
Nella direttiva sul monouso (Sup)
le plastiche compostabili sono equiparate a quelle fossili,
mentre le deroghe inserite nel recepimento italiano, spiega
Bardi “sono abbastanza discutibili e collocano il nostro Paese
in una posizione
isolata nel
contesto europeo”, su una strada che “ci porta dritta allaprocedura
d’infrazione”.
Dall’inchiesta emerge che lo smaltimento a fine vita di questi
materiali può compromettere quello dei rifiutiorganici,
nel quale l’Italia rappresenta invece un’eccellenza.
Quando un oggetto di plastica compostabile viene gettato
nell’umido, infatti, finisce in una delle tipologie di
impianti dedicati altrattamento
dell’organico:
di compostaggio, di digestione
anaerobica o
quelli dove le due fasi sono integrate. Stando ai dati delCatasto rifiuti
diIspra,
in Italia ci sono 293 impianti di compostaggio, ma il 63% della
frazione umida viene trattata nei 66 dove il cuore del processo
è la digestione
anaerobica (un
56% nei 43 impianti integrati sparsi sul territorio nazionale e
il restante 7% in altri 23 siti di digestione anaerobica),
quelli che incontrano imaggioriproblemi.
“È difficile quantificare quanti siano, in Italia, gli impianti
in grado di trattare efficacemente le plastichecompostabili:
sicuramente meno della metà, ma la legge di questo non ha tenuto
conto” racconta LucaMariotto,
direttore di Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende
operanti nei servizi pubblici della gestione
dirifiuti,
acqua, ambiente, energia elettrica e gas.
Eppure il settore delle plastiche compostabili negli ultimi anni
ha visto una crescita
costante non
solo di addetti (nel 2020 2.775, più 4,8% rispetto al 2019) ma
anche delfatturato (+9,7%),
per un volume d’affari di 815 milioni di euro. “L’Italia ci
punta talmente tanto – spiega ailfattoquotidiano.it Giuseppe
Ungherese – che, senza una valutazione deireali
benefici ambientali di
tali alternative alleplastiche
fossili e
senza tenere conto delle caratteristiche degli impianti nel
nostro Paese, negli ultimi anni ha adottato numerose misure,
spesso sotto forma diincentivi
economici e
fiscali”. Spingendo così imprese e consumatori a sostituire gliarticoli
monouso in
plastica fossile con alternative monouso in plastica
compostabile. Di fatto, secondo i datiCic-Corepla,
la presenza di plastiche compostabili nella raccolta degli
scarti di cucina è più che raddoppiata, passando dall’1,5%
(2016-2017) al 3,7% (2019-2020). Secondo gli ultimi dati di
mercato di EuropeanBioplastics,
la produzione globale di plastiche a base biologica e
compostabili è destinata ad aumentare da 2,42 milioni di
tonnellate nel 2021 a circa 7,59 milioni di tonnellate nel 2026.
L’Asia è
il principale hub con quasi il 50% dellacapacitàproduttiva,
ma quasi un quarto della capacità globale si trova in Europa,
dove leader indiscusso è l’italiana Novamont.
E sempre in Italia, nel 2020, è nato anche il primo consorzio
europeo dedicato al riciclo organico degli imballaggi in
plastica biodegradabile e compostabile,Biorepack.
“La filiera italiana di questo materiale è un modello in Europa,
al quale guardano con attenzione anche tanti Paesi extraeuropei”
ha spiegato CarminePagnozzi,
direttore tecnico del consorzio.Dai test di laboratorio fino a
tutta la filiera,
però, le falle del sistema sono diverse. Per essere certificato
come biodegradabile ecompostabile,
un materiale deve prima superare due test: quello di biodegradabilità (e
degradarsi almeno del 90% in 6 mesi in un ambiente ricco di
anidride carbonica) e quello didisintegrazione (dopo
12 settimane a contatto con materiali organici, deve essere
costituito almeno per il 90% da frammenti di dimensioni
inferiori a 2 millimetri). Poi si può richiedere agli enti
certificatori il marchio ‘Ok compost’ oppure ‘Compostabile Cic’.
Ma, spiegaUtilitalia,
“le certificazioni in laboratorio non sempre riproducono
correttamente le condizioni degli
impianti”.SaraDaina,
esperta in packaging del laboratorio CSI, racconta che i
campioni dei test sono “tagliati in formato 10×10 cm se si
tratta di un film e 5×5 cm per tutti gli altri tipi di
materiale, compresa la plastica compostabile rigida”.Ma nessun consumatore “taglia
i prodotti in plastica compostabile in queste dimensioni prima
di metterli nelbidone dell’umido”
continuaMichelaMazzetto,
responsabile di laboratorio a LabControl.
E se il prodotto ha una dimensione maggiore rispetto a quella
testata, inevitabilmente ci vorrà più tempo per disintegrarlo.
E non è l’unico problema. “Per testare la disintegrazione di
un prodotto in plastica compostabile, ricreiamo le condizioni di
un impianto dicompostaggio,
inserendo in una sorta di scatola una data percentuale di
frutta, verdura, cortecce, segatura”. La plastica compostabile
rappresenta “l’1% rispetto al resto del materiale” spiegano al
CSI. Ma se nell’impianto la percentuale di plastica compostabile
è maggiore dell’1% (perché magari è arrivato il carico di un catering fatto
constoviglie,
bicchieri e posate usa e getta) la condizione risulterà diversa
da quella testata in laboratorio.
Un dato non trascurabile considerando come stia crescendo
l’incidenza delle plastiche compostabili nella raccoltadell’umido.
Altri problemi sono relativi ai vari
impianti,
anche quelli di compostaggio, dove per degradarsi questo tipo di
plastica “ha bisogno di più tempo dell’umido” racconta il
professore Ugo Bardi. Dovrebbe avere a disposizione 12
settimane,
ma non esiste una norma europea o italiana che renda
obbligatoria questa disposizione e ogni impianto può
organizzarsi autonomamente. “È difficile che l’umido sia
tenuto in un impianto per tre mesi, perché significherebbe far
fronte a costi molto elevati”, racconta ancora Michela Mazzetto
di Lab Control. Allo stesso tempo, “scordiamoci che laplastica compostabile
possa compostarsi in una o due settimane” commentaSergioUlgiati,
docente di Chimica ambientale e Analisi del ciclo di vita presso
il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università degli
Studi di NapoliParthenope.
Per questo in Germania, per esempio, “la plastica compostabile
rigida non viene gettata nell’umido,
che resta negli impianti di compostaggio circa tre settimane”
precisa a Greenpeace StefanieSiebert,
direttrice esecutiva dello European Compost Network. E poi c’è
il problema della vagliaturainiziale,
necessaria per eliminare i materiali non compostabili che
finiscono nella frazione organica, compromettendone la qualità.
“In questo modo, però – spiega il direttore tecnico di Biorepack,
Carmine Pagnozzi – insieme ai materiali non conformi, la
vagliatura porta via anche l’umido,
fino a un terzo del totale, nonché le plastiche compostabili”.
Così, se alcuni impianti sembra che riescano a degradare il
materiale, altri lo inviano a incenerimento odiscarica.
I problemi maggiori si verificano negli impianti
integrati e
anaerobici (dove confluisce il 63% della frazione umida).
“Strutturalmente non sono in grado di degradare la plastica
compostabile” spiegaSergioUlgiati.
Questi impianti hanno dei reattori che
funzionano in assenza di ossigeno. “Assenza di ossigeno –
precisa lo European Compost Network – tempi brevi e temperature
relativamente basse di solito non garantiscono unabiodegradazione completa
degli articoli compostabili”. D’altronde “negli impianti
anaerobici non si degradano perfettamente neppure isacchetti
in plasticacompostabile,
figuriamoci la plastica compostabile rigida”, commenta MarioGrosso,
del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del
Politecnico di Milano. “Stante la situazione – conclude Giuseppe
Ungherese – è chiaro che per salvare il business delle
plastiche compostabili, oltre a rischiare unaprocedura
d’infrazione,
sono necessari investimenti urgenti sull’impiantistica. Ma non
sarebbe stato più semplice abbandonare il monouso?”.
Guerra Ucraina, gli effetti sul lavoro in Italia: prime
richieste di cassa integrazione perché mancano materiali e
l’industria tedesca ha frenato
Gli effetti della guerra inUcraina iniziano
a farsi sentire sulle imprese italiane. Molte, infatti,
cominciano a ricorrere allacassa
integrazione. A
marzo le ore di cig ordinaria autorizzate dall’Inps sono
state il 20% in più rispetto a febbraio. A pesare, insieme
airincari
energetici che
si trascinano ormai da ottobre dell’anno scorso, sono le
difficoltà diapprovvigionamento dimaterie
prime esemilavorati.
Un problema, quest’ultimo, che non riguarda però tutte le
aziende allo stesso modo. Le più colpite sono infatti quelle
imprese metalmeccaniche che
importano materiali dalla Russia e, soprattutto,
dall’Ucraina. È il caso di Automotive
Lighting di
Tolmezzo in Friuli, che producefanali per
auto. L’azienda, 930 dipendenti, ha aperto la cassa
integrazione per oltre 800
lavoratori a
causa della carenza
di cablaggi dal
fornitore ucrainoLeone.
Questo mentre la fonderia Zml di
Pordenone a marzo aveva messo in cig 350 dipendenti permancanza
di ghisa.Va
detto che si tratta di un fenomeno ancora limitato. Il più
delle volte, infatti, il blocco degli impianti è stato
evitato ricorrendo a fornitori
alternativi. La
penuria di materie prime, però, si sta scaricando suiprezzi.
Il cromo,
ad esempio, è raddoppiato dall’inizio della guerra. La
Russia e l’Ucraina, inoltre, rappresentano il 53,1%
dell’export mondiale di ghisa e il 40,3% di semilavorati
siderurgici. Se la loro produzione si dovesse fermare
completamente verrebbe a mancare la metà dei volumi
scambiati sui mercati internazionali, con la conseguenza di
un’ulteriore ascesa dei prezzi. Secondo un recente report
della Fim-Cisl sul
comparto, i lavoratori che sarebbero a rischio in seguito al
conflitto sono oltre26mila.
“Al momento la situazione è stata gestita”, sottolinea il
segretario generale della Fim-Cisl, Roberto
Benaglia,
“ma se dovesse continuare andrà sicuramente a incidere
sull’occupazione”. Anche perché la guerra inizia a mordere
sul tessuto industriale. “Le criticità in queste settimane
si sono acuite: per molte imprese il costo dell’energia è
superiore a quello del lavoro”, prosegue Benaglia, “ci sono
aziende che hanno i portafogli ordini pieni ma che più
producono più perdono”.Tra
queste c’è Scm
Group che
produce macchine utensili e doveva inaugurare un nuovo
stabilimento a Mosca. Tra Russia e Ucraina, l’azienda
riminese aveva ordini per 35 milioni di euro quest’anno, 18
dei quali in consegna ad aprile. Oppure Aermec,
800 dipendenti in provincia di Verona, che produce sistemi
di climatizzazione e
realizza il 30% del fatturato in Russia. Inoltre, i legami
commerciali tra i Paesi europei rischiano di scatenare un
effetto domino. “L’industria tedesca è più colpita di noi
dalla guerra perché avevadelocalizzato in
Ucraina molte attività”, spiega Benaglia. “Visto che
esportiamo molto in Germania”, prosegue il sindacalista,
“quando si ferma l’industria
dell’auto tedesca anche
le imprese italiane dicomponentistica rallentano”.
La filiera, del resto, era già in affanno da prima della
guerra a causa delle carenze di semiconduttori, materiali
usati per realizzare dispositivi elettronici. “Ci sono
stabilimenti che spesso si fermano perché mancano questi
componenti”, sottolinea Benaglia, “c’è una serie di
difficoltà che si stanno accumulando e bisogna evitare un
effetto domino”.
Russia, le sanzioni mostrano la corda. La corsa agli
sportelli è rientrata, riaperta la Borsa (solo per scambi di
titoli di Stato)
L’effetto delle sanzioni
occidentali allaRussia si
fa sentire sulle tasche dei normali cittadini, in coda per
comprarelo zucchero che
da inizio anno è rincarato del 20%e
per fare scorta di una serie di beni importati o prodotti da
multinazionali straniere – dai pannolini aldentifricio –
che a breve potrebbero scarseggiare o diventare ancora piùcostosi.
L’impatto su banche emercato
valutario,
dopo lo choc iniziale, sembra però essersi stabilizzato. E
il 21 marzo la Borsa
di Mosca,
rimasta chiusa dal
giorno successivo all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ha
riaperto i battenti per i titoli
di Stato federali russi,
su cui la
scorsa settimana non si è materializzato il paventato default. La
ripresa degli scambi è ovviamente sostenuta dalla mano forte
della Banca centrale che sta comprando bond per “prevenire
un eccesso divolatilità“.
Il rendimento dei decennali è di conseguenza in forte calo,
al 13% dopo il picco del 19,8% toccato il 4 marzo.“L‘efficacia delle
sanzioni aumenta notevolmente se la forza della pressione
esercitata varia in base al comportamento del Paese”, ha
commentato nella sua newsletter l’ex vice governatore della
Banca centrale russaSergey
Aleksashenko.
“È evidente che negli ultimi giorni, nonostante il passaggio
di Putin ad attacchi
sempre più violenti contro
le città e i civili ucraini, lapressione delle
sanzioni occidentali non è aumentata”. Morale: senza misure
che colpiscano anche l‘export
energetico –
non a casoa
Bruxelles si torna a parlare di un possibile embargo sul
petrolio –
appare difficile ottenere qualcosa nel breve periodo per
questa via. Anche se le azioni dei gruppi russi sui listini
occidentali hannoazzerato il
proprio valore e nel medio-lungo periodo l’economista Branko
Milanovic,
tra gli altri, prefigura una nuova “criminalizzazione della
società” per aggirare le restrizioni sull’importazione di
beni di consumo, gravi difficoltà nella sostituzione di
tecnologia occidentale (software, auto, aeroplani,
elettrodomestici) e forte aumento dell’emigrazione di forza
lavoro qualificata.Per ora, nonostante il congelamento delle
riserve estere la situazione non è precipitata. La corsa
agli sportelli attesa
all’inizio di marzo si è in parte verificata, ma
l’intervento dellaBanca
centrale –
che in dieci giorni ha fornito agli istituti liquidità per 8,8
trilioni di rubli –
ha per ora disinnescato il rischio di crac. Due terzi di
quei prestiti, rileva Aleksashenko, sono stati usati per far
fronte ai prelievi dei depositari, ma poi gli alti tassi di
interesse sui depositi (fino al 20,5%) el’impossibilità
di acquistare valuta straniera hanno
invertito il flusso e due
terzi del cash è tornato sui conti corrente
o deposito. Subito dopo il pagamento degli interessi sui
titoli di Stato denominati in dollari è andato liscio,
nonostante il ministro delle finanze Anton
Siluanov avesse
più volte ventilato la possibilità delpagamento
in rubli.
Secondo Aleksashenko è probabile che “qualche investitore
russo” sapesse bene che era un bluff e abbia speculato comprando
titoli quando il valore era crollato e rivendendoli a
default evitato.Ma che prospettive ha ora l’economia reale
russa? Venerdì la governatrice della banca centrale Elvira
Nabiullina,
appena riconfermata per il terzo mandato nonostante secondo
indiscrezioni abbia tentato più volte di dare le dimissioni,
ha ammesso che l’inflazione “rimarrà elevata per qualche
tempo, ma non permetteremo alla spirale inflazionistica di
prendere piede”, ha aggiunto. Il balzo tra fine febbraio e
inizio marzo, ha spiegato, è stato “provocato da un boom
della domanda soprattutto
di beni non alimentari come elettrodomestici,
auto, dispositivi elettronici e arredamento”
a causa del timore che “la disponibilità diminuisse
drasticamente a causa delle sanzioni, dell’uscita di alcune
compagnie dalla Russia e di un rublo
più debole“,
ma “nella seconda settimana di marzo questa domanda febbrile
è calata”. Non così per i prodotti alimentari, ma beni come
“cereali, farina, pasta e
zucchero sono per la maggior parte prodotti in Russia, da
materie prime nazionali, le scorte di questi prodotti sono
sufficienti e la loro produzione continua”. Tutte le aziende
“stanno sperimentando interruzioni
della produzione,
della catena
logistica e
del regolamento dei conti con le controparti straniere”. Ma,
ha assicurato la banchiera centrale, ora l’economia si
adatterà al nuovo contesto: “Prima non era profittevole
produrre nel Paese alcuni beni, ora diventerà più
interessante”. Il prossimo trimestre, ha riconosciuto, “il
pil calerà”.
Osservatori esterni stimano un crollo che quest’anno
potrebbe raggiungere il 10%.
Guerra Russia-Ucraina, inaugurato il gasdotto
GIPL che collega Polonia e Lettonia: “Risposta al ricatto
energetico di Mosca all’Europa”
“Oggi consacriamo la nostra indipendenza energetica”:
tutti in questaEuropa alla
canna del gas vorrebbero poter dire lo stesso, per
esorcizzare l’imbarazzantedipendenza daMosca.
Ma per il momento, questo mantra dei desideri Ue si è
recitato solo in un piccolo villaggio lituano che si chiama Jauniuai e
che ha appena 165 abitanti, nel distretto diSirvintos della
contea diVilnius.
È successo il 5 maggio, undicesimo giovedì di guerra in Ucraina,
in occasione dell’inaugurazione ufficiale del nuovo gasdotto
GIPL (Gas
Interconnection Poland-Lithuania), capace di trasportare
circa due miliardi di metri cubi di gas: “Con questa opera
noi rafforziamo la nostra resistenza alle pressioni
politiche”, ha sottolineatoGitanas
Nauseda,
presidente della Lituania,
rivolgendosi agli ospiti polacchi, lettoni, estoni e
finlandesi. La resilienza dei paesi baltici, per esempio, è
ben nota: hanno smesso di importare il gas
russo fin
dall’inizio dello scorso aprile, disponendo diriserve stoccate
in depositi sotterranei.In verità, la decisione di
realizzare il gasdotto non ha nulla a che vedere con la
guerra in Ucraina, non è un gesto legato alle contingenze
belliche, bensì una vecchia scelta strategica: i cantieri
sono stati aperti nel 2020. Però, oggi più che mai, acquista
un valore di grande significato, è un passo in più verso
l’indipendenza energetica della Lituania e, in minore
misura, della Polonia,
in quanto le assicura una fonte di energia alternativa che
potrà coprire il 10 per cento del fabbisogno (attualmente,
Varsavia utilizza 21 miliardi di metri cubi di gas l’anno).
Ma è pure un deciso messaggio a Putin,
come, in un altro senso, lo è agli alleati europei: “Si può
fare”. Il gasdotto GIPL, costato 500
milioni di euro (finanziati
in gran parte dall’Unione europea) è lungo508
chilometri,
dei quali 165 in Lituania e 343 in Polonia, raggiungerà la
piena capacità ad ottobre, potrà essere connesso, grazie
alla rete del gas esistente, anche in Lettonia, Estonia eFinlandia.La
compagnia polacca riceveva dalla Russia circa 9 miliardi di
metri cubi (il 45 per cento delle necessità nazionali), ed è
per sopperire allo stop che sta costruendo il gasdotto
Baltic Pipe,
dove transiterà il gas
norvegese a
cominciare da novembre e ridurre in misura maggiore
l’handicap energetico con la Russia. Quanto alla Lituania,
il gasdotto GIPL è la seconda fonte d’approvvigionamento
energetico indipendente da Mosca, giacché dal 2014 dispone
di un terminalerigassificatore.
La Russia poteva contare sul 41,8 per cento delle
importazioni lituane, del 93 per cento di quelle estoni e
del 100 per cento di quelle lettoni, secondo Eurostat (dati
relativi al 2020). Poco, rispetto ai volumi tedeschi e
italiani, ma, come dicono a Vilnius, Riga e Tallinn, si
comincia sempre dalle piccole cose per farle diventare
grandi.
Superbonus, Draghi a Strasburgo: “Non siamo
d’accordo, costi triplicati”. La replica M5s: “La
Commissione Ue ha più volte lodato la misura”.
A febbraio si era limitato a sottolineare che coloro che
“tuonavano” in difesa del superbonuserano
“quelli che hanno scritto la legge che permette di fare lavori senzacontrolli“.
Ora Mario
Draghi torna
all’attacco dellosconto
fiscale del 110% per
gli interventi di efficientamento energetico e antisismico
fortemente voluto nel 2020 dal Movimento
5 Stellee
confermato dal suo governo con alcune modifiche
sul meccanismo di cessione dei crediti applicabile
anche alle altre agevolazioni fiscali. Intervenendo alla
plenaria del Parlamento
Europeo il
premier ha rivendicato che il suo governo è “nato come
governoecologico,
fa del clima e della transizione
digitale i
suoi pilastri più importanti”. Ma, ha detto, “non
siamo d’accordo su tutto,
sul bonus del 110% non
lo siamo,
perché il costo di
efficientamento è più chetriplicato e
iprezzi degli
investimenti per attuare le ristrutturazioni sonotriplicati,
perché (il
superbonus ndr)
toglie la trattativa
sul prezzo“.
Cioè: visto che paga lo Stato, chi ingaggia una ditta per
fare i lavori non ha interesse a cercare di strappare sconti.Il
deputato M5s Riccardo
Fraccaro,
padre della norma, ha risposto a stretto giro: “Mario Draghi
nel suo intervento a Strasburgo durante la plenaria del
Parlamento europeo ha dichiarato di non essere d’accordo sul
Superbonus; sinceramente lo avevamo già dedotto dai
continui blocchi e
dalle modifiche apportate alla misura nei mesi scorsi che di
fatto hanno rischiato di renderlainutilizzabile.
Vorrei ricordare al nostro presidente del Consiglio che il
superbonus è espressione della volontà
parlamentare di tutte le forze politiche,
e per questo, anche se il suo giudizio personale è negativo,
non può boicottare una
misura che peraltro in più occasioni ha ricevuto lodi dalla
stessa Unione Europea”. Il riferimento è alplauso
arrivato lo scorso dicembre dal vicepresidente della
Commissione Ue Frans
Timmermanse dalla commissaria Ue per
l’Energia Kadri
Simson e
alla “promozione” arrivata a inizio marzo nel report pubblicato
dall’European
Construction Sector Observatory secondo
cui “ha avuto grande successo” e “sta generando un’elevata e
crescente domanda”.
Il documento assegna alla misura un punteggio di 4
stelle su 5 e auspica un’estensione
dei tempi per l’attuazione degli interventi
approvati – cosa che ilgoverno
Draghi ha appena previsto nel decreto
Aiuti – , un’allargamento
del campo di applicazione ad altre tipologie di
edifici come gli hotel, una ulteriore semplificazione delle
procedure per rendere più facile l’accesso alla detrazione e
eventualmente una modifica dei requisiti di efficientamento
minimi (oggi è sufficiente un miglioramento di due classi
energetiche). La richiesta europea è insomma di rendere la
misura più efficace, certo non di limitarne la portata.
Quanto all’esplosione dei prezzi lamentata dall’ex
presidente Bce,a
febbraio il ministro della Transizione Ecologica Roberto
Cingolani ha firmato un decreto che fissa i tetti
massimi di costo per gli interventi.
Le parole di Draghi non sono piaciute nemmeno alla deputata
di FacciamoECO Rossella
Muroni, che intervenendo in Aula alla Camera in
replica all’informativa del governo sulle misure contro il
caro energia ha detto: “Mi preoccupano le dichiarazioni del
premier Draghi che a Bruxelles ha affermato di non
condividere il superbonus. Una misura strategica che
ci sta aiutando a migliorare la prestazione energetica delle
nostre case, a tagliare
le emissioni e a sostenere l’edilizia di qualità.
Una misura che sta contribuendo in modo significativo ai
dati positivi sul Pil che il governo cita volentieri”
L’ingresso di Florentino
Pérez Rodriguez nella
partita Autostrade è un verocolpo
di scena.
Finora, infatti, gli industriali veneti hanno sostenuto che in
circolazione non c’era proprio nessuno interessato ad acquistare Aspi.
Così la notizia che Pérez sia disposto a mettere mano al portafoglio
per creare un
gruppo paneuropeo ha
destato non pochi interrogativi fra gli investitori. Nella comunità
finanziaria internazionale c’è infatti chi sostiene chePérez
voglia sfilare Aspi ai Benetton. E
chi, invece, ritiene che il miliardario sia una sorta di asso nella
manica degli industriali veneti perconvincere
Cdp a ritoccare al rialzo l’offerta
per l’88% di Aspi.
Con il crollo della Cina,
termina il "sogno" degli
economisti "eterni"
Mario Draghi ripete
l’esorcismo estremo: «Whatever
it takes».
Ma il pericolo attuale non
è più quello di un
collasso finanziario come
nel 2008. Il pericolo è
quello di una crisi di
sovrapproduzione globale,
e di una stagnazione di
lungo periodo. Il crollo
delle borse non è che un
segnale. Da sei anni le
banche centrali prestano
denaro a costo zero, e da
un paio di anni il
petrolio scende
ininterrottamente.
Cionostante la domanda
cala, e la stagnazione
persiste, si aggrava,
tende a divenire
recessione.
Il 10
gennaio il New York Times
ha pubblicato un articolo
di Clifford Kraus dedicato
agli effetti che il calo
della domanda cinese
produce sull’economia
globale: «Per anni la Cina
s’è ingozzata di ogni tipo
di metalli e di energia
perché la sua economia si
espandeva rapidamente; le
grandi aziende hanno
ampliato aggressivamente
le loro operazioni di
estrazione e produzione,
scommettendo sulla
prospettiva che l’appetito
cinese sarebbe continuato
per sempre. Adesso tutto è
cambiato.L’economia
cinese si contrae.
........(leggi
l'articolo)
Luce e gas, da luglio
potremo consultare i
nostri consumi online
Grazie al Portale Consumi di Arera potremo consultare lo storico di
quanta energia utilizziamo, ma si accederà solo con le credenziali di
Spid. (Luglio 2019)
Su questo sito ogni consumatore potrà consultare lo storico dei propri
consumi sia per la luce che per il gas “in modo chiaro e fruibile”,
garantisce l’Autorità, che spiega: “In questa prima fase il cliente
potrà da subito visualizzare, anche mediante tabelle o grafici più
intuitivi, i dati passati di consumo, le letture e le autoletture
degli ultimi 12 mesi”. Dati che i clienti più scrupolosi potranno
scaricare in formato accessibile per averli sempre con sé.
Arera avverte però che non tutti i consumatori accederanno alla stessa
quantità di informazioni: questo dipenderà sia dal tipo di contatore
installato (in questo senso, si suppone che quelli di ultima
generazione forniscano letture a getto continuo, cosa che non possono
fare quelli più vecchi) e dalla frequenza con la quale gli operatori
mettono le letture a disposizione del Sistema informativo integrato,
il database per le informazioni dei clienti del mercato libero e del
tutelato.n questa operazione di trasparenza, che va a tutto vantaggio
del cittadino, c’è però un neo: per entrare nel Portale Consumi
bisognerà essersi dotati delle credenziali di Spid, l’identità
digitale per
accedere a tutti i servizi pubblici. “Si tratta di una inutile
complicazione che rischia di vanificare l’utilità del servizio” spiega
Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione Nazionale
Consumatori, che però sottolinea come il portale sia “un’ottima
notizia” e che la questione Spid non dipenda da Arera.
Una volta conosciuti nel dettaglio i propri consumi, il passaggio
successivo dovrebbe essere quello di capire se stiamo pagando il
giusto o, invece, potremmo risparmiare cambiando operatore. Arera ha
già annunciato che nei prossimi mesi verrà creata una sinergia tra il
Portale Consumi e il Portale
Offerte che
mette a confronto le tariffe dei gestori del libero e del tutelato.
Fino ad oggi, infatti, il Portale Offerte dà la possibilità di fare
una stima dei propri consumi, ma in futuro il calcolo della tariffa
migliore verrà fatto sulla base di dati reali e affidabili.
2019
Draghi in azione: la Bce taglia i tassi e rilancia il
Qe.
I
tassi sui depositi scendono allo 0,5%, gli acquisti ripartiranno da
novembre con 20 miliardi al mese e senza una data di scadenza
fissata. Migliorate le condizioni finanziarie per le banche.Tassi
sui depositi giù di 10 punti base (al -0,5%) e riavvio degli
acquisti di titoli, a partire da novembre, per 20 miliardi di euro
al mese e finché sarà necessario. Sono le decisioni prese dalla Bce
nell'attesissimo Consiglio che aveva sul tavolo gli strumenti per
intervenire in difesa dell'economia dell'Eurozona e in supporto alla
dinamica dei prezzi, che resta ferma intorno al +1% a fronte di un
obiettivo vicino al +2%.
Mario
Draghi ha annunciato in conferenza stampa il cambio della
cosiddetta forward
guidance,
ovvero la previsione sui movimenti futuri dei tassi. Questi, si
aspetta la Bce, resteranno "su livelli attuali o più bassi fino a
che avrà visto l'outlook dell'inflazione convergere in maniera
robusta (rafforzamento del concetto di nuova introduzione, ndr)
verso un livello sufficientemente vicino ma sotto il 2% entro il suo
orizzonte di riferimento e fino a che questa convergenza non sia
stata riflessa in maniera consistente nelle sottostanti dinamiche di
inflazione". Nell'Eurozona, insomma, è ancora "necessaria una
politica altamente accomodante a lungo". La Bce ha ufficializzato
dunque le sue mosse e, dalle prime reazioni, sembra non aver deluso
le aspettative del mercato. Immediata la reazione nelle sale
operative, con le Borse europee in rafforzamento, l'euro in calo
sotto 1,1 dollari e i Btp che si sono apprezzati. Draghi ha
ricordato che, se si è arrivati a questo punto, è perché i "recenti
dati macro hanno indicato una protratta debolezza economica". Anche
la Germania, ha detto proprio oggi l'istituto Ifo, "rischia la
recessione". Le previsioni sul Pil dell'Eurozona sono state tagliate
all'1,1% per il 2019 (da 1,2% a giugno), all'1,2% per il 2020 (da
1,4%) e confermate all'1,4% per il 2021. Anche l'inflazione è stata
ribassata a 1,2, 1 e 1,5% nel triennio 2019-2021. Torna
il Qe.
Negli ultimi giorni erano state messe in dubbio le
possibilità che il Qe scattasse fin da subito, invece la Bce l'ha
ufficializzato: seppure per un ammontare mensile nella parte bassa
delle stime, è rilevante che non ci sia indicazione di una scadenza
del piano. Anzi, nella decisione del Consiglio si dice che questo
durerà finché sia necessario "per rafforzare l'impatto accomodante
dei tassi ufficiali e che termini poco prima che inizino ad
aumentare il tasso di interesse chiave della Bce". Proprio questa è
una delle novità che superano le attese del mercato, mentre la
taglia degli acquisti (20 miliardi) è nella parte bassa delle
aspettative.
Il risvolto di queste decisioni è ben eviente sui mercati. Già da
tempo i rendimenti dei titoli di Stato avevano iniziato un percorso
di discesa, aspettando questi stimoli Bce e quelli che verranno
probabilmente dalla Fed settimana prossima. In Italia, il calo dello
spread si è poi accentuato con il cambio di governo, ben accolto sui
mercati soprattutto per il ritrovato dialogo con la Ue. In vista
della Manovra, proprio il minor costo del debito sarà un serbatoio
importante cui attingere per far quadrare i conti: nella nota di
aggiornamento del Def potrebbero entrare risparmi per 2-3 miliardi
vista la nuova situazione sul mercato dei titoli di Stato, che si
potrebbero ancor più consolidare negli anni a venire.
Nelle tasche degli italiani, si ripropone il duplice gioco: da una
parte il denaro avrà un costo inferiore, con possibili ulteriori
ribassi sul costo dei mutui e dei prestiti. D'altra parte, per chi
ha liquidità da investire, significa far sempre più fatica a trovare
titoli in grado da offrire un minimo rendimento. Roberto Anedda di MutuiOnline.it ricorda
che - già anticipando le mosse ufficiali - i mercati avevano portato
"l'Euribor su nuovi minimi intorno al - 0,45% e, soprattutto, hanno
fatto letteralmente crollare gli indici Irs che, con un calo dell'1%
complessivo". Il crollo degli indici si è riflesso subito sui tassi
dei mutui: "E' ora possibile ottenere un mutuo ventennale ad appena
lo 0,22% di tasso variabile e alllo 0,57% per un tasso fisso. Sulla
durata di 30 anni il miglior tasso variabile è ora allo 0,27% e il
tasso fisso più conveniente allo 0,83%". Per la prima volta nel
mercato dei mutui l'intero arco di migliori offerte, dal variabile
al fisso e fino alle durate più lunghe, rimane così al di sotto
della già di per sé ridotta soglia dell'1%.
Draghi ha rimarcato più volte in conferenza stampa che i governi
devono fare la loro parte per sostenere l'economia: "Considerati
l'indebolimento dell'economia e la protratta prevalenza dei rischi
verso il basso, i governo con spazio in bilancio dovrebbero agire in
modo efficace e tempestivo", il suo messaggio a Paesi quali la
Germania che dovrebbero investire maggiormente. Nel Consiglio, ha
rimarcato, c'è stata unanimità sul fatto che la fiscal policy deve
diventare il primo strumento per affrontare questa congiuntura, non
si può più demandare tutto alla politica monetaria.
L’Italia agli spareggi: comunque vada,
questa non è una grande Nazionale
e il trionfo agli Europei
è stato un miracolo.
Ci siamo svegliati dopo un lungo sonno
azzurro. E
abbiamo scoperto che non era un sogno, ma un incubo.
Esattamente quattro anni dopo Italia-Svezia,
il punto più basso della storia del pallone italiano, la
nazionale è di nuovocon
un piede fuori dal Mondiale, di nuovo ai maledetti
spareggi dove può succedere di tutto. In mezzo
c’è stata la
vittoria agli Europei, che ci ha inebriato,
probabilmente illuso. Quel trionfo non si cancellerà, lacoppa
resterà in bacheca insieme ai ricordi
dell’estate 2021, ma adesso non ci aiuterà a
qualificarci a Qatar
2022. E non andarci significherebbe sparire daiMondiali per
un periodo lungo 12 anni.
Di nuovo uno spareggio per andare al Mondiale.
Come nel 2017, quando la Svezia ci
costrinse a un’estate di penitenza e l’Italia del
calcio toccò il suo punto più basso. Peggio del 2017, se
si guarda alregolamento deiplayoff verso
il Qatar: unmeccanismo
infernale,
che costringe a superare due avversari in gara secca. La
prospettiva più
dura è
una: la nostra Nazionale costretta a giocarsi il
Mondiale inPortogallo controCristiano
Ronaldo e
compagni. Purtroppo, è un prospettiva possibile. Per le squadre
europee che
aspirano ancora ad andare inQatar nel2022 sono
rimasti appena
tre posti.
Saranno 12 squadre a contenderseli, che saranno divisi
in tre
gruppi separati
con il sorteggio del prossimo 26
novembre.
Le 4 squadre all’interno di ciascuno gruppo non si
sfideranno in un girone, ma in una “final
four“:
semifinale e finale sempre a gara secca. L’Italia,
fortunatamente, è testa
di serie:
significa che giocherà la semifinale sicuramente
in casa.
Le possibili avversarie? Galles,
Macedonia del Nord, Turchia (in
attesa dell’ultimo turno),Finlandia (o
Ucraina),Austria eRepubblica
Ceca.
Non sono esattamente squadre cuscinetto, ma l’eventuale finale sarebbe
ancora più in salita. In quel caso si può incrociare
un’altra testa di serie: in questo momento sonoPortogallo, Scozia, Russia, Svezia ePolonia.
Tutte rivale pericolose, con l’incognita di dover
giocare in trasferta: la seda della finalissima,
infatti, sarà decisa in sede di sorteggio. Quattro anni
dopo la figuraccia di San Siro, l’Italia potrebbe
trovarsi a lottare per il Mondiale sempre contro la
Svezia di Ibrahimovic,
ma questa volta a Stoccolma. Potrebbe anche essere
l’occasione per una rivincita.
David Beckham è solo l’ultimo
intervento di chirurgia estetica
morale da parte del Qatar: storia
e nefandezze dello sportwashing di
Stato
Per
sciogliere in italiano la parola
inglese è
necessaria una lunga perifrasi.
Perché definire lo “sportwashing”
non è esattamente un compito
semplice. Secondo Amnesty
International si
tratterebbe di un tentativo di
“sfruttare lo sport per rendere
moderna la propriaimmagine e
far distogliere lo sguardo dalla
pessima situazione deidirittiumani”.
Altri preferiscono parlare di chirurgia
estetica morale:
rendere più gradevole la facciata
esterna in modo da nascondere la
fatiscenza che si nasconde
internamente. Due definizioni che
raccontano la stessa realtà, che
spiegano un fenomeno lungo quasi quindici
anni.
Più o meno da quando aziende e magnati
arabi hanno
iniziato a entrare nel calcio delVecchio
Continente.
Prima sotto forma di sponsor su
una maglia, poi sovrapponendo i
propri nomi agli stadi più moderni
d’Europa. Ma niente spiega lo
“sportwashing” meglio delle
vicende che riguardano
l’organizzazione dei Mondiali
in Qatar del 2022.L’opera
di maquillage dell’emirato dell’Arabia orientale
riemerge ciclicamente. E ogni
volta riesce a sollevare nuove
polemiche. L’ultima è arrivata
ieri mattina, quando è stato reso
noto cheDavidBeckham,
ex divinità pop di Manchester
United e Real Madrid, sarà il
nuovo “ambasciatore” della Coppa
del Mondo di
calcio. In più, sarà sua premura
promuovere attivamente il turismo
e la cultura del Qatar. In cambio
di una cifra vicina ai177
milioni di euro.
Non una novità. Perché già dal
2009 l’emirato aveva chiesto ad
alcuni dei calciatori di
rilievo internazionale che avevano
chiuso la carriera nellaQatar
Stars League di
supportare la propria candidatura
a Paese ospitante. I primi ad
accettare erano statiRonald
de Boer (che
aveva giocato nell’Al-Rayyan e
nell’Al-Shamal) eGabriel
Omar Batistuta (che
aveva vestito la maglia dell’Al-Arabi).
Qualche anno dopo era stato il
turno diXavi,
che dell’Al-Sadd è stato prima
giocatore e poi allenatore. E lo
spagnolo si era calato talmente
bene nella parte che nel 2019
aveva detto: “Non vivo in un Paese
democratico, ma il Qatar funziona
meglio della Spagna“.Una
frase che aveva preso tutti in
contropiede. E che aveva sollevato
più di una obiezione. DaniMateo,
un comico spagnolo che ha
partecipato a diversi programmi
andati in onda su “La
Sexta”,
aveva commentato quelle parole in
un suo intervento in diretta: “Per
Xavi una dittatura teocratica con
un regime monarchico assolutista
funziona meglio della democrazia
spagnola. Beh, in Qatar le donne non
possono viaggiare liberamente, laviolenza
domestica non
è un reato e quando una donna
sposata viene violentata e sporge
denuncia può essere condannata peradulterio.
Ma a parte questo piccolo
dettaglio, Xavi ha ragione: il sistema
qatariota funziona
molto meglio di quello spagnolo”.
Piccolo scherno su piccolo
schermo. Anche perché quella
battuta tagliente non voleva far
ridere, ma sottolineare come il
tema del mancato rispetto dei
diritti umani in Qatar sia
diventato piuttosto pressante
negli ultimi dieci anni. Per
questo la scelta di Beckham di
prestare il proprio volto all’emirato è
sembrata inopportuna e volgare.
Soprattutto perché è arrivata a
fronte di una montagna di
quattrini. Le associazioni per la
tutela dei diritti umani sono
inorridite. QualcheONGbritannica ha
accusato lo Spice Boy di aver
“venduto l’anima”. E di averlo
fatto per “puraavidità“.D’altra
parte la rimozione chirurgica del peccato
originale qatariota
è un’operazione impossibile.
Qualche mese fa ilGuardianha
pubblicato un’inchiesta
drammatica. Dal dicembre 2010,
ossia da quando il Paese ha
ottenuto l’assegnazione dei
Mondiali, sono morti più di 6500
lavoratori immigrati da
Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri
Lanka. Lacontabilità è
oscena. Perché i decessi sono più
di 12 a settimana, poco meno di
due al giorno. Cifre che sono un
pugno allo stomaco. Ma che
rappresentano chiaramente quel
problema che Amnesty International
denuncia da parecchio tempo. Nel
marzo del 2015 l’Ong ha
intervistato oltre230
stranieri impiegati
nella costruzione dello stadioKhalifa,
che ospiterà una delle semifinali
del torneo. Alcuni di loro erano
impiegati nella ristrutturazione
dell’impianto, altri nella
manutenzione degli spazi vedi
intorno al complessoAspire,
ossia l’Accademia/laboratorio dove
vengono coltivati i talenti che
dovranno tenere alto il nome della
Nazione nel torneo casalingo.Eppure
tutti hanno raccontato le stesse
cose. Vivevano in alloggisquallidi e
sovraffollati e dopo aver
protestato per le condizioni di
lavoro erano stati minacciati. E
questa era la parte meno
preoccupante del loro racconto. In
molti, infatti, erano finiti in
unaspiraleperversa.
Per ottenere il lavoro in Qatar
avevano versato ai reclutatori cifre
che variavano fra i 500 e 4300
dollari. E spesso per mettere
insieme tutti quei soldi avevano
dovuto ricorrere a qualche
prestito daltassoesoso.
Solo che una volta arrivati
nell’emirato, avevano scoperto che
il loro salario era molto
inferiore rispetto a quanto promesso.
Oppure, molto semplicemente, non
venivano pagati per mesi. Il cortocircuito era
chiaro. Nel 2014 il Comitato
organizzatore deiMondiali,
che poi è anche responsabile della
costruzione degli stadi, aveva
dato vita a delle “Linee guida per
il benessere dei lavoratori”. In
pratica chiedevano alle imprese
che costruivano stadi e infrastrutture di
adottare per i lavoratori degli
standard che erano addirittura
superiori a quelli previsti dalle
leggi locali. Ilproblema,
quindi, non erano solo le riforme.
Ma anche la loro concreta applicazione.L’altro
grande scoglio hanno dovuto
affrontare i lavoratoristranieri che
arrivavano in Qatar si chiama “kefala”.
È un sistema che spesso viene
tradotto con il termine “sponsor”
e produce un totale assoggettamento del
dipendente. Sostanzialmente per
cinque anni il lavoratore
straniero non può cambiareoccupazione o
lasciare il Paese senza il
permesso del datore di lavoro. In
caso diviolazione della
regola lo straniero perde lo
status di lavoratore per acquisire
quello diclandestino.
Il che significa correre il
rischio di venire arrestati e/o
espulsi. Nel 2018 c’è stato un
piccolo passo avanti grazie a una
riforma inserita in un Progetto
triennale di cooperazione tecnica
concordato fra il Qatar e l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro.
La legge emanata dall’emiro,
infatti, ha sottratto ai datori di
lavoro la possibilità di negare
ai dipendenti il
diritto di uscire dal Paese.
Eppure alcuni datori di lavoro
hanno continuato a trattenere ilpassaporto dei
propri dipendenti. Per i
lavoratori stranieri, che
rappresentano il 90% della
popolazione qatariota, è diventato
difficile anche riscuotere i
propri compensi. I casi dimorosità da
parte delle aziende si sono
moltiplicati. Il primo risale al
2017 e riguarda laMercury
Mena,
una società piuttosto vicina agli
organizzatori del Mondiale.
Piccolo dettaglio: nel dicembre
2010, per sostenere la candidatura
del Qatar, ha realizzato un suggestivo
stadio-vetrina che
doveva attrarre l’interesse dellaFifa.
E visto il successo, la ditta ha
continuato a lavorare in tutti i
progetti più ambiziosi legati ai
Mondiali. Proprio come Lusail
City,
l’avveniristica città che ospiterà
la gara d’esordio e la finale
della competizione.
Tutto molto bello. Se non fosse
per un piccolo dettaglio.
L’azienda non ha versato migliaia
di dollari destinati a stipendi epensioni.
Praticamente per sei mesi i
lavoratori si sono trovati in uno
Stato straniero senza senza un
soldo in tasca. E quindi senza
possibilità di ripagare i prestiti che
avevano contratto per pagare i
reclutatori.Amnesty International
ha intervistato 78 lavoratori ex
dipendenti in credito con la
Mercury Mena provenienti da India,
Nepal e Filippine.
E anche qui le testimonianze sono
state avvilenti: “In Nepal, dove
due terzi della popolazione vive
con meno di due dollari al giorno,
Amnesty ha incontrato 34 persone
cui la Mercury deve versare, in
media, 2035 dollari a testa”. Più
o meno lo stesso problema che si è
avuto con laQatar
MetaCoats,
società che aveva avuto in
subappalto i lavoro per la
facciata dello stadio di Al
Bayat (il
cui valore sfiorava gli 800
milioni di euro). Cento dipendenti
hanno dichiarato di aver lavorato
per sette mesi senza ricevere lostipendio.
E proprio come i lavoratori della
Mercury Mena, anche quelli della QMC si
sono ritrovati con permessi di
lavoro scaduti perché le società
non hanno voluto rinnovarli. Le
cose sono peggiorate ulteriormente
durante la pandemia. L’area
industriale diDoha è
diventata una vera e propria bomba
sanitaria. I dormitori della
capitale erano sovraffollati,
senza una “adeguata” fornitura di
acqua, luce e servizi igienico
sanitari. Mantenere ladistanza di
sicurezza di almeno un metro era
praticamente impossibile. Così
sono diventati terreno fertile per
la diffusione del Covid-19.
E sono stati isolati. Secondo
Amnesty International, poi, fra il
12 e il 13 marzo centinaia di
migranti nepalesi sono stati
radunati e poi trasportati nei
centri di detenzione.
All’inizio erano stati
rassicurati: era una misura
necessaria per sottoporli a un
tampone di massa e poi riportarli
nei dormitori. Invece sono stati
espulsi dal Paese. A seguito delle
proteste della Ong, il Governo del
Qatar ha risposto che durante una ispezione nell’area
industriale erano state scoperte
“Persone coinvolte in attività
illecite e illegali, come la
produzione e la vendita disostanze
proibite e
la cessione di cibi pericolosi che
avrebbero potuto causare gravi
danni alla salute”. Nei verbali di
espulsione, tuttavia, non era
stata specificata nessunaattivitàillecita.Negli
ultimi anni il Qatar ha fatto dei
piccoli passi avanti nella tutela
dei diritti
dei lavoratori stranieri.
Il 30 agosto del 2020 sono stati
emanati due provvedimenti
importanti. Il primo sopprime il
“certificato di non obiezione del
datore di lavoro”. Per cambiareimpiego,
quindi, i lavoratori non dovranno
più ottenere il nulla osta dei
loro “padroni”. L’altro introduce
un salariominimo,
fissato a 1000 rial (al cambio 230
euro) al mese, più 300 rial per
gli alimenti e
500 per l’affitto di
un alloggio. Solo che la strada è
ancora molto lunga. I datori di
lavoro possono ancora denunciare
per “clandestinità”
i lavoratori migranti e possono
ancora gestire direttamente i
permessi di residenza,
attraverso il loro rinnovo o il
loro annullamento. In più le
riforme non si applicano ai lavoratori
domestici migranti,
che sarebbero 173mila. Amnesty
International ha intervistato 105
donne che prestano servizio presso
lecaseqatariote.
E molte hanno raccontato di aver
subito comportamenti che oscillano
dalla sgradevolezza al
reato. L’85% del campione ha detto
di lavorare regolarmente più di 14
ore al giorno (la legge ha fissato
a 10 ore il limite massimo), sette
giorni su sette. Nell’82% dei casi
il datore di lavoro aveva
confiscato il passaporto dei
propridipendenti.
Il 38% ha dichiarato di essere
state insultate e schiaffeggiate.
O di aver ricevuto sputi. Mentre
una donna ha dichiarato di essere
stata tratta “come un cane”. Il
3.5%, invece, ha raccontato di
aver subito palpeggiamenti o
addirittura stupri e di non aver
denunciato l’accaduto per paura diripercussione da
parte dei propri datori di
lavoro.A controbilanciare i
passetti in avanti fatti sulla
tutela dei lavoratori ci ha
pensato un ulteriore giro di vite
sulla libertà
di espressione.
Il codice penale locale è stato
emendato a inizio 2020 con
l’inserimento dell’articolo 136bis
che prevede una pena
detentiva fino
a cinque anni (con una sanzione
annessa di 25mila euro) per
“chiunque diffonda, pubblichi, o
ripubblichi voci non confermate,dichiarazioni,
notizie false o faziose,
propaganda provocatoria, a livello
nazionale o all’estero, con
l’intenzione di danneggiare
l’interesse nazionale, infiammare
l’opinione pubblica, violare il
sistema sociale o il sistema
pubblico dello Stato”. Non che
prima la libertà di espressione
fosse poi tutelata. Nel 2010 il
poeta qatariota Mohammed
al-Ajami recitò
una poesia piuttosto critica nei
confronti dell’emiro nel suo
appartamento in Egitto, davanti a
qualche ospite. Solo che uno dei
presenti filmò l’esibizione e la
postò su internet. Un anno dopo
al-Ajami fuarrestato in
Qatar e condannato all’ergastolo
per aver “incitato al
rovesciamento del governo
nazionale” e “aver insultato” lo
sceiccoHamad
bin Khalifa al-Thani e
suo figlio. Dopo cinque anni di
detenzione, il poeta è riuscito a
ottenere la grazie ed è stato
rilasciato. La domanda rimbalza
ormai da diverse ore. È possibile
girarsi dall’altra parte e
diventaretestimonial di
un Mondiale costruito sul sangue e
sullesofferenze,
biglietto da visita di uno Stato
che calpesta i diritti
essenziali dei
suoi cittadini (e non solo)? Il
problema è che la risposta non può
che essere legata allamorale
soggettiva.
E qualcuno deve aver trovato
milioni di motivi per dire di sì.
Il numero uno dell'Uefa si
toglie qualche sassolino dalla
scarpa: "Deluso da tutti,
salvo solo il Barcellona, ma
senza il supporto di Bayern,
Borussia Dortmund e Psg non
avremmo vinto questa
battaglia. Agnelli? Meglio
ingenuo che bugiardo,
Florentino Perez vorrebbe uno
al mio posto che obbedisca ai
suoi comandi. Adesso vogliono
il dialogo, non sto dicendo
che non parleremo, ma penso
che dovremo valutare le
conseguenze".
Aleksander Ceferin,
all'emittente slovena '24ur':
"Ora ci aspettiamo che tutti
si rendano conto del loro
errore e ne subiscano le
conseguenze".
"Agnelli? Meglio ingenuo che
bugiardo"
Ceferin va all'attacco
soprattutto di Andrea
Agnelli eFlorentino
Perez. "Sabato ho ricevuto
chiamate da 5 dei 12 club, mi
hanno detto che avrebbero
firmato. Allora ho chiamato
Agnelli e mi ha detto che non
era vero, che erano stronzate,
che era tutto inventato. Gli
ho detto che se era così
avremmo potuto uscire con una
dichiarazione pubblica. Mi ha
detto: 'Perfetto, prepara una
bozza'. Quando l'ha vista ha
detto che non gli piaceva
molto la bozza, che l'avrebbe
cambiata un po' e mi avrebbe
richiamato. Ma non ha più
chiamato e ha spento il
telefono. Sono stato ingenuo?
Meglio ingenuo che bugiardo".
Era un tentativo di creare una
fantomatica lega di ricchi che
non seguisse alcun sistema,
che non avrebbe tenuto conto
della piramide del calcio in
Europa, della tradizione,
della cultura, della storia -
continua - ci hanno tutti
sottovalutato. Questo è tipico
delle persone che sono per lo
più circondate da coloro che
annuiscono e che dicono loro
di essere il migliore, il più
bello e il più intelligente.
Probabilmente hanno
sottovalutato me e l'intera
situazione, mi sorprende che
non sapessero in quale
situazione si trovassero. Ma
ora mi aspetto che in futuro
nessuno nel mondo del calcio
mi sottovaluti. Per me -
prosegue Ceferin - è
assolutamente orribile che
l'avidità possa essere così
forte al punto che non ti
importa dello sport che
amiamo, della cultura, della
tradizione europea, dei tifosi
e, per ultimo ma non meno
importante, delle amicizie
personali".Di
certo non avrò mai più un
rapporto personale con certe
persone". Poi un elogio ai
tifosi: "Il
merito di questa vittoria è
stato soprattutto loro che
hanno inscenato una vera
rivoluzione e non si sono
lasciati disprezzare,
ignorare, non hanno permesso
che si potesse pensare di
comprarli".