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Cop 26, firmato l’accordo sul clima. Ma è al ribasso. Testo indebolito per accontentare l’India sul carbone. Il presidente Sharma: “Profondamente dispiaciuto”13-11-21

La patria dei diritti civili: è la Spagna dell’eutanasia, una legge di sinistra

La patria dei diritti civili: è la Spagna dell’eutanasia, una legge di sinistra

Grecia, processo ad Alba Dorata: è “organizzazione criminale”. Una condanna per omicidio. In 15mila fuori dal Tribunale: scontri,0tt0bre 2020

Alba dorata colpevole di aver agito come “organizzazione criminale” e uno dei suoi membri, Yorgos Roupakias, condannato per l’omicidio del rapper ed attivista antifascista 34enne Pavlos Fyssas, avvenuto all’arma bianca nella notte del 18 settembre 2013 davanti a un bar nel suo quartiere, Keratsini, alla periferia ovest di Atene. L’assassino rischia l’ergastolo. Dopo cinque anni e mezzo di processo è arrivato il giorno della sentenza per il partito neonazista greco: almeno 15mila persone si sono radunate fuori dal tribunale, esultando appena saputo della sentenza della Corte d’appello di Atene. Dopo il verdetto sono scoppiati scontri davanti al palazzo di giustizia tra polizia e manifestanti: gli agenti hanno usato gas lacrimogeni a un cannone ad acqua per disperdere un gruppo di dimostranti che ha attaccato la polizia con bombe molotov ai margini della manifestazione

Isis ha rivendicato l’attentato di Vienna: “E’ un nostro soldato”. Il terrorista ucciso era un 20enne noto ai servizi. “Nessun indizio su altri autori”. Sono 4 le vittime, 22 feriti,03-11-20

Lo Stato Islamico ha rivendicato l’attacco terroristico della scorsa notte a Vienna. Il gruppo fondamentalista ha affidato al suo canale di propaganda Amaq il comunicato con cui si assume la paternità dell’attentato compiuto dal 20enne austriaco di origini macedoni, Fejzulai Kujtim, che armato di kalashnikovmachetepistola e con in dosso una finta cintura esplosiva ha aperto il fuoco uccidendo quattro persone e ferendone 22.

Le Bandiere Nere hanno esaltato il gesto di Abu Dujana al-Albani, nome di battaglia di Kujtim, che ha compiuto l’attacco come “soldato del califfato”. Già nelle scorse ore era circolata la notizia che il terrorista ucciso dalle forze di sicurezza austriache aveva giurato fedeltà all’Isis.

Usa, primo via libera al piano di stimoli da 1.900 miliardi. Ma l’aumento del salario minimo non c’è. Joe Biden: “Sono deluso”

Passa il maxi piano ma non l’atteso progetto di incremento del salario minimo federale. Un successo a metà per l’amministrazione di Joe Biden che nel week end ha visto la Camera statunitense dare via libera al programma di sostegni all’economia da 1.900 miliardi di dollari, il secondo più ampi di sempre. Il piano passa ora all’esame del Senato con l’auspicio della Casa Bianca che si proceda velocemente per dare sollievo alle aziende e ai cittadini statunitensi. Tra le misure ci sono nuovi fondi per il programma vaccinali nonché risorse aggiuntive per le assicurazioni contro la disoccupazione oltre soprattutto a sostegni diretti per 1.400 miliardi di dollari, oltre ad aiuti per i governi statali. L’imperativo di muoversi rapidamente ha però causato una vittima: il raddoppio del salario minimo federale da 7,5 a 15 dollari/ora, misura gradita a gran parte dell’elettorato, fortemente sostenuta dall’ala più progressista dei democratici rappresentati nel governo da Bernie Sanders, e che riguarderebbe circa 27 milioni di lavoratori statunitensi.Per accelerare l’iter del bilancio si è infatti scelto di utilizzare una procedura particolare, chiamata “budget reconciliation” che consente di superare eventuali manovre di ostruzionismo. Il ricorso a questa procedure irrigidisce però le misure che possono essere incluse nel piano. I tecnici del Senato hanno considerato la misura sul salario è stata considerata come non strettamente attinente alle misure anti-Covid su cui il piano è impostato. La Casa Bianca ha scelto, almeno per ora, di non forzare troppo la mano.

 

Catalogna, oltre mezzo milione di manifestanti in piazza

Giornata dello sciopero generale, cinque le marce dei manifestanti per la protesta contro la condanna dei leader secessionisti. Barricate in strada e arresti, blocco alla frontiera con la Francia. L'ex presidente della regione, Carles Puigdemont, si è consegnato alle autorità belghe. Rilasciato. Vox denuncia Torra e ne chiede l'arresto immediato.

Le scene riprese in diretta da Barcellona mostrano manifestanti che lanciano oggetti di ogni genere. C'è chi scaglia transenne in metallo, cassonetti incendiati e trascinati in mezzo alla strada a fare da barricata e cariche della polizia in tenuta antisommossa. Il grosso della manifestazione, nel centro di Barcellona, si sta svolgendo in modo pacifico con i manifestanti arrivati da tutti i punti della Catalogna.

Arresti e feriti

Almeno 22 persone sono state arrestate - compresi quattro minorenni - e 89 sono rimaste ferite negli scontro con la polizia in Catalogna. È questo l'ultimo bilancio della giornata reso noto dai Mossos d'Esquadra. Quanto ai feriti, 60 sono stati registrati a Barcellona, 12 a Girona, 6 a Tarragona e 6 a Lleida. La polizia ha inoltre informato che due agenti sono stati feriti al capo da lanci di pietre.

Le proteste

In Catalogna è iniziato il quinto giorno di proteste contro la condanna di Oriol Junqueras - leader della più forte formazione politica secessionista Esquerra Republicana de Catalunya - a 13 anni di carcere insieme a un'altra dozzina di indipendentisti. Oggi, giornata dello sciopero generale, gruppi di manifestanti indipendentisti hanno interrotto diverse strade sin dalle prime ore della mattina: tra le strade bloccate anche quella alla frontiera con la Francia, chiusa in entrambi i sensi. Cinque colonne di manifestanti delle "Marce della libertà", spiega El Pais, dirette a Barcellona per partecipare, dopo tre giorni di cammino, alla manifestazione del pomeriggio.uello di oggi è il quarto sciopero generale collegato alle proteste indipendentiste in Catalogna in meno di due anni. Il processo ha condannato i leader secessionisti a 100 anni complessivi di carcere. La Sagrada Familia, il monumento più visitato di Barcellona, ha sospeso le visite. "Non è possibile garantire l'accesso al sito", si legge in un messaggio pubblicato sull'account Twitter.proteste hanno indotto la Federazione calcistica spagnola a rinviare la partita Barcellona-Real Madrid, 'El Clasico' della Liga spagnola. Il match era in programma il 26 ottobre al Camp Nou e la decisione è stata presa, riferisce il quotidiano spagnolo Marca, per evitare che potesse diventare un'occasione di protesta contro la sentenza del 'proces' ai leader catalani. Non è stata ancora fissata una nuova data per il recupero. In questo complesso scenario politico, oggi la 13enne Leonor principessa della Asturie, erede al trono e primogenita di Felipe di Spagna e Letizia, tiene il suo primo discorso pubblico al Teatro Campoamo

Stragi del ’92, quel disegno politico dietro le bombe: summit e presagi prima di Capaci. Ascolta la prima puntata del podcast Mattanza.

La domanda senza risposta se la pongono subito, il 24 maggio del ’92. Il giorno dopo la strage di Capaci, Oscar Luigi Scalfaro prende la parola davanti al Parlamento riunito e dice: “Senza invadere il campo di chi deve investigare e far giustizia ci si chiede: ma è solo mafia, questa?”. Trent’anni dopo una risposta ancora non c’è.

Una versione pacificata – Quella domanda, infatti, lo Stato ha preferito metterla da parte. Sulle stragi si è costruita una narrazione ufficiale senza punti interrogativi: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati ammazzati da Cosa nostra – e solo da Cosa nostra – in segno di ritorsione. Col Maxiprocesso avevano fatto inceppare il rodato meccanismo dell’impunità per i boss, che quindi si sono vendicati. Ma poi sono stati puniti: Salvatore Riina e Bernardo Provenzano sono morti in galera, Giovanni Brusca e gli altri hanno beneficiato di sconti di pena ma solo dopo essere diventati pentiti. Gli eroi sono morti, ma lo Stato poi ha vinto. Una narrazione tragica e piena di pathos, una versione pacificata dei fatti, perfetta per le fiction della tv. Ma che ha un problema: non corrisponde alla verità. E infatti rischia di crollare sotto il peso di quello che emerge dalle indagini e dai processi.

Il podcast del Fatto Quotidiano – Sulle stragi, infatti, esistono ancora oggi enormi buchi di trama che questa rassicurante narrazione si limita a omettere: mandanti esterni mai individuati, piste investigative mai battute, moventi molto più complessi della semplice vendetta. È mettendo insieme tutti questi elementi che Mattanza racconta le stragi del ’92. Il podcast prodotto dal Fatto Quotidiano raccoglie le testimonianze di investigatori e testimoni, sopravvissuti e killer. È composto da 8 puntate: la prima esce oggi ed è disponibile gratuitamente su ilfattoquotidiano.it e su tutte le principali piattaforme (Spotify, Apple podcast e Amazon music). Mattanza si articola in due blocchi da quattro puntate ciascuno: il primo, che racconta le vicende legate a Falcone e alla strage di Capaci, verrà pubblicato nel mese di maggio, con una puntata nuova online ogni settimana. Il secondo, invece, ricostruisce i misteri della strage di via d’Amelio e verrà rilasciato nel mese di luglio.

Un anno di presagi – Mattanza ricostruisce i vari punti oscuri di quella stagione che fa da cerniera tra la Prima e la Seconda Repubblica. Prima di diventare l’anno di Tangentopoli e delle bombe, il ’92 è stato un anno di presagi. Nei primi giorni di marzo un detenuto del carcere di Firenze invia ai giudici di Bologna una lettera in cui parla di una “nuova strategia della tensione in Italia” che sarà attuata nei cinque mesi successivi, fino a luglio. In quel periodo – sostiene – “accadranno eventi intesi a destabilizzare l’ordine pubblico” e cioè esplosioni che colpiranno persone “comuni” in luoghi pubblici, il sequestro e l’eventuale “omicidio” di un esponente politico della Dc, il sequestro e l’eventuale “omicidio” del futuro Presidente della Repubblica. Passano pochi giorni e ammazzano Salvo Lima, il viceré siciliano di Giulio Andreotti. Chi l’ha scritta quella lettera? Elio Ciolini, un uomo legato all’estrema destra, condannato per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. Come fa ad anticipare l’omicidio Lima, la strage di Capaci, quella di via d’Amelio? Come fa a parlare di esplosioni che colpiranno “persone comuni”, arrivando quindi a predire le stragi del ’93?La genesi di tutto – E dire che quella di Falcone non doveva essere neanche una strage ma un semplice omicidio. Un commando guidato da Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano doveva colpire a Roma, dove il giudice girava con un protezione molto blanda. Poi però Riina cambia idea, richiama i suoi e spiega che bisogna tornare in Sicilia dove avevano trovato “cose più grosse”. Quali? Il pentito Gaspare Spatuzza individua in quel cambio di strategia un passaggio fondamentale: “La genesi di tutta questa storia è quando non si uccide più Falcone a Roma con quelle modalità e si inizia quella fase terroristica mafiosa, da lì non è solo Cosa nostra”.La firma delle stragi – Secondo l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, è l’intera fase di programmazione delle stragi che non appartiene a Cosa nostra: “Alla fine del ’91 – racconta – vi sono delle riunioni tra alcuni capimafia, che hanno la caratteristica di essere tutti massoni. Si comincia a discutere di un progetto molto complesso, che era stato suggerito dall’esterno. Le entità esterne ci mettono il software, il progetto politico, Cosa Nostra ci mette l’hardware, il braccio militare”. Sono le riunioni di Enna, quelle in cui Riina spiega ai suoi che era arrivato il momento di punire i nemici storici di Cosa nostra e pure gli ex amici, quelli che avevano tradito. Il capo dei capi dice anche un’altra cosa: gli omicidi e le stragi andranno rivendicati usando la firma della Falange Armata. È una sigla oscura che aveva esordito l’anno prima per rivendicare l’omicidio di un educatore carcerario a Milano. Poi aveva messo la firma sui delitti della Banda della Uno Bianca. Quindi spunta in Sicilia, a Enna, in bocca a Riina: chi gli ha suggerito usarla? A questa domanda, ancora oggi, non sappiamo rispondere.Uomini cerniera – Quello che sappiamo è che nel dicembre del 1991 a Enna c’è pure un personaggio che non fa parte di Cosa Nostra. Si chiama Paolo Bellini ed è stato recentemente condannato all’ergastolo per la bomba alla stazione di Bologna. E’ famoso perché durante le stragi s’infiltra in Cosa nostra su ordine dei carabinieri: doveva recuperare opere d’arte rubate e in cambio offriva un miglioramento delle condizioni carcerarie per i mafiosi. Il suo “gancio” era un ex compagno di cella: Nino Gioè, uno che aveva fatto parte del commando di Capaci e che poi morirà in carcere, vittima di un suicidio che sa molto di omicidio. È Gioè che Bellini sostiene di aver contattato già nel dicembre del 1991, quando scende in Sicilia perché – sostiene – deve recuperare dei soldi. Deve andare a Palermo, ma per dormire sceglie di arrampicarsi tra tornanti e buche e fermarsi a Enna, la città più remota dell’isola, l’unico posto d’Italia dove in quei giorni nevica: che senso ha fermarsi lì? Trent’anni dopo le domande sulle stragi sono ancora tutte lì.

Superbonus, Draghi a Strasburgo: “Non siamo d’accordo, costi triplicati”. La replica M5s: “La Commissione Ue ha più volte lodato la misura”.

A febbraio si era limitato a sottolineare che coloro che “tuonavano” in difesa del superbonus erano “quelli che hanno scritto la legge che permette di fare lavori senza controlli“. Ora Mario Draghi torna all’attacco dello sconto fiscale del 110% per gli interventi di efficientamento energetico e antisismico fortemente voluto nel 2020 dal Movimento 5 Stelle e confermato dal suo governo con alcune modifiche sul meccanismo di cessione dei crediti applicabile anche alle altre agevolazioni fiscali. Intervenendo alla plenaria del Parlamento Europeo il premier ha rivendicato che il suo governo è “nato come governo ecologico, fa del clima e della transizione digitale i suoi pilastri più importanti”. Ma, ha detto, “non siamo d’accordo su tutto, sul bonus del 110% non lo siamo, perché il costo di efficientamento è più che triplicato e i prezzi degli investimenti per attuare le ristrutturazioni sono triplicati, perché (il superbonus ndr) toglie la trattativa sul prezzo“. Cioè: visto che paga lo Stato, chi ingaggia una ditta per fare i lavori non ha interesse a cercare di strappare sconti.Il deputato M5s Riccardo Fraccaro, padre della norma, ha risposto a stretto giro: “Mario Draghi nel suo intervento a Strasburgo durante la plenaria del Parlamento europeo ha dichiarato di non essere d’accordo sul Superbonus; sinceramente lo avevamo già dedotto dai continui blocchi e dalle modifiche apportate alla misura nei mesi scorsi che di fatto hanno rischiato di renderla inutilizzabile. Vorrei ricordare al nostro presidente del Consiglio che il superbonus è espressione della volontà parlamentare di tutte le forze politiche, e per questo, anche se il suo giudizio personale è negativo, non può boicottare una misura che peraltro in più occasioni ha ricevuto lodi dalla stessa Unione Europea”. Il riferimento è al plauso arrivato lo scorso dicembre dal vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans e dalla commissaria Ue per l’Energia Kadri Simson e alla “promozione” arrivata a inizio marzo nel report pubblicato dall’European Construction Sector Observatory secondo cui “ha avuto grande successo” e “sta generando un’elevata e crescente domanda”.

Il documento assegna alla misura un punteggio di 4 stelle su 5 e auspica un’estensione dei tempi per l’attuazione degli interventi approvati – cosa che il governo Draghi ha appena previsto nel decreto Aiuti – , un’allargamento del campo di applicazione ad altre tipologie di edifici come gli hotel, una ulteriore semplificazione delle procedure per rendere più facile l’accesso alla detrazione e eventualmente una modifica dei requisiti di efficientamento minimi (oggi è sufficiente un miglioramento di due classi energetiche). La richiesta europea è insomma di rendere la misura più efficace, certo non di limitarne la portata. Quanto all’esplosione dei prezzi lamentata dall’ex presidente Bce, a febbraio il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha firmato un decreto che fissa i tetti massimi di costo per gli interventi.

Le parole di Draghi non sono piaciute nemmeno alla deputata di FacciamoECO Rossella Muroni, che intervenendo in Aula alla Camera in replica all’informativa del governo sulle misure contro il caro energia ha detto: “Mi preoccupano le dichiarazioni del premier Draghi che a Bruxelles ha affermato di non condividere il superbonus. Una misura strategica che ci sta aiutando a migliorare la prestazione energetica delle nostre case, a tagliare le emissioni e a sostenere l’edilizia di qualità. Una misura che sta contribuendo in modo significativo ai dati positivi sul Pil che il governo cita volentieri”

 

Incidenti sul lavoro, Inail: “Nei primi tre mesi del 2022 saliti del 50%, boom nei trasporti e magazzinaggio. 189 quelli mortali: quattro in più”

Almeno due morti bianche al giorno. E un aumento delle denunce di infortunio del 50% rispetto ai primi tre mesi del 2021. Nella Giornata mondiale per la salute e sicurezza sul lavoro, i dati Inail aggiornati al primo trimestre 2022 raccontano di un trend in forte aumento. Le comunicazioni di incidenti di qualsiasi gravità arrivate all’istituto tra gennaio e marzo sono state 194.106 contro le 128.671 del primo trimestre del 2021 e le 130.905 di gennaio-marzo 2020 segnato però dal lockdown. Quelli con esito mortale sono stati 189, quattro in più rispetto alle 185 registrate nel primo trimestre del 2021 e 23 in più rispetto alle 166 dello stesso periodo 2020. “Numeri inaccettabili, e i numeri reali sono ancora più alti, a causa delle mancate segnalazioni in maniera particolare nei settori fragili”, commenta Tina Balì, segreteria nazionale Flai Cgil. “Evidentemente non bastano le politiche di prevenzione fin qui adottate, occorre un drastico cambio di passo. La sicurezza sul lavoro non è un costo ma un investimento. Bisogna agire di più sulla prevenzione, sulla capacità di costruire reti e sulla formazione continua”.L’incremento dei casi mortali rispetto allo scorso anno riguarda i casi in itinere durante il tragitto casa-lavoro, passati da 31 a 51, mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono scesi da 154 a 138. L’aumento ha riguardato l’industria e servizi (da 158 a 160 denunce) e l’agricoltura (da 16 a 20 casi). Ha riguardato solo le donne, con un aumento da 14 a 24, mentre tra gli uomini c’è stata una discesa da 171 a 165. Secondo i dati Inail, sono in aumento le denunce dei lavoratori italiani (da 158 a 163), in calo quelle dei comunitari (da 9 a 8) e in parità quelle degli extracomunitari (18 in entrambi i periodi). Dall’analisi per classi di età, da segnalare gli aumenti dei decessi tra gli under 40 (da 34 a 49 casi) e tra i 45-49enni (da 22 a 24), mentre sono in calo quelli tra i 40-44enni (da 17 a 16).

In generale, gli incidenti di ogni livello di gravità sono notevolmente aumentati: quelli sul luogo di lavoro dai 115.286 del primo trimestre 2021 ai 176.545 del 2022 (+53,1%) e quelli in itinere hanno fatto registrare un aumento del 31,2%, da 13.385 a 17.561. A marzo 2022 il numero degli infortuni sul lavoro denunciati ha fatto segnare un +46,6% nella gestione Industria e servizi (dai 109.662 casi del 2021 ai 160.813 del 2022), un -0,4% in Agricoltura (da 5.891 a 5.866) e un +109,1% nel Conto Stato (da 13.118 a 27.427). Incrementi degli infortuni in occasione di lavoro si osservano in tutti i settori produttivi, in particolare nei Trasporti e magazzinaggio (+166,9%), nella Sanità e assistenza sociale (+110,4%) e nell’Amministrazione pubblica (+73,8%).

L’analisi territoriale evidenzia un incremento delle denunce di infortunio in tutte le aree del Paese: più consistente nel Sud (+64,3%), seguito da Nord-Ovest (+63,4%), Isole (+60,7%), Centro (+51,3%) e Nord-Est (+31,8%). Tra le regioni con i maggiori aumenti percentuali si segnalano principalmente la Campania (+116,2%), la Liguria (+85,3%) e il Lazio (+73,8%). L’aumento che emerge dal confronto di periodo tra il 2022 e il 2021 è legato sia alla componente femminile, che registra un +72,9% (da 51.550 a 89.130 denunce), sia a quella maschile, +36,1% (da 77.121 a 104.976). L’incremento ha interessato sia i lavoratori italiani (+54,6%) che quelli extracomunitari (+35,1%) e comunitari (+25,6%).

Multinazionali, poco o nulla per monouso e riduzione degli imballaggi inutili. Involucri riutilizzabili? Il 2% della plastica sul mercato

Le multinazionali che producono, utilizzano e riciclano enormi volumi di imballaggi in plastica e che si sono impegnate a cambiare strada stanno riducendo il consumo di quella vergine. Ma il ritmo è ancora lento e le azioni non sono sufficienti. I progressi, infatti, sono in gran parte guidati dal crescente utilizzo di contenuto riciclato nel packaging, mentre sono scarsi gli sforzi per eliminare monouso e imballaggio inutile. E pochissimo si fa sul fronte del riuso. Certo, l’anno del Covid-19 non ha aiutato, ma resta il fatto che l’impiego di materiale vergine è diminuito di poco più dell’1% nel 2020 rispetto all’anno precedente, mentre il ricorso a confezioni ricaricabili è stato pari a meno del 2% di tutta la plastica messa in commercio. L’ultimo rapporto della Ellen MacArthur Foundation mostra come hanno agito, nel 2020, alcune delle multinazionali che immettono sul mercato più tonnellate di plastica, tra le centinaia di realtà che aderiscono Global Commitment and Plastic Pact network. L’iniziativa, promossa dalla fondazione, prevede di rendere pubbliche le quantità di polimeri utilizzate, ridurre l’uso di materiale vergine, eliminare gli imballaggi non riciclabili e non necessari e assicurare la messa in commercio di soli involucri riutilizzabili, riciclabili o compostabili. Per il report, hanno fornito i loro dati (oltre a 18 governi), anche 130 aziende, che rappresentano più di un quinto del mercato globale degli imballaggi in plastica. Tra queste Coca Cola, PepsiCo, Nestlé, Danone, Unilever, Mars, Henkel, L’Oreal, Colgate-Palmolive e l’italiana Ferrero. Se dal 1950 al 2018 si è passati, con una crescita esponenziale, da circa 2 milioni di tonnellate di plastica vergine utilizzata a oltre 300 milioni di tonnellate, nel 2019 e nel 2020 si sono registrate per la prima volta riduzioni rispettivamente dello 0,6% e dell’1,2%. “Una traiettoria discendente – si spiega nel report – rafforzata da nuovi impegni per ridurre l’uso totale di plastica o plastica vergine in termini assoluti entro il 2025, che quest’anno è diventato un requisito obbligatorio per aderire al Global Commitment”. Si prevede, infatti, che questi obiettivi porteranno a una riduzione totale della plastica vergine utilizzata dai firmatari negli imballaggi di circa il 19% entro il 2025 (rispetto al dato del 2018). E che, insieme al raggiungimento dei target sul contenuto riciclato negli imballaggi, eviterebbe la produzione di circa 8 milioni di tonnellate di plastica vergine ogni anno (con un risparmio di 40 milioni di barili di petrolio). Ma siamo nel campo delle intenzioni.Di concreto c’è che la riduzione della plastica vergine utilizzata tra il 2018 e il 2020 è stata in gran parte determinata dall’aumento dell’uso di quella riciclata, principalmente negli imballaggi in PET rigido, come quello delle bottiglie di acqua e latte e di alcuni flaconi. E, comunque, si è passati dal 5,2% di contenuto riciclato (sul totale dell’imballaggio in plastica utilizzato dalle aziende) del 2018, al 6,3% del 2019 per arrivare all’8,2% nel 2020. Sulla base degli attuali obiettivi, circa l’80% della prevista riduzione del contenuto vergine per il 2025, continuerà a dipendere proprio dall’aumento del contenuto riciclato. Ma gli analisti osservano “un allarmante scarso investimento” per ridurre il ricorso al monouso: la maggior parte delle azioni (il 76%) “implicano la sostituzione con altra plastica o carta”, mentre solo per il 24% dei casi si tratta di “cambiamenti sostanziali”, come l’eliminazione diretta o il passaggio a modelli di riutilizzo. Di fatto, meno del 2% degli imballaggi in plastica dei firmatari del Commitment è stato progettato per essere riutilizzabile nel 2020. La quota è addirittura diminuita, passando dall’1,8% del 2019 all’1,6% del 2020. Più della metà di tutte le aziende che aderiscono non produce imballaggi in plastica riutilizzabili. Anche il livello di ambizione è basso: solo l’11% dei firmatari ha lanciato più di tre progetti pilota sul riutilizzo nel 2020, mentre il 56% non ne ha lanciato nessuno. Il risultato di tutto questo è che il 34,7% della plastica utilizzata negli imballaggi che nel 2020 le aziende hanno messo sul mercato non è né riutilizzabile, né compostabile e neppure riciclabile. Di conseguenza, il packaging che rientra in almeno una di queste opzioni rappresenta il 65,3% (percentuale in aumento di appena lo 0,5%), ma per la stragrande maggioranza perché è riciclabile. E si parla sempre di ciò che fanno le multinazionali che aderiscono all’iniziativa, senza considerare tutte le aziende che ogni giorno a livello globale operano in questo settore. L’80% del mercato degli imballaggi in plastica è fuori da azioni e impegni, mentre si prevede che la domanda di packaging in plastica raddoppierà nei prossimi due decenni.

 

Assalto Cgil dell'ottobre 2021, cinque nuovi arresti: c'è il leader dei No Vax Franzoni e militanti di Forza Nuova

Mani pulite, cosa resta trent’anni dopo. Colombo e Davigo: “Oggi la corruzione non indigna. Pnrr? C’è il rischio Tangentopoli”

Altro che “eroi” in camice: 66 mila esodati del post-Covid. Contratti scaduti e zero assunzioni

Legge salvasuicidi, nel 2021 boom di istanze dagli indebitati: +64% a Milano, +350% a Roma. Commercialisti: “Avvisaglie di tempesta”. La lentezza dell'iter, che prevede la definizione di una proposta di accordo finalizzata a ripagare parte del debito in funzione delle risorse disponibili, fa da tappo rischiando di alimentare fenomeni usurari. Le stime: stando a un sondaggio ben 371.500 imprese non fallibili potrebbero presto chiedere di beneficiare dell'opportunità. Senza contare i privati. La Città Metropolitana di Bologna ha aperto nel 2018 uno sportello ad hoc che fornisce assistenza anche nella preparazione della documentazione necessaria. Con la crisi che incalza i debiti aumentano anche tra privati cittadini, professionisti, imprenditori agricoli e artigiani. Crescono così anche le istanze di accesso alle procedure di sovraindebitamento previste dalla legge 3 del 2012, tristemente nota come salvasuicidi. Ma la lentezza dell’iter che prevede la definizione di una proposta di accordo finalizzata a ripagare parte del debito in funzione delle risorse disponibili fa da tappo, rischiando di alimentare fenomeni usurari. Non c’è ancora un dato nazionale per il 2021, ma le rilevazioni sul territorio, raccolte dal fattoquotidiano.it, mostrano uno scenario a tinte fosche. E per la Fondazione nazionale dei commercialisti il trend in ascesa rappresenta solo la prima avvisaglia di una vera e propria tempesta che potrebbe manifestarsi una volta esauriti gli effetti dei ristori governativi. Secondo un sondaggio fatto dai ricercatori della Fondazione nel 2021 ci sono 371.500 imprese non fallibili – si tratta di imprenditori agricoli e piccoli imprenditori commerciali – che potrebbero ben presto chiedere di beneficiare della legge. Ben il 29,3% del totale di queste tipologie di imprese che danno lavoro ad oltre 455mila dipendenti.Tornando ai numeri già accertati, a Bologna lo sportello sovraindebitamento della Città metropolitana ha segnalato un aumento delle istanze del 12% nel 2021 raggiungendo quota 164. Ma, da ottobre 2018, il numero di richieste di informazioni sono state ben 586, in buona parte provenienti da privati. A Milano, sempre nel 2021, le richieste di aiuto alla Camera arbitrale sono schizzate del 64% passando dalle 123 pratiche del 2020 alle 192 istanze dello scorso anno. Con l’11% dei debitori totalmente incapienti. A Roma, l’Ordine dei commercialisti ha segnalato un aumento del 357% da 7 pratiche del 2020 a 32 del 2021. A Venezia, infine, sempre secondo i commercialisti, nel 2021 le istanze sono state 39, in aumento dell’11 per cento. Ma nell’intera Regione guidata da Luca Zaia la situazione è decisamente peggiore: 387 istanze, in crescita di oltre il 18% rispetto al 2020, con un picco a Vicenza (220), seguita da Verona (75) e Padova (53). Del resto, già nel 2020, sull’intero territorio nazionale, il ministero della Giustizia aveva registrato più di 6mila istanze di cui 1500 relative al 2019. Di queste il 56% (circa tremila) risultavano pendenti, mentre le composizioni segnalate dai tribunali, erano appena 677 (+10% nel 2021), una goccia nel mare rispetto alle procedure. Segno che da una parte la domanda è decisamente elevata, dall’altra il meccanismo è troppo lento rispetto alle necessità pressanti dei sovraindebitati.

 

 SUPER DELINQUENZA ED ORGANIZZAZIONI ARMATE

Ndrangheta a Roma, le intercettazioni: "Siamo pronti a fare la guerra". Così i boss si sono presi la Capitale

La "scalata" di Vincenzo Alvaro dal Café de Paris alla prima filiale delle cosche in città. Il ruolo di 'Ntoni Scarpacottta Carzo: "Prima eravamo sparpagliati ora siamo un esercito"

“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”. La ‘ndrangheta ha aperto ufficialmente bottega nella capitale. Un’informazione che ormai circolava da tempo dagli addetti ai lavori ma che ha trovato conferma ufficiale solo oggi con l’inchiesta “Propaggine”, che ha portato a due ordinanze di custodia cautelare emesse dai gip su richiesta delle Dda di Roma e di Reggio Calabria. Nel filone calabrese dell’indagine, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri è finito agli arresti domiciliari anche un politico, il sindaco di Cosoleto Antonino Gioffré, accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Nel paesino nella piana di Gioia Tauro, sotto l’influenza della cosca Alvaro, il sindaco, eletto con la lista civica “Alleanza per i valori”, in sostanza avrebbe favorito l’assunzione di un altro soggetto indagato.Complessivamente, 29 sono le persone finite in carcere mentre cinque i soggetti per i quali il gip ha disposto gli arresti domiciliari. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e la detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. In manette sono finiti i vertici della cosca Alvaro. Oltre al sindaco di Cosoleto, Antonino Gioffré, ai domiciliari, sono stati arrestati Carmine Alvaro detto ‘u cuvertuni’, ritenuto il capo locale di Sinopoli. In manette anche i capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto ‘ciccio testazza’, Antonio Alvaro detto ‘u massaru’, Nicola Alvaro detto ‘u beccausu’ e Domenico Carzo detto ‘scarpacotta’. Nel troncone reggino dell’inchiesta, secondo gli inquirenti, si è riusciti a dimostrare come i tentacoli della cosca Alvaro-Penna si sarebbero allungati sull’amministrazione comunale di Cosoleto. Nel piccolo paesino della Piana di Gioia Tauro, ci sarebbe un locale di ‘ndrangheta autonomo nelle attività illecite ordinarie ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. Dalle indagini, infatti, è emerso un forte interesse della cosca all’esito delle elezioni amministrative del Comune di Cosoleto del 2018 vinte dal sindaco Gioffré che era in contatto con l’indagato Antonio Carzo.Le indagini sviluppate dal Centro Operativo Dia di Roma hanno fornito gravi indizi dell’esistenza dell’associazione di ‘ndrangheta denominata cosca Alvaro-Penna, i cui sodali risultano detentori di un radicato controllo del territorio e delle attività economiche, nonché infiltrate nella gestione di alcune amministrazioni locali. Il possesso di armi, anche da guerra, da parte dei componenti dell’associazione criminosa determina la pericolosità dell’associazione stessa. Sul filone romano dell’inchiesta, la Dia ha eseguito numerose perquisizioni e altre 43 ordinanze di custodia cautelare. Il blitz ha interessato diverse zone della capitale e della provincia di Roma. Alcuni indagati sono accusati di far parte di una locale di ‘ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. Secondo gli inquirenti, l’organizzazione criminale faceva sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività.L’inchiesta delle due Procure ha consentito di dimostrare per la prima volta come la cosca Alvaro abbia dato vita, nella capitale, ad un’articolazione criminale. Era il cosiddetto “locale di Roma” che rappresenta un “distaccamento” autonomo del sodalizio radicato in Calabria e in particolare con quella che gli inquirenti chiamano “casa madre sinopolese” che ha il compito di trovare una soluzione alle frizioni tra i sodali romani. Per risolverle i due capi locale di Roma venivano in Calabria per discuterne durante con i vertici della famiglia in occasione di eventi particolari, quali matrimoni o funerali. “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto“, dicono gli indagati in un’intercettazione. La ndrina romana riconosciuta ufficialmente dalla “casa madre ” in Calabria. Il gruppo criminale era guidato dai boss Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo. Proprio Alvaro è il boss intercettato mentre sostiene: “Siamo una carovana per fare la guerra“.

 

 

 

 

 

 

 
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13-05-22, 79° GIORNO DI GUERRA

Prima telefonata tra il capo del Pentagono e Shoigu. La richiesta Usa al ministro russo: “Cessate il fuoco”. Nato, perché Erdoğan non vuole Svezia e Finlandia.Chi sta vincendo la battaglia dell’energia tra Europa e Russia? Per ora Putin comanda i giochi (ma gli equilibri potrebbero cambiare). L’ECONOMIST – L’economia russa cammina sulle sue gambe nonostante le sanzioni.FIUME DI DOLLARI – Incassi dal petrolio cresciuti del 50% nei primi mesi del 2022 .

Il pezzo si spezza in due tronconi a causa dell'incedere rapido degli eventi: oggi La Russia incassa involontariamente lo STOP TURCO all'entrata simultanea di Svezia e Finlandia nella NATO, un grosso intoppo per i paesi scandinavi dovuto al probabile voto contrario della Turchia avverso ai due paesi scandinavi. La Russia si troverebbe con un grosso problema sul fianco Nord, un fallimento clamoroso della politica internazionale se l'intento era quello di tenere lontana la NATO dai confini russi. Sempre oggi, in data 13 maggio 2022, per la prima volta i vertici militari statunitensi chiamano i vertici militari russi, il tutto in una cornice che parla sottotraccia di un golpe in Russia contro Putin sospettato di essere gravemente ammalato. Sul campo di battaglia l'esercito russo si sta ritirando da Karkhiv, prima grande città a nord del DONBASS, ma sta avanzando a sud.Seguendo gli splendidi articoli sul campo di INSIDEOVER, conosciamo che l'Armata Russa sta attaccando con forza il saliente ucraino di Severodonetsk, un cuneo tra le cittadine di Bilohorivka a nord e Popasna a sud. In questo cuneo Kiev ha schierato ben 10 brigate. Se i russi riescono ad isolare questo Corpo d'Armata chiudendo la linea Popasna_Bilohorivka proprio alle spalle di questo raggruppamento, l'intero Donbass è andato perso per Kiev con in più l'apertura di uno squarcio in direzione Kramatorsk, questa città è uno snodo focale sia a nord verso Karkhiv che può essere attaccata da sud, sia ad ovest, verso il cuore dell'Ucraina, verso Poltava. Karkhiv ha visto i russi ritirarsi verso il loro confine ma non è una rotta, cosa significa? Significa che la difesa è molto aggressiva col chiaro intento di tenere impegnate le forze ucraine lì, piuttosto che dispiegarle nel saliente. Il saliente sarà una carneficina con i russi che ad un certo punto riprenderanno l'avanzata su Kharkiv molto probabilmente saltando la grossa città per dirigersi più a sud isolandola dal resto del paese.

12-05-22, 78° GIORNO DI GUERRA

Iryna Mudra, viceministra della Giustizia ucraina

L'ESERCITO RUSSO IN GRAVE RITIRATA A KARKIV, MESSO SOTTO PRESSIONE DAGLI UCRAINI CHE NELL'OBLAST DI LUHANS FANNO SALTARE IN ARIA I PONTI PER IMPANTANARE, COME A KIEV,L'AVANZATA DEI CARRI RUSSI CHE HANNO BISOGNO DI STRADE sopratutto FERRATE. I RUSSI PER RAPPRESAGLIA BOMBARDANO I GRANAI DI ODESSA, MENTRE IL FIANCO NORD RUSSO ENTRA IN CRISI CON LA SPINTA FRENETICA DELLA FINLANDIA AD ENTRARE NELLA NATO. MOSCA CHIUDE IL FLUSSO DI GAS VERSO LA POLONIA E MINACCIA DI FARE ALTRETTANTO NEI CONFRONTI DI HELSINKY.PUTIN E' IN GRANDISSIMA DIFFICOLTA' SOPRATTUTTO A LIVELLO MILITARE: COME SPIEGATO DALL'EX LEADER DI WAGNER, IL PRESIDENTE RUSSO HA GIOCATO D'AZZARDO AD AGGREDIRE UN PAESE CON UN ESERCITO DI 300.000 UOMINI CON 250.000 UOMINI SPARPAGLIATI SU UN FRONTE MOSTRUOSO ED A NULLA STA VALENDO AVER DIMEZZATO LA LINEA DI COMBATTIMENTO. MANCANO GLI UOMINI E LA SOLA CONCENTRAZIONE DI FUOCO NON BASTA. Altresì totalmente disastrosi i comportamenti delle truppe di Mosca che sistematicamente si lasciano andare ad azioni brutali ed ammazzamenti folli, senza alcuna giustificazione, come se comunque facenti parte di un modus operandi a prescindere per cui in ogni caso bisogna raggiungere una cifra di morti ammazzati che siano soldati nemici oppure no. L'azione di denazificazione si sta trasformando in massacro e sterminio sul modello EINSATZ, un assurdo ideologico portato avanti da un esercito erede DISGRAZIATO dell'Armata Rossa. All'assurdo ideologico si sta unendo IL TOTALE DISPREZZO delle alte sfere militari russe verso il soldato, il quale non solo viene lasciato totalmente solo e senza ordini, ma addirittura AFFAMATO col chiaro intento di scatenare i più bassi istinti bestiali irrefrenabili e fuori controllo: dal quale ad esempio è esploso IL POGRON DI BUCHA, una sorta di RIEDIZIONE AGGIORNATA dell'HOLOMODOR STALINIANO degli anni trenta del novecento. A livello politico internazionale, se l'intento era quello di spingere la Nato a 3000 km dalla frontiera russa facendo salvo il fianco Baltico, visto che le repubbliche Baltiche fanno già parte della Nato MA CHE E' SOLO con i confini dell'Estonia che la Nato tocca la Russia, assieme alla Norvegia nell'estremo nord, bene, questo intento sta fallendo IN MANIERA MACROSCOPICA in quanto l'adesione a tappe forzate della FINLANDIA espone praticamente l'intero NORD RUSSO sotto schiaffo NATO. Un fallimento poderoso e colossale perchè INEVITABILMENTE metterà il presidente Putin a dover spostare uomini e risorse ANCHE A NORD, quando già ora NON CI SONO UOMINI SUFFICIENTI per coprire il fronte di guerra del sud-est ucraino. All'interno della federazione si assiste altresì al crescere di una forte avversione verso il centro e l'arruolamento anche negli sconfinati territori siberiani, da secoli vastissimo bacino periferico USATO dal centro COME CARNE DA CANNONE. I centri reclute dati alle fiamme ne sono testimonianza, il segno evidente che le notizie dal fronte, nonostante la censura, corrono veloci e fanno propendere le giovani reclute a fuggire da quell'inferno che il solo guazzabuglio ideologico DUGHINIANO non può imbiancare ed abbellire. Altresì il presidente russo sa benissimo che al centro e nella parte continentale è estremamente difficile reclutare uomini soprattutto dopo vent'anni di fortissime iniezioni di CONSUMISMO che si è sostituito totalmente al COMUNISMO. La spaventosa crescita dei prezzi delle materie prime stà paradossalmente favorendo l'economia russa, la quale incassa miliardi di dollari che usa da una parte per finanziarsi la guerra e dall'altra, grazie alle triangolazioni commerciali che eludono L'EMBARGO TOTALE, per comprare merce e cibo occidentali allo scopo di riempire lo stomaco del russo "medio" che in questo modo si fa pochissime domande e si abbevera volentieri alla PROPAGANDA.

Ucraina, la mappa aggiornata della guerra

 

 

11-05-22, 77° GIORNO DI GUERRA

Gruppo Wagner, la testimonianza dell’ex comandante dell’armata di Putin: le “perdite enormi dell’esercito”, il ricorso (mai ammesso) ai mercenari | Esclusiva.

“Io, comandante di Wagner” (edito da Libreria Pienogiorno) esce oggi in tutto il mondo: è la testimonianza di Marat Gabidullin, già comandante di quella che è considerata la brigata delle tenebre del Cremlino, famosa per la sua ferocia. “I miei connazionali sono pronti a sentirsi orgogliosi per le esibizioni di forza, dimenticando le loro esistenze miserabili”

“Pessimismo” sui canali Telegram vicini al Wagner Group: “Servono 600-800mila uomini o perderemo”. Ora Mosca cerca di reclutare 20mila soldati su Superjob.ru. La paga prevista? Da 500 euro al mese

Lo chiamano “la Brigata delle tenebre”, è la truppa di mercenari di Putin, per molti una delle sue armi segrete, forse la più pericolosa. È famoso per la ferocia delle proprie operazioni, in Siria come in Africa e Ucraina, dove ha combattuto e sta combattendo al fianco (ma sarebbe meglio dire all’ombra) degli eserciti e degli schieramenti ufficiali. Il Gruppo Wagner è questo, ma anche molto altro. Per la prima volta viene raccontato dall’interno, grazie alla testimonianza di un suo ex ufficiale, Marat Gabidullin. “Io, comandante di Wagner” (288 pagine, 18,90 euro, codice ISBN 979128002 29571, edito da Libreria Pienogiorno) esce oggi in contemporanea internazionale. Ma ha anche rischiato di non uscire mai. Nel 2020 un piccolo editore siberiano aveva annunciato la pubblicazione della prima testimonianza non anonima dall’interno del gruppo di mercenari, ma il giorno dopo l’autore aveva ricevuto minacce tali da costringerlo ad annullare il progetto. Ora questa testimonianza viene alla luce. Per gentile concessione dell’editore e in anteprima per l’Italia, ilfattoquotidiano.it pubblica qui sotto un estratto del documento.

Ucraina, nei villaggi liberati a Est dove Mosca abbandona i cadaveri dei suoi soldati

 

Nella zona orientale di Kharkiv gli ucraini ricacciano le truppe russe verso il confine. E raccolgono i corpi che il Cremlino non vuole mostrare

Guerra in Ucraina, prima interruzione dei flussi di gas “causa azioni delle forze russe”. Stop compensato con forniture da altri punti

 Il tracciato passa infatti dalla stazione di compressione di Novopskov attraversando il Donbass e i russi, accusa la società, stanno sottraendo parte del gas in transito (si suppone per destinarlo proprio alle regioni separatiste). Questo mette in pericolo “la stabilità e la sicurezza dell’intero sistema di trasporto del gas”, afferma Kiev. Di qui la decisione di invocare la clausola di forza maggiore e interrompere il trasporto, dopo aver “ripetutamente informato Gazprom” dei problemi legati alla presenza delle truppe di Mosca.Per la stazione di confine di Novopskov passa quasi un terzo dei flussi verso l’Europa via Ucraina: fino a 32 milioni di metri cubi al giorno. Di conseguenza secondo Yuriy Vitrenko, numero uno della compagnia statale ucraina degli idrocarburi Naftogaz, le forniture caleranno di altrettanto a meno che la Russia non reindirizzi il gas alla stazione di compressione di Sudzha, più a nord e in corrispondenza dei territori controllati da Kiev (vedi cartina sopra). “Il trasferimento del flusso non richiede alcun costo aggiuntivo da parte russa e non vi sono ostacoli tecnici per tale operazione”, sottolinea il comunicato di Gtsou. “In questo modo la Russia sarebbe in grado di mantenere il transito attraverso l’Ucraina e di adempiere ai propri obblighi nei confronti dei partner europei”.

Il gruppo russo Gazprom – secondo cui il transito è sempre andato avanti “indisturbato” e la quota di forniture compromesse ammonta a solo un quarto del totale e non un terzo – a parole ha respinto al mittente questa opzione, anche se i dati preliminari sul flusso mostrano quantità più elevate attraverso una seconda stazione nel territorio controllato dall’Ucraina.

Il sistema italiano per ora non registra rallentamenti negli arrivi “grazie all’interconnessione delle reti e alla diversificazione delle fonti di importazione”, fa sapere Snam. Dai dati pubblicati in tempo reale sul suo sito risulta che i flussi a Tarvisio sono in diminuzione rispetto a martedì: circa 1,6 milioni di metri cubi standard all’ora contro i 2,4 di ieri mattina. Ma sono in parte compensati da un maggior afflusso a Passo Gries (da Norvegia e Paesi Bassi), dove stanno arrivando 2,1 milioni di metri cubi all’ora a fronte degli 1,5 di martedì mattina, e a Mazara del Vallo (dall’Algeria, 2,8 MSm3 contro 2,6). Dunque la domanda al momento è soddisfatta e proseguono anche le iniezioni di gas in stoccaggio. I prezzi nei primi scambi ad Amsterdam, piazza di riferimento per l’Europa, hanno superato i 100 euro al megawattora toccando i 103, in aumento del 4% rispetto alla chiusura di martedì. Poi hanno ripiegato verso i 93 euro.

L'Isola dei Serpenti e la Bielorussia, le nuove minacce sul fronte Ovest

Il Donbass, il Mar Nero, Sumi e la minaccia da nord di Lukaschenko: tutti i fronti del conflitto a quasi 80 giorni dall'inizio dell'invasione.

 Il confine dell'Ucraina con gli altri stati è lungo 4558 km, suddivisi fra Russia (1 576 km), Moldavia (939 km), Bielorussia (891 km), Romania (169 km a sud, 362 a ovest), Polonia (428 km), Ungheria (103 km), e Slovacchia (90 km), oltre ai 2 872 km di costa marittima.

10-05-22, 76° GIORNO DI GUERRA

Tre missili ipersonici su Odessa

Tre missili Kinzhal – i nuovi missili ipersonici della Russia – sono stati sparati ieri sera da un aereo su un hotel nella zona di Odessa, colpito anche un centro commerciale con altri sette missili. Lo ha reso noto Sergey Bratchuk, portavoce dell’amministrazione militare regionale di Odessa citato dalla Cnn che ha geolocalizzato e verificato l’autenticità di due video che circolano sui social e mostrano danni significativi alla struttura turistica di Zatoka. Le unità russe hanno attaccato ieri la città usando sottomarini, navi e aerei. La Cnn afferma che non è chiaro perché sia stato colpito l’albergo e chi o cosa potesse ospitare.

Decine di corpi di soldati russi abbandonati in strada a Kharkiv. Missili ipersonici su Odessa, colpito un hotel.

"Mentre la Russia sfila sulla Piazza Rossa, migliaia di suoi soldati morti sono ammucchiati in sacchi su treni frigorifero". Lo scrive su Twitter Anton Gerashchenko, consigliere del ministro degli Interni ucraino, citando il servizio di Al Jazeera English. "I russi si rifiutano di prenderli, così l'Ucraina potrebbe anche doverli seppellire a spese proprie", aggiunge. 

Oim, oltre 8 mln di sfollati interni e 13,7 mln totali

Il numero di sfollati interni a causa della guerra in Ucraina ha superato la soglia degli 8 milioni. È quanto emerge dall'ultimo rapporto dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), secondo cui gli sfollati interni sono 8.029.000, su 13.686.000 persone totali costrette a lasciare le proprie case.

 

Kiev: ancora 100 civili nell’Azovstal

“Oltre ai militari, nei rifugi rimangono almeno 100 civili. Tuttavia, ciò non riduce la densità degli attacchi da parte degli occupanti. L’artiglieria pesante e gli aerei hanno continuato a bombardare l’impianto per tutto il giorno. I tentativi di prendere d’assalto il terreno continuano a fallire”. Lo afferma il consigliere del sindaco di Mariupol Petro Andryushchenko su Telegram, citato da Ukrinform, a proposito della situazione nell’acciaieria Azovstal di Mariupol.

Attacchi aerei ripetuti, più di uno all’ora nell’ultimo giorno, insieme a “operazioni di assalto” via terra. La Russia stringe nuovamente in una morsa di fuoco l’acciaieria Azovstal di Mariupol, dove centinaia di combattenti ucraini continuano a resistere. E dove, secondo Kiev, ci sono ancora 100 civili rifugiati nei sotterranei. L’assedio all’impianto siderurgico, circondato da settimane dalle truppe di Mosca, è ripartito – ha spiegato il consigliere del sindaco di Mariupol – dopo che un convoglio Onu ha lasciato la regione di Donetsk.

I russi hanno cercato di far saltare un ponte usato per le evacuazioni, ha aggiunto, così da bloccare gli ultimi soldati – appartenenti al reggimento Azov e a una brigata della Marina ucraina – rimasti all’interno. Le unità di Mosca, sostiene il battaglione con componenti neonazisti, stanno usando “artiglieria navale, razzi Mlrs, Ur-77, carri armati”. Attraverso il loro canale Telegram, i soldati sostengono che nelle ultime 24 ore l’esercito russo ha effettuato 34 attacchi aerei sul territorio dello stabilimento, inclusi 8 con bombardieri strategici.

Una situazione critica, aggravata dalla presenza, secondo il consigliere del sindaco di Mariupol Petro Andryushchenko, di “almeno 100 civili” ancora nei rifugi: “Ciò non riduce la densità degli attacchi da parte degli occupanti”, ha sostenuto. Ma finora i tentativi di prendere l’impianto – dove sventola ancora la bandiera dell’Ucraina – sono “falliti”. Il tempo però stringe e l’esercito di Kiev sta lavorando ad un piano militare per salvare i combattenti, ha detto l’ex comandante del reggimento Azov Maxim Zhorin in una intervista esclusiva a Canale 24 riportata da Unian.

La strategia viaggia in parallelo con i canali diplomatici già aperti. Zhorin ha annunciato i preparativi per l’operazione militare spiegando che vengono sviluppati con la leadership delle forze armate ucraine. Tuttavia, ha spiegato, sarà prima necessario completare l’equipaggiamento militare e il rifornimento delle armi. “Non sono sicuro che attualmente i combattenti che si trovano sul territorio dell’Azovstal abbiano tanto tempo, quindi ci stiamo preparando e lavorando in parallelo in due direzioni: diplomatica e militare per tirarli fuori”, ha affermato. L’operazione “potrebbe essere in più fasi raggruppando le unità” asserragliate nell’impianto.

 

 

 

09-05-22, 75° GIORNO DI GUERRA

“Pessimismo” sui canali Telegram vicini al Wagner Group: “Servono 600-800mila uomini o perderemo”

 

 

Oggi la parata militare, attesa per le parole di Putin. Le storie da Kherson, occupata dai russi: “Una grande prigione, fuggire è impossibile e si muore di fame”

Copertina di In Russia è il “giorno della vittoria”: cosa si celebra e cosa ci si aspetta da Putin nel discorso post-parata

 

07-05-22, 73° GIORNO DI GUERRA

La Nato si oppone alle aperture di Zelensky: “La Crimea russa? Non lo accetteremo mai”. Kiev: “Evacuati tutti i civili dalle Azovstal”. E' LA NATO CHE COMANDA NON ZELENSKY.

 Azovstal: evacuati tutti i civili. I marines: "Non lasciateci morire".

 

Conte: “Questa corsa al riarmo è una follia. Da noi posizioni di buonsenso, ma ci trattano da molestatori”. Superbonus? “Al governo solo a queste condizioni”.Il ministro degli Esteri: “Da Zelensky apertura importantissima, ora tocca a Putin”.

“Allargare l’Unione europea all’Ucraina ora? E’ un discorso assurdo”. Così Marco Travaglio ad ‘Accordi&Disaccordi’, il talk politico in onda su Nove, ha commentato un passaggio dell’intervento di Mario Draghi a Strasburgo in cui il presidente del consiglio italiano auspicava “l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea” in nome di un processo di allargamento accelerato. “Quel discorso di Draghi, per fortuna, non l’ha sentito nessuno, perché se capovolgevi le telecamere vedevi un emiciclo completamente deserto. – ha detto il direttore de Il Fatto Quotidiano – Quindi il nostro peso è dimostrato dal fatto che quando parla Draghi, almeno in Europa, nessuno lo sta a sentire. Ma è il capolavoro dell’ipocrisia. Quell’uomo lì, da presidente della Bce, è quello che ha fatto la famosa cura “lacrime e sangue” ai greci. E se facciamo entrare l’Ucraina, che è un Paese che era già fallito prima della guerra e mi posso immaginare in che condizioni economiche si ritroverà alla fine della guerra, poi che cosa gli fanno? La cura da cavallo? Manda la Troika dopo averli fatti entrare, chiedono lacrime e sangue dopo tutto il sangue e le lacrime che hanno versato in questa guerra? Ma di cosa stanno parlando? Ma come possono pensare di far entrare un Paese che ha nell’esercito regolare il battaglione Azov? Lo scopriranno dopo? O se ne accorgono prima?”, ha concluso il giornalista.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/07/travaglio-su-nove-lucraina-nellue-assurdo-la-situazione-economica-e-il-battaglione-azov-nellesercito-lo-impediscono/6581653/

06-05-22, 72° GIORNO DI GUERRA

Mariupol, i parenti dei soldati del battaglione Azov chiusi nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"

Mariupol, i parenti dei soldati del battaglione Azov chiusi nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"

“Basta chiacchiere, è ora di fare qualcosa per salvarli”. Le mogli e le fidanzate, le madri e i fratelli dei soldati del battaglione Azov chiusi nell’acciaieria dell’Azovstal a Mariupol alzano la voce contro il governo Zelensky, accusandolo di non fare abbastanza per risolvere l’assedio che minaccia di ucciderli tutti. “Siamo disperate, forse il nostro governo non vuole parlare di Azov e Mariupol… Stanno cercando di tapparci la bocca e di chiudere l'argomento Mariupol in modo che la gente non parli e si dimentichi della guarnigione militare. Non ci supportano”, dice a Repubblica la sorella di un soldato del battaglione Azov chiuso nell’acciaieria.

Giovedì pomeriggio, per il secondo giorno consecutivo, un gruppo di parenti e amici dei soldati del battaglione Azov ha attraversato le vie del centro di Kiev diretto a piazza Majdan, per protestare e chiedere di salvare i soldati intrappolati nell’acciaieria. Ma se mercoledì la manifestazione si era conclusa pacificamente a Majdan, giovedì le cose sono andate molto peggio. I manifestanti si sono trovati davanti la polizia che li ha dispersi, “prendendo i documenti degli uomini” e fermando alcuni degli organizzatori. La manifestazione non era stata autorizzata, e gli organizzatori si sono difesi dicendo che alcuni non erano stati avvertiti ed erano scesi in piazza comunque.

La motivazione ufficiale per la negata autorizzazione e la successiva repressione è l’esistenza della legge marziale, che rende automaticamente impossibile organizzare qualsiasi protesta. Ma la mossa resta singolare, perché il battaglione Azov in questo momento in Ucraina è al massimo della sua popolarità: la strenua resistenza per la difesa di Mariupol ha trasformato tutti i soldati del più discusso tra i reggimenti della guardia nazionale ucraina in un manipolo di eroi. E allora cosa sta succedendo?

Gli organizzatori della manifestazione vanno oltre: dicono che le loro pagine social e i post in cui parlano di Azov e in sostegno dei soldati del reggimento sono stati cancellati, sono letteralmente “spariti” dalla rete. E la disperazione per non vedere alcuna plausibile soluzione che possa portarli in salvo - al contrario dei civili per i quali almeno un’ipotesi tramite i corridoi verdi è tuttora in piedi - monta in rabbia.

I rapporti difficili tra il governo e il reggimento - figlio del battaglione che ci conquistò pessima fama di crudeltà nella guerra del Donbass, venendo formalmente accusato di crimini contro l’umanità da diverse istituzioni internazionali - sono ben noti. Nei precedenti governi Azov aveva potuto contare su una forte spalla nel governo, e in particolare nel ministero degli Interni. Ma i tempi sono cambiati. Lo stesso presidente Zelensky, che nel 2019 aveva conferito un onore militare al comandante del reggimento Denys Prokopenko, si era visto negare il saluto militare in un segno di spregio che non ha certo dimenticato; neppure quando di fronte alla pressione popolare gli ha conferito, il 19 marzo, il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con l’Ordine della Croce d’Oro.

Un mese fa - mentre andavano avanti complesse trattative sui massimi sistemi con i negoziatori russi fino all’appuntamento decisivo di Istanbul, e intanto Mariupol si sgretolava tra migliaia di civili morti - il vicecomandante del reggimento Sviatoslav Palamar aveva rotto il silenzio con un messaggio video fortemente polemico: “I politici dicono costantemente che ‘li sosteniamo, siamo in costante contatto con loro’, ma per più di due settimane nessuno risponde al telefono e nessuno comunica con noi”.

C’era volta molta diplomazia per rientrare nei ranghi. La protesta sollevava dubbi sulle reali intenzioni del governo di Kiev sulla difesa a oltranza di Mariupol, praticamente impossibile e molto costosa per il numero di vittime che avrebbe comportato. Davvero, ci si domandava, il governo pensava di fare qualcosa per smorzare il dramma che si stava profilando nell’acciaieria? Un contrattacco, come chiedevano i soldati asserragliati? Una trattativa efficace?

La difesa di Mariupol serviva a Kiev per tenere occupati contingenti importanti di soldati russi che si sarebbero riversati altrove, ma era anche un grosso problema negoziale perché non poteva essere militarmente difesa. E una tragedia di proporzioni epocali avrebbe reso impossibile qualsiasi ipotesi di trattativa. Come avrebbe potuto, il governo, accettare qualsiasi minimo compromesso di fronte all’eccidio di una comunità e al sacrificio dei “patrioti” del reggimento Azov e degli altri reduci superstiti, come il 36esimo di marina?Il giorno successivo la risposta non era venuta dal governo né direttamente dal presidente Zelensky. Era arrivata dal generale Valeriy Zaluzhnyi, il capo delle forze armate che gode di grande fiducia tra i militari e di una notevole autonomia rispetto alla politica: in una dichiarazione su Facebook aveva sostenuto che "le comunicazioni con le unità delle forze di difesa che eroicamente resistono nella città sono mantenute stabili, facciamo il possibile e l'impossibile per la vittoria e la protezione delle vite dei militari e dei civili. Abbiate fede nelle forze armate dell'Ucraina". Ora, però, la fede dei familiari è decisamente svanita.

La talpa di Azovstal che consegnò ai russi la mappa del tunnel: così l'Armata Rossa ha deciso l'ultimo assalto a Mariupol

Mosca: ‘Polonia minaccia integrità territoriale di Kiev’. La Cina coopera coi russi sulla tecnologia militare. L’Ucraina ha colpito un’altra fregata di Putin: diretta

 

Mappa della Confederazione POLACCA nel 1701, con i confini identici a quelli del 1733.Come si vede dalla cartina, la Polonia deteneva l'intera Ucraina a ovest del fiume Dnepr ad eccezione dell'oblast di Kiev.

 

Zelensky: “Pace se Mosca torna su posizioni 23/2”

 

L’Ucraina sarebbe disposta ad accettare un accordo di pace di compromesso con la Russia se le forze di Mosca si ritirassero “sulle posizioni del 23 febbraio”. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, intervenendo in video alla Chatham House, think tank britannico con sede a Londra, e lasciando intendere che almeno per ora Kiev non pretenderebbe la restituzione della Crimea, annessa dai russi nel 2014. “Da parte nostra non tutti i ponti diplomatici sono stati bruciati”, ha poi precisato, evitando di avanzare richieste pure su quella parte del Donbass fra Donetsk e Lugansk sottratta a sua volta al controllo di Kiev dal 2014 

 

 

05-05-22,71° GIORNO DI GUERRA

AZOVSTAL SOTTO PESANTE BOMBARDAMENTO

https://video.repubblica.it/dossier/crisi_in_ucraina_la_russia_il_donbass_i_video/ucraina-nuovi-bombardamenti-russi-sull-acciaieria-azovstal-di-mariupol/414854/415788

https://www.repubblica.it/esteri/2022/05/04/news/kharkiv_i_corpi_dei_soldati_russi_esposti_a_formare_una_z-348133245/?ref=RHTP-BL-I347279517-P2-S3-T1

Kiev: “Un elettricista traditore ha fatto entrare i russi ad Azovstal”

 

In un video pubblicato in rete, il consigliere del ministero degli Interni ucraino Anton Gerashchenko ha affermato che i russi sono riusciti a entrare nell’acciaieria Azovstal di Mariupol con l’aiuto di un elettricista che conosceva la pianta dello stabilimento. “Ha mostrato loro i tunnel sotterranei che portano alla fabbrica – ha detto Gerashchenko – e i russi hanno iniziato a prenderli d’assalto usando le informazioni che hanno ricevuto dal traditore”.

 

Azovstal, convoglio Onu per l’evacuazione dei civili. Cremlino annulla le parate del 9 maggio nel Donbass

Kiev, iniziata una controffensiva a Kharkiv e Izium

L'Ucraina ha avviato operazioni di controffensiva nelle aree di Kharkiv e Izium.Lo ha comunicato il comandante delle forze armate di Kiev Valery Zaluzhny in un aggiornamento sul terreno con il generale Mark Milley, capo di stato maggiore americano, secondo quanto riporta Ukrainska Pravda.Zaluzhny ha anche spiegato che i russi stanno concentrando la loro offensiva in direzione di Lugansk, e si segnalano aspri combattimenti a Popasna, Kreminna e Torsky. Ed ha rilevato che i russi hanno ripreso a usare missili da crociera per colpire le rotte delle forniture militari agli ucraini. Quindi, ha ribadito la necessità di nuove armi.

Procuratrice ucraina: “Centinaia di civili e oltre 500 soldati feriti dentro Azovstal”

 

“Durante gli ultimi giorni siamo stati in grado di evacuare circa trecento civili dall’acciaieria Azovstal. Tuttavia ci sono ancora centinaia di civili e oltre cinquecento soldati feriti intrappolati all’interno. A seguito di un altro bombardamento dell’impianto, due donne civili sono state uccise”. Lo ha detto la procuratrice generale dell’Ucraina Iryna Venediktova, intervenendo da remoto alla Conferenza dei procuratori generali del Consiglio d’Europa, in corso oggi e domani a Palermo. “I russi aumentano i loro sforzi per demolire l’impianto, che funge da rifugio per i civili”, ha spiegato. “Ieri hanno fatto irruzione nei tunnel sotterranei dove sono in corso pesanti combattimenti. Si può solo immaginare l’entità delle atrocità nell’antica Mariupol”.

Anche la fidanzata di Putin nella black list delle sanzioni Ue

C’è anche Alina Kabaeva, 39enne ex campionessa di ginnastica ritmica e fidanzata di Vladimir Putin, tra i personaggi vicini al presidente russo candidati ad entrare nella black list Ue che è parte integrante del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. A quanto si è appreso da fonti europee, il nome di Kabaeva è stato aggiunto, insieme a quelli di altri tre personaggi, all’elenco proposto dal Servizio per l’azione esterna (Seae) della Commissione Ue, arrivato così a comprendere 68 persone. Se il documento otterrà l’ok unanime dei 27 Stati membri, per Kabaeva scatteranno il divieto di ingresso nei Paesi membri dell’Unione e il congelamento dei beni da lei detenuti negli stessi Paesi. 

04-05-22, 70° GIORNO DI GUERRA

Mosca: “Nessuna dichiarazione di guerra il 9 maggio”. Mariupol: persi i contatti con i soldati nelle Azovstal.

  • “Violenti combattimenti nelle acciaierie Azovstal”

    “Violenti combattimenti” sono in corso nell’acciaieria Azovstal di Mariupol. Lo ha confermato alla tv ucraina il sindato di Mariupol, Vadym Boichenko, citato dal Guardian.

    “I russi stanno accerchiando Severodonetsk”

    “A Popasna e Rubizhne la gente ha cibo e acqua per una settimana. Accedere alle città è molto complicato. Impossibile portare aiuti umanitari e evacuare le persone. I russi stanno attaccando Voevodivka il villaggio nei pressi di Severodentsk. Cercano di accerchiare e prendere Severodonetsk”. Lo riferisce su Telegram Serhii Haidai governatore regione di Luhansk.

    Mariupol: persi contatti con soldati nelle Azovstal

    Il sindaco di Mariupol, Vadym Boichenko, ha riferito alla tv ucraina che sono stati persi i contatti con i combattenti di Kiev nell’acciaieria Azvostal di Mariupol. Lo riporta il Guardian.

03-05-22,69° GIORNO DI GUERRA

Ucraina, il Papa: ‘Non andrò a Kiev, ma ho chiesto incontro a Putin. La sua ira facilitata dall’abbaiare della Nato alle porte della Russia’.

Papa Francesco non si recherà a Kiev, come ipotizzato nel corso delle settimane scorse, ma ha già chiesto a Vladimir Putin di poterlo incontrare a Mosca. È il Pontefice stesso a rivelarlo in un’intervista rilasciata al direttore del Corriere della SeraLuciano Fontana, aggiungendo che l’azione diplomatica della Santa Sede è iniziata immediatamente dopo lo scoppio del conflitto: “Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono – dice – Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto ‘per favore fermatevi’“.L’azione militare di Mosca, però, è andata avanti senza sosta e così il Papa ha deciso di provare a contattare direttamente il Cremlino. “Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca – aggiunge il Pontefice – Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento”. Un atteggiamento che, sostiene Bergoglio, dimostra la mancanza di volontà del presidente russo di frenare l’avanzata dei suoi uomini, almeno per ora. Un’avanzata che, aggiunge però, può essere legata “all’abbaiare della Nato alle porte della Russia” che ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto: “Un’ira che non so dire se sia stata provocata – aggiunge -, ma facilitata forse sì”.

La verità, sostiene, è che quella ucraina è solo l’ultima goccia di una scia di sangue che dall’inizio degli Anni Duemila ha attraversato molte guerre, tutte alimentate da interessi di Stato: “La Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali – continua – Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio”.

A Francesco viene anche chiesto un parere sull’invio di armi all’Ucraina da parte dei Paesi occidentali, ma su questo dice di non avere una posizione definita, nonostante durante il suo pontificato si sia sempre schierato contro la produzione massiva e il commercio diffuso di mezzi d’armamento: “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano”. E ha colto l’occasione per ricordare le proteste dei portuali di Genova contro le navi cariche di armi passate per la città ligure: “Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto ‘pensiamo ai bambini dello Yemen’. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così”.E poi chiude: “A Kiev per ora non vado. Ho inviato il cardinale Michael Czerny, (prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo umano integrale) e il cardinale Konrad Krajewski, (elemosiniere del Papa) che si è recato lì per la quarta volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. Ha avuto poi anche l’occasione di parlare con il Patriarca della Chiesa Ortodossa russa Kirill che in queste settimane si è contraddistinto per il suo appoggio alla decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina: “Ho parlato con lui 40 minuti. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto ‘di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi’. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”. L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il rapporto con Mario Draghi è buono, è molto buono. È una persona diretta e semplice. Ho ammirato Giorgio Napolitano, che è un grande, e ora ammiro moltissimo Sergio Mattarella. Rispetto tanto Emma Bonino: non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau”.


 

Mariupol, i russi attaccano l'Azovstal.
Sindaco: dispersi 11 bus con civili evacuati. Putin firma decreto: controsanzioni a Paesi ostili | 
Video Incendio nell'acciaieria

Kiev: “Cadaveri con segni di torture a Mykolaiv”. Altri bombardamenti ucraini a Belgorod : CON LE ARTIGLIERIE PESANTI TARGATE NATO L'UCRAINA BOMBARDA KURSK, BELGOROD, BRYANT, PERM, PER SPEZZARE LA LINEA DI RIFORNIMENTO RUSSA.Kiev: bombe su Zaporizhzhia, dove arrivano gli evacuati da Mariupol | Video Incendio nell'acciaieria. Giornata libertà di stampa, l’Italia perde 17 posizioni: “I giornalisti si autocensurano”. Mosca contro Unesco per esclusione da forum.Italia 58esima al World Press Freedom Index, nel 2021 era 41esima ....La Russia schiva (ancora) il default: pagati 650 milioni di dollari di cedole su due eurobond.

Guerra Russia- Ucraina, Kiev: “Individuato l’artefice della strage di Bucha. È il comandante russo Sergey Kolotsey”

L’Ucraina ha identificato il militare russo che sarebbe l’artefice del massacro di civili a Bucha. Secondo quanto riferisce la procuratrice generale ucraina, Iryna Venediktova, dietro quei corpi massacrati, torturati, giustiziati con le mani legate dietro la schiena si nasconde la regia di Sergey Kolotsey, comandante di un’unità della Guardia nazionale russa. Oltre ad aver comandato la carneficina, una delle più gravi finora registrate nel corso dell’intero conflitto ucraino, Kolotsey, bielorusso di origine, è accusato di avere personalmente ucciso quattro uomini disarmati il 18 marzo e di aver torturato un civile il 29.

Le vittime collegate al militare russo sono state trovate con le mani legate dietro la schiena e un cappuccio in testa, “sul corpo anche dei segni di tortura – ha spiegato la procuratrice – Una delle sue vittime è stata anche costretta a confessare attività sovversive contro i russi dopo essere stata picchiata selvaggiamente con un manico di fucile. Ha poi finto di eseguire un’esecuzione puntandogli l’arma sulla tempia per poi sparare un colpo vicino al suo orecchio”.

L’uomo, inoltre, si è reso protagonista anche delle razzie di prodotti dalle case e dai magazzini cittadini, poi inviati in Russia. Sui social sono circolate le sue foto intento ad accaparrarsi diversi oggetti da uno stabilimento.

 

 

 

02-05-22, 68° GIORNO DI GUERRA

Armi pesanti a Kiev, Draghi: ‘Non vogliamo escalation, ma se Ucraina non si difende avrà schiavitù, non la pace. Lealtà non si discute’. Le allucinanti puttanate del "migliore".

Procuratrice generale dell'Ucraina: identificato primo russo sospettato massacro Bucha

Sergey Kolotsey, comandante di un'unità della Guardia nazionale russa, è stato accusato di aver "ucciso quattro uomini disarmati" a Bucha il 18 marzo che "sono stati trovati mani legati dietro la schiena e segni di torture" e di "aver torturato un altro civile il 29 marzo". Lo riferisce il procuratore generale ucraino Iryna Venediktova. "È stato anche stabilito che il militare russo -secondo quanto riferisce l'ufficio del Procuratore generale su Telegram - ha costretto un'altra vittima a confessare attività sovversive contro l'esercito russo. Per fare questo, ha picchiato l'uomo in particolare con il manico del fucile. Fingendo un'esecuzione ha sparato vicino all'orecchio di un civile disarmato. Sono in corso verifiche per stabilire se è responsabile di altri crimini".

Karaganov, consigliere di Putin: “È una guerra esistenziale con l’Occidente. Colpire obiettivi in Europa? È possibile, se va avanti così”.

Ammette che il suo Paese ha colpito per primo, ma lo ha fatto “prima che la minaccia (ucraina, ndr) diventasse ancora più letale”. Una “guerra esistenziale” che per l’autore della ‘dottrina Putin‘ ha provocato – e tuttora provoca – non solo morti, ma la perdita della “superiorità morale” dei russi: “Ora siamo sullo stesso terreno dell’Occidente. L’Occidente ha scatenato diverse aggressioni. Ora siamo sullo stesso terreno morale. Ora siamo uguali, stiamo facendo più o meno come voi“. Inutile far riferimento ai tentativi diplomatici che avrebbero potuto far desistere la Russia dall’invadere il paese confinante: “Dagli occidentali abbiamo avuto promesse di tutti i tipi in questi trent’anni. Ma ci hanno mentito o le hanno dimenticate”.L’unico grande errore commesso dalla Russia, nella visione di Karaganov, fu accettare nel 1997 il ‘Founding Treaty‘ sulle relazioni Russia-Nato, che prevedeva l’allargamento dell’Alleanza Atlantica. “Firmammo perché eravamo disperatamente poveri, al collasso – afferma – ma questo allargamento è quello di un’alleanza aggressiva. È un cancro e noi volevamo fermare questa metastasi. Dobbiamo farlo, con un’operazione chirurgica”.A suo avviso, “le uccisioni di massa in Kosovo (contro i serbi, ndr) sono avvenuti dopo lo stupro della Serbia. Fu un’aggressione indicibile. E il processo a Milosevic è stato un triste e umiliante spettacolo di meschinità europea“. Oltretutto, il dittatore serbo fu giudicato dal Tribunale penale internazionale, il cui diritto non è riconosciuto dalla Russia, come l’ordine europeo emerso dopo la caduta del muro di Berlino: “Non dobbiamo riconoscere un ordine costruito contro la Russia. Abbiamo cercato di integrarci, ma era una Versailles 2.0. Dovevamo distruggere quest’ordine. Non con la forza, ma attraverso una distruzione costruttiva rifiutando di parteciparvi. Ma quando la nostra ultima richiesta di fermare la Nato è stata respinta, si è deciso di usare la forza”.Sull’obiettivo della guerra in Ucraina, il capo del Consiglio di politica estera e della difesa ha le idee chiare: “La maggior parte delle istituzioni sono, secondo noi, unilaterali e illegittime. Minacciano la Russia e l’Europa orientale. Noi volevamo una pace giusta, ma l’avidità e la stupidità degli americani e la miopia degli europei ci hanno rivelato che questi attori non la vogliono. Dobbiamo correggere i loro errori“. Ascoltando le sue parole, la possibilità che il conflitto possa allargarsi e coinvolgere anche altri Paesi non è da escludere del tutto, perché “se va avanti così, gli obiettivi in Europa potrebbero essere colpiti o lo saranno per interrompere le linee di comunicazione”.Un’ipotesi, quest’ultima, che non considera i recenti fallimenti dell’esercito russo, come il ritiro delle truppe dalla capitale ucraina. “E se l’operazione su Kiev avesse lo scopo di distrarre le forze ucraine dal teatro principale a sud e sud-est? – domanda retoricamente – Tra l’altro le truppe russe sono state molto attente a non colpire obiettivi civili, abbiamo usato solo il 30-35% delle armi”. I massacri avvenuti negli scorsi giorni e documentati dai media internazionali non fanno testo, nella visione di Mosca: “La storia di Bucha è una messinscena, una provocazione”.Karagarov ignora le prove. Ma ignora anche le risorse e le persone perse in 44 giorni di guerra: i russi sono “pronti a sacrificare tutto ciò per costruire un sistema internazionale più vitale. Vogliamo costruire un sistema internazionale più giusto e sostenibile. Diverso da quello emerso dopo il crollo dell’Unione Sovietica e che, a sua volta, ora sta crollando. Ora ci stiamo tutti fondendo nel caos. Vorremmo costruire la Fortezza Russia per difenderci da questo caos, anche se per questo diventeremo più poveri”. Per evitare tutto ciò, per ottenere un cessate il fuoco, “l’Ucraina deve diventare neutrale e completamente demilitarizzata: niente armi pesanti, qualsiasi parte dell’Ucraina rimanga. Ciò dovrebbe essere garantito da potenze esterne, compresa la Russia, e nessuna esercitazione militare dovrebbe aver luogo nel paese se uno dei garanti è contrario. L’Ucraina dovrebbe essere un cuscinetto pacifico”.Per Sergej Karaganov, ex consigliere di Putin, quella in Ucraina è una guerra contro l’Occidente. Intervistato dal Corriere della Sera, il capo del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca ha spiegato che il conflitto era a suo avviso inevitabile perché l’Ucraina “è stata riempita di armi e le sue truppe sono state addestrate dalla Nato, il loro esercito è diventato sempre più forte”. Inoltre, stando alle sue parole, c’è stato “un rapido aumento del sentimento neonazista in quel Paese. L’Ucraina stava diventando come la Germania intorno al 1936-‘37“. La versione di uno degli uomini più ascoltati da Putin è quella che Mosca continua a propagandare dall’inizio del conflitto, da un lato negando massacri e dall’altro addossando alla Nato le mosse che hanno portato all’invasione dell’Ucraina.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/07/travaglio-su-nove-lucraina-nellue-assurdo-la-situazione-economica-e-il-battaglione-azov-nellesercito-lo-impediscono/6581653/

06-05-22, 72° GIORNO DI GUERRA

Mariupol, i parenti dei soldati del battaglione Azov chiusi nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"

Mariupol, i parenti dei soldati del battaglione Azov chiusi nell'acciaieria: "Il governo ci tappa la bocca"

“Basta chiacchiere, è ora di fare qualcosa per salvarli”. Le mogli e le fidanzate, le madri e i fratelli dei soldati del battaglione Azov chiusi nell’acciaieria dell’Azovstal a Mariupol alzano la voce contro il governo Zelensky, accusandolo di non fare abbastanza per risolvere l’assedio che minaccia di ucciderli tutti. “Siamo disperate, forse il nostro governo non vuole parlare di Azov e Mariupol… Stanno cercando di tapparci la bocca e di chiudere l'argomento Mariupol in modo che la gente non parli e si dimentichi della guarnigione militare. Non ci supportano”, dice a Repubblica la sorella di un soldato del battaglione Azov chiuso nell’acciaieria.

Giovedì pomeriggio, per il secondo giorno consecutivo, un gruppo di parenti e amici dei soldati del battaglione Azov ha attraversato le vie del centro di Kiev diretto a piazza Majdan, per protestare e chiedere di salvare i soldati intrappolati nell’acciaieria. Ma se mercoledì la manifestazione si era conclusa pacificamente a Majdan, giovedì le cose sono andate molto peggio. I manifestanti si sono trovati davanti la polizia che li ha dispersi, “prendendo i documenti degli uomini” e fermando alcuni degli organizzatori. La manifestazione non era stata autorizzata, e gli organizzatori si sono difesi dicendo che alcuni non erano stati avvertiti ed erano scesi in piazza comunque.

La motivazione ufficiale per la negata autorizzazione e la successiva repressione è l’esistenza della legge marziale, che rende automaticamente impossibile organizzare qualsiasi protesta. Ma la mossa resta singolare, perché il battaglione Azov in questo momento in Ucraina è al massimo della sua popolarità: la strenua resistenza per la difesa di Mariupol ha trasformato tutti i soldati del più discusso tra i reggimenti della guardia nazionale ucraina in un manipolo di eroi. E allora cosa sta succedendo?

Gli organizzatori della manifestazione vanno oltre: dicono che le loro pagine social e i post in cui parlano di Azov e in sostegno dei soldati del reggimento sono stati cancellati, sono letteralmente “spariti” dalla rete. E la disperazione per non vedere alcuna plausibile soluzione che possa portarli in salvo - al contrario dei civili per i quali almeno un’ipotesi tramite i corridoi verdi è tuttora in piedi - monta in rabbia.

I rapporti difficili tra il governo e il reggimento - figlio del battaglione che ci conquistò pessima fama di crudeltà nella guerra del Donbass, venendo formalmente accusato di crimini contro l’umanità da diverse istituzioni internazionali - sono ben noti. Nei precedenti governi Azov aveva potuto contare su una forte spalla nel governo, e in particolare nel ministero degli Interni. Ma i tempi sono cambiati. Lo stesso presidente Zelensky, che nel 2019 aveva conferito un onore militare al comandante del reggimento Denys Prokopenko, si era visto negare il saluto militare in un segno di spregio che non ha certo dimenticato; neppure quando di fronte alla pressione popolare gli ha conferito, il 19 marzo, il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con l’Ordine della Croce d’Oro.

Un mese fa - mentre andavano avanti complesse trattative sui massimi sistemi con i negoziatori russi fino all’appuntamento decisivo di Istanbul, e intanto Mariupol si sgretolava tra migliaia di civili morti - il vicecomandante del reggimento Sviatoslav Palamar aveva rotto il silenzio con un messaggio video fortemente polemico: “I politici dicono costantemente che ‘li sosteniamo, siamo in costante contatto con loro’, ma per più di due settimane nessuno risponde al telefono e nessuno comunica con noi”.

C’era volta molta diplomazia per rientrare nei ranghi. La protesta sollevava dubbi sulle reali intenzioni del governo di Kiev sulla difesa a oltranza di Mariupol, praticamente impossibile e molto costosa per il numero di vittime che avrebbe comportato. Davvero, ci si domandava, il governo pensava di fare qualcosa per smorzare il dramma che si stava profilando nell’acciaieria? Un contrattacco, come chiedevano i soldati asserragliati? Una trattativa efficace?

La difesa di Mariupol serviva a Kiev per tenere occupati contingenti importanti di soldati russi che si sarebbero riversati altrove, ma era anche un grosso problema negoziale perché non poteva essere militarmente difesa. E una tragedia di proporzioni epocali avrebbe reso impossibile qualsiasi ipotesi di trattativa. Come avrebbe potuto, il governo, accettare qualsiasi minimo compromesso di fronte all’eccidio di una comunità e al sacrificio dei “patrioti” del reggimento Azov e degli altri reduci superstiti, come il 36esimo di marina?Il giorno successivo la risposta non era venuta dal governo né direttamente dal presidente Zelensky. Era arrivata dal generale Valeriy Zaluzhnyi, il capo delle forze armate che gode di grande fiducia tra i militari e di una notevole autonomia rispetto alla politica: in una dichiarazione su Facebook aveva sostenuto che "le comunicazioni con le unità delle forze di difesa che eroicamente resistono nella città sono mantenute stabili, facciamo il possibile e l'impossibile per la vittoria e la protezione delle vite dei militari e dei civili. Abbiate fede nelle forze armate dell'Ucraina". Ora, però, la fede dei familiari è decisamente svanita.

La talpa di Azovstal che consegnò ai russi la mappa del tunnel: così l'Armata Rossa ha deciso l'ultimo assalto a Mariupol

Mosca: ‘Polonia minaccia integrità territoriale di Kiev’. La Cina coopera coi russi sulla tecnologia militare. L’Ucraina ha colpito un’altra fregata di Putin: diretta

 

Mappa della Confederazione POLACCA nel 1701, con i confini identici a quelli del 1733.Come si vede dalla cartina, la Polonia deteneva l'intera Ucraina a ovest del fiume Dnepr ad eccezione dell'oblast di Kiev.

 

Zelensky: “Pace se Mosca torna su posizioni 23/2”

 

L’Ucraina sarebbe disposta ad accettare un accordo di pace di compromesso con la Russia se le forze di Mosca si ritirassero “sulle posizioni del 23 febbraio”. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, intervenendo in video alla Chatham House, think tank britannico con sede a Londra, e lasciando intendere che almeno per ora Kiev non pretenderebbe la restituzione della Crimea, annessa dai russi nel 2014. “Da parte nostra non tutti i ponti diplomatici sono stati bruciati”, ha poi precisato, evitando di avanzare richieste pure su quella parte del Donbass fra Donetsk e Lugansk sottratta a sua volta al controllo di Kiev dal 2014 

 

 

Fascisti, tardo-sovietici e neo maoisti: in Italia il rave del pensiero "critico" che ha sulle scatole la democrazia

 

29-04-22 , 65°GIORNO DI GUERRA

 

Fascisti, tardo-sovietici e neo maoisti: in Italia il rave del pensiero "critico" che ha sulle scatole la democrazia

 

29-04-22 , 65°GIORNO DI GUERRA

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Guerra Russia-Ucraina, il buco delle sanzioni: triangolazioni con il Kazakistan per aggirare il divieto di export al lusso made in Italy

https://video.repubblica.it/metropolis/metropolis81-ucraina-l-inviato-nel-donbass-ecco-perche-la-resistenza-di-kiev-e-in-difficolta/414365/415297?ref=vd-auto&cnt=1 : FRONTE DI KRAMATORSK

Triangolazioni attraverso il Kazakistan per far arrivare prodotti di lusso in Russia, nonostante le sanzioni occidentali. La voce gira da settimane negli ambienti della moda e da lì, attraverso segnalazioni anonime è arrivata fino all’attenzione del Copasir cui spetterà l’indagine e la verifica. Che la cosa avvenga lo conferma a ilfattoquotidiano.it una fonte che chiede di rimanere anonima. In sostanza, anziché spedire direttamente a un importatore di Mosca, la via per aggirare le norme approvate dall’Unione europea dopo l’invasione dell’Ucraina prevede il coinvolgimento di un soggetto con partita Iva del Paese ex sovietico che proprio con la Russia confina. Da lì la merce potrà arrivare in una boutique di Mosca o San Pietroburgo per soddisfare i desideri delle classi dirigenti e alta borghesia russe, proprio quelle che le sanzioni sul lusso vorrebbero colpire. Del resto chi oggi fa partire una spedizione per il Kazakistan non ha più incombenze del solito, oltre alla compilazione di un modulo da consegnare al trasportatore in cui in sostanza dichiara che “la merce è autorizzata per esportazione, transito e importazione in accordo con le regole Ue”, dunque non è sotto sanzioni, e che “destinazione e utilizzo finale sono in Kazakistan”.

“Annessione e Stati amici”, il piano del Cremlino per smembrare l’Ucraina

A maggio i referendum per unire Donetsk e Lugansk a Mosca. Verrebbe inglobata anche Mariupol. Consultazione per l’indipendenza nella città occupata di Kherson. Nel mirino pure la Transnistria

Kiev prepara per oggi l'evacuazione dei civili da Azovstal. Mosca conferma raid su Kiev. Bombe su checkpoint in Russia.

“I russi hanno chiuso un’area di Mariupol per assaltare Azovstal”

Le forze russe hanno chiuso un’area di Mariupol in vista di un altro possibile tentativo di prendere d’assalto l’acciaieria Azovstal, il complesso in cui è asserragliata la resistenza ucraina. Lo ha riferito Petro Andrushchenko, consigliere del sindaco della città. “Per ora, gli occupanti hanno chiuso nuovamente la piazza del distretto della Rive Gauche dal Parco Veselka, a nord dell’acciaieria. Ciò potrebbe essere dovuto a un altro tentativo di prendere d’assalto Azovstal oppure a scontri di strada”.

 

28-04-22, 64° GIORNO DI GUERRA

Missili su Kiev durante incontro Zelensky-Guterres (Onu). Colpita anche Odessa. Usa: i russi via da Mariupol verso Zaporizhzhia. Ok Copasir a segreto su armi

 

 

Dalla Libia all'Ucraina, Putin invia altri 200 mercenari della Wagner contro Kiev. Dopo avere lasciato la nazione africana sono stati riassegnati al fronte ucraino per rinforzare le forze russe in difficoltà. E altri 1.000 militari siriani, schierati dal Cremlino in appoggio ai mercenari in terra libica, sarebbero pronti a unirsi a loro.

 

Mariupol ancora sotto attacco anche dopo lo stop ordinato da Putin: un tank russo continua a sparare sotto i bombardamenti

A Mariupol continuano i bombardamenti nonostante l'ordine di accerchiare ma non assaltare l'impianto siderurgico emanato in diretta tv dal presidente Vladimir Putin. Il consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andryushchenko, ha denunciato in un video l'uso delle forze da parte dei militari di Mosca. Il filmato pubblicato sul profilo Telegram del Center for Strategic Communications and Information Security mostra un tank russo contrassegnato con una "V". "Tali mezzi sono apparsi in città solo dopo l '"ordine" di Putin di fermare l'assalto ad Azovstal", ha dichiarato Andryushchenko. Le immagini satellitari scattate mercoledì 27 aprile da Planet Labs PBC e analizzate dall'Associated Press mostrano che gli attacchi russi si sono intensificati nell'acciaieria Azovstal di Mariupol. Dalle foto si vede che attacchi concentrati hanno gravemente danneggiato una struttura centrale. Si stima che circa 1.000 civili siano nell'acciaieria insieme a circa 2.000 combattenti ucraini.

https://video.repubblica.it/dossier/crisi_in_ucraina_la_russia_il_donbass_i_video/mariupol-ancora-sotto-attacco-anche-dopo-lo-stop-ordinato-da-putin-un-tank-russo-continua-a-sparare-sotto-i-bombardamenti/414325/415257?ref=RHTP-BS-I339021822-P7-S1-T1

 

 

27-04-22, 63° GIORNO DI GUERRA

Putin: risposta a minacce con mezzi finora inutilizzati. A cosa si riferisce? Il Sarmat e le altri armi | Scheda. “Feriti due americani volontari con l’esercito ucraino”.Il capo del Cremlino: fallito il piano per strangolarci economicamente. Esplosioni in un deposito di armi in territorio russo. Il Regno Unito valuta invio di jet agli alleati dell’Est Europa per girare caccia a Kiev. Colloquio Zelensky-Draghi, il premier negli Usa da Biden il 10 maggio. Guterres in Ucraina | ORA PER ORA

In un videomessaggio il comandante della 36esima brigata delle forze navali ucraine spiega che la situazione nello stabilimento Azovstal è “molto difficile“. “Nel nostro gruppo ci sono più di 600 soldati feriti con diversi livelli di gravità – – afferma Volynsky – Hanno un estremo bisogno di assistenza medica”. “Abbiamo anche dei civili qui con noi, ce ne sono centinaia, decine di bambini, molte persone con disabilità, anziani. I civili muoiono qui insieme a noi nel bunker”.

 

La Russia: stop gas a chi non paga in rubli. L’Ue ribatte: “La risposta sarà immediata”. Mosca impugna una pistola scarica? | I numeri

Eni in procinto di aprire un conto presso Gazprombank per i pagamenti in rubli del gas russo

I macellai di Bucha sacrificati al fronte. “Putin vuole far sparire i testimoni”

La 64esima brigata responsabile dei massacri e premiata da Mosca assedia gli ucraini a Kharkiv

Il numero 2 di Gazprombank fugge da Mosca: ‘Sto con Kiev. Suicidio di Avaev? Messinscena’. I dubbi sul delitto (simile) di un altro manager

Onu, arriva un limite al potere di veto: la decisione storica accolta fra gli applausi

 

26-04-22, 62° GIORNO DI GUERRA:

Un nuovo attacco nella Transnistria filorussa. Li Gobbi: ‘Avanzata a ovest e vertice a Ramstein minano le trattative e alimentano escalation’. La vita sospesa nella Kharkiv semi-distrutta. Nei negozi chiusi si distribuiscono beni a chi è rimasto. Mosca ferma forniture di gas alla Polonia: i prezzi volano. Berlino: “Vicini a indipendenza dal petrolio”.La Germania pronta a inviare a Kiev 50 carri armati Gepard. Così Scholz cede alle pressioni Usa e interne.

 

22 aprile, 58° giorno di guerra

Ucraina, l’ordine è: difendere la democrazia con le armi, censurando le opinioni (anche il Papa).

Se nel 1968 la rivoluzione giovanile sognava “la fantasia al potere”, nel 2022, a guerra d’Ucraina in corso, tra civili ammazzati a gogò, regna il cinismo dei governi e della stampa asservita che fingono di difendere l’Ucraina, mentre usano la ‘scusa’ della guerra per uccidere i principi e i valori ‘liberali’ tanto strombazzati, ma che per ‘lorsignori’ sono inutili orpelli. È la democrazia ologramma. Costoro mischiano i loro interessi con quelli di Putin, mentre fanno finta di difendere l’Ucraina, inviando armi obsolete delle “pulizie di Pasqua” dei loro magazzini che devono essere aggiornati. Lo dimostra l’aumento del 2% del Pil in armamenti di “ogni singolo Paese”, alla faccia della maschera dell’Europa unita.

Le armi sono come il maiale: non si butta via nulla. Se non servono, si spediscono alle Ucraine di turno, facendosi anche “difensori di civiltà”, come il bue (Biden) che dà del cornuto all’asino (Putin). Granitici custodi dei “valori occidentali”, ma guai a compromettersi con la nobile scusa di “scatenare la guerra nucleare” (traduzione: purché lontana da noi).

È bastato che il papa, in tempo reale, dicesse di vergognarsi di quei Paesi che hanno deciso l’aumento del 2% del Pil, definendoli “pazzi”, ed ecco scattare la regola dei riflessi condizionati alla Pavlov: censura immediata del papa da parte di tutti gli atei devoti che vorrebbero un papa sacrestano, e silente, pronti ad accusarlo dopo perché non ha aperto bocca. Il Tg1 (!) e tutto il cucuzzaro televisivo e stampato, arruolato al grido di Deus ‘el volt, lo accusano accusarlo pubblicamente di disfattismo con la mannaia della ‘libera’ (sic!) stampa: il papa non è dei nostri. È sufficiente che un analista di professione, il Prof. Alessandro Orsini, che, oltre ad insegnare da cattedra, va bene quando scrive sulle riviste specializzate (riservate agli addetti competenti!), ma è terribile se parla al grande pubblico e dice che inviare armi alla Ucraina è prolungare la guerra e il martirio: così egli offre sponda all’aggressore, con cui, finisca come finisca, bisogna pour trattare. La democrazia è servita, anche con le mèches.Gli armaioli sono democratici finché la democrazia non ostacola il florido mercato delle armi, diversamente la democrazia è sbagliata e bisogna ‘riconvertirla’ ai sacri interessi dell’occidente che, pur avendo fatto cose peggiori di Putin, è buono, a prescindere. La Nato è un santuario di devoti che organizza pellegrinaggi ai confini di Stati da soggiogare, fa esercitazioni per intimorire la Russia e colleziona Paesi, allargandosi quasi del doppio, anche dopo avere esaurito il proprio compito, essendo scomparso il comunismo sovietico. Motivo? Il suo vero obiettivo è sempre stato quello di ‘smembrare’ la Russia e riportarla al sec. XVI, quando esistevano tante Russie e tante tribù. È la pax americana, di cui l’inesistente Europa è il chierichetto turiferario e porta candelieri. Portatori sani di immensa menzogna. Nella liturgia cattolica, quella candela che il chierichetto porta dietro al celebrante, residuo di un tempo senza elettricità, ironia della sorte, si chiama bugia. La liturgia dell’occidente è figlia di una bugia che, a sua volta, è madre prolifica di bugie ammantate di ideali inesistenti.

Gandhi liberò l’India dal dominio dell’Impero britannico, mezzo nudo, offrendo sé e il suo popolo al massacro, sì, sfidando i carri armati e i soldati armati fino ai denti di S.M. Britannica a petto nudo. Vinse lui non le armi. Tutta la Commissione e tutto il Parlamento Europeo e tutti i Parlamentari d’Europa che, stando in piedi, inneggiavano Zelensky, avrebbero dovuto andare in Ucraina con i loro corpi e con tutto il Popolo ucraino e i pellegrini di tutto il mondo scendere per le strade ucraine e sfidare Putin a sparare sulle folle e sui simboli dell’Europa, mai nata, e restare lì a fare resistenza attiva e disarmata fino al mare di Azov, coperto da un mare umano, respingendo armati e carri armati oltre i confini dell’Ucraina: Putin e la sua ferraglia sarebbero stati sconfitti.

L’aumento del 2% di Pil era stato previsto nel 2014, ma ora l’occasione ucraina è una manna del cielo per realizzarla senza batter ciglio. Ah, la memoria! Infatti, su proposta della Lega (fonte: Mil.Ex, Osservatorio), sottoscritta da PD, FI, IV, M5S, il Parlamento ha presentato un odg che impegna il governo all’aumento (16-03-2022). Presenti 421: sì 391; no 19. Ora prepariamoci ai tagli sulla spesa sociale, sulla scuola, sulla sanità, sugli aiuti ai non abbienti, sugli aiuti all’estero, perché sono sempre i poveri che pagano la guerra e la pace a beneficio degli armaioli che scelgono la guerra e i loro profitti. Al tepore del gas russo-americano, godiamoci il salotto buono nelle comode pantofole. Ipocriti, almeno taceste!

 

LA BUNDESBANK – Stop a gas russo costerebbe 180 miliardi a Berlino.

“Non saremo cobelligeranti”. “No escalation”. Francia e Germania si smarcano da Usa e Nato.

Kiev: ‘Mosca rifiuta la tregua per la Pasqua ortodossa’. La presa di Mariupol è la svolta per Putin? Le analisi di 4 generali. ‘Ora l’Europa si smarchi dagli Stati Uniti’. Kiev, 1000 corpi di civili negli obitori. Il sindaco di Mariupol: ‘Fosse comuni’ (leggi)Intanto su media Bielorussi esce la notizia dell’ammissione da parte di Mosca di 20mila morti tra i soldati (ora per ora). Quattro militari spiegano l’importanza della battaglia per la città martire.

La striscia di suicidi anomali tra i top manager russi: quei quattro morti che si erano arricchiti col gas

In Finlandia leva obbligatoria e riservisti: Helsinki investe due miliardi per potenziare la Difesa

Macron in vista del ballottaggio presidenziale e con la paura della rimonta della Le Pen: “L’Europa parli con Putin o saranno Cina e India a costruire la pace. I due pericoli sono nucleare e cobelligeranza occidentale”

PROPAGANDA

Le truppe cecene di Kadyrov esultano per la presa di Mariupol

L'agguato notturno dei commandos alla coppia di ucraini

"Mamma, sul ponte sono morti tutti". La verità del marinaio sulla fine del Moskva

 

21 aprile, 57° giorno di guerra: Il presidente russo ha fermato improvvisamente l'offensiva finale sull'impianto nella città costiera ormai quasi totalmente conquistata. Al suo interno rimangono 2.500 tra membri del battaglione Azov, della 36esima brigata e volontari stranieri, ma anche centinaia di civili che non hanno abbandonato la struttura nel corso delle ultime evacuazioni programmate: resta da capire se volontariamente o no. “Bloccate l’acciaieria Azovstal in modo che non possa passare una mosca“. Con una sola frase rivolta al suo ministro della Difesa, Sergej Shoigu, Vladimir Putin ha probabilmente sintetizzato quella che al momento è la strategia che ha in mente per espugnare l’ultimo avamposto delle forze ucraine nella Mariupol già “liberata” dai militari russi, al termine di un assedio che va avanti ormai da settimane. Nessuno spreco di forze o di vite nelle proprie truppe, ma soprattutto nessun massacro di civili: gli 11 chilometri quadrati dell’impianto verranno sigillati, nel tentativo di stanare gli avversari provati da giorni di combattimenti, dalla fame e dalla sete. Ma anche per convincere le centinaia di civili che si calcola siano presenti all’interno a lasciare la struttura, o quantomeno a ribellarsi alle forze ucraine nel caso in cui vengano usati come scudi umani, così da poter sferrare l’attacco finale ai circa 2.500 tra membri del battaglione Azov, membri della 36esima brigata volontari stranieri senza rischiare un massacro tra la popolazione locale.

Guerra Russia-Ucraina, Kiev: “Il leader ceceno Kadyrov aveva ricevuto un piano per uccidere Zelensky”. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha ricevuto un piano per assassinare il presidente ucraino Zelensky il 3 febbraio durante un incontro con il presidente russo Vladimir Putin. Lo ha detto il segretario del Consiglio nazionale di Sicurezza e difesa ucraino Oleksiy Danilov, parlando ad una radio ucraina, secondo quanto riporta l’agenzia Ukrinform. Secondo Danilov, il piano per eliminare il presidente ucraino era stato concordato in quella riunione e Kadyrov si era impegnato perché la propria unità cecena completasse la missione. L’intelligence di Kiev sta verificando. “Abbiamo monitorato tutti e tre i gruppi. Uno di loro è stato eliminato dai nostri militari. Due in seguito hanno lasciato il nostro paese. Uno ora si trova nella regione di Donetsk, l’altro nella città di Mariupol, ma non sono in prima linea”, ha precisato Danilov.

La Russia all’assalto dell’oro del Sudan e così con le ricchezze dell’Africa finanzia la guerra in Ucraina

L’attenzione della Russia alla conquista dell’Africa non poteva mica scordarsi di passare attraverso il Sudan, un Paese ricco e ancora largamente inesplorato. Le materie prime presenti nell’ex possedimento anglo egiziano sono notevoli ma qualcosa di facilmente sfruttabile e immediatamente fruibile deve aver attratto le attenzioni del Cremlino: l’oro.

Il nuovo legame tra Russia e Sudan si è manifestato chiaramente con l’astensione di Khartoum nel voto di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. La mozione approvata da 141 Paesi ha avuto 5 voi contrari (tra cui quello dell’ineffabile Eritrea) e 35 astensioni, appunto.

Un’astensione prevedibile dopo la recente visita a Mosca di una delegazione sudanese, capeggiata dal vicepresidente del Sudan, il tagliagole Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemetti, in passato uno dei capi dei janjaweed, i tristemente noti diavoli a cavallo (come li chiamava la popolazione) che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi

Dagalo, che è anche a capo delle Rapid Support Forces (RSF), il nuovo nome con cui di sono riciclati i janjaweed, ha incontrato anche il viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin il 26 febbraio scorso, due giorni dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Durante i colloqui le due parti hanno concordato di incrementare la cooperazione militare. Finora non è trapelato nulla sull’accordo della costruzione della base navale russa a Port Sudan. Il governo di transizione ha comunque preso l’impegno di riesaminare la questione quanto prima.

Il vicepresidente sudanese ha avuto anche colloqui con il vice-primo ministro Alexander Novak. Le parti sono interessate a sviluppare la cooperazione in diversi settori, tra questi quello minerario e petrolifero, nonché nella costruzione di infrastrutture elettriche e l’uso pacifico dell’energia nucleare.

Ovviamente non poteva mancare un faccia a faccia con il potente ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Viktorovič Lavrov, che, secondo un comunicato rilasciato dal governo di transizione di Khartoum, ha detto che la Russia segue da vicino gli sviluppi in Sudan, e ha aggiunto di essere convinto che i sudanesi sapranno risolvere i loro attuali problemi, sottolineando “nessuna interferenza da parte di Mosca”.

Cameron Hudson, un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed esperto del Sudan presso l’Atlantic Council’s Africa Center, ritiene che la giunta di transizione spera chiaramente di ottenere, grazie alla la visita di Hemetti, il sostegno finanziario della Russia per sollevare l’economia deficitaria del Paese; potrebbe servire come una minaccia per l’Occidente, a meno che non riprenda i prestiti e trattenga le sanzioni, i militari al potere non esiteranno certamente di calarsi totalmente nell’orbita russa.

Come se non lo fosse già. Da anni sono presenti i mercenari russi del gruppo Wagner nel Paese, molto attivi già ai tempi dell’ex dittatore Omar al Bashir. Gerrit Kurtz, ricercatore del German Institute for International and Security Affairs, ha rivelato a al-Monitor, giornale on line, fondato dall’imprenditore arabo-americano Jamal Daniel, con base a Washinton DC, USA, che, in particolare Hemetti e le RSF hanno già beneficiato in passato dell’appoggio di Mosca, compresi contratti sull’estrazione mineraria, supporto nell’ambito delle comunicazioni e della sicurezza.

Non va dimenticato che il Sudan è ricco in giacimenti auriferi, eppure è una delle nazioni più povere al mondo. Per la maggior parte l’oro viene estratto in miniere a conduzione artigianale che mette in grave pericolo i minatori. Basti pensare che a dicembre sono morte oltre 30 persone nel West-Kordofan, in Darfur, in un giacimento che ufficialmente risultava chiuso.

Ma le autorità di Khartoum, in particolare il ministero delle Miniere, non si preoccupano più di tanto a far rispettare le leggi, come per esempio quella che vieta ai minatori artigianali di scavare oltre una certa profondità. Sta di fatto oltre l’80 per cento dell’oro estratto nel Paese proviene da questi siti informali, strettamente controllati dai militari e dove lavorano oltre 2 milioni di persone per un misero tozzo di pane.

Il numero due delle autorità di transizione ha interessi sostanziali nel settore. La sua azienda di famiglia, Al Gunade, è nell’estrazione e nel commercio dell’oro. Secondo documenti visti dalla ONG Global Witness, il Sudan esporta ogni anno 16 miliardi di dollari d’oro negli Emirati Arabi.

Anche i russi hanno ottenuto molte licenze, sembra che in un solo giorno l’ex dittatore Al Bashir ne abbia rilasciate 50, senza effettuare i dovuti controlli sulle compagnie russe, alcune delle quali senza esperienza nel settore.

E, secondo un’inchiesta di The Telegraph, la Russia avrebbe contrabbandato centinaia di tonnellate di oro dal Sudan negli ultimi anni.

Dal 2010 il Cremlino ha più che quadruplicato la quantità di oro detenuto nella Banca centrale, creando così un “forziere di guerra” attraverso un mix di importazioni dall’estero e vaste riserve d’oro interne come terzo produttore mondiale del prezioso metallo.

Sempre in base a The Telehraph, anche se le statistiche ufficiali non evidenziano esportazioni importanti di oro verso la Russia, un dirigente, che ha voluto mantenere l’anonimato, di una delle più grandi compagnie aurifere sudanesi ha detto al quotidiano inglese che il Cremlino è il più grande attore straniero nell’enorme settore minerario del Paese.

 20 Aprile 2022, inizia la SECONDA OFFENSIVA RUSSA in Ucraina, il 2 Aprile si era conclusa la PRIMA OFFENSIVA RUSSA incentrata su Kiev e risoltasi in un disastro.

11 aprile, 47° giorno di guerra.I separatisti filo-russi: “Preso il porto di Mariupol”. Borrell: “Servono più armi che .l’embargo su energia”. Il cancelliere austriaco da Putin: “Colloquio duro”.

MIFED: il mercato internazionale del cinema e del multimediale,

Copertina di Irlanda del Nord, i nazionalisti del Sinn Féin superano per la prima volta gli unionisti in Parlamento

Francia, Macron rieletto col 58% di voti. Le Pen al 41: estrema destra mai così forte dal 1958. Mélenchon: “Un oceano di astensionismo”.Una vittoria annuncia, ma mai così faticosa e in una Francia mai così spaccataEmmanuel Macron è stato rieletto presidente in Francia con il 58,54% dei consensi: è il terzo dopo Mitterrand e Chirac a ottenere un secondo mandato e a restare all’Eliseo. Ha vinto in un momento storico di grande instabilità, nonostante le grandi divisioni che non è riuscito a sanare nel Paese e sotto gli occhi di una dirigenza europea terrorizzata dall’ipotesi di una sconfitta. A non farcela invece, è stata Marine Le Pen. Ha perso, proprio come cinque anni fa, ma questa volta si è presentata sorridente davanti ai suoi: l’estrema destra ha ottenuto il 41,46% dei consensi13 milioni di voti e un risultato che nella Quinta repubblica, ovvero dal 1958, mai era stato così alto. “Per noi è un’eclatante vittoria”, ha proclamato. E nessuno può davvero smentirla. Macron, poco dopo, davanti ai sostenitori riuniti sotto la Torre Eiffel ha annunciato l’inizio di una nuova era, ma prima di tutto ha dovuto riconoscere quella parte di Paese che non l’ha voluto: “Dovrò rispondere alla rabbia”, ha detto.Al di là delle promesse, ora per i partiti francesi il pensiero è già alle elezioni legislative dei prossimi 12-19 giugno: perché con un Paese così spezzettato, è possibile pensare alla coabitazione, ovvero a una maggioranza in Parlamento che non sia di diretta emanazione del presidente della Repubblica. L’obiettivo fa gola a tanti. Intanto al Rassemblement National di Le Pen, che sogna la rivincita. Ma non è la sola forza ad ambire al colpo. E lo ha detto chiaramente, non appena chiuse le urne, proprio Jean-Luc Mélenchon: il leader della sinistra radicale può dare il via alla sua di campagna elettorale dopo il risultato sorprendente al primo turno. “Macron è stato mal rieletto in un oceano di astensione“, ha dichiarato. “Ora eleggetemi primo ministro, il terzo turno comincia stasera“.

 

 

 

 

 

Ballottaggi, per il centrodestra una débâcle ma chi perde di più è Meloni

Fratelli d’Italia, dopo due anni di ascesa ininterrotta, subisce il primo importante stop. Il verdetto conferma la difficoltà del centrodestra e in particolare delle sue formazioni maggiori, Lega e Fdi, di trovare candidati credibili a Roma come a Milano e in generale in tutte le grandi città. Questa tornata amministrativa è una sconfitta gravissima per il centrodestra. Ma a pagare il prezzo più alto è Giorgia Meloni, che, dopo due anni di ascesa ininterrotta, subisce il primo importante stop. La sconfitta di Enrico Michetti a Roma grava infatti soprattutto sulle sue spalle perché è la leader di Fdi ad aver sponsorizzato e fortemente voluto l’avvocato noto per le sue partecipazioni a una radio della Capitale. Un arresto che pesa e che meriterebbe un’attenta riflessione. Gli attacchi delle ultime settimane sulla vicinanza alla destra estrema non sono infatti sufficienti a spiegare le ragioni dell’esito elettorale.

Lega e Fdi hanno consapevolmente rinunciato a candidature forti a Roma e Milano

Un verdetto che conferma la difficoltà del centrodestra e in particolare delle sue formazioni maggiori, Lega e Fdi, di trovare candidati credibili a Roma come a Milano e in generale in tutte le grandi città. La sconfitta di Michetti brucia tanto quanto quella di due settimane fa nel capoluogo lombardo. Sono infatti due facce della stessa medaglia. La estrema competizione tra Meloni e Salvini ha paradossalmente convinto entrambi che l'obiettivo fosse anzitutto evitare che qualcuno potesse beneficiare del risultato elettorale. Si è preferito così rinunciare a candidature forti (almeno secondo quanto rilevato da tutti i sondaggi) come Albertini a Milano e Bertolaso a Roma che non sarebbero stati riconducibili all’uno o all’altra leader. È vero che entrambi hanno declinato l’invito, ma questo è avvenuto dopo aver preso atto che sulla loro possibile investitura c’era tutt’altro che un sostegno unanime.

Statuto M5s, per l’associazione Rousseau Vito Crimi non è più leader. Grillo smentisce: “Fino alla nomina del comitato resti capo politico”. Mentre in Senato si vota la fiducia a Draghi, nel Movimento 5 stelle si apre lo scontro anche sulla leadership interna. A metà giornata infatti, l’associazione Rousseau, ufficializzando il risultato del voto che ha abolito il ruolo di capo politico in favore di un comitato a 5, ha anche annunciato che “da oggi termina la reggenza di Vito Crimi“. Un annuncio però che l’associazione, presieduta da Davide Casaleggio, non era titolata a fare. Tanto che in serata è arrivata la replica di Beppe Grillo che ha confermato il ruolo del capo politico fino all’elezione dei cinque membri.“Caro Vito”, ha scritto Grillo nel messaggio poi pubblicato da Crimi su Facebook, “non ritengo di condividere l’assunto secondo il quale con la modifica odierna dello Statuto, cessando l’organo “capo politico”, cesserebbe anche la tua reggenza. A mio avviso, invero, la tua reggenza da capo politico resta in vigore, a prescindere dalle modifiche statutarie, fino a quando non saranno nominati i 5 componenti del nuovo Comitato direttivo, essendo del resto impensabile che il MoVimento resti privo di rappresentanza per tutto il tempo occorrente per portare a termine la procedura di nomina (raccolta delle candidature, voto e proclamazione)”. E ancora: “Comunque la tua reggenza da capo politico, fino a quando non saranno nominati i 5 componenti del nuovo Comitato direttivo, è avallata anche dall’art. 7, lett. d), dello Statuto, dove prevede che “Qualora la carica di un membro del comitato direttivo si renda vacante, il membro più anziano del Comitato di Garanzia, ne assume temporaneamente le veci”. A maggior ragione in questo caso specifico, in cui tutti i membri del Comitato direttivo devono ancora essere nominati”.

In sostegno di Crimi, nel corso della giornata, sono intervenuto vari parlamentari. “Vito Crimi resterà in carica fino all’elezione del comitato direttivo. Dispiace essere costretti a specificare una ovvietà del genere“, ha detto Francesco Silvestri, deputato e tesoriere del gruppo alla Camera. “Dispiace anche perché siamo costretti a disinnescare l’ultimo tentativo di delegittimazione nei confronti di chi ha preso sulle spalle il peso del Movimento in un momento difficilissimo, garantendo un grande impegno e una assoluta lealtà. A Vito Crimi il mio sostegno e anche il mio ringraziamento per tutto quello che ha fatto”. Tra le prime a chiedere il cambio al più presto era stata Barbara Lezzi: “Dobbiamo tutti ringraziare Vito Crimi per il lavoro svolto” ma adesso “non può più decidere nulla in nome e per conto del M5S”.

Dopo ore di silenzio, in serata è arrivata la nettissima replica di Crimi. “La mia funzione di reggenza, al contrario di quanto è stato erroneamente affermato, non è conclusa e, interpellato in tal senso il Garante Beppe Grillo, proseguirà fino a quando non saranno eletti i 5 membri del nuovo Comitato”, precisa il capo politico attaccando frontalmente Rousseau: “Non è stato convocato alcun conclave degli iscritti, la vita politica del M5S è coordinata dai suoi organi”.

 

12 nmarzo 2021 Letta dice sì: “Mi candido alla guida del Pd, non cerco l’unanimità ma la verità nei rapporti tra di noi”( una settimana prima si dimetteva Zingaretti all'indomani dell'ennesimo morbo "renziano" che sta rischiando di mangiare dall'interno lo storico partito).

Pasquino: “Renzi? Disastro per il centrosinistra e la cultura politica. Ha distrutto senza costruire”

 

COVID-

 

Covid, i dati – 56.015 nuovi casi e 158 decessi. In calo i ricoveri. Tasso di positività al 15,08%--10-05-22

Covid, i dati: 47.039 nuovi casi e 152 decessi. Tasso di positività al 14%, in calo i ricoveri ordinari (-81).04-05-22

 

A Pechino si teme il lockdown: scorte triplicate e corsa per i frigo. La strategia anti-Covid di Xi Jinping incrocia l’ipotesi di terzo mandato. In autunno è previsto il congresso del Partito comunista: per l’attuale presidente c’è l’ipotesi di rielezione, ma la gestione della pandemia diventa fondamentale. Shanghai è in isolamento generalizzato da un mese: cresce l’esasperazione.

 

75.020 nuovi casi e 166 morti. Stabili i ricoverati in area medica e le terapie intensive, 21-04-22

Il bollettino: 96.365 nuovi casi e 197 morti. Tasso di positività al 15% | Mappe e grafici---22-03-22

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus mondo, seconda ondata in Cina: 108 nuovi casi. Parziale riapertura della Spagna 13-04-20

 1.850.527, secondo i dati diffusi dalla Johns Hopkins University. Ci sono stati 114.245 decessi a livello globale. I morti negli Usa hanno superato i 22 mila.

 

Coronavirus, calano ancora i ricoverati in intensiva. Altre 431 vittime, ma è il dato più basso dal 18 marzo. 12-04-20

Sono 156.363 le persone che, in Italia, hanno contratto il coronavirus.  Si tratta di 4.092 persone in più rispetto a ieri per una crescita del 2,7%.

Di queste, 19.899 sono decedute (+431, +2,2%) e 34.211 sono guarite (+1.677, +5,2%).

Attualmente i soggetti positivi sono 102.253, +1.984 rispetto a ieri (+ 2%) e il conto sale a 156.363 aggiungendo ai casi attualmente attivi anche morti e guariti.

Lombardia, torna la paura. I morti “veri” oltre

 10mila. 12-04-20

Gran Bretagna supera i 10mila morti. Von der Leyen: ‘Anziani a casa fino a fine anno’.

 

Lombardia, torna la paura. I morti “veri” oltre

 10mila. 12-04-20

Usa, afroamericani e latini muoiono 4 volte di più. Povertà, niente telelavoro e mancato accesso alle cure: il coronavirus fa leva sulla disuguaglianza sociale 12-04-20

 

“Un’enorme potenza di fuoco”. Sono queste le parole che Giuseppe Conte utilizza per presentare l’ultimo decreto approvato dal consiglio dei ministri per combattere l’emergenza economica legata al coronavirus. ”Diamo liquidità immediata per 400 miliardi di euro alle nostre imprese”, ha esordito il premier in conferenza stampa

Meno malati in intensiva, ma altri 619 morti. A Milano e provincia i casi tornano ad aumentare: raddoppiati rispetto a venerdì. 11-04-20

Lombardia, tornano a crescere contagiati e morti. Ma nuovi malati meno gravi. Gallera: "Positivi in casa fino a 3 maggio".

 

 

 COVID ANNO 2020

Il dg del Trivulzio indagato per epidemia colposa e omicidio colposo
“Così la Baggina è diventata un focolaio” 11-04-20

Coronavirus, il premier: "Chiusura fino al 3 maggio, non possiamo cedere ora" 10-04-20

Conte: "Mes è strumento inadeguato, lotteremo fino alla fine per gli eurobond".

In Lombardia calano contagi e decessi. Regione: "Troppe auto verso luoghi di villeggiatura, daremo dati ai prefetti".

Dopo l'Eurogruppo, parla Collier: “Clamoroso fallimento, Italia lasciata sola”

 

I dati: meno pazienti in intensiva, ma altri 570 morti.

 I casi noti vicini a quota 150mila, stabile la curva. Quasi 19mila i

 morti, ma le terapie intensiveallentano la pressione. Altri 3951 nuovi casi. 10-04-20

Altre 570 vittime e 3951 nuovi contagi 

in Italia nelle ultime 24 ore, per un totale che arriva a 18.849 morti e 147.577 casi registrati di coronavirus dall’inizio della pandemia nel nostro Paese. I dati comunicati nel corso della conferenza stampa della Protezione Civile sono leggermente migliori rispetto a quelli di giovedì, quando l’incremento era stato di 610 morti e oltre 4200 nuovi casi. A testimoniarlo è anche l’andamento della curva di crescita del contagio che, dopo essere tornata sopra il 3% giovedì, oggi è al 2,75%.Un ulteriore dimostrazione che il trend è stabile e non è ancora iniziata la discesa netta del contagio.xs

 

Ancora calo nelle terapie intensive, ma altri 4200 casi e 610 morti. Governo verso proroga delle chiusure fino al 2 maggio 09-04-20

Ci sono altri 3.836 casi e 542 morti. Oms: “C’è

un rallentamento della velocità di contagio”. Record di guariti in un giorno 08-04-20

Conte: “Ammorbidire le regole o faremo senza l’Ue. L’Eurogruppo? Una delusione per tutti gli europei”. Parigi: “Olanda blocca tutto, Italia merita solidarietà”

 

Altri 604 morti ma la curva del contagio cala ancora: “Incremento più basso dal 10 marzo”La giornata – Fase 2, Arcuri: “Non illudiamoci”07-04-20


 

Istat: “Shock generalizzato senza precedenti storici. Crollo fiducia ancora peggiore della crisi del 2008. Lockdown prolungato fino a giugno? Consumi -9,9%”. Il Focus dell’istituto sottolinea i giudizi negativi di famiglie e imprese già a marzo. Due scenari: con le misure in vigore fino a fine aprile, consumi giù del 4,1% su base annua. Se il lockdown proseguisse la riduzione sarebbe del 9,9

 

I dati -Altri 636 morti. Ma il trend di crescita dei contagi si abbassa ancora: 3.599 nuovi casi.132.000 CONTAGIATI e 16.523 MORTI. La diretta – Oltre 20mila multe nel weekend

Prodi: “Crisi? L’Europa unita può stampare moneta. Risposta veloce o caduta troppo forte per riprendersi”.06-04-20

“A Boris Johnson dato ossigeno dopo ricovero”. La Regina

parla al Paese: “Uniti ce la faremo” Germania, superati i 100mila contagi da Covid 06-04-20

Usa, 1200 vittime in un giorno. Il Giappone decreta stato d'emergenza, l'Austria riapre

Quasi 70mila i morti nel mondo. Il governo di Vienna allenta le restrizioni a partire dal 14 06-04-20

Coronavirus, il bilancio: i morti sono 525, il numero più basso dal 19 marzo. Calano per la prima volta i ricoverati con sintomi Video. 05-04-20

In Lombardia calano ricoveri ma Milano preoccupa. Gallera: "Le vittime sono sicuramente più del numero certificato".

 

Decreto per le imprese, il governo darà il 100% delle garanzie per i prestiti fino a 800mila euro. 05-04-20

Fino a 25mila non ci sarà la valutazione del credito. Patuanelli: "Prestiti attivi in qualche giorno"

 

L’allarme – Decaro: ‘Troppa gente in giro, noi sindaci preoccupati: se va avanti così a:

Sabato di multe record. Per Pasqua check point per evitare esodo verso seconde case. 05-04-20

Nonostante un numero inferiore di controlli, 9.300 le persone denunciate

Contagi: curva stabile, primo calo nelle rianimazioni. Gli scienziati: “Non abbiamo scampato ancora nulla”. La Lombardia: “Fuori solo con naso e bocca coperti”05-04-20

 

Coronavirus, i nuovi dati: aumento malati (+2886) resta stabile: è ancora picco. Leggero calo di morti (681) e guariti (1.238)04-04-20

Usa, oltre 8000 morti e 300mila contagiati
Londra, torna l'idea di immunità di gregge

 

anche oggi 766 morti

Si apre la polemica sull allentamento delle restrizioni. Il primo a esporsi è stato il capo della Protezione civile. Frena il consiglio superiore di sanità. E Borrelli si dice frainteso: “Sulla fase 2 decide il governo”. I numeri: quasi 120mila casi accertati e 14.681 vittime dall’inizio dell’epidemia. 03-04-20

 

4.668 nuovi contagi, crescita al 4,22%. Curva torna ad appiattirsi, ma altre 760 vittime, 02-04-20

 

Verso un milione di casi nel mondo

Gli Stati Uniti (884 morti in 24 ore: si tratta di un record) sono il paese più colpito con un bilancio complessivo di 215.417 e oltre 5mila morti. Seguono l'Italia e la Spagna, ora al terzo posto per numero di decessi.

Spagna, 10mila morti, 950 in 24 ore

La Spagna registra un nuovo drammatico aumento nei decessi per il coronavirus: 950 morti in sole 24 ore che portano il totale delle vittime a 10.003. In crescita anche i contagi da Covid-19, 8.102 nuovi casi nelle ultime ore per un totale di 110.238, secondo le autorità sanitarie spagnole.

Commissione Ue vara il piano Sure per i cassintegrati. E ora la Francia apre: “Mes? Sì, ma a condizioni light”. Nasce fronte italo-tedesco di economisti e intellettuali.Prime schiarite dopo la spaccatura del 27 marzo: la Commissione da l’ok allo schema di prestiti da 100 miliardi per la cassa integrazione (Sure). Intanto il ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, si dice possibilista sull’uso del Mes nel caso sia “senza stigma e con condizionalità light”  02-04-20

 

Altri 4.782 casi e 727 vittime in 24 ore. Totali 110.574 contagiati, 13.155 morti.  L’Istat: “Al Nord decessi raddoppiati a marzo. La mortalità è quadruplicata a Bergamo”01-04-20

Lombardia, 394 decessi in 24 ore. Gallera: "Crescita numero contagi dipende da aumento tamponi"

Protezione civile: "I nuovi positivi sono 2.937 (ieri 2.107), i morti sono 727 (ieri 837), i guariti sono 1.118 (1.109) 01-04-20

Hong Kong, crescono casi: nuove restrizioni. Cia: “Dalla Cina dati falsi su contagi e vittime”. Germania proroga le misure fino al 19 aprile

 

LA PRIMISSIMA ONDATA 20 FEBBRAIO-1 APRILE 2020

Confermate fino al 13 aprile tutte le misure di restrizione
Video Speranza: "Transizione non sarà breve, dovremo convivere con virus. Non possiamo sbagliare tempistica"

Scuola, nessun bocciato e per la maturità solo un maxi colloquio

Cielo d'Europa (quasi) senza aerei: il videoconfronto con marzo 2019

Cielo d'Europa (quasi) senza aerei:
il videoconfronto con marzo 2019

 

Morti altri tre medici: ora sono 44. Nuovi casi a Codogno con lo stop alla zona rossa.

Spagna, 769 morti in 24 ore: in totale quasi 5mila. I contagi sono 64mila contagi. La Russia chiude bar e ristoranti.

L’authority: “Per ammortizzatori servono 13,5 miliardi al mese” 27-03-20

Coronavirus, tornano a crescere i positivi: 4492 in più, in totale 62.013. Oggi 662 morti e 999 guariti.Aumentano i contagi in Lombardia. Fontana: "Sono preoccupato, non so se ci è sfuggito qualcosa" video-26-03-20

PERChé non si è fatta la zona rossa

 

Conte al Senato: "Aiuti per 50 miliardi" VideoTasse rinviate e Cig per sei mesi di CLAUDIO TITOLa lettera del premier alle città del Nord

Conte al Senato: "Aiuti per 50 miliardi" Video
Tasse rinviate e Cig per sei mesi di CLAUDIO TITO

Spagna, 4000 morti. Mille vittime in Usa. Sindaco New York: “Mezza città sarà infetta”.Bce avvia acquisti bond e lo spread cala, Borse in ripresa. Wall Street vola ignorando boom di richieste per disoccupazione Usa

 

 

Oltre 74mila casi, le vittime sono più di 7.500. Il capo della Protezione civile ha la febbre.

Epidemia, in Italia trend in calo per il quarto giorno consecutivo: 3.491 positivi (ieri 3.612), 683 morti (ieri 743) e 1.036 guariti

Riunione fiume ma c’è l’accordo governo-sindacati. “Modifiche all’elenco delle attività indispensabili”. Conte: “Difenderemo gli asset industriali del Paese”

Spagna con più morti della Cina: oltre 3400. Usa, c’è accordo su piano da 2mila miliardi Positivo anche il principe Carlo d’Inghilterra.

Conte, Macron e altri 7 leader Ue chiedono i coronabond. Berlino: “Non cambiamo idea”. Centeno: “Ora i dettagli su come usare il Mes”

 25-03-20

Il bollettino di martedì 24 marzo: per il terzo giorno rallenta la crescita dei contagi. MA BEN 743 nuove vittime...

Governo, ok al decreto: multa fino a 4mila euro per chi viola restrizioni. Misure reiterabili fino al 31 luglio. Chi può muoversi e come: la circolare del Viminale

In Lombardia morti e contagiati tornano ad aumentare: 402 decessi in più, in totale oltre 30mila positivi

Cina, finite le restrizioni per Wuhan. India, isolamento totale per tre settimane

Oms: "Gli Usa potrebbero superare l'Europa come epicentro"
RepTv Geopolitica, Caracciolo: "È iniziato il contrattacco cinese, Usa in difficoltà". 24-03-20

Tra contagiati, vittime e persone guarite, il coronavirus ha registrato in Italia 63.927 casi totali (+4.789 rispetto a ieri). contagi 3780 (ieri 3.957), morti 601 (ieri 651). Guariti: oggi 408, in totale 7432

In Spagna 30mila contagi e oltre 1.800 vittime: corsa ai tamponi. Regno Unito, morto 18enne. Anche Belgio e Lussemburgo chiudono confini.

 I contagi a quota 60mila, ma la crescita si attenua. Quasi 5.500 le vittime totali, oggi 651. “La prossima settimana sarà cruciale”Mondo – Usa terzo Paese per contagi: 25mila. Johnson: ‘Rischiamo di diventare come l’Italia’. Spagna, 394 morti in 24 ore: ‘Ora giorni bui’.22-03-20

“CHIUDIAMO OGNI ATTIVITA’ NON NECESSARIA”. Conte annuncia le misure per contenere il contagio.Coronavirus, Borrelli: 943 guariti in un giorno e 793 morti, 4821 contagiati in più. Quasi 54.000 i contagiati i numeri continuano a crescere 21-03-20

Coronavirus: Gallera, altri 546 morti in Lombardia. In totale sono 3.095.

Dati in forte crescita, oltre 25mila i positivi nella regione"

I sindaci chiedono un nuovo intervento al governo. Gori e i sindaci del Bergamasco:  "Fermiamo tutto ma davvero"

“A Bergamo si muore aspettando nelle proprie case”. Camion dell’esercito portano via altri settanta feretri. Ritardi e interessi: perc

Protezione civile: 4.670 nuovi positivi. Morti 627, mai così tanti in 24 ore. Borrelli: "Punire chi diffonde fake news" Mappa del contagio. 20-03-20

«Quello che ora sappiamo con sicurezza è che ormai i numeri della Lombardia non significano più nulla. La situazione è fuori controllo, in senso etimologico». Enrico Bucci, professore di Biologia dei sistemi alla Temple University di Philadelphia, da giorni studia i numeri di contagiati, guariti, deceduti in Italia, per interpretare l’andamento dell’epidemia che sta sconvolgendo il paese.

La Ue sospende per la prima volta il Patto di stabilità. Bruxelles: "Governi potranno iniettare il denaro che serve"

Contagi, la battaglia di Milano: “Non può capitolare”. Arrivano 114 soldati. “Ma ne servono dieci volte tanto”. A Roma da domani controlli su tutte le automobili. Nel capoluogo lombardo la prefettura schiera i soldati. La Regione chiede di fermare i mezzi pubblici (leggi). Il governo valuta l’uso della tecnologia per tracciare i movimenti. Palazzo Chigi precisa: “Supermercati e negozi di alimentari restano aperti nel weekend”.

Lunghe code nei supermercati ma Palazzo Chigi assicura: “Restano aperti nei week end”.

Conte: “Usare i fondi del Mes per Coronavirus bond”. Von der Leyen apre. Le Maire: “Se abbandona l’Italia, l’Ue non si riprenderà più”.

Spagna: più di mille morti. La Baviera decide il lockdown, Uk richiama infermieri e medici in pensione. Usa, casi raddoppiati in 24 ore.

Le rianimazioni – “Aziende hanno esaurito scorte di apparecchi. Consegne siano rapide”. Lombardia, 9 morti su 10 fuori da intensive.

Dopo la mossa della Bce, Borse in rialzo e spread giù
Piano d'emergenza da 750 miliardi di euro per la pandemia,19-03-2020

La Cina batte la pandemia: nessun nuovo caso. Australia e Nuova Zelanda si blindano. Primo morto a Mosca

Gran Bretagna, Johnson ci ripensa e sbarra le scuole L’ipotesi di chiudere anche Londra dal nostro corrispondente ANTONELLO GUERRERA

Oggi 475 vittime: neanche in Cina così tanti morti in un giorno. Stazionario il trend dei contagiati (28.710). Oggi 1.084 guariti la mappa del contagio. 18-03-2020

Lombardia, l'appello drammatico di Fontana: "Restate a casa, presto non saremo più in grado di aiutare chi si ammala". In 24 ore 319 morti video. Cittadini "seguiti" via cellulare, la Regione: "Non siamo il Grande fratello, ma il 40% di persone in giro è troppo. Potremmo adottare misure più drastiche".Il presidente della Regione: "State a casa o saremo più aggressivi". La Lombardia ha chiesto alle compagnie telefoniche di monitorare i movimenti oltre i 300 metri, risultato: il 40% dei lombardi ancora in giro. Gallera: "Ma non siamo il Grande Fratello". Troppe salme da cremare a Bergamo: l'esercito le sposta a Modena.

 

Panico da virus, sprofonda Wall Street. Dj a -12,94%, peggior crollo dal 1987. Milano -6%, spread a 262 punti

Analisi Gli errori della Bce chiudono i rubinetti del credito Commento Dal turismo all'industria: perché è una crisi mai vista

Conte: “Manovra poderosa, lo Stato c’è. Italia modello anche nella risposta economica, l’Europa ci segua”. 25 miliardi extra budget come inizio?

Nel decreto l’arruolamento dei medici militari. La diretta – Stop ai collegamenti con la Sicilia. In Lombardia 1.367 casi in più e 202 decessi---16 marzo 2020

Panico da virus in Borsa, l'Europa e Wall Street affondano. Non basta la Fed. Fmi: "Pronti a movimentare mille miliardi"

Usa La Fed 'azzera' il costo del denaro e annuncia un piano da 700 miliardi per sostenere l'economia

 

Bergamo, il racconto dall’interno dell’ospedale. “Siamo al collasso, la terapia intensiva è al limite”. Fontana: “Obiettivo è grande reparto a Fiera Milano”

Da stasera stop ai treni notturni. Si fermano gli "ordinari a lunga percorrenza". 14-03-20

In 24 ore raddoppiato il numero dei decessi nel Regno Unito. Neonato positivo a Londra. Primo morto a New York

Spagna, impennata del virus: 5753 contagi e 135 morti. Sanchez chiude il Paese "come l'Italia"

Imprese-sindacati, accordo dopo 18 ore di trattativa. Conte: “Lavoratori tutelati, Italia non si ferma”. Ammortizzatori in caso di stop alla produzione.

Emiliano: ‘Esodo verso Sud, rischio contagio’. Positiva la viceministra all’Istruzione Ascani

La Bce non taglia i tassi ma annuncia 120 miliardi di acquisti di titoli. Borse deluse: Piazza Affari -17%, mai così male. Spread a 262Oms: “È una pandemia. Livelli allarmanti di inazione”. Conte e Von der Leyen: “Ue impari lezione dall’Italia”Borse ancora a picco con nuovo tonfo Wall Street: perdite fino al 10%. Spread a 250.

Coronavirus dalla Cina, cresce a 106 il numero dei morti

28 gennaio 2020. Pechino chiede di rinviare i viaggi all'estero. Evacuati giapponesi, cominciano i cittadini britannici. Cinque casi sospetti a New York. In Italia in corso accertamenti su pazienti a Pistoia e a Napoli. Le autorità sanitarie cinesi: "Si trasmette principalmente per via aerea ma anche tramite il contatto"

 

ECONOMIA

 

La truffa della plastica compostabile in Italia: venduta come prodotto a impatto zero, finisce in inceneritori o discariche a causa delle carenze di impianti e filiera.

Nei Paesi europei questi prodotti usa e getta devono essere raccolti nell’indifferenziato. Non in Italia, dove vanno conferiti nell’umido. Ma il 63% dell’umido finisce in impianti anaerobici che, per una serie di ragioni, difficilmente riescono a degradare la plastica compostabile, mentre il resto viene portato in siti di compostaggio dove non è detto che queste plastiche restino il tempo necessario a degradarsi. Così, molti di questi rifiuti finiscono in inceneritori o discariche. Greenpeace: "Siamo di fronte a un greenwashing di Stato, che si trasforma in una presa in giro nei confronti della collettività"

Negli ultimi anni gli scaffali dei supermercati si sono riempiti di prodotti in ‘plastica compostabile’ le cui etichette lasciano credere ai consumatori di acquistare un materiale ‘a impatto zero’, che si decompone come la buccia di una mela. Non è affatto così, tanto che nella maggior parte dei Paesi europei questi prodotti usa e getta devono essere raccolti nell’indifferenziato. Non in Italia, dove vanno conferiti nell’umido. Peccato che il 63% dell’umido finisce in impianti anaerobici che, per una serie di ragioni, difficilmente riescono a degradare la plastica compostabile, mentre il resto viene portato in siti di compostaggio dove non è detto che queste plastiche restino il tempo necessario a degradarsi. Così, molti di questi rifiuti finiscono in inceneritori o discariche. Nell’ambito della campagna ‘Carrelli di plastica’, ilfattoquotidiano.it pubblica in anteprima i risultati dell’inchiesta condotta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia. Tutti gli impianti contattati dall’associazione, ma anche laboratori ed esperti del settore, segnalano problematiche con i prodotti monouso in plastica compostabile realizzati – almeno parzialmente – modificando chimicamente polimeri naturali derivanti, ad esempio, da canna da zucchero o mais. E alcuni imprenditori del settore raccontano: “Ci hanno minacciato, dicendo che ci avrebbero fatto causa se continuavamo a raccontare questa verità”.

“Siamo di fronte a un greenwashing di Stato, che si trasforma in una truffa nei confronti della collettività” spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace. Secondo Ugo Bardi, professore di chimica-fisica all’Università di Firenze e delegato della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile “la plastica compostabile è stata venduta al pubblico come sostituto green della plastica e invece non è così. Non dovremmo usarla. Basterebbe, invece che fare di testa nostra, rispettare la normativa Ue”. Nella direttiva sul monouso (Sup) le plastiche compostabili sono equiparate a quelle fossili, mentre le deroghe inserite nel recepimento italiano, spiega Bardi “sono abbastanza discutibili e collocano il nostro Paese in una posizione isolata nel contesto europeo”, su una strada che “ci porta dritta alla procedura d’infrazione”. Dall’inchiesta emerge che lo smaltimento a fine vita di questi materiali può compromettere quello dei rifiuti organici, nel quale l’Italia rappresenta invece un’eccellenza.

Quando un oggetto di plastica compostabile viene gettato nell’umido, infatti, finisce in una delle tipologie di impianti dedicati al trattamento dell’organico: di compostaggio, di digestione anaerobica o quelli dove le due fasi sono integrate. Stando ai dati del Catasto rifiuti di Ispra, in Italia ci sono 293 impianti di compostaggio, ma il 63% della frazione umida viene trattata nei 66 dove il cuore del processo è la digestione anaerobica (un 56% nei 43 impianti integrati sparsi sul territorio nazionale e il restante 7% in altri 23 siti di digestione anaerobica), quelli che incontrano i maggiori problemi. “È difficile quantificare quanti siano, in Italia, gli impianti in grado di trattare efficacemente le plastiche compostabili: sicuramente meno della metà, ma la legge di questo non ha tenuto conto” racconta Luca Mariotto, direttore di Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici della gestione di rifiuti, acqua, ambiente, energia elettrica e gas.

Eppure il settore delle plastiche compostabili negli ultimi anni ha visto una crescita costante non solo di addetti (nel 2020 2.775, più 4,8% rispetto al 2019) ma anche del fatturato (+9,7%), per un volume d’affari di 815 milioni di euro. “L’Italia ci punta talmente tanto – spiega a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Ungherese – che, senza una valutazione dei reali benefici ambientali di tali alternative alle plastiche fossili e senza tenere conto delle caratteristiche degli impianti nel nostro Paese, negli ultimi anni ha adottato numerose misure, spesso sotto forma di incentivi economici e fiscali”. Spingendo così imprese e consumatori a sostituire gli articoli monouso in plastica fossile con alternative monouso in plastica compostabile. Di fatto, secondo i dati Cic-Corepla, la presenza di plastiche compostabili nella raccolta degli scarti di cucina è più che raddoppiata, passando dall’1,5% (2016-2017) al 3,7% (2019-2020). Secondo gli ultimi dati di mercato di European Bioplastics, la produzione globale di plastiche a base biologica e compostabili è destinata ad aumentare da 2,42 milioni di tonnellate nel 2021 a circa 7,59 milioni di tonnellate nel 2026. L’Asia è il principale hub con quasi il 50% della capacità produttiva, ma quasi un quarto della capacità globale si trova in Europa, dove leader indiscusso è l’italiana Novamont. E sempre in Italia, nel 2020, è nato anche il primo consorzio europeo dedicato al riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, Biorepack. “La filiera italiana di questo materiale è un modello in Europa, al quale guardano con attenzione anche tanti Paesi extraeuropei” ha spiegato Carmine Pagnozzi, direttore tecnico del consorzio.Dai test di laboratorio fino a tutta la filiera, però, le falle del sistema sono diverse. Per essere certificato come biodegradabile e compostabile, un materiale deve prima superare due test: quello di biodegradabilità (e degradarsi almeno del 90% in 6 mesi in un ambiente ricco di anidride carbonica) e quello di disintegrazione (dopo 12 settimane a contatto con materiali organici, deve essere costituito almeno per il 90% da frammenti di dimensioni inferiori a 2 millimetri). Poi si può richiedere agli enti certificatori il marchio ‘Ok compost’ oppure ‘Compostabile Cic’. Ma, spiega Utilitalia, “le certificazioni in laboratorio non sempre riproducono correttamente le condizioni degli impianti”. Sara Daina, esperta in packaging del laboratorio CSI, racconta che i campioni dei test sono “tagliati in formato 10×10 cm se si tratta di un film e 5×5 cm per tutti gli altri tipi di materiale, compresa la plastica compostabile rigida”.Ma nessun consumatore “taglia i prodotti in plastica compostabile in queste dimensioni prima di metterli nel bidone dell’umido” continua Michela Mazzetto, responsabile di laboratorio a Lab Control. E se il prodotto ha una dimensione maggiore rispetto a quella testata, inevitabilmente ci vorrà più tempo per disintegrarlo. E non è l’unico problema. “Per testare la disintegrazione di un prodotto in plastica compostabile, ricreiamo le condizioni di un impianto di compostaggio, inserendo in una sorta di scatola una data percentuale di frutta, verdura, cortecce, segatura”. La plastica compostabile rappresenta “l’1% rispetto al resto del materiale” spiegano al CSI. Ma se nell’impianto la percentuale di plastica compostabile è maggiore dell’1% (perché magari è arrivato il carico di un catering fatto con stoviglie, bicchieri e posate usa e getta) la condizione risulterà diversa da quella testata in laboratorio. Un dato non trascurabile considerando come stia crescendo l’incidenza delle plastiche compostabili nella raccolta dell’umido.

Altri problemi sono relativi ai vari impianti, anche quelli di compostaggio, dove per degradarsi questo tipo di plastica “ha bisogno di più tempo dell’umido” racconta il professore Ugo Bardi. Dovrebbe avere a disposizione 12 settimane, ma non esiste una norma europea o italiana che renda obbligatoria questa disposizione e ogni impianto può organizzarsi autonomamente. “È difficile che l’umido sia tenuto in un impianto per tre mesi, perché significherebbe far fronte a costi molto elevati”, racconta ancora Michela Mazzetto di Lab Control. Allo stesso tempo, “scordiamoci che la plastica compostabile possa compostarsi in una o due settimane” commenta Sergio Ulgiati, docente di Chimica ambientale e Analisi del ciclo di vita presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope. Per questo in Germania, per esempio, “la plastica compostabile rigida non viene gettata nell’umido, che resta negli impianti di compostaggio circa tre settimane” precisa a Greenpeace Stefanie Siebert, direttrice esecutiva dello European Compost Network. E poi c’è il problema della vagliatura iniziale, necessaria per eliminare i materiali non compostabili che finiscono nella frazione organica, compromettendone la qualità. “In questo modo, però – spiega il direttore tecnico di Biorepack, Carmine Pagnozzi – insieme ai materiali non conformi, la vagliatura porta via anche l’umido, fino a un terzo del totale, nonché le plastiche compostabili”. Così, se alcuni impianti sembra che riescano a degradare il materiale, altri lo inviano a incenerimento o discarica.

I problemi maggiori si verificano negli impianti integrati e anaerobici (dove confluisce il 63% della frazione umida). “Strutturalmente non sono in grado di degradare la plastica compostabile” spiega Sergio Ulgiati. Questi impianti hanno dei reattori che funzionano in assenza di ossigeno. “Assenza di ossigeno – precisa lo European Compost Network – tempi brevi e temperature relativamente basse di solito non garantiscono una biodegradazione completa degli articoli compostabili”. D’altronde “negli impianti anaerobici non si degradano perfettamente neppure i sacchetti in plastica compostabile, figuriamoci la plastica compostabile rigida”, commenta Mario Grosso, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano. “Stante la situazione – conclude Giuseppe Ungherese – è chiaro che per salvare il business delle plastiche compostabili, oltre a rischiare una procedura d’infrazione, sono necessari investimenti urgenti sull’impiantistica. Ma non sarebbe stato più semplice abbandonare il monouso?”.

 

Brexit, raggiunto l'accordo. Juncker e Johnson: "Intesa equa". Sabato il voto del Parlamento britannico.

Fumata bianca in mattinata a Bruxelles sull'accordo per la Brexit. Lo rende noto il portavoce del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. Secondo il presidente si tratta di un'intesa "equa e equlibrata". Immediata la risposta del premier britannico Boris Johnson: "Abbiamo un nuovo grande accordo che riprende il controllo: ora il Parlamento dovrebbe concludere la Brexit sabato, così possiamo passare ad altre priorità come il costo della vita, il servizio sanitario nazionale, i crimini violenti e il nostro ambiente". Anche Johnson ha annunciato via Twitter l'accordo. Intesa che tuttavia deve ancora passare al vaglio del Parlamento britannico in seduta sabato. Il tweet di Johnson è stato diffuso mentre il primo ministro lasciava Downing Street da un'uscita posteriore, in partenza verso Bruxelles dove è previsto che si rivolga ai leader dei 27 Paesi Ue prima del Consiglio Europeo al via nel pomeriggio.

Brent, la sterlina scivola. Lasciare l’Ue costa (anche senza l’euro)

Anche senza l’euro lasciare l’Unione europea costa. E’ quello che il Regno Unito, un tempo tempio incontrastato dell’alta finanza europea, sta sperimentando sulla propria pelle. Nelle ultime settimane la sterlina ha preso una china pericolosa: scivola quasi quotidianamente verso la parità con il dollaro. Chi ricorda il lontano 1985, quando le due monete arrivarono ad avere un valore identico, sa bene che la storia si potrebbe ripetere.

I motivi della debolezza attuale li conosciamo tutti: la lotta interna al parlamento, la spaccatura del paese nei confronti della Brexit, la mancanza di una visione di lungo periodo da parte della leadership e soprattutto la linea dura di Bruxelles riguardo all’uscita dall’Unione e la possibilità che il 31 ottobre Londra esca senza un accordo: a quel punto la sterlina potrebbe anche scendere sotto la parità. Una lezione, questa, per tutti i paesi membri.

Perché siamo arrivati a questo punto? Per rispondere avvaliamoci in primis dell’analisi di alcuni istituti di ricerca della City riguardo al futuro della sterlina.

Nomerà identifica la debolezza della sterlina nelle difficoltà di accordo all’interno del partito conservatore e del parlamento riguardo a come comportarsi con Bruxelles. E dato che all’orizzonte parlamentari e popolazione rimangono divisi, la moneta perde valore. Morgan Stanley attribuisce il calo del tasso di cambio della sterlina al fallimento di Theresa May quale leader del partito conservatore, fallimento che fa presagire l’hard Brexit, l’uscita senza accordo. Quasi tutti temono la leadership di Boris Johnson, personaggio imprevedibile che ha guidato la campagna dei conservatori per l’uscita dall’Unione. La temono anche perché Donald Trump continua a sostenere la sua candidatura per far tornare “il Regno Unito grande di nuovo”.

Intanto gli indicatori chiave dell’economia sono tutti al ribasso, anche i prezzi della case a Londra e nel resto del paese continuano a scendere, nella capitale a maggio si è registrata una contrazione del 4,4% su base annuale, segno che Londra non è più una meta ambita per gli affari ma neppure per gli investitori stranieri. Tutto ciò preoccupa un po’ tutti, perché è segno di una debolezza di fondo dell’economia legata all’incertezza della Brexit. Fino a quando la faccenda non sarà risolta definitivamente, nel bene o nel male, le cose non cambieranno.

Capital Economics, altra società finanziaria, addirittura si avvale dei dati dei bookies, le società dove si scommette su tutto – dai cavalli al sesso dei futuri neonati della famiglia reale – per validare le proprie previsioni. Secondo le statistiche raccolte, la maggioranza degli scommettitori dà per certo il fallimento del raggiungimento di un accordo nel 2019. E quindi è possibile che il Regno Unito non esca affatto dall’Ue, mentre solo uno su tre crede che ci sarà l’hard Brexit. Sempre secondo Capital Economics il danno causato alla moneta è tale che, anche se si riuscisse a mettersi d’accordo, la sterlina continuerà a perdere quota perché soffrirà maggiormente delle altre monete a causa del rallentamento della crescita economica mondiale, specialmente rispetto al dollaro.(ottobre 2019)

Guerra Ucraina, gli effetti sul lavoro in Italia: prime richieste di cassa integrazione perché mancano materiali e l’industria tedesca ha frenato

Gli effetti della guerra in Ucraina iniziano a farsi sentire sulle imprese italiane. Molte, infatti, cominciano a ricorrere alla cassa integrazione. A marzo le ore di cig ordinaria autorizzate dall’Inps sono state il 20% in più rispetto a febbraio. A pesare, insieme ai rincari energetici che si trascinano ormai da ottobre dell’anno scorso, sono le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e semilavorati. Un problema, quest’ultimo, che non riguarda però tutte le aziende allo stesso modo. Le più colpite sono infatti quelle imprese metalmeccaniche che importano materiali dalla Russia e, soprattutto, dall’Ucraina. È il caso di Automotive Lighting di Tolmezzo in Friuli, che produce fanali per auto. L’azienda, 930 dipendenti, ha aperto la cassa integrazione per oltre 800 lavoratori a causa della carenza di cablaggi dal fornitore ucraino Leone. Questo mentre la fonderia Zml di Pordenone a marzo aveva messo in cig 350 dipendenti per mancanza di ghisa.Va detto che si tratta di un fenomeno ancora limitato. Il più delle volte, infatti, il blocco degli impianti è stato evitato ricorrendo a fornitori alternativi. La penuria di materie prime, però, si sta scaricando sui prezzi. Il cromo, ad esempio, è raddoppiato dall’inizio della guerra. La Russia e l’Ucraina, inoltre, rappresentano il 53,1% dell’export mondiale di ghisa e il 40,3% di semilavorati siderurgici. Se la loro produzione si dovesse fermare completamente verrebbe a mancare la metà dei volumi scambiati sui mercati internazionali, con la conseguenza di un’ulteriore ascesa dei prezzi. Secondo un recente report della Fim-Cisl sul comparto, i lavoratori che sarebbero a rischio in seguito al conflitto sono oltre 26mila. “Al momento la situazione è stata gestita”, sottolinea il segretario generale della Fim-Cisl, Roberto Benaglia, “ma se dovesse continuare andrà sicuramente a incidere sull’occupazione”. Anche perché la guerra inizia a mordere sul tessuto industriale. “Le criticità in queste settimane si sono acuite: per molte imprese il costo dell’energia è superiore a quello del lavoro”, prosegue Benaglia, “ci sono aziende che hanno i portafogli ordini pieni ma che più producono più perdono”.Tra queste c’è Scm Group che produce macchine utensili e doveva inaugurare un nuovo stabilimento a Mosca. Tra Russia e Ucraina, l’azienda riminese aveva ordini per 35 milioni di euro quest’anno, 18 dei quali in consegna ad aprile. Oppure Aermec, 800 dipendenti in provincia di Verona, che produce sistemi di climatizzazione e realizza il 30% del fatturato in Russia. Inoltre, i legami commerciali tra i Paesi europei rischiano di scatenare un effetto domino. “L’industria tedesca è più colpita di noi dalla guerra perché aveva delocalizzato in Ucraina molte attività”, spiega Benaglia. “Visto che esportiamo molto in Germania”, prosegue il sindacalista, “quando si ferma l’industria dell’auto tedesca anche le imprese italiane di componentistica rallentano”. La filiera, del resto, era già in affanno da prima della guerra a causa delle carenze di semiconduttori, materiali usati per realizzare dispositivi elettronici. “Ci sono stabilimenti che spesso si fermano perché mancano questi componenti”, sottolinea Benaglia, “c’è una serie di difficoltà che si stanno accumulando e bisogna evitare un effetto domino”.
 

Russia, le sanzioni mostrano la corda. La corsa agli sportelli è rientrata, riaperta la Borsa (solo per scambi di titoli di Stato)

L’effetto delle sanzioni occidentali alla Russia si fa sentire sulle tasche dei normali cittadini, in coda per comprare lo zucchero che da inizio anno è rincarato del 20% e per fare scorta di una serie di beni importati o prodotti da multinazionali straniere – dai pannolini al dentifricio – che a breve potrebbero scarseggiare o diventare ancora più costosi. L’impatto su banche e mercato valutario, dopo lo choc iniziale, sembra però essersi stabilizzato. E il 21 marzo la Borsa di Mosca, rimasta chiusa dal giorno successivo all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ha riaperto i battenti per i titoli di Stato federali russi, su cui la scorsa settimana non si è materializzato il paventato default. La ripresa degli scambi è ovviamente sostenuta dalla mano forte della Banca centrale che sta comprando bond per “prevenire un eccesso di volatilità“. Il rendimento dei decennali è di conseguenza in forte calo, al 13% dopo il picco del 19,8% toccato il 4 marzo.“L‘efficacia delle sanzioni aumenta notevolmente se la forza della pressione esercitata varia in base al comportamento del Paese”, ha commentato nella sua newsletter l’ex vice governatore della Banca centrale russa Sergey Aleksashenko. “È evidente che negli ultimi giorni, nonostante il passaggio di Putin ad attacchi sempre più violenti contro le città e i civili ucraini, la pressione delle sanzioni occidentali non è aumentata”. Morale: senza misure che colpiscano anche l‘export energetico – non a caso a Bruxelles si torna a parlare di un possibile embargo sul petrolio – appare difficile ottenere qualcosa nel breve periodo per questa via. Anche se le azioni dei gruppi russi sui listini occidentali hanno azzerato il proprio valore e nel medio-lungo periodo l’economista Branko Milanovic, tra gli altri, prefigura una nuova “criminalizzazione della società” per aggirare le restrizioni sull’importazione di beni di consumo, gravi difficoltà nella sostituzione di tecnologia occidentale (software, auto, aeroplani, elettrodomestici) e forte aumento dell’emigrazione di forza lavoro qualificata.Per ora, nonostante il congelamento delle riserve estere la situazione non è precipitata. La corsa agli sportelli attesa all’inizio di marzo si è in parte verificata, ma l’intervento della Banca centrale – che in dieci giorni ha fornito agli istituti liquidità per 8,8 trilioni di rubli – ha per ora disinnescato il rischio di crac. Due terzi di quei prestiti, rileva Aleksashenko, sono stati usati per far fronte ai prelievi dei depositari, ma poi gli alti tassi di interesse sui depositi (fino al 20,5%) e l’impossibilità di acquistare valuta straniera hanno invertito il flusso e due terzi del cash è tornato sui conti corrente o deposito. Subito dopo il pagamento degli interessi sui titoli di Stato denominati in dollari è andato liscio, nonostante il ministro delle finanze Anton Siluanov avesse più volte ventilato la possibilità del pagamento in rubli. Secondo Aleksashenko è probabile che “qualche investitore russo” sapesse bene che era un bluff e abbia speculato comprando titoli quando il valore era crollato e rivendendoli a default evitato.Ma che prospettive ha ora l’economia reale russa? Venerdì la governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina, appena riconfermata per il terzo mandato nonostante secondo indiscrezioni abbia tentato più volte di dare le dimissioni, ha ammesso che l’inflazione “rimarrà elevata per qualche tempo, ma non permetteremo alla spirale inflazionistica di prendere piede”, ha aggiunto. Il balzo tra fine febbraio e inizio marzo, ha spiegato, è stato “provocato da un boom della domanda soprattutto di beni non alimentari come elettrodomestici, auto, dispositivi elettronici e arredamento” a causa del timore che “la disponibilità diminuisse drasticamente a causa delle sanzioni, dell’uscita di alcune compagnie dalla Russia e di un rublo più debole“, ma “nella seconda settimana di marzo questa domanda febbrile è calata”. Non così per i prodotti alimentari, ma beni come “cerealifarinapasta e zucchero sono per la maggior parte prodotti in Russia, da materie prime nazionali, le scorte di questi prodotti sono sufficienti e la loro produzione continua”. Tutte le aziende “stanno sperimentando interruzioni della produzione, della catena logistica e del regolamento dei conti con le controparti straniere”. Ma, ha assicurato la banchiera centrale, ora l’economia si adatterà al nuovo contesto: “Prima non era profittevole produrre nel Paese alcuni beni, ora diventerà più interessante”. Il prossimo trimestre, ha riconosciuto, “il pil calerà”. Osservatori esterni stimano un crollo che quest’anno potrebbe raggiungere il 10%.

 

Guerra Russia-Ucraina, inaugurato il gasdotto GIPL che collega Polonia e Lettonia: “Risposta al ricatto energetico di Mosca all’Europa”

“Oggi consacriamo la nostra indipendenza energetica”: tutti in questa Europa alla canna del gas vorrebbero poter dire lo stesso, per esorcizzare l’imbarazzante dipendenza da Mosca. Ma per il momento, questo mantra dei desideri Ue si è recitato solo in un piccolo villaggio lituano che si chiama Jauniuai e che ha appena 165 abitanti, nel distretto di Sirvintos della contea di Vilnius. È successo il 5 maggio, undicesimo giovedì di guerra in Ucraina, in occasione dell’inaugurazione ufficiale del nuovo gasdotto GIPL (Gas Interconnection Poland-Lithuania), capace di trasportare circa due miliardi di metri cubi di gas: “Con questa opera noi rafforziamo la nostra resistenza alle pressioni politiche”, ha sottolineato Gitanas Nauseda, presidente della Lituania, rivolgendosi agli ospiti polacchi, lettoni, estoni e finlandesi. La resilienza dei paesi baltici, per esempio, è ben nota: hanno smesso di importare il gas russo fin dall’inizio dello scorso aprile, disponendo di riserve stoccate in depositi sotterranei.In verità, la decisione di realizzare il gasdotto non ha nulla a che vedere con la guerra in Ucraina, non è un gesto legato alle contingenze belliche, bensì una vecchia scelta strategica: i cantieri sono stati aperti nel 2020. Però, oggi più che mai, acquista un valore di grande significato, è un passo in più verso l’indipendenza energetica della Lituania e, in minore misura, della Polonia, in quanto le assicura una fonte di energia alternativa che potrà coprire il 10 per cento del fabbisogno (attualmente, Varsavia utilizza 21 miliardi di metri cubi di gas l’anno). Ma è pure un deciso messaggio a Putin, come, in un altro senso, lo è agli alleati europei: “Si può fare”. Il gasdotto GIPL, costato 500 milioni di euro (finanziati in gran parte dall’Unione europea) è lungo 508 chilometri, dei quali 165 in Lituania e 343 in Polonia, raggiungerà la piena capacità ad ottobre, potrà essere connesso, grazie alla rete del gas esistente, anche in LettoniaEstonia e Finlandia.La compagnia polacca riceveva dalla Russia circa 9 miliardi di metri cubi (il 45 per cento delle necessità nazionali), ed è per sopperire allo stop che sta costruendo il gasdotto Baltic Pipe, dove transiterà il gas norvegese a cominciare da novembre e ridurre in misura maggiore l’handicap energetico con la Russia. Quanto alla Lituania, il gasdotto GIPL è la seconda fonte d’approvvigionamento energetico indipendente da Mosca, giacché dal 2014 dispone di un terminale rigassificatore. La Russia poteva contare sul 41,8 per cento delle importazioni lituane, del 93 per cento di quelle estoni e del 100 per cento di quelle lettoni, secondo Eurostat (dati relativi al 2020). Poco, rispetto ai volumi tedeschi e italiani, ma, come dicono a Vilnius, Riga e Tallinn, si comincia sempre dalle piccole cose per farle diventare grandi.

I costi delle ristrutturazioni volano e Draghi incolpa il superbonus. Ma accade in tutta Europa e dipende dai prezzi dei materiali

Superbonus, Draghi a Strasburgo: “Non siamo d’accordo, costi triplicati”. La replica M5s: “La Commissione Ue ha più volte lodato la misura”.

A febbraio si era limitato a sottolineare che coloro che “tuonavano” in difesa del superbonus erano “quelli che hanno scritto la legge che permette di fare lavori senza controlli“. Ora Mario Draghi torna all’attacco dello sconto fiscale del 110% per gli interventi di efficientamento energetico e antisismico fortemente voluto nel 2020 dal Movimento 5 Stelle e confermato dal suo governo con alcune modifiche sul meccanismo di cessione dei crediti applicabile anche alle altre agevolazioni fiscali. Intervenendo alla plenaria del Parlamento Europeo il premier ha rivendicato che il suo governo è “nato come governo ecologico, fa del clima e della transizione digitale i suoi pilastri più importanti”. Ma, ha detto, “non siamo d’accordo su tutto, sul bonus del 110% non lo siamo, perché il costo di efficientamento è più che triplicato e i prezzi degli investimenti per attuare le ristrutturazioni sono triplicati, perché (il superbonus ndr) toglie la trattativa sul prezzo“. Cioè: visto che paga lo Stato, chi ingaggia una ditta per fare i lavori non ha interesse a cercare di strappare sconti.Il deputato M5s Riccardo Fraccaro, padre della norma, ha risposto a stretto giro: “Mario Draghi nel suo intervento a Strasburgo durante la plenaria del Parlamento europeo ha dichiarato di non essere d’accordo sul Superbonus; sinceramente lo avevamo già dedotto dai continui blocchi e dalle modifiche apportate alla misura nei mesi scorsi che di fatto hanno rischiato di renderla inutilizzabile. Vorrei ricordare al nostro presidente del Consiglio che il superbonus è espressione della volontà parlamentare di tutte le forze politiche, e per questo, anche se il suo giudizio personale è negativo, non può boicottare una misura che peraltro in più occasioni ha ricevuto lodi dalla stessa Unione Europea”. Il riferimento è al plauso arrivato lo scorso dicembre dal vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans e dalla commissaria Ue per l’Energia Kadri Simson e alla “promozione” arrivata a inizio marzo nel report pubblicato dall’European Construction Sector Observatory secondo cui “ha avuto grande successo” e “sta generando un’elevata e crescente domanda”.

Il documento assegna alla misura un punteggio di 4 stelle su 5 e auspica un’estensione dei tempi per l’attuazione degli interventi approvati – cosa che il governo Draghi ha appena previsto nel decreto Aiuti – , un’allargamento del campo di applicazione ad altre tipologie di edifici come gli hotel, una ulteriore semplificazione delle procedure per rendere più facile l’accesso alla detrazione e eventualmente una modifica dei requisiti di efficientamento minimi (oggi è sufficiente un miglioramento di due classi energetiche). La richiesta europea è insomma di rendere la misura più efficace, certo non di limitarne la portata. Quanto all’esplosione dei prezzi lamentata dall’ex presidente Bce, a febbraio il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha firmato un decreto che fissa i tetti massimi di costo per gli interventi.

Le parole di Draghi non sono piaciute nemmeno alla deputata di FacciamoECO Rossella Muroni, che intervenendo in Aula alla Camera in replica all’informativa del governo sulle misure contro il caro energia ha detto: “Mi preoccupano le dichiarazioni del premier Draghi che a Bruxelles ha affermato di non condividere il superbonus. Una misura strategica che ci sta aiutando a migliorare la prestazione energetica delle nostre case, a tagliare le emissioni e a sostenere l’edilizia di qualità. Una misura che sta contribuendo in modo significativo ai dati positivi sul Pil che il governo cita volentieri”

 

 

Decreto aiuti, ok in cdm: una tantum di 200 euro per redditi fino a 35mila. Il Movimento 5 stelle si astiene in polemica con norma che apre all’inceneritore a Roma.

Il provvedimento vale 14 miliardi e per finanziarlo arriva anche l’aumento al 25% della tassa sugli extraprofitti. ​Esteso di tre mesi il bonus bollette, aiuti per affitti e sconti sui trasporti pubblici. Patuanelli: “Sbagliato sporcare idee del M5s con norme sugli inceneritori”. Sconto prorogato all’8 luglio ed esteso al metano. Ma i prezzi del gasolio volano.

 

Pil, l'Italia scivola in negativo: -0,2% nel primo trimestre. L'inflazione di aprile al 6,2%, sale il carrello della spesa

 

Assemblea Generali, sul futuro di 63 miliardi di titoli di Stato hanno deciso i fondi stranieri

 

“Paghe indegne e caporalato in ogni settore lavorativo. Necessario inserire un nuovo reato nel Codice penale”. La relazione della Commissione d’inchiesta del Senato.Il documento depositato dopo un anno di audizioni e sopralluoghi descrive un mercato fatto di “ricerca del profitto con modalità, termini e proporzioni prevalenti sulla tutela di dignità, salute e sicurezza” e diffusione “trasversale a molti settori dell’economia” del delitto di intermediazione illecita di manodopera

 

Istat, il rapporto: “Per una famiglia su tre peggiora la situazione economica. Disagio tra i giovani”

Autostrade, il gruppo spagnolo Acs offre 10 miliardi ad Atlantia: un miliardo in più di Cdp. Vita, affari e carriera di Florentino Perez

L’ingresso di Florentino Pérez Rodriguez nella partita Autostrade è un vero colpo di scena. Finora, infatti, gli industriali veneti hanno sostenuto che in circolazione non c’era proprio nessuno interessato ad acquistare Aspi. Così la notizia che Pérez sia disposto a mettere mano al portafoglio per creare un gruppo paneuropeo ha destato non pochi interrogativi fra gli investitori. Nella comunità finanziaria internazionale c’è infatti chi sostiene che Pérez voglia sfilare Aspi ai Benetton. E chi, invece, ritiene che il miliardario sia una sorta di asso nella manica degli industriali veneti per convincere Cdp a ritoccare al rialzo l’offerta per l’88% di Aspi.

Con il crollo della Cina, termina il "sogno" degli economisti "eterni"

Mario Draghi ripete l’esorcismo estremo: «Whatever it takes». Ma il pericolo attuale non è più quello di un collasso finanziario come nel 2008. Il pericolo è quello di una crisi di sovrapproduzione globale, e di una stagnazione di lungo periodo. Il crollo delle borse non è che un segnale. Da sei anni le banche centrali prestano denaro a costo zero, e da un paio di anni il petrolio scende ininterrottamente. Cionostante la domanda cala, e la stagnazione persiste, si aggrava, tende a divenire recessione.

Il 10 gennaio il New York Times ha pubblicato un articolo di Clifford Kraus dedicato agli effetti che il calo della domanda cinese produce sull’economia globale: «Per anni la Cina s’è ingozzata di ogni tipo di metalli e di energia perché la sua economia si espandeva rapidamente; le grandi aziende hanno ampliato aggressivamente le loro operazioni di estrazione e produzione, scommettendo sulla prospettiva che l’appetito cinese sarebbe continuato per sempre. Adesso tutto è cambiato. L’economia cinese si contrae. ........(leggi l'articolo)

I suoi 500.000mila euro erano diventati 800
Piccolo azionista Pop Vicenza si suicida

Luce e gas, da luglio potremo consultare i nostri consumi online

Grazie al Portale Consumi di Arera potremo consultare lo storico di quanta energia utilizziamo, ma si accederà solo con le credenziali di Spid. (Luglio 2019)

https://www.consumienergia.it/portaleConsumi

Su questo sito ogni consumatore potrà consultare lo storico dei propri consumi sia per la luce che per il gas “in modo chiaro e fruibile”, garantisce l’Autorità, che spiega: “In questa prima fase il cliente potrà da subito visualizzare, anche mediante tabelle o grafici più intuitivi, i dati passati di consumo, le letture e le autoletture degli ultimi 12 mesi”. Dati che i clienti più scrupolosi potranno scaricare in formato accessibile per averli sempre con sé. 
 

Arera avverte però che non tutti i consumatori accederanno alla stessa quantità di informazioni: questo dipenderà sia dal tipo di contatore installato (in questo senso, si suppone che quelli di ultima generazione forniscano letture a getto continuo, cosa che non possono fare quelli più vecchi) e dalla frequenza con la quale gli operatori mettono le letture a disposizione del Sistema informativo integrato, il database per le informazioni dei clienti del mercato libero e del tutelato.n questa operazione di trasparenza, che va a tutto vantaggio del cittadino, c’è però un neo: per entrare nel Portale Consumi bisognerà essersi dotati delle credenziali di Spid, l’identità digitale per accedere a tutti i servizi pubblici. “Si tratta di una inutile complicazione che rischia di vanificare l’utilità del servizio” spiega Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione Nazionale Consumatori, che però sottolinea come il portale sia “un’ottima notizia” e che la questione Spid non dipenda da Arera.

Una volta conosciuti nel dettaglio i propri consumi, il passaggio successivo dovrebbe essere quello di capire se stiamo pagando il giusto o, invece, potremmo risparmiare cambiando operatore. Arera ha già annunciato che nei prossimi mesi verrà creata una sinergia tra il Portale Consumi e il Portale Offerte che mette a confronto le tariffe dei gestori del libero e del tutelato. Fino ad oggi, infatti, il Portale Offerte dà la possibilità di fare una stima dei propri consumi, ma in futuro il calcolo della tariffa migliore verrà fatto sulla base di dati reali e affidabili.

 

 

2019

 

 

Draghi in azione: la Bce taglia i tassi e rilancia il Qe. I tassi sui depositi scendono allo 0,5%, gli acquisti ripartiranno da novembre con 20 miliardi al mese e senza una data di scadenza fissata. Migliorate le condizioni finanziarie per le banche.Tassi sui depositi giù di 10 punti base (al -0,5%) e riavvio degli acquisti di titoli, a partire da novembre, per 20 miliardi di euro al mese e finché sarà necessario. Sono le decisioni prese dalla Bce nell'attesissimo Consiglio che aveva sul tavolo gli strumenti per intervenire in difesa dell'economia dell'Eurozona e in supporto alla dinamica dei prezzi, che resta ferma intorno al +1% a fronte di un obiettivo vicino al +2%.

Mario Draghi ha annunciato in conferenza stampa il cambio della cosiddetta forward guidance, ovvero la previsione sui movimenti futuri dei tassi. Questi, si aspetta la Bce, resteranno "su livelli attuali o più bassi fino a che avrà visto l'outlook dell'inflazione convergere in maniera robusta (rafforzamento del concetto di nuova introduzione, ndr) verso un livello sufficientemente vicino ma sotto il 2% entro il suo orizzonte di riferimento e fino a che questa convergenza non sia stata riflessa in maniera consistente nelle sottostanti dinamiche di inflazione". Nell'Eurozona, insomma, è ancora "necessaria una politica altamente accomodante a lungo". La Bce ha ufficializzato dunque le sue mosse e, dalle prime reazioni, sembra non aver deluso le aspettative del mercato. Immediata la reazione nelle sale operative, con le Borse europee in rafforzamento, l'euro in calo sotto 1,1 dollari e i Btp che si sono apprezzati. Draghi ha ricordato che, se si è arrivati a questo punto, è perché i "recenti dati macro hanno indicato una protratta debolezza economica". Anche la Germania, ha detto proprio oggi l'istituto Ifo, "rischia la recessione". Le previsioni sul Pil dell'Eurozona sono state tagliate all'1,1% per il 2019 (da 1,2% a giugno), all'1,2% per il 2020 (da 1,4%) e confermate all'1,4% per il 2021. Anche l'inflazione è stata ribassata a 1,2, 1 e 1,5% nel triennio 2019-2021. Torna il Qe. Negli ultimi giorni erano state messe in dubbio le possibilità che il Qe scattasse fin da subito, invece la Bce l'ha ufficializzato: seppure per un ammontare mensile nella parte bassa delle stime, è rilevante che non ci sia indicazione di una scadenza del piano. Anzi, nella decisione del Consiglio si dice che questo durerà finché sia necessario "per rafforzare l'impatto accomodante dei tassi ufficiali e che termini poco prima che inizino ad aumentare il tasso di interesse chiave della Bce". Proprio questa è una delle novità che superano le attese del mercato, mentre la taglia degli acquisti (20 miliardi) è nella parte bassa delle aspettative. Il risvolto di queste decisioni è ben eviente sui mercati. Già da tempo i rendimenti dei titoli di Stato avevano iniziato un percorso di discesa, aspettando questi stimoli Bce e quelli che verranno probabilmente dalla Fed settimana prossima. In Italia, il calo dello spread si è poi accentuato con il cambio di governo, ben accolto sui mercati soprattutto per il ritrovato dialogo con la Ue. In vista della Manovra, proprio il minor costo del debito sarà un serbatoio importante cui attingere per far quadrare i conti: nella nota di aggiornamento del Def potrebbero entrare risparmi per 2-3 miliardi vista la nuova situazione sul mercato dei titoli di Stato, che si potrebbero ancor più consolidare negli anni a venire.

Nelle tasche degli italiani, si ripropone il duplice gioco: da una parte il denaro avrà un costo inferiore, con possibili ulteriori ribassi sul costo dei mutui e dei prestiti. D'altra parte, per chi ha liquidità da investire, significa far sempre più fatica a trovare titoli in grado da offrire un minimo rendimento. Roberto Anedda di MutuiOnline.it ricorda che - già anticipando le mosse ufficiali - i mercati avevano portato "l'Euribor su nuovi minimi intorno al - 0,45% e, soprattutto, hanno fatto letteralmente crollare gli indici Irs che, con un calo dell'1% complessivo". Il crollo degli indici si è riflesso subito sui tassi dei mutui: "E' ora possibile ottenere un mutuo ventennale ad appena lo 0,22% di tasso variabile e alllo 0,57% per un tasso fisso. Sulla durata di 30 anni il miglior tasso variabile è ora allo 0,27% e il tasso fisso più conveniente allo 0,83%". Per la prima volta nel mercato dei mutui l'intero arco di migliori offerte, dal variabile al fisso e fino alle durate più lunghe, rimane così al di sotto della già di per sé ridotta soglia dell'1%.

Draghi ha rimarcato più volte in conferenza stampa che i governi devono fare la loro parte per sostenere l'economia: "Considerati l'indebolimento dell'economia e la protratta prevalenza dei rischi verso il basso, i governo con spazio in bilancio dovrebbero agire in modo efficace e tempestivo", il suo messaggio a Paesi quali la Germania che dovrebbero investire maggiormente. Nel Consiglio, ha rimarcato, c'è stata unanimità sul fatto che la fiscal policy deve diventare il primo strumento per affrontare questa congiuntura, non si può più demandare tutto alla politica monetaria.

 

 

 

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L’Italia agli spareggi: comunque vada, questa non è una grande Nazionale

e il trionfo agli Europei è stato un miracolo.

Ci siamo svegliati dopo un lungo sonno azzurroE abbiamo scoperto che non era un sogno, ma un incubo. Esattamente quattro anni dopo Italia-Svezia, il punto più basso della storia del pallone italiano, la nazionale è di nuovo con un piede fuori dal Mondiale, di nuovo ai maledetti spareggi dove può succedere di tutto. In mezzo c’è stata la vittoria agli Europei, che ci ha inebriato, probabilmente illuso. Quel trionfo non si cancellerà, la coppa resterà in bacheca insieme ai ricordi dell’estate 2021, ma adesso non ci aiuterà a qualificarci a Qatar 2022. E non andarci significherebbe sparire dai Mondiali per un periodo lungo 12 anni. Di nuovo uno spareggio per andare al Mondiale. Come nel 2017, quando la Svezia ci costrinse a un’estate di penitenza e l’Italia del calcio toccò il suo punto più basso. Peggio del 2017, se si guarda al regolamento dei playoff verso il Qatar: un meccanismo infernale, che costringe a superare due avversari in gara secca. La prospettiva più dura è una: la nostra Nazionale costretta a giocarsi il Mondiale in Portogallo contro Cristiano Ronaldo e compagni. Purtroppo, è un prospettiva possibile. Per le squadre europee che aspirano ancora ad andare in Qatar nel 2022 sono rimasti appena tre posti. Saranno 12 squadre a contenderseli, che saranno divisi in tre gruppi separati con il sorteggio del prossimo 26 novembre. Le 4 squadre all’interno di ciascuno gruppo non si sfideranno in un girone, ma in una “final four“: semifinale e finale sempre a gara secca. L’Italia, fortunatamente, è testa di serie: significa che giocherà la semifinale sicuramente in casa. Le possibili avversarie? Galles, Macedonia del Nord, Turchia (in attesa dell’ultimo turno), Finlandia (o Ucraina), Austria e Repubblica Ceca. Non sono esattamente squadre cuscinetto, ma l’eventuale finale sarebbe ancora più in salita. In quel caso si può incrociare un’altra testa di serie: in questo momento sono PortogalloScoziaRussiaSvezia e Polonia. Tutte rivale pericolose, con l’incognita di dover giocare in trasferta: la seda della finalissima, infatti, sarà decisa in sede di sorteggio. Quattro anni dopo la figuraccia di San Siro, l’Italia potrebbe trovarsi a lottare per il Mondiale sempre contro la Svezia di Ibrahimovic, ma questa volta a Stoccolma. Potrebbe anche essere l’occasione per una rivincita.

David Beckham è solo l’ultimo intervento di chirurgia estetica

morale da parte del Qatar: storia e nefandezze dello sportwashing di Stato

Per sciogliere in italiano la parola inglese è necessaria una lunga perifrasi. Perché definire lo “sportwashing” non è esattamente un compito semplice. Secondo Amnesty International si tratterebbe di un tentativo di “sfruttare lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani”. Altri preferiscono parlare di chirurgia estetica morale: rendere più gradevole la facciata esterna in modo da nascondere la fatiscenza che si nasconde internamente. Due definizioni che raccontano la stessa realtà, che spiegano un fenomeno lungo quasi quindici anni. Più o meno da quando aziende e magnati arabi hanno iniziato a entrare nel calcio del Vecchio Continente. Prima sotto forma di sponsor su una maglia, poi sovrapponendo i propri nomi agli stadi più moderni d’Europa. Ma niente spiega lo “sportwashing” meglio delle vicende che riguardano l’organizzazione dei Mondiali in Qatar del 2022.L’opera di maquillage dell’emirato dell’Arabia orientale riemerge ciclicamente. E ogni volta riesce a sollevare nuove polemiche. L’ultima è arrivata ieri mattina, quando è stato reso noto che David Beckham, ex divinità pop di Manchester United e Real Madrid, sarà il nuovo “ambasciatore” della Coppa del Mondo di calcio. In più, sarà sua premura promuovere attivamente il turismo e la cultura del Qatar. In cambio di una cifra vicina ai 177 milioni di euro. Non una novità. Perché già dal 2009 l’emirato aveva chiesto ad alcuni dei calciatori di rilievo internazionale che avevano chiuso la carriera nella Qatar Stars League di supportare la propria candidatura a Paese ospitante. I primi ad accettare erano stati Ronald de Boer (che aveva giocato nell’Al-Rayyan e nell’Al-Shamal) e Gabriel Omar Batistuta (che aveva vestito la maglia dell’Al-Arabi). Qualche anno dopo era stato il turno di Xavi, che dell’Al-Sadd è stato prima giocatore e poi allenatore. E lo spagnolo si era calato talmente bene nella parte che nel 2019 aveva detto: “Non vivo in un Paese democratico, ma il Qatar funziona meglio della Spagna“.Una frase che aveva preso tutti in contropiede. E che aveva sollevato più di una obiezione. Dani Mateo, un comico spagnolo che ha partecipato a diversi programmi andati in onda su “La Sexta”, aveva commentato quelle parole in un suo intervento in diretta: “Per Xavi una dittatura teocratica con un regime monarchico assolutista funziona meglio della democrazia spagnola. Beh, in Qatar le donne non possono viaggiare liberamente, la violenza domestica non è un reato e quando una donna sposata viene violentata e sporge denuncia può essere condannata per adulterio. Ma a parte questo piccolo dettaglio, Xavi ha ragione: il sistema qatariota funziona molto meglio di quello spagnolo”. Piccolo scherno su piccolo schermo. Anche perché quella battuta tagliente non voleva far ridere, ma sottolineare come il tema del mancato rispetto dei diritti umani in Qatar sia diventato piuttosto pressante negli ultimi dieci anni. Per questo la scelta di Beckham di prestare il proprio volto all’emirato è sembrata inopportuna e volgare. Soprattutto perché è arrivata a fronte di una montagna di quattrini. Le associazioni per la tutela dei diritti umani sono inorridite. Qualche ONG britannica ha accusato lo Spice Boy di aver “venduto l’anima”. E di averlo fatto per “pura avidità“.D’altra parte la rimozione chirurgica del peccato originale qatariota è un’operazione impossibile. Qualche mese fa il Guardian ha pubblicato un’inchiesta drammatica. Dal dicembre 2010, ossia da quando il Paese ha ottenuto l’assegnazione dei Mondiali, sono morti più di 6500 lavoratori immigrati da Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. La contabilità è oscena. Perché i decessi sono più di 12 a settimana, poco meno di due al giorno. Cifre che sono un pugno allo stomaco. Ma che rappresentano chiaramente quel problema che Amnesty International denuncia da parecchio tempo. Nel marzo del 2015 l’Ong ha intervistato oltre 230 stranieri impiegati nella costruzione dello stadio Khalifa, che ospiterà una delle semifinali del torneo. Alcuni di loro erano impiegati nella ristrutturazione dell’impianto, altri nella manutenzione degli spazi vedi intorno al complesso Aspire, ossia l’Accademia/laboratorio dove vengono coltivati i talenti che dovranno tenere alto il nome della Nazione nel torneo casalingo.Eppure tutti hanno raccontato le stesse cose. Vivevano in alloggi squallidi e sovraffollati e dopo aver protestato per le condizioni di lavoro erano stati minacciati. E questa era la parte meno preoccupante del loro racconto. In molti, infatti, erano finiti in una spirale perversa. Per ottenere il lavoro in Qatar avevano versato ai reclutatori cifre che variavano fra i 500 e 4300 dollari. E spesso per mettere insieme tutti quei soldi avevano dovuto ricorrere a qualche prestito dal tasso esoso. Solo che una volta arrivati nell’emirato, avevano scoperto che il loro salario era molto inferiore rispetto a quanto promesso. Oppure, molto semplicemente, non venivano pagati per mesi. Il cortocircuito era chiaro. Nel 2014 il Comitato organizzatore dei Mondiali, che poi è anche responsabile della costruzione degli stadi, aveva dato vita a delle “Linee guida per il benessere dei lavoratori”. In pratica chiedevano alle imprese che costruivano stadi e infrastrutture di adottare per i lavoratori degli standard che erano addirittura superiori a quelli previsti dalle leggi locali. Il problema, quindi, non erano solo le riforme. Ma anche la loro concreta applicazione.L’altro grande scoglio hanno dovuto affrontare i lavoratori stranieri che arrivavano in Qatar si chiama “kefala”. È un sistema che spesso viene tradotto con il termine “sponsor” e produce un totale assoggettamento del dipendente. Sostanzialmente per cinque anni il lavoratore straniero non può cambiare occupazione o lasciare il Paese senza il permesso del datore di lavoro. In caso di violazione della regola lo straniero perde lo status di lavoratore per acquisire quello di clandestino. Il che significa correre il rischio di venire arrestati e/o espulsi. Nel 2018 c’è stato un piccolo passo avanti grazie a una riforma inserita in un Progetto triennale di cooperazione tecnica concordato fra il Qatar e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. La legge emanata dall’emiro, infatti, ha sottratto ai datori di lavoro la possibilità di negare ai dipendenti il diritto di uscire dal Paese. Eppure alcuni datori di lavoro hanno continuato a trattenere il passaporto dei propri dipendenti. Per i lavoratori stranieri, che rappresentano il 90% della popolazione qatariota, è diventato difficile anche riscuotere i propri compensi. I casi di morosità da parte delle aziende si sono moltiplicati. Il primo risale al 2017 e riguarda la Mercury Mena, una società piuttosto vicina agli organizzatori del Mondiale. Piccolo dettaglio: nel dicembre 2010, per sostenere la candidatura del Qatar, ha realizzato un suggestivo stadio-vetrina che doveva attrarre l’interesse della Fifa. E visto il successo, la ditta ha continuato a lavorare in tutti i progetti più ambiziosi legati ai Mondiali. Proprio come Lusail City, l’avveniristica città che ospiterà la gara d’esordio e la finale della competizione. Tutto molto bello. Se non fosse per un piccolo dettaglio. L’azienda non ha versato migliaia di dollari destinati a stipendi e pensioni. Praticamente per sei mesi i lavoratori si sono trovati in uno Stato straniero senza senza un soldo in tasca. E quindi senza possibilità di ripagare i prestiti che avevano contratto per pagare i reclutatori.Amnesty International ha intervistato 78 lavoratori ex dipendenti in credito con la Mercury Mena provenienti da India, Nepal e Filippine. E anche qui le testimonianze sono state avvilenti: “In Nepal, dove due terzi della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, Amnesty ha incontrato 34 persone cui la Mercury deve versare, in media, 2035 dollari a testa”. Più o meno lo stesso problema che si è avuto con la Qatar Meta Coats, società che aveva avuto in subappalto i lavoro per la facciata dello stadio di Al Bayat (il cui valore sfiorava gli 800 milioni di euro). Cento dipendenti hanno dichiarato di aver lavorato per sette mesi senza ricevere lo stipendio. E proprio come i lavoratori della Mercury Mena, anche quelli della QMC si sono ritrovati con permessi di lavoro scaduti perché le società non hanno voluto rinnovarli. Le cose sono peggiorate ulteriormente durante la pandemia. L’area industriale di Doha è diventata una vera e propria bomba sanitaria. I dormitori della capitale erano sovraffollati, senza una “adeguata” fornitura di acqua, luce e servizi igienico sanitari. Mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro era praticamente impossibile. Così sono diventati terreno fertile per la diffusione del Covid-19. E sono stati isolati. Secondo Amnesty International, poi, fra il 12 e il 13 marzo centinaia di migranti nepalesi sono stati radunati e poi trasportati nei centri di detenzione. All’inizio erano stati rassicurati: era una misura necessaria per sottoporli a un tampone di massa e poi riportarli nei dormitori. Invece sono stati espulsi dal Paese. A seguito delle proteste della Ong, il Governo del Qatar ha risposto che durante una ispezione nell’area industriale erano state scoperte “Persone coinvolte in attività illecite e illegali, come la produzione e la vendita di sostanze proibite e la cessione di cibi pericolosi che avrebbero potuto causare gravi danni alla salute”. Nei verbali di espulsione, tuttavia, non era stata specificata nessuna attività illecita.Negli ultimi anni il Qatar ha fatto dei piccoli passi avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori stranieri. Il 30 agosto del 2020 sono stati emanati due provvedimenti importanti. Il primo sopprime il “certificato di non obiezione del datore di lavoro”. Per cambiare impiego, quindi, i lavoratori non dovranno più ottenere il nulla osta dei loro “padroni”. L’altro introduce un salario minimo, fissato a 1000 rial (al cambio 230 euro) al mese, più 300 rial per gli alimenti e 500 per l’affitto di un alloggio. Solo che la strada è ancora molto lunga. I datori di lavoro possono ancora denunciare per “clandestinità” i lavoratori migranti e possono ancora gestire direttamente i permessi di residenza, attraverso il loro rinnovo o il loro annullamento. In più le riforme non si applicano ai lavoratori domestici migranti, che sarebbero 173mila. Amnesty International ha intervistato 105 donne che prestano servizio presso le case qatariote. E molte hanno raccontato di aver subito comportamenti che oscillano dalla sgradevolezza al reato. L’85% del campione ha detto di lavorare regolarmente più di 14 ore al giorno (la legge ha fissato a 10 ore il limite massimo), sette giorni su sette. Nell’82% dei casi il datore di lavoro aveva confiscato il passaporto dei propri dipendenti. Il 38% ha dichiarato di essere state insultate e schiaffeggiate. O di aver ricevuto sputi. Mentre una donna ha dichiarato di essere stata tratta “come un cane”. Il 3.5%, invece, ha raccontato di aver subito palpeggiamenti o addirittura stupri e di non aver denunciato l’accaduto per paura di ripercussione da parte dei propri datori di lavoro.A controbilanciare i passetti in avanti fatti sulla tutela dei lavoratori ci ha pensato un ulteriore giro di vite sulla libertà di espressione. Il codice penale locale è stato emendato a inizio 2020 con l’inserimento dell’articolo 136bis che prevede una pena detentiva fino a cinque anni (con una sanzione annessa di 25mila euro) per “chiunque diffonda, pubblichi, o ripubblichi voci non confermate, dichiarazioni, notizie false o faziose, propaganda provocatoria, a livello nazionale o all’estero, con l’intenzione di danneggiare l’interesse nazionale, infiammare l’opinione pubblica, violare il sistema sociale o il sistema pubblico dello Stato”. Non che prima la libertà di espressione fosse poi tutelata. Nel 2010 il poeta qatariota Mohammed al-Ajami recitò una poesia piuttosto critica nei confronti dell’emiro nel suo appartamento in Egitto, davanti a qualche ospite. Solo che uno dei presenti filmò l’esibizione e la postò su internet. Un anno dopo al-Ajami fu arrestato in Qatar e condannato all’ergastolo per aver “incitato al rovesciamento del governo nazionale” e “aver insultato” lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani e suo figlio. Dopo cinque anni di detenzione, il poeta è riuscito a ottenere la grazie ed è stato rilasciato. La domanda rimbalza ormai da diverse ore. È possibile girarsi dall’altra parte e diventare testimonial di un Mondiale costruito sul sangue e sulle sofferenze, biglietto da visita di uno Stato che calpesta i diritti essenziali dei suoi cittadini (e non solo)? Il problema è che la risposta non può che essere legata alla morale soggettiva. E qualcuno deve aver trovato milioni di motivi per dire di sì.

IL DISASTRO DI AGNELLI E PEREZ !! LA SUPER LEGA SPROFONDA IN 48 ORE, ADDIO AL PATTO DI SANGUE.
Agnelli: "Superlega senza inglesi? Non è più il caso". Juve, crollo in Borsa. Marcia indietro Inter e Milan, scuse Liverpool.

Superlega, Ceferin avverte le 12 ribelli: "Mi hanno sottovalutato, ora ci saranno conseguenze"

Il numero uno dell'Uefa si toglie qualche sassolino dalla scarpa: "Deluso da tutti, salvo solo il Barcellona, ma senza il supporto di Bayern, Borussia Dortmund e Psg non avremmo vinto questa battaglia. Agnelli? Meglio ingenuo che bugiardo, Florentino Perez vorrebbe uno al mio posto che obbedisca ai suoi comandi. Adesso vogliono il dialogo, non sto dicendo che non parleremo, ma penso che dovremo valutare le conseguenze". Aleksander Ceferin, all'emittente slovena '24ur': "Ora ci aspettiamo che tutti si rendano conto del loro errore e ne subiscano le conseguenze".

"Agnelli? Meglio ingenuo che bugiardo"

Ceferin va all'attacco soprattutto di Andrea Agnelli e Florentino Perez. "Sabato ho ricevuto chiamate da 5 dei 12 club, mi hanno detto che avrebbero firmato. Allora ho chiamato Agnelli e mi ha detto che non era vero, che erano stronzate, che era tutto inventato. Gli ho detto che se era così avremmo potuto uscire con una dichiarazione pubblica. Mi ha detto: 'Perfetto, prepara una bozza'. Quando l'ha vista ha detto che non gli piaceva molto la bozza, che l'avrebbe cambiata un po' e mi avrebbe richiamato. Ma non ha più chiamato e ha spento il telefono. Sono stato ingenuo? Meglio ingenuo che bugiardo". Era un tentativo di creare una fantomatica lega di ricchi che non seguisse alcun sistema, che non avrebbe tenuto conto della piramide del calcio in Europa, della tradizione, della cultura, della storia - continua - ci hanno tutti sottovalutato. Questo è tipico delle persone che sono per lo più circondate da coloro che annuiscono e che dicono loro di essere il migliore, il più bello e il più intelligente. Probabilmente hanno sottovalutato me e l'intera situazione, mi sorprende che non sapessero in quale situazione si trovassero. Ma ora mi aspetto che in futuro nessuno nel mondo del calcio mi sottovaluti. Per me - prosegue Ceferin - è assolutamente orribile che l'avidità possa essere così forte al punto che non ti importa dello sport che amiamo, della cultura, della tradizione europea, dei tifosi e, per ultimo ma non meno importante, delle amicizie personali".Di certo non avrò mai più un rapporto personale con certe persone". Poi un elogio ai tifosi: "Il merito di questa vittoria è stato soprattutto loro che hanno inscenato una vera rivoluzione e non si sono lasciati disprezzare, ignorare, non hanno permesso che si potesse pensare di comprarli".

Superlega, il fronte inglese si spacca: "Il Chelsea e il Manchester City lasciano".
Superlega sospesa, le inglesi rinunciano: il torneo non parte.

“La Superlega non ci interessa”: ora l'Inter pensa al piano B. E allo scudetto.

Andrea Agnelli: "La Superlega per coinvolgere i giovani, la competizione è con Fortnite e Call of duty"

Superlega, le sanzioni Uefa: "I ribelli esclusi dalle Coppe"

Superlega, il fronte inglese si spacca: "Il Chelsea e il Manchester City lasciano"

I media locali: "Stanno preparando la documentazione per abbandonare il progetto". Secondo la stampa spagnola verso l'uscita anche l'Atletico Madri, Il capitano del Liverpool Henderson convoca una riunione con i suoi pari della Premier. Le perplessità di Guardiola e Klopp e il muro (vincente) eretto da Boris Johnson.

La grande pressione dei tifosi e del governo Johnson ha spaccato il fronte dei sei big team di Premier League promessisi alla Superlega. Secondo la Bbc e Itv il Chelsea sarebbe pronto ad abbandonare il progetto già nelle prossime ore. Il club di Roman Abramovich "avrebbe già preparato la documentazione per sganciarsi" dalla Superlega. Insomma, per l'ufficialità sarebbe solo questione di (poco) tempo. Da un paio di ore erano partite le proteste fuori dallo Stamford Bridge con centinaia di tifosi a manifestare contro la Superlega. Non solo. Anche il Manchester City dello sceicco Mansour starebbe abbandonando definitivamente la Superlega, secondo il Sun. E secondo la stampa spagnola stessa decisione avrebbe preso l'Atletico Madrid.

Da stamattina a Londra giravano voci sul possibile ripensamento di almeno una squadra coinvolta. Anche al Liverpool gli animi sono molto tesi, e nelle prossime ore potrebbero esserci novità importanti pure nel Merseyside. Il capitano Jordan Henderson, infatti, ha convocato un vertice di emergenza con i suoi pari delle altre squadre di Premier League. Secondo il Daily Mail, si tratterebbe di una mossa decisa all'ultimo, dopo le proteste dei tifosi dei "Reds" e le frasi amare di ieri sera dell'allenatore Jurgen Klopp e il centrocampista Milner contro la Superlega dopo la partita contro il Leeds: "Non ci piace e la dirigenza non ci ha coinvolti". Match che ha visto anche la clamorosa iniziativa della squadra di Bielsa che ha indossato - e prima ancora lasciato negli spogliatoi degli ospiti - magliette con scritto "il calcio è dei tifosi", "la Champions League dovete conquistarvela", oltre alle contestazioni dei tifosi dello stesso Leeds contro il pullman del Liverpool fuori dallo stadio. Proteste che si sono ripetute oggi dav

anti Stamford Bridge prima di Chelsea-Brighton.

 

Il Newcastle all’Arabia Saudita: così la triade del petrolio si è ricomposta anche nel calcio.

Il triangolo è servito. Con l’acquisto del Newcastle da parte di un consorzio guidato dal PIF (Fondo per gli Investimenti Pubblici) appartenente al principe saudita Mohammed Bin Salman, che deterrà l’80% delle quote dei Magpies pagando una cifra attorno ai 353 milioni di euro, la triade del petrolio Qatar-Emirati Arabi Uniti-Arabia Saudita si è ricomposta anche nell’élite del calcio europeo e mondiale. Non si tratta di una novità assoluta, visto che i tre Stati sono già attivi nel medesimo contesto calcistico, ovvero il campionato belga (autentico porto franco globalizzato nel quale 14 delle 26 società si trovano nelle mani di proprietari stranieri), dove sono proprietari rispettivamente di Lommel (EAU), Eupen (Qatar) e Beerschot (Arabia Saudita). Adesso dal parco giochi di periferia sono passati direttamente a Gardaland.

Su The AthleticMatt Slater ha sintetizzato l’acquisizione del Newcastle in poche righe. L’Arabia Saudita ha acquistato un club di Premier League perché i vicini Qatar e EAU possiedono a loro volta una società di alto profilo e, numeri alla mano, il ritorno ottenuto a livello mediatico e commerciale è risultato indiscutibile. “Ci aveva già provato un anno fa”, scrive, “ma c’era di mezzo un conflitto con il Qatar e l’utilizzo del calcio come arma per vincere tale conflitto si è rivelato inefficace. Pertanto è bastato rimuovere la questione scatenante il conflitto per ottenere il proprio investimento top”. Ovvero una squadra del campionato più ricco del mondo, pronta a diventare un nuovo Manchester City o un nuovo Paris Saint Germain.

Il conflitto Qatar-Arabia Saudita verteva su un caso, piuttosto clamoroso, di pirateria digitale. Tutto è iniziato nel giugno 2017 quando Bahrain, EAU, Egitto e Arabia Saudita decidono di imporre un embargo diplomatico, economico e logistico al Qatar, accusato di sostenere e finanziare gruppi terroristici. Vengono chiusi i confini terrestri e marittimi, viene negato il passaggio nello spazio aereo, tutti i contratti e gli scambi commerciali sono annullati. Ma l’Arabia Saudita va oltre: sul proprio territorio spunta la tv pirata beoutQ che inizia a trasmettere partite di Premier League, gran premi di Formula 1 e match di competizioni Fifa. Tutti eventi di cui la qatariota beIN possiede i diritti sportivi per il Medio Oriente e la fascia settentrionale del continente africano. Un’operazione di pirateria digitale che costa a beIN, solo per le annate 2018 e 2019 di Premier League, un miliardo di euro in mancati introiti. Questa la cifra presentata dal Qatar nella denuncia alla World Trade Organization. Secondo Dubai, dietro alla tv pirata c’è il governo saudita: è propria l’incapacità (o la mancata volontà) dei sauditi nel bloccare le trasmissioni di beoutQ (un nome, un programma) a causare lo stop nelle trattative di acquisto del Newcastle avviate nel maggio del 2020. Con buona pace di Amnesty International e di tutte le associazioni che si occupano di diritti umani, da tempo in prima fila nel denunciare gli abusi del regime saudita. Gli unici diritti che contano sono quelli commerciali (“la Premier League dovrebbe cambiare i test su proprietari e dirigenti per affrontare le questioni sui diritti umani”, ha dichiarato il Ceo di Amnesty Sacha Deshmukh): è sufficiente sistemare la questione con il proprio vicino di casa e tutte le porte si aprono. In estate il WTO ha ritenuto colpevole l’Arabia Saudita di aver violato le leggi internazionali sulla proprietà intellettuale per il caso beoutQ. Un mese dopo, la Qatar Airways ha vinto la causa per danni intentata contro i quattro stati che avevano bloccato il traffico aereo. Ma nel frattempo i rapporti si erano già distesi, specialmente quelli tra Qatar e Arabia Saudita, con la visita a inizio gennaio dell’emiro Al Thani a Riyad per il Consiglio di Cooperazione nel Golfo che ha aperto la strada alla riapertura dei confini tra gli stati. BeIN è tornata in affari con i sauditi (che compongono il bacino di utenza più grande di tutta la penisola), pertanto i sauditi sono tornati in affari con la Premier League e nel giro di poco tempo si è arrivati ai festeggiamenti per le strade di Newcastle per la fine dell’era Mike Ashley, durata 14 anni. Non deve ingannare l’aurea di mediocrità che da tempo avvolge i Magpies, con un solo piazzamento tra le prime nove di Premier ottenuto lungo tutta la gestione Ashley (accadde nella stagione 2011/12 con Alan Pardew in panchina). Se sportivamente è stato un periodo avaro di soddisfazioni e zeppo di frustrazioni, a livello commerciale il fondatore di Sports Direct lascia una società in buona salute (fino al 2018 il Newcastle, a dispetto dei modesti risultati, era ancora nella top 20 della Football Money League stilata dalla Deloitte) e, soprattutto, si mette in tasca una cifra più che raddoppiata rispetto a quanto sborsato (150 milioni di euro) nel 2007. Termini quali austerità e braccino corto (in 12 anni il Newcastle ha speso sul mercato 77 milioni, per una media di 6 milioni a stagione) sono destinati a finire in soffitta, forse tra qualche anno al popolo del St. James’s Park non provocherà più crisi di nervi ricordare certe uscite di Ashley, come la risposta data a Rafa Benitez dopo l’ennesima richiesta di investimenti nelle infrastrutture e nel potenziamento dello staff societario, scouting in primis. “Non ho mai visto un solo giocatore”, disse, “che non abbia voluto firmare con noi a causa del nostro centro di allenamento”.Con un patrimonio stimato in 376 miliardi di euro, vale a dire circa 13 volte più di quello dello sceicco Mansour del Manchester City e oltre 60 volte quello dell’emiro Al Thani del Psg, il fondo sovrano PIF lascia ipotizzare una pioggia di denaro in arrivo su Newcastle. Difficilmente però si assisterà a intensi restyling come quelli operati dal primo Abramovich al Chelsea o dallo stesso Mansour al City, visto che le regola del Financial Fair Play impongono ricavi adeguati all’ammontare delle spese. Impensabile pensare a un boom come quello della Manchester color sky blue, con 487 milioni spesi in tre anni per costruire una squadra stellare (Yaya Tourè, Carlos Tevez, David Silva) prima che fosse introdotto il FFP. Indubbiamente l’approccio al grande calcio dei sauditi è stato diverso rispetto a quello dei vicini di casa. Anni fa conclusero un bizzarro accordo “pay per view” con diversi club della Liga spagnola per il prestito semestrale di alcuni nazionali, con stipendio direttamente pagato dallo stato arabo. Quasi nessuno è mai sceso in campo e per il movimento calcistico saudita i benefici sono stati nulli. Sempre ammesso che, senza un Mondiale in casa alle porte, una nazionale competitiva interessi qualcosa alla monarchia. Il calcio come leva di soft power passa per altre strade. Come quelle che costeggiano il fiume Tyne.

 

Champions, dal 2024 da 125 a 225 partite. E cambia il format della Coppa Italia

Una parte dei presidenti cerca di chiudere in fretta, magari già domani, il contratto dei diritti tv domestici dal 2021 al 2024, ma intanto il calcio sta preparando la rivoluzione. L'Uefa ha presentato alle Federazioni una bozza della nuova Champions che andrebbe in vigore appunto dal 2024. Le squadre dovrebbero passare da 32 a 36, dalle attuali sei partite dei gironi si arriverà a dieci. Per 32 delle 36 partecipanti il metodo di ingresso dovrebbe restare quello odierno: per le altre quattro si potrebbe tener conto del ranking storico. Le squadre sarebbero divise in quattro fasce: le prime otto andrebbero direttamente agli ottavi, poi spareggi dal nono al 24° posto per decidere le altre otto qualificate. Le ultime finirebbero in Europa League. Le partite attuali sono 125: dal 2024 sarebbero 225, con un aumento dell'80 per cento. E chiaramente ci sarebbe un grosso interesse delle tv.

Il progetto, come detto, è stato fatto vedere dall'Uefa alle Federazioni nazionali. La Figc non è contraria, per Gravina non si tratta di una Superlega (anche se un po' gli assomiglia...) e poi ha avuto garanzie da Ceferin che i weekend sarebbero sempre riservati ai campionati nazionali. Le Coppe europee extralarge occuperebbero tutta la settimana. Il problema che sorge subito è quello delle date, con 225 gare di Champions il calendario sarebbe ancora più compresso (già adesso si fa fatica a trovare uno spazio per recuperare Juve-Napoli...) e vanno trovate altre 4-5 "finestre" in più rispetto ad oggi. Di ridurre la serie A da 20 a 18 pare utopistico: i presidenti non ne vogliono sapere e Gravina, a differenza di qualche suo predecessore forse troppo ottimista, questo tasto preferisce solo sfiorarlo. Per recuperare un po' di spazio si sta pensando semmai di modificare il format della Coppa Italia (che rende 35 milioni di diritti tv alla Lega): le gare degli ottavi e dei quarti verrebbero giocare tutte in una settimana e non più "spalmate" in due come adesso per esigenze tv. Inoltre ci sarebbero solo incontri ad eliminazione diretta mentre attualmente le semifinali sono ad andata e ritorno. Insomma, la Coppa Italia sarebbe un po' sacrificata per lasciare spazio all'Europa: ma bisogna anche tenere conto che i grossi club spingono tutti in quella direzione. Opporsi, è sempre più complicato.

Bayern-Lazio 2-1, i biancocelesti salutano l'Europa con dignità:Italia totalmente distrutta,nel 2021 nessuna ai quarti di Champions

 

Sorteggio qualificazioni Mondiali 2022, l'Italia di Mancini con Svizzera, Irlanda del nord, Bulgaria e Lituania

A Zurigo il sorteggio da testa di serie, il ct vuole riportare gli azzurri alla fase finale dopo l'eliminazione a Russia 2018. De Rossi pesca nell'urna l'avversario più temuto in seconda fascia, poi arrivano la nazionale di Belfast, la Bulgaria e la Lituania.Dopo l'eliminazione dall'edizione di Russia 2018, l'Italia ha ritrovato un ruolo da protagonista tra le teste di serie, ma dall'urna Daniele de Rossi, testimonial scelto dalla Fifa insieme all'olandese Van der Vaart, poteva pescare un avversario migliore: la Svizzera dell'ex tecnico laziale Petkovic poteva comodamente stare nel gruppo delle più quotate. Insieme agli elvetici Mancini ha trovato due nazionali in crisi tecnica come Irlanda del nord e Bulgaria, più la Lituania.


 

Adesso è ufficiale:

 "Le Olimpiadi di Tokyo

sono rinviate al

 2021

". La pandemia di coronavirus ha messo alle corde anche il governo del Giappone: dopo una conference call tra il primo ministro Shinzo Abe e il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach a cui hanno partecipato il governatore di Tokyo Yuriko Koike, il presidente del comitato organizzatore Yoshiro Mori, il ministro giapponese dei Giochi Olimpici Seiko Hashimoto, è arrivato l'annuncio del governo giapponese, seguito dalla benedizione del Cio: "I Giochi non si terranno in estate ma nel 2021". L'edizione si chiamerà comunque Tokyo 2020, per non perdere l'investimento sul merchandising e il marchio.

Perché il rinvio di un anno

La fiamma Olimpica non si accenderà il prossimo 24 luglio. L'operazione rinvio avrà costi significativi, ma si è resa indispensabile per il numero sempre crescente di contagi che hanno spinto al pressing le federazioni internazionali e da alcune ore anche i principali comitati olimpici internazionali, compreso quello statunitense. Tutti chiedevano la stessa cosa: lo slittamento al 2021. Il primo ministro Abe ha annunciato che anche il Cio adesso è "d'accordo al 100%" a posticipare i Giochi di un anno, seguito poi dall'annuncio del presidente del Comitato Olimpico internazionale Thomas Bach. Una soluzione che permetterà di mantenere il programma previsto senza modifiche. Certamente la migliore per sponsor e televisioni, che hanno investito pesantemente nel prodotto olimpico.

Si ferma la fiaccola

Giovedì la fiaccola olimpica sarebbe dovuta partire da Fukushima, ma la partenza è annullata, anche se la torcia resterà in Giappone. Il rinvio è una novità assoluta nella storia delle Olimpiadi moderne: anche per questo il Cio dovrà decidere a breve come comportarsi. Si va verso il congelamento delle qualifiche già effettuate, mentre le altre si svolgeranno regolarmente appena sarà permesso dalle condizioni di salute.

Le ipotesi scartate

Inizialmente per il Comitato internazionale la preferenza andava allo slittamento restando nel 2020, indispensabile per rispettare termini contrattuali e consegne, come le abitazioni del Villaggio Olimpico già interamente vendute a privati cittadini per decine di milioni di euro. Si era ragionato concretamente sull'autunno: ottobre ma anche novembre le due ipotesi, che permetterebbero di riportare a Tokyo marcia e maratona, che nel programma estivo erano previste a Sapporo per motivi climatici. Ma il governo ha optato per il rinvio di un anno: ora le federazioni internazionali di atletica (ha già mostrato un'apertura) e del nuoto dovrebbero rinviare i loro mondiali, in programma proprio nell'estate 2021.

 

 

Un gol di Abraham vale la finale, Leicester battuto all'Olimpico. Il 25 maggio Roma-Feyenoord a Tirana

La Roma di Mourinho in finale di Conference League: una lezione al calcio italiano che snobba le “piccole” competizioni europee.

Tutto esaurito allo stadio. Cori e caroselli per le strade, gente che va in giro da giorni con sciarpa e maglietta giallorossa, Mourinho che piange al fischio finale, l’intera città impazzita. A molti potrà sembrare esagerato, e probabilmente lo è, ma hanno comunque ragione loro: evviva la Roma che gioca la “minore” Conference League come se fosse la Champions. E magari la vincerà pure. Trentuno anni dopo l’ultima volta (1991, Coppa Uefa persa contro l’Inter), la Roma è di nuovo in una finale europea. Non si tratta della Champions, e nemmeno dell’Europa League: la Conference League è la terza competizione Uefa. È un torneo pensato e istituito per la periferia del continente calcistico: per squadre armene, estoni o gibilterrine, che prima della sua creazione non avevano mai avuto la possibilità di cimentarsi in una coppa internazionale, dove la parte dei leoni la fanno greci, olandesi, norvegesi. “Salmonari”, come direbbe Paolo Di Canio. È fra questi che primeggia la squadra di Mourinho, ed in effetti l’ultimo atto, Roma-Feyenoord, per valore tecnico assomiglia più a un ottavo abbordabile di Europa League che a una finale di coppa.Tutto questo va detto non per sminuire il percorso dei giallorossi, solo per contestualizzarlo, e anzi semmai per celebrarlo. Finalmente abbiamo una squadra che onore le coppe, qualsiasi esse siano, e tiene alta la bandiera italiana in Europa. Non succedeva da tempo. Noi italiani giochiamo solo la Champions, dove però rimediamo spesso e volentieri sonore figuracce per manifesta inferiorità: anche quest’anno, a parte la dignitosa uscita dell’Inter contro il Liverpool, comunque una sconfitta, nulla. In Europa League, per anni abbiamo assistito solo a brutte e premature eliminazioni, con poche eccezioni (la finale dell’Inter di Conte nel 2020, in una coppa giocata d’estate dopo la pandemia, non fa molto testo). Ma che senso ha lottare ogni stagione in campionato all’ultimo sangue per conquistare un piazzamento europeo, se poi puntualmente si finisce per snobbare la coppa a cui ci si è tanto faticosamente qualificati? È una mentalità terribilmente provinciale, che ci ha penalizzato nel palmares (nell’albo d’oro siamo fermi alla Champions del Triplete dell’Inter, oltre un decennio fa) e nel ranking, sia a livello nazionale, sia individuale dei singoli club, che poi si lamentano per i gironi di ferro in cui incappano.La Roma di Mou ha dato una lezione a tutto il calcio italiano. I risultati che ora raccoglie le danno ragione. Josè Mourinho, che è una vecchia volpe del pallone, ha capito che la “piccola” Conference League poteva essere un’occasione e non un peso: con un percorso piuttosto agevole (dal Vitesse al Bodo Glimt fino al Leicester 11° in Premier, ha battuto solo squadre di caratura davvero modesta), ha trasformato quella che rischiava di essere una stagione fallimentare o comunque interlocutoria, in un potenziale trionfo. A Roma l’entusiasmo è alle stelle, i tifosi sono tutti dalla sua parte, nessuno in città o in società si ricorda dei quasi 100 milioni spesi in estate sul mercato, sperando in ben altri obiettivi. Anche la squadra è trasformata, perché vincere aiuta vincere: l’anno prossimo i giallorossi ripartiranno con una diversa maturità e consapevolezza, che non avrebbero mai raggiunto con le sole partite in campionato. Comunque vada a Tirana contro il Feyenoord, ne sarà valsa la pena. Se poi dovesse arrivare anche un trofeo, sarebbe l’apoteosi: per Roma, che non vince nulla da anni, e per lo stesso Mourinho, che potrà aggiungere un’altra stelletta alla sua fama di vincente. E fa nulla che sia solo la terza competizione europea. Anche perché – diciamocelo pure – il livello della Roma e un po’ di tutto il calcio italiano, al momento, è questo qui.

SEMIFINALE DI CONFERENCE LEAGUE

Leiceter-Roma, inglesi "ingrati”: già cancellato il murale di Ranieri realizzato all'indomani della clamorosa vittoria in Premier del 2016

Superlega, Agnelli e Perez si preparano a tornare alla carica (in attesa della sentenza Ue). Ma cambia la formula del torneo: le ipotesi

La Superlega è morta, viva la Superlega. Nemmeno un anno dopo l’annuncio e il naufragio, l’assalto francese e la ritirata spagnola dell’assurdo progetto di un campionato dei ricchi, i soliti noti cioè Florentino Perez e Andrea Agnelli ci riprovano. Sembrano non aver imparato la lezione, ma in realtà stanno solo preparando il terreno per tornare alla carica. Non adesso: aspettano la sentenza della Corte di giustizia europea.

Da giorni in tutto il mondo del pallone si è tornato a parlare con insistenza di Superlega: pareva fosse addirittura imminente un nuovo annuncio, invece ci si è limitati ad alcune dichiarazioni al Business of football summit organizzato dal Financial Times. L’offensiva, anche mediatica (la cricca di Agnelli e Florentino ha scatenato tra Italia e Spagna il coro di giornalisti compiacenti e bot sui social), è chiara, e non può essere casuale. Fa parte di una ben precisa strategia che attende la pronuncia dei giudici, in cui i fondatori della Superlega hanno riposto le loro speranze. E su cui evidentemente hanno buone sensazioni, come lasciano intendere anche le indiscrezioni che arrivano dalla Spagna, secondo cui anche la Corte di giustizia Ue dichiarerebbe illegittime le sanzioni prese dalla Uefa contro i club, anticipando quello che sarà il verdetto complessivo sul tema.

Dopo la figuraccia planetaria e la marcia indietro di quasi tutti i 12 club fondatori (che però fanno ancora parte della società, tranne l’Inter che è uscita dall’accordo), i tre irriducibili (Barcellona, soprattutto Real Madrid e Juventus) hanno comunque presentato un ricorso alla Corte di giustizia europea contro la posizione dominante della Uefa. È in vista di questa sentenza che Florentino e Agnelli hanno deciso di riaccendere i fari.

Se i giudici daranno ragione alla Uefa (al cui fianco si sono schierati quasi tutte le Federazioni, governi e pure la Commissione Ue), partita chiusa. Discorso diverso se invece il verdetto dovesse in qualche modo censurare il comportamento dell’associazione di Ceferin: è lì che potrebbe aprirsi uno spiraglio per qualcosa di nuovo rispetto all’attuale ordinamento calcistico.

La grande ipocrisia del calcio inglese: tutti contro Abramovich con 19 anni di ritardo. E il Chelsea? “Giocheremo finché avremo le maglie”

La storia è compressa fra due voli privati. Il primo risale a un periodo indefinito che la tradizione orale colloca all’inizio del 2003. Un magnate russo sorvola Stamford Bridge a bordo del suo elicottero e se ne innamora. È una sindrome di Stendhal piuttosto particolare. Non toglie il fiato ma spinge a compilare assegni. Il capriccio è esoso: 130 milioni di euro. Spiccioli per un uomo che ha un patrimonio personale di oltre sei miliardi. In un giorno di luglio il magnate russo diventa il proprietario del Chelsea Football Club. È l’inizio di un periodo glorioso. Perché Roma non è stata costruita in un giorno, ma “the Roman Empire”, l’impero di Roman Abramovich, sì. L’altro aereo è decollato qualche giorno fa e ha portato il Chelsea, campione d’Europa e del mondo a Lille per la gara di ritorno degli ottavi di finale di Champions League.Un volo come tanti se non fosse per un unico particolare: non ce ne saranno altri. I soldi sono finiti, bisogna fare economia. Su tutto. Il club che spende 325mila sterline a settimana solo per lo stipendio di Lukaku ora non può investire più di 25mila euro per organizzare una trasferta. Significa niente più jet privati che sfrecciano per i cieli d’Europa, solo pullman che rotolano lentamente lungo le strade del Regno. È la scarnificazione di una falange oplitica che viene ridotta ad armata brancaleone. Armiamoci e partiamo. Ma bisogna prima capire come. La nuova fase di ristrettezze verrà inaugurata sabato, quando i blues giocheranno i quarti di finale di FA Cup contro il Middlesbrough, nel Nord Yorkshire. Fanno quattrocento chilometri ad andare. E altrettanti a tornare. Da coprire necessariamente con un mezzo a gomma, per un minimo di dieci ore di viaggio. “Finché avremo le magliette, finché siamo una squadra saremo competitivi”, ha giurato Thomas Tuchel. Che poi si è detto pronto a mettersi anche alla guida del pullman societario se necessario.È un’immagine che racconta piuttosto bene il momento del Chelsea, club diventato sinonimo di glamour e di opulenza e che all’improvviso si riscopre sporco, brutto e cattivo. Ma soprattutto povero. Tutto a causa del ban ricevuto del Governo inglese, che ha deciso di congelare i beni di Roman Abramovich dopo aver scoperto, con 19 anni di ritardo, che il magnate russo è in verità un oligarca amico di Putin. Una giustizia differita che ha trasformato il Chelsea in un organismo capace solo di sopravvivere. E anche con qualche difficoltà. I blues non possono rinnovare contratti, non possono operare sul mercato, non possono vendere i biglietti per le partite a Stamford Brigde, non possono vendere merchandising. Ma non c’è niente di più maestoso di una divinità che finisce nella polvere, del tiranno che si trasforma zimbello. Così i blues sono diventati il punching ball di tutti. Qualche giorno fa gli altri club inglesi si sono lamentati del fatto che il congelamento dei beni di Abramovich cancellerebbe i due miliardi di crediti che l’oligarca vanta nei confronti del Chelsea, rendendo di fatto il club più competitivo sul mercato.Piccolo dettaglio: durante il “Roman Empire” i due club si sono affrontati due volte, senza che nessuno mai sentisse il bisogno di puntualizzare la provenienza dei soldi di Abramovich. La Tre, ossia il main sponsor che compare sulle maglie del club, ha deciso di ritirare il suo logo in modo da evitare quella pubblicità negativa che potrebbe derivare dall’essere identificato con una squadra di proprietà di un oligarca russo. Anche Jurgen Klopp, uno sempre particolarmente lucido, si è espresso sulla questione. “Non conosco il ruolo di Roman Abramovich in tutto questo, ma forse ha qualche legame. Quel che ha fatto il governo britannico è giusto, è stato onesto al 100%. Certo, non è il massimo per chi è al Chelsea. O per i tifosi, lo capisco. Ma scusate è importato a qualcuno quando Abramovich ha acquistato il Chelsea? I tifosi si sono preoccupati? Sapevano da dove venivano quei soldi ma lo abbiamo accettato. Solo che ora non ci va bene e copriamo tutto con le sanzioni“. Il problema non riguarda tanto l’atteggiamento dei tifosi, ma quello del Governo inglese.

 

Caso plusvalenze: “operazioni sospette”, ma il prezzo lo fa “il libero mercato”. Il tribunale mette per iscritto quello che tutti già sapevano. “Il libero mercato non può essere guidato da un metodo valutativo”. Tre righe per smontare quasi 200 pagine di accuse e imputazioni. Potrebbe sintetizzarsi così la grande inchiesta della FederCalcio sulle plusvalenze. O meglio, l’enorme bolla di sapone, per come è finita. Tutti assolti. La sentenza, che aveva superato le già tenere richieste del procuratore Giuseppe Chinè (squalifiche solo per i dirigenti ma nessuna penalizzazione, senza andare a toccare i club nei loro veri interessi), è stata un’autentica figuraccia per la Figc: il tribunale federale che smentisce la procura federale, nel più classico dei cortocircuiti istituzionali. Adesso sono uscite anche le motivazioni di quella decisione. Nelle 22 pagine del documento, è spiegato perché la corte presieduta dal giudice Carlo Sica ha ritenuto di assolvere tutti i 59 e le 11 squadre imputate, dalla Juventus in giù. La chiave è tutta in questa frase: “Il valore di mercato di un diritto alle prestazioni di un calciatore rappresenta il valore pagato dalla società acquirente al termine di una contrattazione libera, reale ed effettiva di quel diritto sul mercato di riferimento; e il libero mercato non può essere guidato da un metodo valutativo (quale che esso sia)”. Tradotto: è impossibile dire quanto vale davvero un giocatore, dunque è impossibile anche dimostrare l’illecito.Il metodo di valutazione adottato può essere ritenuto ‘un’ metodo di valutazione, ma non ‘il’ metodo di valutazione”, si legge nel dispositivo. “Si potrebbe pure pensare alla fissazione di criteri valutativi, (…) ma a ciò non potrebbe che provvedere la Fifa”. Non un procuratore federale qualsiasi, insomma. Dunque nonostante le cessioni individuate dalla Procura (non tutte però, solo alcune) “destavano e destano sospetto, tuttavia non attinge la soglia della ragionevole certezza”. Insomma, il tribunale ha messo per iscritto quello che tutti sapevano già (impossibile stabilire il valore del cartellino di un giocatore), tranne la procura Figc, che esce con le ossa rotte da questa vicenda. L’altro grande sconfitto però è il calcio italiano: è evidente che questa sentenza da “liberi tutti” rischia di scatenare dalla prossima sessione di mercato le operazioni più fantasiose.

Milan, con il Torino arriva un altro 0-0: e ora l'Inter (a -2) è in scia di sorpasso Classifica

IBTS 2004 - CROSSMEDIA MARKETPLACE
La manifestazione dedicata alle più recenti tecnologie nel campo dell'audiovisivo, dal 13 al 16 ottobre 2004, Fiera Milano (Pad. 3 e 4)

Inter, traguardo vicinissimo: decide ancora Darmian, Verona battuto 1-0 | Conte: "Vittoria da 9 punti, scudetto al 95%"25-04-21.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/04/luca-lucci-il-capo-ultra-del-milan-condannato-a-sette-anni-di-reclusione-per-traffico-di-droga/6580284/

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POLITICA E STORIA

2021

 

 ASSEDIO DI MARIUPOL ( 24 FEBBRAIO 2022 - ........................................................)

https://www.youtube.com/watch?v=P3W_Uwoo6rs

Nell’inferno Azovstal l’assalto dei ceceni agli ultimi difensori

Dopo ore di viaggio si arriva nell’acciaieria, il cuore della guerra dove un migliaio di combattenti ucraini ancora resiste contro i russi: “Cacceremo i nazisti”, dicono i ceceni. Intorno la città è totalmente distrutta, 18 aprile 2022


 

Questa è l'Azovstal. Cumuli di macerie, palazzi distrutti, fischi di missili ed esplosioni. Da una parte le bandiere cecene. Dall'altra le ciminiere dell'acciaieria dalle quali si alzano enormi nubi di fumo nero causato dai colpi di artiglieria. Lì sotto c'è l'ultimo manipolo di mille soldati ucraini. "Nazisti - afferma il comandante ceceno che ci accompagna in questo inferno - siamo venuti qui per cacciarli". Questo è il cuore della guerra in Ucraina. Questa è la battaglia della resa dei conti. Qui si decide la storia del conflitto. Da una parte i russi e le armate a loro leali. Dall'altra gli ucraini aiutati dall'Occidente. Fantasmi invisibili, asserragliati nei palazzoni e nei cunicoli di questa enorme industria ma ancora in grado di sparare. Qui si combatte ancora. Più forte che mai. È tutto grigio, grigi i muri dei capannoni sventrati e grigio il cielo sopra questa battaglia. Odore di polvere da sparo avvolge chi entra nella Azovstal. 

Il drammatico soccorso al soldato ferito a Mariupol

Un soldato russo viene colpito mentre attraversa una strada e i tentativi di soccorrerlo da parte dei commilitoni si rivelano inutili. Sono immagini della battaglia tra i palazzi di Mariupol, identiche alle scene di film come "Salvate il soldato Ryan". Una pattuglia attraversa un passaggio allo scoperto, sotto il tiro degli ucraini. Riescono a farcela tutti, tranne uno che resta a terra. Un compagno prova a trascinarlo al sicuro, ma le pallottole glielo impediscono. Allora tirano un fumogeno e aspettano che la cortina di fumo protegga i movimenti per portarlo in un angolo protetto. Dopo poco, arriva un veicolo blindato per dare aiuto. Ma è tutto inutile: l'uomo è morto. L'ennesimo caduto sul fronte dell'invasione voluta da Putin.

https://video.repubblica.it/dossier/crisi_in_ucraina_la_russia_il_donbass_i_video/scontro-a-fuoco-tra-i-palazzi-di-mariupol-il-soldato-russo-viene-colpito-dalle-forze-ucraine/414427/415362?ref=RHTP-BL-I347279517-P1-S3-T1

Per arrivare fino a qui ci sono volute diverse ore di macchina tra palazzi distrutti o bruciati, carcasse di mezzi militari ai lati delle strade e schivando i cadaveri dei soldati abbandonati sul terreno. Questo è quanto si vede entrando a Mariupol dal suo ingresso orientale ed avvicinandosi all'Azovstal, il grande centro di produzione metallurgica diventato l'ultimo avamposto dell'esercito ucraino assediato dai russi, dai ceceni e dalle milizie filorusse dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk. Per i soldati di Kiev a queste latitudini la guerra si sta mettendo male. Da settimane la città è ormai completamente circondata e gli ucraini si sono progressivamente ritirati per asserragliarsi nell'acciaieria, che fino a ieri rivendicavano di controllare in maniera completa. Oggi non possono più farlo. Due giorni fa i ceceni hanno lanciato un attacco per sfondare le linee nemiche e nella notte sono riusciti a impossessarsi di una ampia area dell'acciaieria. Appena arrivati hanno piantato le loro bandiere, rosse e verdi con al centro il volto di Ramzan Kadyrov, loro leader. Il messaggio è chiaro: questa zona è nostra. Tutt'intorno la guerra continua e non sembra poter finire a breve.

Per raggiungere l'Azovstal bisogna partite da Novazovsk, avamposto filorusso ad Est di Mariupol. Da qui, si imbocca una strada costeggiata da lunghe fila di tendoni che ospitano gli sfollati fuggiti dai bombardamenti a tappeto sul centro cittadini. Sull'altro senso di marcia viaggiano centinaia di automobili ai cui finestrini sono appesi teli bianchi. Sono i civili che fuggono da una città assediata e ormai ridotta a un cumulo di macerie. Avvicinandosi all'area urbana si passa attraverso villaggi fatti di case dai tetti a punta, che un tempo venivano utilizzate per la villeggiatura dalla classe medio alta. Oggi sono completamente deserti, distrutti. Quasi nessuna casa, grande o piccola, è stata risparmiata dalle bombe. Avanzando si nota subito come i simboli dell'ormai precedente amministrazione ucraina siano stati cancellati da chi attacca. Su molti palazzi sventolano bandiere russe. Ai lati della strada si incrociano interminabili file di carri armati parcheggiati ma con uomini a bordo, i cannoni puntati verso la città.Appena entrati nell'area urbana di Mariupol si viene fermati a un posto di blocco. Non russo, bensì ceceno. Decine di uomini in divisa militare, kalashnikov tra le mani e caricatori appesi ai giubbetti antiproiettili controllano il territorio. La loro base è una villetta al lato della strada, che hanno fatto propria. Alcuni sono piuttosto giovani, altri sono veterani che hanno già combattuto nelle guerre in Cecenia nei decenni scorsi Ad accomunarli sono le lunghe barbe incolte, rasate soltanto all'altezza dei baffi. "Ahmad Sila Allahu Akbar" è il motto con cui si viene salutati. Spiegano che da oggi è possibile entrare nell'Azovstal, ma solo con loro e viaggiando sui loro mezzi militari. Invitano chi vuole proseguire a salire su una jeep crivellata dai proiettili. "Se ve lo diremo potrete proseguire". Tutt'intorno si sente il rumore delle esplosioni provenienti dall'acciaieria.L'attesa dura ore. Poi, di colpo, sbuca dalla base un giovane uomo con la barba lunga e un copricapo islamico in testa: fa il segno di proseguire. Della parte orientale della città non resta più nulla. Le bombe non hanno risparmiato nessun palazzo, né le villette né i palazzoni in calcestruzzo in stile sovietico. Sono crollati o fortemente danneggiati, del tutto anneriti. Sulla strada si trovano carcasse di ogni tipo: di mezzi militari, di auto civili, di ristoranti demoliti, di parchi giochi distrutti. Soprattutto non si vede un'anima. Nessun passante, nessun civile. Si incontrano solo miliziani filorussi dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk che lungo la strada stazionano in check point tra le macerie sui quali spesso sventola l'immancabile bandiera russa. I veicoli militari ceceni passano senza essere controllati. Svoltando a destra si abbandona la strada asfaltata e si entra su un terreno fangoso, mentre i botti delle esplosioni si fanno sempre più forti. Le macchine inchiodano di colpo, i soldati ceceni ordinano di scendere e di camminare velocemente ai piedi di un palazzo distrutto, per ripararsi. Le mura sono completamente sfondate. Guardando in alto, all'altezza del primo piano si vedono due con le barbe lunghe e gli abiti militari. Sopra di loro sventola la bandiera cecena. Nel pian terreno del palazzo, visibile dall'esterno dato che le mura sono state sfondate, alcuni soldati sempre con le barbe lunghe hanno appoggiato a terra i kalashnikov e siedono intorno a un falò improvvisato. Tutt'intorno altri miliziani in divisa si muovono nel fango, camminando rapidamente e lungo le pareti per non essere esposti al fuoco. Uno di loro si avvicina e dice: "Qui siamo nell'Azovstal, qui ci siamo noi". 

L'Azovstal è una vera e propria città nella città. Con un'area di 11 chilometri quadrati è composto da container, magazzini, cunicoli sotterranei, uffici, palazzoni, torri, ciminiere. È un luogo molto difficile da espugnare, non a caso scelto dalla resistenza ucraina come ultimo bastione. Qualche ora prima, però, sono riusciti a sfondare le linee nemiche e a prendere il controllo di una parte di esse, composta da scheletri di palazzoni distrutti che un tempo ospitavano l'amministrazione del complesso. La zona produttiva, ovvero l'acciaieria vera e propria, si trova qualche chilometro più avanti ed è ancora in mano ucraina.

"Ahmad Sila" grida qualcuno nell'aria. "Allahu Akbar" rispondono i soldati barbuti in coro. Ad avere urlato per primo è un uomo vestito completamente di nero, se non per la mostrina verde raffigurante il volto di Kadyrov che porta sul braccio. Ha in testa un copricapo islamico e una lunga barba grigia. È il comandante Adam Sultanovic Delimhanov, deputato alla Duma e braccio destro di Kadyrov. È qua per dirigere le operazioni militari. Entrato nel palazzone tira fuori una mappa che appoggia su un tavolo improvvisato e spiega i movimenti dei suoi uomini all'interno dell'acciaieria. Racconta che il combattimento della notte scorsa è stato duro e che ha visto i ceceni scontrarsi direttamente con il reggimento Azov. "Nazisti - esclama - siamo venuti qua per eliminare il nazismo dall'Ucraina". Racconta che gli ucraini sono a poche centinaia di metri ma che ormai sono completamente circondanti e che non hanno scampo. Lascia intendere che è solo questione di tempo, prima o poi cederanno perché sconfitti o perché stremati. A suo dire l'esercito di Kiev ha ancora a disposizione mille uomini operativi tra i quali ci sarebbero dei combattenti stranieri. Interrogato su chi siano, però, non si sbilancia. Salendo le scale del palazzone si incontrano altri uomini barbuti. Alcuni in piedi e ben armati, altri invece bivaccano a terra, con le armi e le cinture appoggiate a fianco. Tentano di riposare, mentre accanto a loro i cecchini presidiano le finestre. Dormire è però impossibile. Tutt'intorno non si sente altro che botti. Arrivati all'ultimo piano dell'edificio ci si affaccia sull'Azovstal nella sua completezza. Sulla destra la zona controllata dai ceceni, in cui la notte prima si è combattuto e in cui non resta in piedi nemmeno un palazzo. Tra le macerie camminano dei soldati portando rifornimenti ai combattenti: sacchi di cibo e bocce d'acqua. Volgendo lo sguardo a sinistra si vede il complesso industriale in cui ci sono gli ucraini. Le torri dell'acciaieria sono costantemente sotto il fuoco, in solo pochi minuti si vedono ripetutamente alzarsi polveroni di nube nera, segno dell'avvenuto bombardamento. Oltre ai botti si sentono i fischi dei missili e gli spari delle mitragliatrici, segno che i due eserciti si stanno scontrando uomo a uomo. Scendendo di nuovo si sale rapidamente in macchina e si riparte. Prima di andare, un miliziano spiega che nell'Azovstal i ceceni non sono soli ma che sono affiancati da russi e filorussi. Ma è evidente che sono loro ad avere un peso maggiore. Un missile cade a poche centinaia di metri di distanza con una forte esplosione, bisogna quindi andare. Partendo il saluto di chi rimane al fronte è sempre lo stesso: "Ahmad Sila Allahu Akbar".

Azovstal: “Cinque rifugi antiatomici, ancora 300 civili”

 

L’Azovstal dispone di 5 rifugi antiaerei in grado di resistere all’attacco di una testata nucleare, dove ci sarebbero ancora 300 civili, tra cui 30-40 bambini e feriti che necessitano di cure. Lo ha raccontato Enver Tskitishvili, direttore generale del sito, in un’intervista alla Bbc rilanciata dai media ucraini. Tra il terreno e il soffitto dei tunnel di comunicazione tra i vari rifugi, che sono ancora più profondi, ci sono – ha spiegato – almeno 8 metri di spessore. “Nel 2014, quando Mariupol è stata colpita direttamente dall’artiglieria pesante, abbiamo iniziato a pensare a cosa avremmo fatto se l’escalation fosse continuata. Abbiamo iniziato a ricostruire i rifugi antiaerei rimasti dall’era sovietica: c’erano 5 rifugi antiaerei capaci di resistere a un attacco nucleare diretto. E poi abbiamo iniziato ad allenarci. In tutti questi anni ci siamo allenati ogni giorno su come le persone potessero raggiungere i rifugi. Dopo il 2014 abbiamo capito che l’escalation era possibile e dovevamo prepararci“, ha aggiunto, secondo quanto scrivono media ucraini. Alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina – ha inoltre confermato – i dipendenti dell’impianto avevano creato grandi riserve di acqua potabile e cibo nei bunker, che avrebbero permesso loro di vivere lì per molto tempo. 

 

Battaglione Azov, il nazismo edulcorato secondo "la Repubblica"

KIEV – Da quasi due mesi il tenente colonnello Denis Prokopenko, il comandante 30enne del Reggimento Azov asserragliato nell’acciaieria dell’Azovstal, è ufficialmente, un “eroe”. Bell’impresa, quella dei russi a Mariupol: non solo vogliono festeggiare il grande successo della conquista di una città che non esiste più, perché l’hanno trasformata in un cimitero di anime e macerie; ma volevano “denazificare” l’Ucraina partendo dal loro nemico pubblico numero uno, i soldati del Reggimento Azov accusati di crimini contro l’umanità commessi nella guerra del Donbass, e invece li hanno trasformati in eroi. Se non fosse asserragliato nel ventre dell’acciaieria Azovstal, Prokopenko avrebbe appuntata sulla giacca militare di comandante del Reggimento Azov la medaglia dell’Ordine della stella d’oro. Gliel’ha conferita il presidente Volodymyr Zelensky, ed è un altro bel successo di questa Armata rossa che sembra una riedizione delle Sturmtruppen di Bonvi, per quanto è maldestra.


Nel 2019, quando il presidente ucraino gli conferì la Medaglia dell’Ordine di Bohdan Khmelnytsky per "il contributo personale allo sforzo di rafforzare le capacità della Difesa nazionale", per il “coraggio mostrato durante le ostilità” e “l’esemplare adempimento delle sue funzioni e l’elevato grado di professionalità”, lui gli rifiutò platealmente il saluto militare. Impassibile e marziale, impettito e sfrontato.

Nulla di politico, noi non facciamo politica, disse poi Azov di fronte alle polemiche per quel gesto. Il loro regolamento, dissero, impedisce di offrire il saluto militare ai civili, politici compresi. Che Zelensky non amasse questo reggimento politicamente orientato a destra, nazionalista e per niente conciliante con le cose della politica e i compromessi di governo, è noto. Eppure sono tanto geniali nella loro strategia, i russi, che il 19 marzo il presidente umiliato gli ha conferito una medaglia ben più prestigiosa: il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con l’Ordine della Croce d’Oro “per il coraggio personale e l'eroismo mostrato in difesa della sovranità statale e dell'integrità territoriale dell'Ucraina, e per la fedeltà al suo giuramento militare”.

E intanto Prokopenko, che i suoi commilitoni chiamano "Redis", è stato appena promosso tenente colonnello. Laureato in Lingue nel dipartimento di Filologia germanica dell’università di Kiev, noto ultrà della Dinamo Kiev, sposato con Kateryna - una ragazza che oggi è fuggita in Italia - il comandante del Reggimento Azov di sicuro combatte ciò che odia: la sua famiglia di origine fu sterminata dall’Armata rossa nella guerra russo-finnica del 1939. Il nonno, che viveva in Carelia quando era finlandese, combatteva contro i russi e fu l’unico a sopravvivere. Dopo la pace, la Carelia fu annessa all’Unione sovietica. E Denys non è uno che dimentica.Corsi e ricorsi della Storia: lui replica le gesta del nonno da là dentro, dall’Azovstal. Mentre tutta l’Ucraina freme per il dramma di Mariupol, Prokopenko di tanto in tanto parla al Paese e al mondo con brevi messaggi video. Impassibile, marziale: “Sono già 70 giorni – dice nell’ultimo video pubblicato mercoledì - che la guarnigione di Mariupol sovrastata numericamente respinge da sola le forze nemiche. Stiamo difendendo l’Azovstal, è già il secondo giorno che i nemici entrano nel perimetro della fabbrica, sono in corso combattimenti difficili e sanguinari. Sono orgoglioso dei miei soldati che per fermare i nemici compiono sforzi che vanno oltre le capacità umane. Ringrazio l’intero mondo per il supporto colossale alla guarnigione di Mariupol, i nostri soldati lo meritano. La situazione è estremamente difficile, ma nonostante tutto continuiamo ad eseguire l’ordine di mantenere le linee”.

Mangiano zuppe e bevono acqua dei macchinari, eppure niente, non si arrendono. Gli piove in testa una quantità di missili e bombe che così concentrati si sono visti raramente, nella storia, e non si arrendono. Il coraggio e l’abnegazione con cui combattono là sotto, difendendo e proteggendo i civili che si erano rintananti nell’acciaieria, lo rivedremo al cinema. Sarebbero potuti uscire con le mani alzate, portando in salvo i soldati feriti che non possono curare e tutta quella povera gente e quei bambini – in gran parte loro parenti – confidando nelle reiterate promesse del Cremlino di un trattamento umano e rispettoso delle convenzioni. Non che ci sia da fidarsi, ma è sempre meglio una promessa di salvezza incerta a una fine terribile e ineluttabile. Così non c’è un solo ucraino, oggi, che non li consideri eroi.In Italia invece continuano a essere considerati ben altro: nei social, e spesso anche nei talk show, vengono definiti “neonazisti” e talvolta “mercenari” o volontari, anche se di fatto il reggimento Azov è integrato da molti anni nei ranghi ufficiali della guardia nazionale ucraina che dipende dal ministero degli Interni. Ogni volta che affronti l’argomento qui in Ucraina, ti guardano come un pazzo o come un alieno provocatore. “Ma cosa c’entrano i nazisti? Non vedi che i nazisti sono gli orchi?” (chiamano così gli invasori). “Il nazista è Putin, e invece Lavrov dà del nazista a Zelensky e voi italiani vi accodate e date del nazista agli eroi di Mariupol?”, dice Viktor durante l’ultima manifestazione dei parenti, martedì in piazza Majdan a Kiev: suo fratello “ha perso le gambe in guerra, ma non so più nemmeno se sia vivo o morto. Era ricoverato in ospedale ma lo hanno bombardato di nuovo”.

Certo, il battaglione nato nel 2014 raggruppando i volontari disposti a correre al fronte per massacrare i filorussi che si erano presi un pezzo di Ucraina era decisamente orientato verso una destra estrema, come riferimenti... “culturali”. Le rune, l’antica mitologia comune a quella nazista, i simboli che ancora oggi richiamano la svastica. Non è un mistero che molti, moltissimi dei combattenti di Azov siano ideologicamente di destra estrema. E sui crimini di guerra commessi da militanti del battaglione durante la prima fase della guerra del Donbass ci sono accuse circostanziate da parte di associazioni internazionali come Amnesty international e l'Osce, che pubblicò un dossier sulle torture ai prigionieri chiedendo al governo ucraino di farle smettere immediatamente. Ma non ci furono seguiti giudiziari, perché il governo ucraino insabbiò le accuse e il Battaglione Azov ne uscì senza carichi pendenti.

Ma il Reggimento Azov, figlio di quel battaglione di volontari, è ormai da anni un raggruppamento militare ufficiale, non il braccio armato di un’ideologia estremista. Per tutti, qui, anche per chi è politicamente lontano dall'estrema destra, quegli uomini che combattono e muoiono nell’Azovstal sono patrioti e sono eroi.

 

Mariupol all'8 aprile 2022

Gli ultimi sviluppi della guerra che vede i russi ritrarsi da Kiev e dal quadrante occidentale del Paese per riconcentrare le proprie forze nell’area del Donbass. In particolare su Mariupol, la “città martire” che da sette settimane respinge l’assedio e sarà l’epicentro militare, politico e simbolico della cosiddetta fase “B”, il piano offensivo di ripiego dopo il fallimento dell’aggressione lampo iniziata il 24 febbraio su più fronti. Per il sindaco Vadim Boychenko in un mese la città ha versato un tributo di sangue pari a 5mila uomini, ignoto il numero dei soldati russi uccisi nel tentativo d’assedio. Da giorni fonti ucraine riferiscono di crematori su ruote per bruciare i corpi. Di sicuro Mariupol è stata bombardata in ogni modo: rasi al suolo ospedali, scuole, condomini civili, il teatro cittadino e molto altro. La distruzione sarebbe pari al 90% del territorio urbano, il 40% “non sarà più ricostruibile”, dice il sindaco.Non è tanto questione di forze, spiega l’esperto. Vero è che, al netto di uccisi e feriti, ad attenderli restano reparti organizzati, addestrati e armati (e anche motivati dalle immagini di morte che vedono di persona e rimbalzano a noi in rete e nelle tv. Quali esattamente? “A Mariupol ci sono ancora importanti pezzi della difesa ucraina, come la decima brigata d’assalto delle forze di terra, la 36esima di marina con ben tre battaglioni, poi la guardia nazionale con la 12esima brigata e il famoso battaglione Azov, che da solo occupa circa 1/5 delle difese della città. Poi le forze territoriali che sono civili addestrati e inquadrati sotto il controllo delle Forze armate. Ma il vero punto di forza è il teatro stesso di questa battaglia”.

Se Mariupol resiste lo deve infatti alle caratteristiche della città che ne fanno un fortino inespugnabile. “E’ una città sorta a ridosso di uno dei più grandi complessi siderurgici del mondo, l’Azostal, dove da quasi un mese i vertici militari russi gettano quotidianamente centinaia di uomini e mezzi, ricavandone perdite consistenti”. Quando Zelensky ha citato Genova ai nostri politici non lo ha fatto a caso. “Anche Mariupol in effetti sorge su un piccolo golfo, ma a differenza di Genova ha questo colosso industriale in mezzo, un rettangolo che si estende per 50 km quadrati in posizione sud-ovest e nord est. Un terzo del Lago di Como per capirci, tre volte il comune di Ladispoli”. Quella è la “fortezza” di Mariupol.

Il fatto che sia stata bombardata per settimane ne facilita la difesa perché, come nelle tragiche guerre urbane stile Leningrado, ogni anfratto, ogni edificio, ogni catasta di rovine o struttura in ferro e cemento diventa un punto di fuoco formidabile per chi la difende, un incubo per chi la attacca facendosi incontro allo scoperto. “Neppure i bulldozer blindati, come quelli israeliani usati con successo da Sharon nel 2002, potrebbero nulla: di fronte non si trovano sassi e fucili ma divisioni armate di sistemi anticarro e addestrate a difendersi da otto anni. Ancora oggi, per dire, hanno a disposizione carri anfibi “bucefalo”, adatti alla risposta rapida via mare e via terra. La presa dal mare, del resto, non è più agevole per i russi: eventuali sbarchi sarebbero visibili in ogni punto del golfo ed esposti al fuoco dei difensori”.

Il diramarsi della rete ferroviaria sul lato nord crea uno spazio in cui i difensori possono colpire gli attaccanti senza quasi poter ricevere risposte efficaci. In definitiva la capacità di resistere di Mariupol, secondo l’esperto, potrebbe segnare una sconfitta decisiva per le forze di Putin non solo dal punto di vista militare ma anche politico e simbolico. “Mariupol sta a cinque chilometri dal Donbass, vale a dire uno dei territori pretesi da Putin il cui controllo doveva giustificare l’invasione dell’Ucraina”. Senza questa città, in sostanza, salta anche il cosiddetto “piano B”, ridimensionato al controllo della regione russofona dell’Ucraina che, dopo il ripiegamento, viene indicata come vero obiettivo dell’intera “operazione militare speciale”. Un altro insuccesso che sarebbe difficile nascondere. Ma anche da spiegare al popolo russo.

 


 

 

 

Storia dell'Europa dal 400 A.C.

https://www.youtube.com/watch?v=UY9P0QSxlnI

Storia d'italia dal 477 D.C. in animazione.

https://www.youtube.com/watch?v=rthtdoPpRnk

I GOTI IN ITALIA: 493-554 D.C.

 
Mappa dell'Europa occidentale nel 534.

LA FINE DEI GIOCHI GLADIATORI

Nei primi due secoli dell’era cristiana era impensabile per i romani una vita senza spettacoli gladiatori o con le belve. Anche nel III d.C., quando la situazione economica non era più così florida e i problemi alle frontiere cominciavano a farsi pressanti, gli anfiteatri continuavano ad essere sede di combattimenti, anche se gli organizzatori, soprattutto nelle province, si mostravano più cauti e preferivano non esagerare con le spese. Un’altra ragione che fece diminuire il numero degli spettacoli, sia nella parte orientale sia in quella occidentale, fu la diffusione del cristianesimo, i cui pensatori, tra i quali Tertulliano, manifestarono sempre più frequentemente preoccupazioni sugli effetti che i giochi gladiatori avevano sugli spettatori e criticavano il fatto che un potere temporale, quello degli imperatori o degli amministratori locali, potesse concedere la grazia, attributo prettamente divino. Ai tempi di Costantino (prima metà del IV d.C.), che concesse libertà di culto ai cristiani, alcuni vescovi proibirono i giochi nelle città orientali e negarono il battesimo ai gladiatori. A Roma, i giochi continuarono tanto che, nel 393, il senatore Simmaco offrì un grande spettacolo di dieci giorni. Quando, però, l’imperatore Teodosio dichiarò il cristianesimo religione di stato, l’influenza dei seguaci del nuovo culto fece pian piano affievolire l’interesse per gli eventi dell’anfiteatro. Va anche detto che le esigue risorse economiche rendevano impossibile l’acquisto di un gran numero di animali o l’ingaggio di bravi gladiatori, quindi gli spettacoli, che sarebbero stati ben miseri, non erano granché attraenti. Di certo si sa che uno degli ultimi spettacoli tenutisi nel Colosseo fu nel 519 d.C. e coinvolse esclusivamente animali provenienti dall’Africa.Nel V secolo d.C., la grave crisi economica che colpì l’Italia costrinse gli abitanti di Roma a sopravvivere con le proprie forze. La fame e la malaria, causata dal fatto che molti territori circostanti la città, rimasti incolti, erano diventati paludosi, decimarono la popolazione al punto che dagli ottocentomila mila abitanti del 400 d.C. si passò ai trentamila nel 568 d.C.
La condizione in cui versavano i monumenti e gli edifici cittadini era deprimente: Cassiodoro parla di granai crollati, statue abbattute e colonne di marmo segate per essere riutilizzate. Questa sorte toccò anche al Colosseo, lasciato praticamente inutilizzato e danneggiato anche da catastrofi naturali, come il terremoto del 508 d.C. Nonostante gli ingressi fossero stati sbarrati, in molti non rispettavano il divieto di entrare: così, oltre ai saccheggi, si assistette alla trasformazione degli spazi sotto le gradinate in stalle e rifugi per emarginati.
Pare che a metà del Medioevo si fosse persa anche la consapevolezza di che cosa fosse stato il Colosseo: i Mirabilia Urbis Romae, guida per pellegrini dell’XI secolo, riportano, per esempio, che era stato un tempio pagano, sormontato da una cupola in bronzo dorato e con al centro la statua di Apollo. Altri credevano che fosse una sorta di Pantheon, dove tutti gli dei pagani erano stati venerati.
Congetture a parte, nel Medioevo l’anfiteatro Flavio fu usato anche come fortezza dalla famiglia dei Frangipane, all’epoca dei saccheggi normanni (fine XI secolo), oltre che come luogo di rifugio per mendicanti.
L’epoca della grandi spoliazioni coincise con la metà del XV secolo: una fattura del 1452 indica che, sotto Niccolò V, furono rimosse dal Colosseo, in circa otto mesi, 2522 tonnellate di marmo.Per fortuna del Colosseo, dopo la desolazione medievale e le spoliazioni rinascimentali, la cristianità cominciò a considerarlo il luogo del martirio di molti santi, anziché quello di manifestazioni pagane, e nel 1749 papa Benedetto XIV vi consacrò ufficialmente le già presenti stazioni della Via Crucis.
Contemporaneamente a questa consacrazione, si diffuse la moda del Grand Tour: così, poeti e scrittori da tutta Europa presero a immortalare nei loro scritti l’anfiteatro di Roma. Ci fu persino un botanico, Richard Deakin, che, vagando per le gradinate e i cunicoli dell’edificio, trovò 420 specie di piante, alcune esotiche, lì cresciute perché i loro semi erano probabilmente arrivati tra il pelo degli animali selvatici fatti esibire negli spettacoli antichi. Le descrisse in un’opera intitolata Flora in the Colosseum (1855).
Quando Roma divenne capitale del regno d’Italia, il Colosseo fu affidato agli archeologi, non senza vivaci proteste da parte del clero. Tolte le macerie dall’ipogeo, vennero portati alla luce alcuni locali sotterranei, cosa che permise di constatare la perizia ingegneristica dei romani.
Negli anni Trenta del secolo scorso, perché il monumento avesse maggior risalto e fosse direttamente collegato al Teatro di Marcello e al Foro Romano, vestigia di un glorioso impero che si voleva far rinascere, interi quartieri furono demoliti. E quando Hitler venne in visita a Roma nel 1938, Mussolini ebbe modo di far risaltare ancor più i resti dell’antica Roma illuminandoli a giorno con l’aiuto di 45.000 lampadine attaccate a cavi lunghi 160 km. Per l’illuminazione del Colosseo furono usate lampadine rosse, che diedero all’edificio un aspetto surreale. Hitler rimase così stupito dall’opera che, tornato in Germania, progettò la costruzione di un edificio simile a Norimberga. Le cose, però, andarono diversamente e i disegni non furono mai realizzati.

IL DOPO IMPERO D'OCCIDENTE: ARTU' IN BRITANNIA, SIAGRIO IN GALLIA

Lo sfondo storico delle vicende relative ad Artù è descritto in varie fonti, tra cui gli Annales Cambriae, la Historia Brittonum e gli scritti di Gildas di Rhuys. Nelle citazioni più antiche che lo riguardano e nei testi in gallese non viene mai definito re, ma dux bellorum (lett. "condottiero delle guerre"). Antichi testi altomedievali in gallese lo chiamano ameraudur (lett. "imperatore"), prendendo il termine dal latino, che potrebbe anche significare "signore della guerra". Il nome di Artù si ritrova anche nelle più antiche fonti poetiche come il poema Y Gododdin.[2]

L'ESERCITO DELL'IMPERO ROMANO D'ORIENTE DAL 395 D.C ALLA RIFORMA ERACLIANA DEL 610 D.C.

https://it.wikipedia.org/wiki/Esercito_bizantino#V_secolo

 FILM

DER HAUPTMANN

https://www.youtube.com/watch?v=6KsM9R6Xa_E

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Il 2 febbraio 1943 si arrendeva la sacca nord della VI Armata ingabbiata a Stalingrado. In 90.000 si consegnarono ai sovietici, ma in 11.000 iniziarono tra le macerie della città una lunghissima guerriglia allo scopo disperato di aprirsi una via di fuga verso le linee tedesche....

https://www.youtube.com/watch?v=lkRcp4ShMfc

 

 

BATTAGLIA DI CHARKOW, MARZO 1943

 

L'ASSE ALLO STREMO: COLPITA IN RUSSIA ED IN SICILIA SBANDA PAUROSAMENTE, L'ITALIA FASCISTA SI SGRETOLA E LA GERMANIA NAZISTA ORA DEVE GUARDARSI ANCHE A SUD. HITLER E' COSTRETTO A DISTRARRE FORZE MENTRE IN RUSSIA INFURIA UNA DURISSIMA BATTAGLIA IN RITIRATA....

 

OPERAZIONE CITTADELLA E BATTAGLIA DI KURSK, LUGLIO-AGOSTO 1943

https://www.youtube.com/watch?v=MPmeo70XvUU

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

L'inverno tra il 1942 e il 1943 si era concluso con il grande successo sovietico nel settore meridionale del Fronte Orientale: la seconda offensiva estiva tedesca infatti, mirante a conquistare l'importante città di Stalingrado e ad impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Caucaso, era rovinosamente fallita con la resa della 6ª Armata e la cattura del suo comandante, il feldmaresciallo Friedrich Paulus, al termine della battaglia di Stalingrado, dove le forze dell'Asse persero più di mezzo milione di uomini, tra morti, prigionieri e dispersi[7], e con il ritiro dell'Heeresgruppe B, comandato dal feldmaresciallo Maximilian von Weichs, permettendo così all'Armata Rossa di riprendere in mano l'iniziativa e di annullare le conquiste realizzate in estate dalla Wehrmacht.

 

10 LUGLIO 1943: CAMPAGNA DI SICILIA,GLI ALLEATI SBARCANO SULL'ISOLA METTENDO IN CRISI L'ASSE;IL 25 LUGLIO 1943 IL GRAN CONSIGLIO FASCISTA SFIDUCIA MUSSOLINI CHE VIENE ARRESTATO DAL RE. DA QUEL MOMENTO INIZIA UN LUNGO PERIODO ONDIVAGO NEL QUALE MENTRE LA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA TENTA UNA VIA D'USCITA GIOCANDO MALAMENTE SU DUE TAVOLI, HITLER PIANIFICA L'INVASIONE DELLA PENISOLA PER SCONGIURARE IMMEDIATAMENTE UN ATTACCO ALLA FRONTIERA MERIDIONALE DEL REICH.

 

BATTAGLIA DEL SIMETO, AGOSTO 1943

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_del_Simeto

Il 12 luglio 1943 si concludeva disastrosamente l'operazione Cittadella, con la Wermacht che perdeva intere divisioni nel tentativo di sfondare l'istrice ideato dai sovietici che a quel punto scatenarono una poderosa controffensiva che si concludeva ai primi di novembre con la liberazione di Kiev (

Dopo le aspre battaglie dell'estate 1943 a KurskChar'kov e Taganrog, l'Armata Rossa aveva costretto, con continui attacchi in tutti i settori principali del fronte orientale, il Gruppo d'armate Sud del feldmaresciallo Erich von Manstein a intraprendere, nonostante i dubbi di Adolf Hitler, una difficile ritirata generale fino al Dnepr con lo scopo di costituire una solida linea difensiva con la protezione delle rive del fiume[7]. La manovra di ritirata, caratterizzata da capillari distruzioni di città, villaggi, infrastrutture e dalla deportazione delle popolazioni per intralciare l'inseguimento del nemico, non raggiunse il suo risultato. Le truppe sovietiche seguirono da vicino i tedeschi in ritirata e attaccarono subito la linea del Dnepr conquistando una serie di piccole teste di ponte a Zaporižžja, a Bukryn ed a Ljutež. Dopo un fallimento iniziale, il generale Nikolaj Vatutin, comandante del 1° Fronte Ucraino, poté progettare un nuovo attacco con l'obiettivo di liberare la capitale ucraina Kiev[8].

 

8 GENNAIO 1944: CADE KIROVOGRAD

La situazione del feldmaresciallo von Manstein rimaneva molto difficile anche in conseguenza dell'inizio il 5 gennaio della potente offensiva del 2° Fronte Ucraino del generale Konev che, potenziato da un gran numero di formazioni meccanizzate e corazzate, mise in crisi le linee dell'8ª Armata del generale Wöhler che, indebolita dalla partenza delle riserve corazzate del generale Hube e dovendo rimanere abbarbicata per gli ordini di Hitler alla linea del Dnepr di Čerkasy, venne ampiamente aggirata sul suo fianco destro dalle colonne sovietiche. Il generale Konev liberò Kirovohrad l'8 gennaio, dove entrarono per primi i mezzi corazzati del 29º e del 18º Corpo carri della 5ª Armata corazzata della Guardia del generale Pavel Rotmistrov[26]. Alla notizia dei successi del generale Konev, il generale Vatutin propose il 9 gennaio allo Stavka di continuare la marcia divergente su Sarny con l'ala destra e di distruggere la concentrazione tedesca identificata nell'area di Žmerynka, ma l'alto comando sovietico, pur approvando questi piani, non poté inviare nuovi reparti per rinforzare le armate del 1° Fronte Ucraino[26].

10 GENNAIO 1944: I TEDESCHI CERCANO DI STABILIZZARE IL FRONTE

FRONTE OCCIDENTALE 1944-1945

https://www.youtube.com/watch?v=EvSeUHuWBb0&list=RDCMUCElybFZ60Hk1NSjgCf7I2sg&index=4

 

IL D DAY SULLA LINEA DEL FUOCO TEDESCA

https://www.youtube.com/watch?v=0pfJ67R_RuA

Nell'estate del 1944 la Germania Nazista era sull'orlo del collasso di schianto: ad Ovest gli Alleati avevano messo piede in Normandia ed aperto il fronte Occidentale, ad Est i Russi clamorosamente il 21 giugno avevano fatto collassare l'intero Gruppo d'Armate Centro imperniato sulla Bielorussia a protezione dei confini orientali del Reich. Un tracollo inaspettato che diede modo ad una fronda di colonnelli tedeschi di orchestrare un attantato ad Hitler allo scopo di farlo fuori, prendere il potere e chiudere la guerra, ben sapendo che il conflitto aveva ormai preso una piega definitiva che sanciva la distruzione della Germania.All'interno di una simile pressione tutta l'azione dei colonnelli sembrava portare a termine un piano insperato. Invece le cose mutarono nuovamente: Hitler ne usciva con i timpani scoppiati e con un braccio offeso ma vivo e diramò immediatamente una ferocissima repressione che investi' le truppe più fanatiche di una violenza che, sul fronte occidentale , si tradusse in una ulteriore recrudescenza della reazione sul campo, costringendo gli Alleati ad un rallentamento della marcia tale che fu il tentacolo più meridionale, quello di Avranches, a dare la spallata finale al fronte tedesco. Questi successi dei mezzi corazzati americani e soprattutto la caduta di Coutances avevano disarticolato completamente il fianco sinistro del fronte tedesco; gran parte dell'84º Corpo d'armata era ormai distrutto o accerchiato; rimasero tagliate fuori i resti della 91ª, 353ª e 243ª Divisione fanteria, alcuni reparti di paracadutisti e le unità meccanizzate della 2. SS "Das Reich" e della 17. Panzergrenadier SS, oltre ai superstiti della Panzer-Lehr-Division[57]

 

«Se possiamo annientarli là, non ci saranno sbarchi in nessun altro posto»

(Frase di Adolf Hitler rivolta a Walther Hewel nel gennaio 1944 dopo lo sbarco di Anzio[76])
 

Mappa dei primi scontri lungo il perimetro della testa di ponte: la linea blu tratteggiata indica il limite dell'avanzata alleata; la linea continua rappresenta le postazioni di resistenza dopo il contrattacco tedesco

Il 28 gennaio Adolf Hitler inviò una direttiva dettagliata al feldmaresciallo Kesselring: il Führer era allora molto preoccupato per la situazione sul fronte orientaledove era in corso la drammatica battaglia della sacca di Korsun', e temeva l'apertura del secondo fronte alleato attraverso la Manica, ma riteneva che la situazione sul fronte di Anzio desse finalmente l'opportunità alla Germania di infliggere una grande e sanguinosa sconfitta ai nemici occidentali[36][77]. Hitler quindi confermò la necessità di mantenere a tutti i costi le posizioni di Cassino e contemporaneamente ordinò l'organizzazione di una grande controffensiva contro la testa di ponte per ottenere una vittoria campale di grande importanza, anche propagandistica. Nelle intenzioni del Führer le truppe tedesche avrebbero dovuto mostrare estrema determinazione e aggressività, infliggere agli Alleati il massimo di perdite e dare una dimostrazione eloquente dell'«integrità della forza combattiva dell'esercito tedesco»[78]. Nella direttiva Hitler affermava, con accenti estremamente enfatici, che il soldato tedesco doveva «essere compenetrato dalla volontà fanatica di imporsi vittoriosamente in tale battaglia»[79].

 

 

 

 

20 LUGLIO 1944: LA WERMACHT CROLLA IN BIELORUSSIA CON LA FRANTUMAZIONE DEL GRUPPO D'ARMATE CENTRO AD OPERA DELL'ASSALTO SOVIETICO DI BRAGATION. La Germania si ritrovò senza mezzo milione di soldati in un colpo solo, con i sovietici che si ritrovarono la strada spianata fino a Varsavia. Ad ovest l'VIII Armata invece resisteva in Normandia ma senza ricambi e rinforzi era impossibile proseguire contro la pressione Alleata. Con il Reich che sbandava paurosamente un gruppo di ufficiali di secondo livello tentò l'ultima carta: far fuori Hitler e chiudere la guerra prima dell'annientamento totale. La figura di STAUFFEMBERG.

https://www.youtube.com/watch?v=uSOZklECkcQ

 

LA GERMANIA INVASA - 1 OTTOBRE 1944 / 1 OTTOBRE 1948

 

Battaglia di Singling nell'ambito della Battaglia di Hurtghen (dicembre 1944)

https://www.youtube.com/watch?v=1PVJ8JYpAPI

 

Hitler al 1 marzo 1945, pur lasciando in vita due Gruppi d'Armate ad ovest, il B e l'H, decideva lucidamente di depotenziarli di uomini e mezzi che si spostarono ad est, sull'Oder, per combattere contro i sovietici che portavano una superiorità anche di 10 a 1. Ad ovest tutto veniva affidato alla vastità del fiume Reno, dalle rive scoscese e ripide, nonchè molto profondo. Altresì i servizi segreti nazisti erano venuti in possesso della linea di demarcazione degli eserciti alleati, stabilita sul fiume Elba. Hitler quindi decideva di gettare tutto ad est in una battaglia devastante, mentre l'ovest veniva lasciato agli alleati BRUCIATO come stabilito dagli ORDINI NERONE redatti dallo stesso Hitler e che imponevano la distruzione sitematica di qualsiasi infrastruttura lasciando tranquillamente crepare di fame la popolazione civile. La Wermacht gettò tutto ciò che aveva nella battaglia di Remagen: questa cittadina sul Reno diventò improvvisamente strategica in quanto ivi i nazisti lasciarono intatto l'ultimo ponte rimasto , allo scopo di evacuare l'esercito in ritirata. Si scatenò una corsa sanguinosa con gli alleati intenzionati a prenderlo per costituire una fondamentale testa di ponte.

 

BATTAGLIA DI REMAGEN

 

Mappa del settore di fronte presidiato dalla 15. Armee di von Zangen (dalla linea di giunzione con le XXXX a demarcare il settore della 5. Panzerarmee a nord); di fronte ad esso la 1st Army USA che dopo il passaggio del fiume aveva i suoi corpi d'armata in linea: dall'alto, il VII, il III e il V. A fronteggiarli il 24 marzo c'erano il LIII. Korps di Bayerlein, il LXXIV e poco più a sud il LXVII. Korps trasferito dal Gruppo di armate G al B ed assegnato alla 15. Armee.


 

La battaglia di Remagen venne combattuta tra il 7 ed il 25 marzo del 1945, nelle fasi finali della seconda guerra mondiale sul Fronte occidentale.

La battaglia è importante soprattutto perché permise agli eserciti alleati di "accelerare" la fine del secondo conflitto mondiale[2][3] - in Europa - in quanto il rapido e inatteso attraversamento del Reno aprì le porte della Germania nazista, favorendo il crollo del fronte occidentale tedesco. L'attraversamento fu effettuato dall'Esercito statunitense, mentre, a nord, vi era il Gruppo di Armate anglo-canadese. In seguito al forzamento del Reno, durante ed immediatamente dopo la battaglia, circa 19 000 soldati della Wehrmacht si arresero o furono catturati dagli Alleati[2].

https://www.youtube.com/watch?v=es3AbkfcUoQ

 

BATTAGLIA DI BAUTZEN,Sassonia, 21-26 aprile 1945

 

Quando ormai il conflitto era deciso e i sovietici stavano per prendere Berlino, in Sassonia le truppe di Hitler riuscirono a dare un cruento colpo di coda, anche grazie alle mosse poco accorte di un generale dell’Esercito Popolare polacco che voleva a tutti i costi entrare per primo a Dresda
Nell’aprile del 1945, le truppe sovietiche stavano avanzando senza sosta verso il cuore della Germania hitleriana, la capitale Berlino. Il Terzo Reich perdeva rapidamente territorio e le sue forze armate si stavano sciogliendo come neve al sole.

Pochi potevano immaginare che, in tali condizioni, sull’orlo della definitiva disfatta del nazismo, la Wehrmacht sarebbe stata in grado di sconfiggere ancora in un’occasione l’Armata Rossa. Tuttavia, questo accadde.

.I tedeschi ebbero il loro ultimo trionfo nella Seconda guerra mondiale in Sassonia. Qui, in direzione di Dresda, stavano avanzando unità della 52ª armata e della 2ª armata dell’Esercito polacco (Ludowe Wojsko Polskie, ossia Esercito Popolare polacco). Formato sul territorio dell’Urss nel 1943-1944, e composto principalmente di polacchi, era equipaggiato con armi sovietiche ed era subordinato al comando militare sovietico.

Inizialmente, l’offensiva delle truppe sovietiche e polacche ebbe un discreto successo, dopo aver attraversato il fiume Neiße il 16 aprile e aver sfondato le difese nemiche. Tre giorni dopo iniziò un assalto alla città strategicamente importante di Bautzen, che i tedeschi avevano trasformato in una roccaforte. I resti della guarnigione e le unità della milizia popolare Volkssturm si erano asserragliate dell’antica fortezza di Ortenburg.

In questo momento, le unità del 1° corpo di carri armati della 2° armata polacca si stavano già avvicinando a Dresda. Il comandante dell’esercito, il generale Karol Świerczewski (1897-1947), era letteralmente ossessionato dall’idea di conquistare uno dei più importanti centri tedeschi. Sognava che i soldati polacchi fossero i primi ad entrare in città. Come si sarebbe scoperto, questo giocò un ruolo fatale nella sconfitta che seguì.

Un colpo inaspettato
Sull’entusiasmo della facile avanzata verso ovest, le truppe sovietiche e polacche si allungarono troppo. Carri armati e unità meccanizzate, staccandosi dalle retrovie, si precipitarono a Dresda. I tedeschi ne approfittarono subito.

https://it.rbth.com/storia/86151-lultima-inutile-vittoria-dei-tedeschi

.Concentrando grandi forze, inclusa la Fallschirm-Panzer-Division 1 “Hermann Göring”, una unità corazzata d’élite, attaccarono ai fianchi le truppe in avanzamento e il 21 aprile le tagliarono in due spezzoni, e circondarono le forze principali della 2ª armata dell’Esercito polacco e alcune unità sovietiche. Come ha scritto nelle sue memorie il comandante del 1° Fronte ucraino, il maresciallo Ivan Konev (1897-1973), “con un contrattacco ai fianchi piuttosto vigoroso, gli hitleriani speravano di creare una situazione di crisi all’intero fianco sinistro delle nostre truppe, e di influenzare il corso dell’operazione nelle sua direzione principale: Berlino”

Come risultato della controffensiva tedesca, diverse unità sovietiche e polacche furono annientate. La situazione venne aggravata dal fatto che la Luftwaffe fu in grado di raggiungere la supremazia aerea temporanea in questo settore del fronte: le principali forze dell’aviazione sovietica erano infatti ormai impegnate nella battaglia per Berlino. Konev ordinò alle unità circondate di rompere il blocco nemico, ma questo piano fallì quasi immediatamente. Si rivelò estremamente difficile per le truppe sovietiche interagire con gli alleati polacchi.Świerczewski non prese sul serio la situazione, credendo che il nemico sarebbe stato facilmente respinto nel più breve tempo possibile. Il 1° Corpo polacco di carri armati continuò la sua offensiva contro Dresda. Solo a mezzogiorno del 22 aprile, il generale si rese conto della portata del disastro imminente e diede l’ordine ai carri armati di tornare indietro verso Bautzen. I mezzi, giunti sul posto la sera dello stesso giorno, entrarono subito in battaglia, ma senza risultato.

A causa degli errori di calcolo del loro comando, le truppe polacche furono travolte dal caos e dal panico. Le unità di artiglieria, trovandosi senza supporto di fanteria, cercarono disperatamente di fermare l’offensiva tedesca e subirono pesanti perdite. Alcune squadre, disorientate, persero i contatti con il quartier generale e furono d’urgenza riassegnate al comando della 52ª Armata.

Anche in questa situazione disastrosa, la 2ª armata polacca continuò noncurante ad avanzare su Dresda con tre divisioni di fanteria. Il 24 aprile, il maresciallo Konev dovette intervenire personalmente e fermare questa avanzata verso ovest. Uno degli ufficiali polacchi in seguito commentò molto criticamente le azioni del suo comandante: “Świerczewski doveva essere ubriaco quando era al comando”.

 Con difficoltà e molte perdite, le truppe sovietiche e polacche irruppero finalmente dall’accerchiamento. Ma quando le unità del 7° Corpo Meccanizzato delle Guardie cercarono di sfondare dalla città di Weissenberg, solo un terzo dei militari sopravvisse. Il generale Vladimir Maksimov, che comandava lo sfondamento, fu gravemente ferito e fatto prigioniero, e morì poco dopo.

Il 26 aprile, l’ordine di ritirarsi da Dresda fu ricevuto dall’unica unità rimasta in quella posizione: la 9ª divisione di fanteria polacca. Cadendo in un’imboscata sulla via del ritorno, subì enormi perdite. Lo stesso giorno, i soldati della divisione Hermann Göring cacciarono del tutto le truppe sovietiche da Bautzen.

I tedeschi cercarono di consolidare il successo e iniziarono a spostarsi verso est, ma furono fermati dalla 5ª armata della Guardia sovietica. Nonostante il successo locale, i tedeschi non furono quindi in grado di raggiungere il loro obiettivo principale: colpire ai fianchi quest’ala dell’Armata Rossa che avanzava su Berlino.

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La 2ª armata polacca perse oltre 8 mila uomini, tra morti, feriti e dispersi, pari a un quinto della sua composizione. Le perdite delle truppe sovietiche e tedesche rimangono sconosciute.

Świerczewski non prese mai Dresda, come aveva tanto sognato di fare. La città cadde nelle mani dell’Armata Rossa solo l’8 maggio, dopo la resa della Germania.

 

Il “Risveglio di primavera”: 

 

l’ultimo colpo di coda della Germania nazista contro i sovietici 

 

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LA DIFESA DELLA CITTA'

Il 22 aprile 1945 Hitler incredibilmente nominava comandante della difesa il generale Weidling, comandante di ciò che rimaneva del LVI Panzer Korps, annientato a SEELOWE sull'Oder, inquadrato nella IX Armata. Quando i sovietici sfondarono la linea tedesca, ciò che rimaneva dei reparti corazzati arretrò verso la città mentre il resto dell'Armata si spostò verso sud-ovest, ovvero verso l'Halbe. Per il povero Weidling fu una sventura perchè il suo reparto si ritrovò inglobato nella metropoli e quindi nelle rabberciate difese della città. Hitler nel frangente aveva ordinato la fucilazione del generale in quanto erroneamente lo riteneva responsabile di aver ripiegato di fronte al nemico quando in realtà con i suoi pochi carri armati riusciva incredibilmente a ritardare l'avanzata dell'intero Primo Fronte Bielorusso. Portatosi in persona di fronte al Fuhrer, spiegò con veemenza  al dittatore come stavano effettivamente le cose ed Hitler, rimasto impressionato da ciò.decise seduta stante di nominarlo comandante della piazza. Weidling sapeva perfettamente che era un suicidio: il Primo Fronte Bielorusso era costituito da 800.000 uomini, 2000 carri armati, qualcosa come 14.000 cannoni e 3000 aerei a copertura contro 45.000 uomini rinforzati da circa 40.000 uomini della polizia,del Volkssturm e della Gioventù Hitleriana.

 

GOEBBELS TENTA UN CESSATE IL FUOCO MA I SOVIETICI RIFIUTANO, SI CONTINUERA' A COMBATTERE FINO AL 2 MAGGIO

 

https://www.youtube.com/watch?v=gz8s-Zm1xIQ

Hitler considerava il III Reich una sua cosa personale da poter trasmettere come un bene, così all'interno del suo testamento nominava Cancelliere del Reich il Ministro della Propaganda nonchè comandante della difesa di Berlino, Goebbels che scavalcava Goering ed Himmler macchiatisi di alto tradimento. Altresì veniva riesumata la carica di Presidente del Reich affidata all'Ammiraglio Doenitz che nel frattempo si era asserragliato nell'estremo nord della Germania. Con la battaglia che infuriava ferocissima sopra il bunker, il nuovo Cancelliere nominava tutti i ministri del nuovo governo e come primo ed unico atto cercò una via di scampo proponendo un cessato il fuoco ai sovietici che naturalmente rifiutarono. Di fronte al diniego, mentre gli altri componenti del governo intrappolati a Berlino cercarono di organizzare una sortita per uscire dalla città assediata, Goebbels decise di suicidarsi con la moglie dopo aver ammazzato i propri figli. Nel caos e nella concitazione di quei momenti, l'ordine di cremazione dei cadaveri fu svolto frettolosamente, al contrario della cremazione di Hitler ed Eva Braun,così i sovietici riuscirono a rinvenire i loro corpi all'indomani della capitolazione.

 

PANZERFAUST

https://www.youtube.com/watch?v=K3mYWn22R8A

 

 

L'ULTIMA TORRE CORAZZATA  DI BERLINO

 

Flak torri (in tedesco: Flaktürme ) erano grandi, fuori terra, anti-aerei pistola fortino torri costruite da Germania nazista . C'erano 8 complessi di torri antiproiettile nelle città di Berlino (3), Amburgo (2) e Vienna (3) dal 1940 in poi. Altre città che utilizzavano torri antiproiettile includevano Stoccarda e Francoforte . Torri antiproiettile monouso più piccole furono costruite nei principali punti di forza tedeschi periferici, come ad Angers in Francia, Helgoland in Germania. Le torri furono gestite dalla Luftwaffe per difendersi dai raid aerei strategici alleati contro queste città durante la seconda guerra mondiale . Servivano anche come rifugi antiaerei per decine di migliaia di civili locali. Torre Flak - https://it.abcdef.wiki/wiki/Flak_tower

Nel caos totale, l'ultimo Koenigtiger, il numero 314,della divisione Nordland,comandato dal capitano Diaz, si mise avanti alla colonna che dal fuhrerbunker cercò di dirigersi a nord-ovest, in direzione Spandau, la dove alcuni battaglioni della hitlerjugend tenevano ancora alcuni ponti aperti per uscire dalla città assediata. Il Carro riusciva ad avanzare fino alla stazione di Humboldt, nei pressi dell'ultima torre corazzata della Flack rimasta operativa. L'avanzata della colonna veniva coperta dal tiro dei cannoni della torre corazzata fino a quando l'alzo lo consentiva: una volta impossibilitata la copertura la colonna fu devastata dalla reazione sovietica che squarciò anche il Koenigtiger che venne abbandonato. Nella concitazione una delle segretarie di Hitler, Traudl Junge, riusciva a fuggire in direzione Spandau, mentre il segretario del partito Martin Bormann scomparve.

 

https://www.youtube.com/watch?v=zVM471V9Iyc

 

GLI ULTIMI GIORNI DI HITLER, FILM RUSSO

https://www.youtube.com/watch?v=8_vTb8nkYSU

 

IL BUNKER DI HITLER

 

https://www.youtube.com/watch?v=eR7uIeZ1p24

 

GLI ULTIMI GIORNI DI HITLER SECONDO LO SPIONAGGIO RUSSO

https://www.youtube.com/watch?v=fb8xArRowZs

 

L'ALTRO SUCCESSORE DI HITLER, NOMINATO REICH PRESIDENT DAL FUHRER STESSO: KARL DONITZ

https://video.repubblica.it/rubriche/urs/stefano-massini-ufficio-racconti-smarriti-29-aprile-1945-hitler-indica-come-successore-karl-donitz/413829/414756?ref=RHTP-BS-I342916935-P18-S2-T1

 

 

LO SCOPERCHIAMENTO DELL'INFERNO CONCENTRAZIONARIO

 

https://www.youtube.com/watch?v=dPTvPccmLUM

L'occupazione integrale della Germania non significò semplicemente fine della guerra in Europa ed inizio di una vasta opera di de-nazificazione. L'occupazione portò alla luce la scientifica carneficina portata avanti dai nazisti nei confronti di ebrei e di tutti gli oppositori o ritenuti tali di qualsiasi nazionalità, religione, ceto sociale. Lo sterminio venne realizzato attraverso un mostruoso universo di campi di concentramento che punteggiavano l'intera Germania,la Polonia e la Boemia.

 

Solautte, il resort dell'orrore

 

https://www.youtube.com/watch?v=_eImKpHctO4

 

 

LA GUERRA SINO-GIAPPONESE, 1933-1945

800 eroi

https://www.youtube.com/watch?v=yV2AvzHYfg8

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Shanghai#Ritirata_cinese_da_Shanghai

La battaglia di Shanghai[N 1] fu combattuta dall'agosto al novembre 1937 durante

 la seconda guerra sino-giapponese, tra l'Esercito nazionalista cinese e l'Esercito imperiale giapponese. Fu una delle battaglie più grandi, sanguinose e violente combattute durante il conflitto sino-giapponese e si concluse dopo oltre tre mesi di scontri con la vittoria giapponese e la ritirata delle truppe cinesi.

Dopo l'Incidente del ponte di Marco Polo e le prime vittorie giapponesi nel settore Pechino-Tientsin, il comandante in capo del Kuomintang, il generalissimo Chiang Kai-shek, decise di concentrare le sue divisioni migliori, addestrate dai consiglieri militari inviati dalla Germania, nel settore di Shanghai per fermare l'avanzata nemica, dare una dimostrazione della volontà della Cina nazionalista di non cedere all'aggressione, suscitando in questo modo la simpatia della Potenze occidentali, e guadagnare tempo per evacuare le industrie nell'interno della Cina.

 

 

IL GRANDE STALLO, 1939-1943: I GIAPPONESI SUBISCONO PESANTI PERDITE NELLA BATTAGLIA DI WUHAN, PERDITE CHE NON RIESCONO A RIMPIAZZARE, PER QUESTO DECIDONO DI SOSPENDERE LE OPERAZIONI CAMPALI A FAVORE DI AZIONI LOCALI TATTICHE.

 

Operazione Ichi-Go,1944

 

https://www.youtube.com/watch?v=NO-NLpmzp0k : OUTFIT AND FETISH HEELS MEGA

 

https://www.youtube.com/watch?v=s_eLalKoIz0 : VANESSA PUR