ANCORA SU FISCAL COMPACT E SIX PACK

Tutto ha un limite. Persino la severità di Berlino e Bruxelles in fatto di bilanci pubblici. Un fiscal compact che davvero contemplasse tagli annuali per decine di miliardi di euro sarebbe la pietra tombale su qualsiasi velleità di ripresa economica della zona euro. In realtà su questo accordo messo in cantiere ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi e poi siglato da Mario Monti sono fiorite interpretazioni inesatte che in alcuni casi sono sfociate in ipotesi da far accapponare la pelle. Come quella stando alla quale dovremmo fare 50 miliardi di tagli ogni anno per vent’anni. Una lettura attenta dei documenti suggerisce conclusioni più prudenti: la camicia di forza Ue – o la sana gestione dei conti, a seconda dei punti di vista – potrebbe costarci tra i 5 e i 7 miliardi di euro. Le critiche sull’eccesso di austerità imposto da Bruxelles sono legittime. Il continuo sovrapporsi e avvicendarsi di norme e trattati con dentro regole complesse crea oggettivamente confusione. E’ però sbagliato pensare che il fiscal compact, che sarà applicato dal 2015 e produrrà effetti dal 2016, comporti stravolgimenti. Le nuove regole possono diventare una zavorra, ma non una pietra al collo. Partiamo dall’inizio: giuridicamente il fiscal compact è un trattato internazionale che deve essere espressamente recepito dagli Stati membri. Non si tratta cioè di un atto normativo dell’Unione europea che come tale entra automaticamente (o quasi) nella legislazione nazionale. I contenuti sono in sostanza quelli previsti dal cosiddetto “Six Pack” della Commissione europea (il pacchetto di misure entrato in vigore nel 2011): un sentiero di riduzione del debito pubblico in eccesso e limiti ai deficit tarati sulle specificità dei singoli Paesi, ma un po’ più severi rispetto alla semplice regola del 3 per cento.

La regola del debito – E’ lo spauracchio di molti commentatori, ma si tratta di un vincolo molto più morbido di quanto possa sembrare. E, peraltro, già contemplato da tempo nei trattati europei. I Paesi con un debito che supera il 60% del Pil devono ridurre la parte eccedente di un ventesimoogni anno fino a riportarlo al di sotto di questa soglia. La regola può effettivamente generare confusione e ha dato origine all’equivoco più grande. Siccome l’Italia ha un debito di 2.107 miliardi di euro, più del 132% del Pil, si è pensato che dovesse ridurlo di circa mille miliardi (la parte eccedente il 60%, appunto) di un ventesimo l’anno: i famigerati 50 miliardi. In realtà la diminuzione che interessa è quella del rapporto tra il debito e il Pil, non del suo valore assoluto. Ossia: se il Pil cresce, il debito può restare comunque oltre i 2.100 miliardi (o persino salire) e in proporzione scendere comunque. Non solo. Il valore del prodotto interno lordo da utilizzare ai fini della regola del fiscal compact non è quello “reale”, di cui si legge abitualmente sui giornali (per esempio: nel 2014 il Pil italiano crescerà dello 0,7%) ma quello nominale, cioè non depurato dagli effetti dell’inflazione. Per esempio, se in un dato anno la crescita economica è pari allo 0,5% e i prezzi aumentano dell’1% il Pil nominale crescerà dell’1,5 per cento. Questo offre margini aggiuntivi per ridurre il quoziente debito/pil senza tagli alla spesa. Ovviamente i margini saranno più ampi in periodo di forte crescita economica e/o alta inflazione, minori se, come accade ora in Italia, la crescita è asfittica e l’inflazione è bassa. Inoltre, spiega Angelo Baglioni, economista dell’università Cattolica di Milano, il ritmo di discesa del debito (il famoso ventesimo, ndr) viene ricalcolato ogni anno sulla base del triennio precedente. Quindi, se il debito inizia a scendere la quota da ridurre si assottiglia via via: se ho un debito di 200 e lo riduco di un ventesimo arrivo a 190, quindi l’anno successivo il ventesimo richiesto non sarà più 10, ma 9,5. Inoltre, essendo calcolata come media annuale del triennio la riduzione può essere nulla se si prevede che l’anno successivo sarà di un decimo.

Per farsi un’idea, si consideri che alcune simulazioni hanno evidenziato come con un debito al 120% del Pil sarebbe sufficiente una crescita nominale (Pil reale + inflazione) del 2,6% per ottenere automaticamente una riduzione del debito pari al ventesimo richiesto dal fiscal compact. Si tenga presente poi che tra il 2000 e il 2007 la crescita nominale italiana è stata in media del 3,6% annuo. Prendiamo per buone le stime dell’Fmi, stando alle quali nel 2015 il Pil reale italiano salirà dell’1,1% e l’inflazione dell’1 per cento. L’incremento del Pil nominale dovrebbe essere quindi del 2,1 per cento. Mancherebbe quindi uno 0,5%-0,7% per ottenere una crescita sufficiente ad abbattere il debito di un ventesimo. Si parla insomma di 7-10 miliardi di euro, ammesso che il gap non venga compensato nei due anni successivi. Fin qui tutto bene, o quasi. Che cosa succederebbe, però, in una situazione come quella del 2013, quando per effetto del calo del Pil reale e della bassa inflazione il Pil nominale è addirittura arretrato? In teoria, ma solo in teoria, una puntuale applicazione della regola comporterebbe effettivamente esborsi nell’ordine di decine di miliardi di euro. Sono tuttavia previste una serie di circostanze attenuanti che sospendono l’applicazione del vincolo in situazioni di particolare difficoltà, precisa Giuseppe Pisauro, economista dell’universitàLa Sapienza. Tra queste tutti i fattori che condizionano il ciclo economico e allontanano l’economia di un paese dal suo potenziale di crescita.

Pareggio strutturale e deficit – Le nuove regole europee in materia di bilanci pubblici ribadiscono il limite del deficit al 3% del Pil ma aggiungono un nuovo parametro. Che è, questo sì, lavera novità del fiscal compact. Si tratta del fatto che il deficit strutturale non deve superare lo 0,5% del Pil (l’1% per i paesi più virtuosi). Il deficit strutturale è quello calcolato tenendo conto deglieffetti del ciclo economico: per esempio considera se il calo delle entrate dello Stato o l’aumento della spesa per sussidi di disoccupazione è temporaneo e legato a una fase di crisi. Detto in altri termini, un Paese è in deficit strutturale se le spese sono superiori alle entrate anche ipotizzando che l’economia marci al massimo delle sue potenzialità. Qui però sorgono non pochi problemi: quantificare l’ipotetica crescita potenziale è estremamente complesso e non mancano gli elementi diarbitrarietà. Un recente studio degli economisti Stefano Fantacone, Petya Garalova e Carlo Milani pubblicato su lavoce.info ha messo in luce come in tal senso stiano prevalendo orientamenti piuttosto penalizzanti nei confronti dell’Italia.

Le vere cifre – In condizioni normali (dove per normale si intende una crescita nominale del 2-2,5%) il pareggio strutturale, spiegano fonti dell’Unione europea, è in linea di massima sufficiente per garantire il ritmo di riduzione del debito richiesto dal fiscal compact. La regola sulla riduzione del debito diventerà pienamente operativa dal 2016 e fino a quella data il parametro che viene tenuto sotto sorveglianza è appunto il pareggio strutturale. Su questo fronte potrebbe emergere qualche difficoltà. Dalla Ue non si sbilanciano su quello che ciò potrebbe comportare in tema di aggiustamento dei conti (attraverso tagli o nuove tasse) negli anni a venire. Ricordano però come, rispetto a quanto previsto nell’ultima legge di stabilità, siano ritenuti opportuni interventi aggiuntivi di aggiustamento pari allo 0,4 – 0,5% del Pil, ossia tra i 5 e 7,5 miliardi di euro. Secondo Fedele De Novellis del centro Ref ricerche, le stime del governo sull’evoluzione dei conti pubblici partono da due assunzioni molto favorevoli ma contraddittorie. Si prevedono infatti sia un’accelerazione dellacrescita economica sia tassi di interesse sui titoli di Stato a livelli bassissimi, anche per effetto delle misure messe in campo dalla Bce proprio per sostenere la crescita. La vera difficoltà, continua De Novellis, non è tanto quella di raggiungere il pareggio di bilancio strutturale quanto il modo in cui ci si arriva. Farlo mentre si cerca di abbassare la pressione fiscale è ovviamente più complicato.

Le sanzioni – Che cosa succede se un Paese non rispetta i vincoli di bilancio? In teoria, se il debito in eccesso non scende può essere sanzionato anche se presenta un deficit “a norma” (entro il 3% del Pil). L’eventuale avvio della procedura viene però deciso tenendo conto dei fattori che influenzano il ciclo economico e valutando tre parametri: deviazione dal Pil potenziale, riduzione rispetto ai tre anni precedenti, prospettive per i tre anni successivi. Soltanto se lo Stato sotto esame è fuori dai parametri da tutti e tre i punti di vista possono scattare le sanzioni. Che devono comunque essere votate dal Consiglio europeo e precedute da una serie di avvertimenti. Un iter barocco e tortuoso il cui esito rischia di essere quello della montagna che partorisce il topolino.

La resilenza da Bristol, un nuovo modo di fare "resistenza" abbandonando i canovacci novecenteschi. Il voto in ciò che si compra, l'attacco all'economia corporate "neo-cons",lo smantellamento dei grossi gangli a favore del tessuto connettivo locale.

Ciao, sono Rob Hopkins, uno dei fondatori del movimento “Transition Town Transition Network”. Uno dei progetti che abbiamo in atto è proprio la Transition Town, la Totnes. Sono a Milano per un paio di eventi che hanno a che fare con Transition. 
Transition è un processo bottom up, parte dal basso verso l’alto per rendere la comunità locale resiliente. Non è un movimento politico, non è una cosa di destra odi sinistra, non è verde, non è contro la crescita né a favore della crescita, ma mira semplicemente a coinvolgere tutte le persone, la popolazione locale, nel creare questa forma di resilienza come forma di sviluppo economico. 
Come forma di sviluppo abbiamo la creazione di società energetiche, di piccole società agricole, l'agricoltura urbana, il tentativo di rivitalizzare a livello locale le comunità, dare supporto a agli imprenditori locali. Nella città di Bristol, una delle Transition Town, c’è la valuta locale, hanno fatto la Sterlina di Bristol con il supporto dell'amministrazione comunale. 
Se la crescita globale e globalizzata andava bene per il ventesimo secolo, quando c’erano combustibili fossili a basso prezzo, ora non è più fattibile, bisogna utilizzare la resilienza e far sì che siano le persone normali a fare accadere il cambiamento. 
Io viaggio per tutto il mondo e vedo che queste cose stanno accadendo. 
I governi possono fare delle cose, le aziende e le imprese possono farne altre, ma per superare la crisi ci vuole la gente normale, che rappresenta la grande riserva di risorse, di energia, non sfruttata. 
Uno dei progetti realizzato recentemente da Transition Network è “The New Economy in Twenty Enterprises”, la nuova economia in venti imprese. Abbiamo mappato tutto il territorio del 
Regno Unito e scelto venti imprese rappresentative dell’economia di transizione, che potevano essere replicate ovunque, non dipendenti perciò da una particolare situazione geografica o altro. Abbiamo scelto una banca della comunità, la comunità che aveva la propria valuta, piuttosto che il proprio sistema di trasporti, gestito dalla comunità, l’agricoltura, le aziende agricole della comunità, fonti energetiche, etc.. Alcune di queste iniziative nascono e si sviluppano in modo del tutto spontaneo, la differenza che fa Transition è creare un collegamento tra tutte queste cose. 
Infatti dalla natura, dall’ecologia, abbiamo imparato che la cosa potente è il collegamento tra i vari elementi che vanno così a formare un sistema.Transition fa questo: tesse il tessuto che collega l’economia locale consentendo a queste iniziative di parlare le une con le altre facendo sì che la resilienza della comunità diventi una forma di sviluppo economico. 
Transition è nata nel Regno Unito nel 2005, e da allora si è diffusa in tutto il mondo, siamo presenti in 44 paesi e ci sono migliaia di iniziative Transition in tutto il mondo, che è un movimento che si auto-organizza, nel senso che noi non siamo come un franchising della Coca Cola, che è sempre uguale ovunque esso si trovi, il nostro modello è diverso a seconda di dove nasce. C’è un movimento Transition, un’organizzazione, un Network Transition anche in Italia, che è stato uno dei primi posti a replicarlo, con grande successo, nel paese di Monte Veglio, in provincia di Bologna.C’è questa storia molto positiva, dove l’amministrazione locale ha promulgato una risoluzione per rendere il paese più resiliente, quindi esiste Transition Italy, se c’è qualcuno che sta ascoltando ed è interessato sappiate che ci sono a disposizione possibilità di training, di collaborare a dei progetti, c’è una rete molto attiva, molto vitale, in Italia, cui ci si può collegare se si è interessati a Transition. 
Spesso pensiamo che il cambiamento possa accadere soltanto attraverso le proteste, i picchetti con i cartelli, le dimostrazioni, etc., e sottovalutiamo quello che è il potere di ritirare il nostro supporto a ciò che non ci piace. 
C’è un movimento negli Stati Uniti che si chiama Divest, cioè disinvestite, che invita e incoraggia a disinvestire dal combustibile fossile per investire invece nelle rinnovabili. 
Si può disinvestire in un modo molto semplice, cioè con la spesa che facciamo ogni giorno, invece di fare delle scelte di acquisto che vanno a privilegiare l’economia corporate, quella delle grandi aziende, si scelgono prodotti che stimolano la resilienza locale, una economia locale, più inclusiva. 
Oogni giorno possiamo scegliere dove depositare i nostri risparmi, se dare supporto alle aziende locali o meno. 
Ho letto, per esempio, che negli Stati Uniti, prima che scoppiasse la guerra con l’Iraq,l’amministrazione Bush aveva previsto, le dimostrazioni, ma era anche altrettanto sicuro che questa protesta non si sarebbe tradotta in cambiamento di modello del consumo, infatti non le persone non hanno smesso di comprare benzina. 
Quindi il sistema è concepito proprio per lasciare sfogo a questo rumore, a queste dimostrazioni, perché tanto questo non corrisponde a un cambiamento delle azioni delle persone. 
Oggi dare supporto all’economia locale rappresenta una delle scelte più radicali che si

possano fare.

CHE COSA CAZZO HA FATTO RENZI FINO AD ORA?

L'Italicum è senza preferenze, Senato e Province non vengono aboliti e non sono neanche elettivi
L'intesa Renzi-B toglie potere di indicare chi mandare nelle istituzioni. Eppure non la pensavano così

Benvenuti nella Terza Repubblica Targata Licio Gelli trent'anni dopo, era politica della "democrazia dei nominati". Sembra un secolo fa quando i politici inveivano contro se stessi, additando il "Parlamento dei nominati", che produce scollamento tra Palazzo e territorio. Ma le riforme di Renzi e Berlusconi non cambiano niente: l’Italicum avrà i listini bloccati, le Province non sono state abolite ma sono non elettive e il Senato 2.0 sarà composto da designati dai consigli regionali,peggio di così non si poteva....

Palazzo Madama, una camera di nominati
Senatori designati dai consigli regionali

Matteo Renzi trova il compromesso con Berlusconi e con la fronda interna al Pd. Le modifiche: meno
sindaci e più regione. Resta fermo il caposaldo di una camera che non voterà la fiducia al governo 

 

 

Il Sole 24 Ore di ieri attirava l’attenzione critica sul piano per le scuole: il premier aveva annunciato 3, 5 miliardi, ma il decreto Irpef permette agli enti locali di spendere fuori dal patto di stabilità soltanto 240 milioni di euro. L’intervento, più a beneficio delle imprese di ristrutturazione che degli studenti, avrà quindi una dimensione minima.

Nei ‘semafori’ che pubblichiamo oggi su il Fatto Quotidiano, facciamo il punto sulla distanza che separa gli annunci dai risultati. A una prima analisi si può vedere come Renzi sia risultato più efficace sui dossier che gli garantiscono il maggiore ritorno di consenso, e questo è comprensibile visto che manca un mese alle elezioni europee. La promessa di far trovare in busta paga ad alcuni milioni di italiani 80 euro in più a maggio è stata rispettata, anche se con tanti compromessi al ribasso che rendono l’intervento molto diverso da come lo sognava il premier. La pecca maggiore è che la copertura non è strutturale, quindi è ancora molto incerto che il bonus fiscale sia garantito dal 2015 in poi.

I tagli alla casta, simbolici (o demagogici) ma molto richiesti, ci sono: dalla vendita delle auto blu su eBay al tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici a 240 mila euro fino a minuzie, ma significative, come la cancellazione delle tariffe postali agevolate per il materiale di propaganda dei partiti. Anche le nomine nelle società partecipate dal Tesoro sono state gestite in coerenza con le promesse: via tutti i dinosauri, incluso il potentissimo Paolo Scaroni. Anche se non tutti i nomi prescelti per la successione sono all’altezza dei proclami di rottamazione di Renzi, basti guardare Emma Marcegaglia alla presidenza Eni. I problemi arrivano dove il premier non può decidere da solo ma ha bisogno del consenso o dei voti di altri bizzosi soggetti, da Silvio Berlusconi con Forza Italia all’ala sinistra del Pd in Parlamento. Quando Renzi non può fare tutto da solo, il risultato è quasi zero: la legge elettorale si è impantanata al Senato, il suo destino è legato al superamento del bicameralismo, ma anche la trasformazione del Senato in camera delle autonomie locali è bloccata da un’opposizione sempre più larga.

A parte i vari interessi politici contrapposti, una delle spiegazioni di merito è che nessuno ha ben chiaro cosa dovrà fare il nuovo Senato, visto che prima (o poi) bisognerebbe redistribuire le competenze tra Stato ed enti locali riformando la Costituzione nel titolo quinto. Anche l’altra riforma ambiziosa del renzismo, quella del mercato del lavoro, per il momento ha prodotto pochino: un decreto legge che aiutava le imprese a ridurre il rischio di cause legali permettendo loro una maggiore flessibilità nel ricorrere al lavoro precario (i disoccupati sono felici alla prospettiva di diventare precari, ma i precari sono piuttosto seccati dalla prospettiva di rimanere in quella condizione più a lungo di prima). In Parlamento il Pd ha iniziato a svuotarla, reintroducendo parte dei vincoli eliminati dal ministro Giuliano Poletti. Risultato: impalpabile.

Quanto alla riforma più complessiva, la legge delega che dovrebbe essere il vero Jobs Act, è un tema da affrontare nei prossimi mesi. Anche della delega fiscale non si è più saputo niente, eppure dovrebbe essere la leva per una vera riforma delle tasse. Morale: se lo statista è quello che guarda alle prossime generazioni e il politico chi pensa alle prossime elezioni, Renzi è un politico efficace. Ma le grandi riforme sono molto più complesse.

 

Bce pronta a "stampare" 1000 miliardi. Come funziona il QE anti-deflazione

La Banca centrale europea ha aperto all'ipotesi di lanciare un Quantitative Easing europeo, ovvero di acquistare titoli per contrastare i rischi di deflazione e far ripartire l'economia.

Uscita dall’euro: il metodo stamina della svalutazione

Tre le frange che propugnano l’uscita dall’euro, vale a dire il metodo Stamina per guarire dalla recessione, i supposti effetti miracolistico-salvifici della svalutazione costituiscono i bastioni retorici della propaganda.

Da un elemento semplice, che anche i meno istruiti credono di capire, nelle varie Lourdes “der webbe”, si imbastisce la mistica della guarigione ricorrendo ad un filo logico (si fa per dire) di questo tenore: i tedeschi sono efficienti, hanno un sistema Paese che funziona, un mercato del lavoro che crea occupazione, la scuola forgia competenze, si investe in ricerca, i politici pizzicati a copiare una tesi si dimettono, quelli corrotti sono una rarità, i grandi evasori fiscali finiscono in galera sul serio, non ad articolare riforme costituzionali. Noi italiani invece ci troviamo metà Paese in mano alle mafie, i leader di tre partiti sono pregiudicati, la corruzione è diffusa, la burocrazia è demenziale, la giustizia è una tragica barzelletta, la scuola è un somarificio, la ricerca langue, le tasse sono confiscatorie. Però noi Italiani, quintessenza della furbizia, fotteremmo tutti con svalutazioni a getto continuo. In tal modo sparirebbe d’incanto il divario con il mondo civile, l’economia si  risolleverebbe senza dover riformare alcunché, i ladri potrebbero continuare a rubare e governare senza conseguenze di sorta. Però i maledetti tedeschi per impedire il dispiegarsi di cotale sopraffina furbizia hanno ordito un subdolo complotto avvalendosi di complicità oscure tra banche, Bilderberg, Trilaterale, gnomi del signoraggio e WTO (mentre si indaga sul ruolo delle Sirene).

Inoltre se solo si potesse accumulare altro debito pubblico avremo un’economia da sogno e un futuro di bagordi tra Montecarlo e Acapulco con il reddito di cittadinanza finanziato da vagoni di moneta filosofale.

Contro la stamina eurexit purtroppo i Guariniello non possono intervenire, anche se – come le iniezioni di intrugli che non guariscono malattie incurabili – la flessibilità del cambio non influisce sulla produttività dell’economia reale (l’unico fattore di crescita sostenibile e di benessere).

Una spiegazione densa ed esaustiva in merito si trova in due articoli a questo link e a quest’altro. Se avete difficoltà con numeri e logica, un viaggio in Argentina, in Venezuela o in Yemen dovrebbe convincervi. Oppure basta un’occhiata ai dati giapponesi: dopo la svalutazione del 30% dello yen il deficit commerciale ha toccato livelli record quadruplicando in un anno e senza miglioramenti in vista.

Ma i Vannoni prestati all’economia e i negazionisti dell’euro insistono che il tasso di cambio dell’euro ha colpito il sistema manifatturiero italiano. Sicuro? Iniziamo dai concetti elementari.

1) Il tasso di cambio tra due monete (alcuni usano il termine valute), ad esempio euro e dollaro, è la quantità di una moneta necessaria per comprare un’unità dell’altra. Oggi per comprare un euro servono circa 1,38 dollari.

2) Ogni moneta ha almeno un centinaio di tassi di cambio, quante sono le altre monete in circolazione nel mondo. Quindi l’euro in un anno, può rivalutarsi rispetto al dollaro e svalutarsi rispetto allo yuan cinese.

3) Il tasso di cambio definito al punto 1) è il tasso di cambio NOMINALE. In realtà quello che davvero conta è il tasso di cambio REALE di cui non si fa cenno nei “toc sciò” per telelobotomizzati.

4) Il tasso di cambio REALE è il tasso di cambio nominale diviso per il livello dei prezzi nei due paesi. Che significa? Lo spiego con un esempio. Comprereste un’auto prodotta in Argentina, perché il tasso di cambio euro-peso si è dimezzato? Chi crede al metodo stamina forse risponderebbe di si. Ma se il prezzo in peso dell’auto prodotta in Argentina fosse triplicato, a dispetto della svalutazione, non vi sarebbe nessuna convenienza.

 5) Ergo va considerato il cambio REALE con tutti i paesi con cui l’Italia ha relazioni commerciali, cioè l’indice del tasso di cambio REALE EFFETTIVO. Che significa? Che se l’Italia, poniamo, esportasse per metà verso gli USA e per metà verso il Giappone, il tasso di cambio reale effettivo sarebbe una media dei tassi di cambio REALI tra euro e dollaro e tra euro e yen. Nella realtà il tasso di cambio reale effettivo è una media di decine di tassi di cambio reali. Questo articolo nel Bollettino Economico della Banca d’Italia spiega come viene calcolato per l’Italia, questo articolo della BCE spiega le varie differenze metodologiche. 

Pil: crescere nonostante la deflazione sarchiaponica

di 

Al pari del Sarchiapone nell’indimenticabile scenetta di Walter Chiari, Carlo Campanini e Ornella Vanoni, la deflazione è un classico spauracchio per suscitare ad arte paure di sconquassi e incanalare acqua putrida verso mulini parolai che macinano argomenti senza costrutto.

Al pari del Sarchiapone, è sconosciuto il motivo plausibile per cui prezzi in discesa sarebbero una iattura. Qualcuno soffre perché la benzina non costa più due euro? O perché i cellulari valgono ormai come tre pacchetti di sigarette e due di caramelle? Misteri dei corto circuiti logico-cognitivi già illustrati, da un punto di vista speculare, nel post sulla “leggenda dell’inflazione stimolatoria“.

Al pari di Walter Chiari, che per impressionare i compagni di viaggio spacciava, con tono magniloquente e assertivo, il suo sapere in fatto di sarchiaponi (sia americani che asiatici, precisava), un’eccelsa scuola di pensiero sostiene che la gente in tempi di deflazione rimanda gli acquisti in attesa di affari più ghiotti e di conseguenza inevitabilmente il Pil collassa. Secondo le teorie sarchiaponiche si rinuncerebbe al ristorante perché fra 6 mesi la carbonara costerà l’1,35% in meno? Oppure non si mandano le camicie con patacche di unto e salsa in lavanderia in attesa del ritocco dei listini? E le signore si acconcerebbero a vestire tailleur sdruciti e collant smagliati? O magari si procrastina la visita dal medico tanto fra tre mesi la parcella sarà più lieve? 

Obnubilata dagli effetti stroboscopici dei millenarismi sarchiaponici, la logica si fa evanescente e lo scompartimento ferroviario assurge a cenacolo intellettuale. Eppure la deflazione l’abbiamo sperimentata per decenni in tanti settori, dai computer all’elettronica, alle telecomunicazioni. Non mi risulta che non si vendano smartphone o tablet, anzi per tali oggetti la gente fa la fila e si accampa la notte fuori dai negozi. Ne ho conoscenti in astinenza da cellulare perché il prossimo trimestre le tariffe saranno più convenienti o che reprimono il desiderio di vacanza pregustando il biglietto aereolowest cost. E che dire degli abbonamenti internet? Si segnalano milioni di aspiranti utenti in paziente attesa di sconti? 

Per prevenire il riflesso condizionato di quanti, in perenne conflitto con l’ovvio, invocano i mitici dati, esiste una ricerca pubblicata nel 2004, in tempi non sospetti, da Andrew Atkeson e Patrick Kehoe intitolata “Deflation and depression: is there an empirical link?” (Deflazione e depressione: esiste un legame empirico?). I dati esaminati coprono 17 paesi lungo quasi due secoli dal 1820 fino al 2000.

Tolto il periodo 1929-34 (su cui dirò in seguito) in circa il 90% dei casi in cui venne registrata una caduta generalizzata del livello dei prezzi non vi fu alcuna recessione. Solo in 8 casi su 73 la deflazione fu associata a una caduta del Pil. Inoltre, in 8 depressioni sulle 29 esaminate non vi fu alcuna deflazione. Insomma il legame tra deflazione e decrescita del Pil è fievole. Se poi si eliminano dal campione gli episodi di depressione senza deflazione legati alle due guerre mondiali e all’immediato dopoguerra, il legame svanisce in un tenue singulto statistico.

Allora da dove si alimenta lo spauracchio? In buona sostanza da ciò che avvenne durante la Grande Depressione in America. È  il caso menzionato e studiato ad libitum, su cui l’interpretazione considerata quasi universalmente definitiva si deve alla Storia Monetaria degli Stati Uniti (1867-1960) di Milton Friedman e Anna Schwartz. Al dilettantismo della Fed si aggiunse il protezionismo cialtrone e la Grande Depressione si propagò in tutto il mondo (a questo link, pag. 41, si trova un’esposizione in italiano). Le serie storiche a disposizione su quel periodo coprono 16 paesi. Tutti registrarono una deflazione, ma solo in 8 vi fu una depressione.

Conclusione di Atkeson e Kehoe (pag. 6): l’esperienza storica insegna che “ci sono stati molti più periodi di deflazione con crescita ragionevole che con depressione e molti più periodi di depressione con inflazione che con deflazione”.

Gli autori fanno notare che dall’immediato dopoguerra si è verificato un solo caso di deflazione: inGiappone. Tuttavia crescita ed inflazione erano su un trend decrescente sin dagli anni ‘60 e ’70, rispettivamente. Quindi è difficile attribuire alla politica monetaria un fenomeno strutturale dipanatosi lungo 40 anni. Se poi si attua un confronto internazionale, negli anni ‘90 la crescita del Giappone fu in media dell’1,41%, non troppo diversa da quella dell’Italia 1,61% (dove l’inflazione era sostenuta), o della Francia 1,84% dove rimase moderata.

Ad ogni modo oggi in Eurolandia l’inflazione annuale è bassa, non negativa, con l’eccezione di Grecia e Cipro e in misura lieve in Spagna, Portogallo e Slovacchia (insieme a paesi fuori della moneta unica, come la Svizzera o la Svezia, di certo non in crisi). Pur adottando politiche monetarie diverseEurolandia e Usa hanno tassi di inflazione simili (idem per i deflatori del Pil, nel 2013 rispettivamente 1,54% e 1,64%). La frenata dell’inflazione finora deve molto al fatto che i prezzi delle materie prime ristagnano, fenomeno per quale immagino nessuno si dolga. Le previsioni e le aspettative insite nei rendimenti dei titoli a reddito fisso indicano un’inflazione in risalita.

C’è però qualcuno a cui la bassa inflazione duole: i governi e in parte alcune banche. Senza inflazione i debiti non vengono erosi dall’illusione monetaria e il torchio del fiscal drag sui contribuenti si inceppa. Le tasse non aumentano più senza dover sfidare l’impopolarità di aliquote maggiorate e gli sprechi pubblici bisogna davvero ridurli, senza cortine fumogene nominali. Ecco da dove si amplifica la grancassa della deflazione sarchiaponica per continuare nei propri comodi, come faceva sul treno lo scaltro personaggio della scenetta a danno dei gonzi.

Da The Telegraph del 2 aprile 2014
La paralisi deflattiva della BCE guida Italia, Francia e Spagna nelle trappole del debito. Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata l'euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale, ma ha scelto di non farlo.
E la Banca Centrale Europea gliel'ha consentito. Negli ultimi cinque mesi, la deflazione è avanzata a un tasso annuo pari a -1.5% nell'Eurozona, in conseguenza delle tasse imposte dalle misure di austerity.
In base ai miei calcoli approssimativi (annualizzati), partendo dai dati mensili di Eurostat, da settembre i prezzi sono calati al ritmo del 6.5% in Grecia, del 5.6% in Italia, del 4.7% in Spagna, del 4% in Portogallo, del 3% in Slovenia e quasi del 2% in Olanda.
Il rialzo dell'euro rispetto a dollaro, yen, yuan e alle valute di Brasile, Turchia e paesi asiatici in via di sviluppo, è in parte responsabile di questa deflazione importata. Il trade-weighted index di Eurolandia è salito del 6% in un anno.
Ma questa non può essere una scusante: si tratta di una conseguenza diretta della politica monetaria della BCE. Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata l'euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale. Ha scelto di non farlo, nella speranza che qualche parola di pace pronunciata senza convinzione possa in qualche modo invertire la tendenza globale.
È arduo stabilire quale sia il punto in cui la deflazione si inserisce nel sistema. Dalla metà del 2012, i prezzi alla produzione si sono notevolmente ridotti e la tendenza si è velocizzata a febbraio, raggiungendo una percentuale pari a -1.7%:il declino più vertiginoso dalla crisi Lehman. Ma questa volta non si tratta della diretta conseguenza di un crac finanziario: il fenomeno è cronico, e più insidioso.
Il professor Luis Garicano, della London School of Economics, ha affermato che i modelli economici utilizzati per prevedere l'inflazione appaiono fuorvianti e comportano una serie di errori di valutazione. "Sono necessari interventi molto seri," ha dichiarato.
Laurence Boone e Ruben Segura-Cayuela, della Bank of America, affermano che il loro indice di "sorpresa inflattiva" continua a scendere man mano che l'eurozona viene scossa da uno shock dietro l'altro, mentre il loro misuratore della "vulnerabilità deflazionistica" ha cominciato a lampeggiare in rosso per la maggior parte dei paesi della UEM.
L'effetto è pesantemente corrosivo, anche se la regione non è mai entrata in deflazione tecnica. La “lowflation” (bassa inflazione), vicina allo 0,5%, può scombinare le traiettorie del debito, se prolungata, portando nuovamente l'Europa verso una crisi debitoria. "La più pericolosa minaccia per le dinamiche del debito pubblico è un'inflazione inferiore alle aspettative. Anche solo un'inflazione più bassa del previso, non una deflazione, comporterebbe un significativo deterioramento delle finanze pubbliche dei paesi”, ha affermato.
Secondo la banca, una “lowflation” prolungata potrebbe provocare un aumento dei rapporti di indebitamento entro il 2018, il che comporterebbe un aumento di 10 punti percentuali del debito sul PIL in Francia (105%), di 15 in Italia (148%), e di 24 punti in Spagna (118%).
Questi paesi hanno di fronte un'impresa di Sisifo: qualsiasi risultato ottengano dall'austerità verrà sbaragliato dalla forza maggiore della deflazione del debito. Lo stesso "effetto denominatore” – con il peso del debito che aumenta più velocemente del PIL nominale – ingolferà anche il settore privato, che è ancora il tallone di Achille in Spagna, Portogallo e Irlanda.
Secondo Moody's , la "bassa inflazione" (dallo 0.5 all'1% fino al 2018) "rinnoverebbe la preoccupazione sulla sostenibilità del debito”, serrando lamorsa sulle famiglie e sulle aziende con debiti a tasso fisso. Eroderebbe, inoltre, gli asset bancari, comportando nuovi fallimenti delle banche, e colpirebbe gli assicuratori sulla vita per discrepanze sulle scadenze. "Evitando una decisa deflazione non si proteggerà completamente l'eurozona da uno shock: la combinazione di bassa crescita e bassa inflazione ha un impatto significativo su tutti i settori dell'economia", ha affermato.
Secondo l'affermazione di Reza Moghadam, del Fondo Monetario Internazionale, anche l'inflazione allo 0.5% minaccia di "soffocare la nascente ripresa" dell'Europa. Aggrava, inoltre, il divario nord-sud, rendendo ancora più difficile al Club Med il recupero della competitività persa. Gli stati indebitati dovranno apportare svalutazioni interne ancora più drastiche per riguadagnare terreno, ma ciò spingerà in alto i loro rapporti di indebitamento. "Ogni punto di aggiustamento relativo dei prezzi dovrà essere perseguito a costo di una maggiore deflazione del debito", ha dichiarato.
Un'inflazione molto bassa può avvantaggiare importanti segmenti della popolazione, principalmente i risparmiatori netti, ma nel contesto odierno dei problemi dovuti al diffuso indebitamento, va a detrimento della ripresa dell'eurozona, soprattutto nei paesi più fragili, dove vanifica gli sforzi per ridurre il debito", ha affermato.
Una volta compreso questo aspetto fondamentale, e cioè che “vanifica” gli sforzi per controllare il debito, la spettacolare idiozia della politica dell'UEM diviene palese. L'austerity così concepita è controproducente. Il fallimento principale è stato il rifiuto della BCE di controbilanciare le conseguenze della contrazione con uno stimolo monetario sufficiente per fare in modo che il PIL nominale crescesse più rapidamente dello stock del debito in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, ma non solo in questi paesi.
Ancora una volta, la BCE avrebbe potuto agire in modo diverso, ma ha scelto di non farlo perché ciò avrebbe consentito che la sua politica monetaria venisse contaminata dai giudizi su rischi morali che esulano dal suo ambito, dalle dottrine premoderne delle banche centrali o dalla paura di quello che potrebbe dire o non dire la Germania.
Il suo fallimento è evidente soprattutto in Italia, dove il debito è saltato dal 119 al 133% dal 2010, malgrado la stretta fiscale draconiana e un avanzo primario di bilancio. Il premier rockstar Matteo Renzi ha preso possesso della sua carica come un ciclone, portando un New Deal dei primi 100 giorni che ha stracciato il copione dell'austerità, rischiando il tutto per tutto con le riforme dal lato dell'offerta e una scossa fiscale per far partire la crescita.
Antonio Guglielmi, di Mediobanca, ha riferito che i mercati stanno scommettendo che Renzi possa essere un "catalizzatore di discontinuità " capace di tirare fuori l'Italia dall'apparentemente implacabile trappola della bassa crescita, attivando un circolo virtuoso cha alla fine possa aumentare il limite di velocità dell'economia e tagliare i rapporti di indebitamento. Ma anche questo scommettitore fiorentinoalla fine può fare ben poco contro la follia granitica della costruzione UEM.
Mediobanca ha dichiarato che la sua missione ultima di salvare l'Italia è destinata al fallimento se la BCE non lancerà un Quantitative Easing per impedire la deflazione del debito, e se dovrà adempiere al Fiscal Compact dell'UE, costringendo così il paese a un surplus primario di bilancio del 6% del PIL per il prossimo anno. Secondo la banca, "Spetta a Renzi dare un messaggio chiaro e deciso a Francoforte sull'alleggerimento dell'austerità".
Scopriremo giovedì se la BCE è pronta ad affrontare la questione del QE, o qualsiasi altra questione. I prestiti alle imprese si stanno contraendo al ritmo del 3%. La BCE ha mancato il suo obiettivo di inflazione del 2% per 150 punti base, e continuerà a mancarlo di parecchio nel 2015 e nel 2016, in base alle sue stesse previsioni. Si potrebbe dire che stia violando pesantemente il suo mandato, per non parlare dei più vasti obblighi del Trattato per sostenere la crescita e gli obiettivi economici dell'Unione, ma ancora se ne sta con le mani in mano.
I critici hanno evidenziato che da anni la crescita dell'aggregato M3 tedesco si attesta costantemente tra il 4 e il 5% all'anno, ma non riescono a dire che la BCE imposta la sua politica monetaria esclusivamente sugli interessi di un paese, indipendentemente dal grado di devastazione degli altri paesi, devastazione che ora sta toccando anche Finlandia e Olanda. Se gli altri governatori sono così inerti o intimiditi dalla supremazia della Bundesbank da sopportare tutto questo, allora si meritano questo destino.
Forse ci sarà un leggero taglio dei tassi di interesse, o un tasso negativo sui depositi, o la fine dello sterilizzazione degli acquisti di obbligazioni; o un po' di polvere negli occhi che arriva con un anno di ritardo, che sarà gravemente insufficiente e che non farà alcuna differenza. Quando la deflazione si velocizza, ci vogliono iniziative più radicali per gestirla. Jens Weidmann, dalla Bundesbank, ha aperto le porte al QE in modo davvero tiepido, apparentemente per ragioni tattiche, ma le conseguenze politiche di una simile azione sono davvero punitive in Germania.
La Bundesbank non ebbe voce in capitolo nel piano di salvataggio della BCE del 2012 (OMT), ma la Germania sì, e tale circostanza spesso non è ben non compresa dagli analisti anglosassoni. Lo schema è stato progettato di concerto con il ministro tedesco delle finanze, con il pieno supporto della Cancelliera Angela Merkel. A una cena privata tre settimane prima dell'OMT, ho udito un alto funzionario tedesco dichiarare che "non vola una mosca nell'eurozona senza l'approvazione di Berlino", e non ho dubbi che ne fosse convinto. Così funziona l'UEM. Non ci sono segnali che lascino pensare che la signora Merkel sia pronta per un QE.
La BCE insiste nel dire che l'ultimo calo dell'inflazione sarebbe dovuto alla diminuzione dei costi dell'energia, e che pertanto sarebbe transitorio. Si tratta di un alibi sospetto. La BCE ha dimostrato l'opposto nel 2008, alzando i tassi in uno shock petrolifero basato sull'affermazione secondo cui gli effetti dell'energia non sarebbero passeggeri.
In ogni caso, alcuni dei principali analisti energetici mondiali affermano che il prezzo del petrolio ha appena iniziato a scendere, visto l'aumento della produzione di greggio. La produzione dell'Iraq ha raggiunto il suo massimo da 35 anni. Le esportazioni della Libia saliranno quando le milizie ribelli termineranno il blocco. Gli Stati Uniti potrebbero aggiungere 1 milione di barili al giorno per quest'anno, toccando gli 11 milioni. Un calo a 80 dollari del prezzo del barile sarebbe un toccasana per i redditi reali che sono in calo in mezza Europa, ma potrebbe anche liberare “aspettative inflattive”, un effetto simile a quello che colpì il Giappone negli anni '90.
I timori per la deflazione in Europa si placherebbero se fosse vero che siamo giunti all'apice di un nuovo ciclo di crescita economica globale. Se ciò sia vero, proprio mentre Cina e Stati Uniti si avvicinano, rimane da vedere. "Potremmo avere di fronte a noi anni di crescita lenta e inferiore alla attese", ha dichiarato questa settimana Christine Lagarde del FMI.
"Il rischio è che, senza una sufficiente ambizione politica, il mondo possa cadere in una trappola di bassa crescita a medio-lungo termine. L'area dell'euro ha bisogno di altro monetary easing, anche attraverso misure non convenzionali".
Potremmo anche essere vicini alla fine di un ciclo quinquennale globale, che Eurolandia ha ampiamente mancato a causa dei suoi errori. Se così fosse, la regione è solo a un passo dal precipitare in una piena deflazione, che porterà matematicamente l'Italia e altri paesi verso l'insolvenza, velocizzando una crisi del debito sovrano troppo grande per essere arginata. È una scelta politica. Ci sono ventiquattro uomini e donne che vogliono che tutto questo accada." Ambrose Evans-Pritchard

Seveso, scoperta la banca della 'ndrangheta: riciclava il denaro degli imprenditori, 40 arresti

Dalle carte dell'indagine, coordinata dall'aggiunto Ilda Boccassini, emerge una 'nuova mafia' che spara poco e tratta molto con il mondo produttivo. L'intercettazione: "Il capo è come la banca d'Italia"(04-03-2014)

E' nella produttiva Brianza, non a
caso, che le cosche della 'ndrangheta hanno pensato bene di installare una sorta di banca clandestina" che movimentava "centinaia e centinaia di milioni di euro" attraverso un reticolo di società usate per riciclare capitali illeciti e spesso tolte dalle mani degli imprenditori ormai in crisi anche in quelle ricche terre. E' l'ennesimo capitolo dell'espansione della mafia calabrese al Nord, in Lombardia in particolare, portato alla luce da un'inchiesta della Dda di Milano che ha fatto emergere come altro "dato nuovo e preoccupante" la stretta collusione tra l'imprenditoria locale e i clan, oltre a una serie di estorsioni ai danni di dirigenti di società di calcio.

Con un blitz della squadra mobile, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Giuseppe D'Amico, è stata smantellata la potentissima 'locale', ossia una cosca in termini 'ndranghetisti, di Desio (Monza e Brianza), capeggiata da Giuseppe Pensabene, 47 anni originario di Reggio Calabria ma residente a Seveso, che si vantava di essere una lavanderia" di denaro e che per gli altri affiliati era il "papa" o il "sovrano" o come la "banca d'Italia". E se nelle carte dell'inchiesta viene fuori come il clan abbia cercato di riempire il vuoto prodotto dagli oltre 170 arresti in Lombardia del 2010 dell'
operazione 'Infinito-Tenacia', il gip che ha firmato l'ordinanza a carico di 40 persone (21 in carcere e 19 ai domiciliari) descrive anche una vera e propria 'nuova mafia'.

I "fenomeni di compenetrazione tra mafia e impresa", scrive il giudice, storicamente "confinati nelle ben note aree geografiche dell'Italia meridionale", non solo si sono estesi "in Lombardia e al Nord in genere (e questo è un dato risalente nel tempo), ma soprattutto" vivono grazie a "un intenso e disinvolto connubio tra forme evolute di associazioni mafiose e imprenditori calabresi e lombardi, pronti a fare affari illegali insieme come se niente fosse". E così fra gli arrestati figura l'imprenditore edile di origine calabrese Domenico Zema, in passato anche assessore in un Comune della Brianza, "uomo di storia, di fatti, di rispetto, di amicizia, di esperienza, di conoscenze", come lo definisce Pensabene.

E c'è anche Fausto Giordano, nato in Svizzera - dove la cosca portava i soldi (che finivano anche a San Marino) - altro imprenditore edile che ha il compito di "procacciare nuovi clienti e nuovi affari". Poi una serie di imprenditori e commercianti vittime di estorsioni ed usura, ma nessuno di questi, rimarca il gip, "ha mai presentato denunzia all'autorità giudiziaria". Non l'hanno fatto nemmeno il vicepresidente esecutivo del Genoa, Antonio Rosati, e un ex direttore generale della Spal, Giambortolo Pozzi, anche loro finiti nella morsa dell'organizzazione. Nell'ottobre 2011 il clan avrebbe elargito 100mila euro alla Spal Calcio e un altro prestito di 30mila euro sarebbe stato erogato personalmente a Pozzi nel gennaio 2012, con interessi, scrive il gip, "di natura chiaramente usuraia".In un incontro a Seveso, dove la cosca aveva la sua base in una sorta di "ufficio-tugurio", Pensabene e altri del clan "ottenevano il rilascio da parte di Pozzi di 36 cambiali (...) per un importo complessivo di 198mila euro". Rosati, già presidente del Varese Calcio, secondo il gip è risultato invece "in rapporti di affari con Pensabene", tanto che avrebbe concordato con uomini del clan "di operare alcune speculazioni edilizie". Mentre un ex presidente della Nocerina, Giuseppe De Marinis, sarebbe stato pestato fino al distacco della retina di un occhio per un debito usurario.

Nelle quasi 500 pagine di ordinanza il gip elenca tutte le 39 società, un vero e proprio impero, "costituite o acquisite dal gruppo criminale facente capo a Pensabene" e "utilizzate per fare circolare i flussi di denaro contante, per l'acquisizione del patrimonio immobiliare e per l'emissione di fatture fittizie". Un elemento preoccupante, ha spiegato Boccassini, "è il fatto che ancora una volta abbiamo trovato imprenditori usurati e malmenati che hanno preferito non denunciare". Fra gli arrestati non mancano i cosiddetti 'colletti bianchi', come Vincenzo Bosco e Walter Alessandro La Coce, direttore e vicedirettore dell'ufficio postale di Paderno Dugnano (Milano), che avrebbero autorizzato "sistematicamente presso i loro sportelli le operazioni di prelievo di ingenti somme di denaro contante" per la cosca.

ARTICOLI CORRELATI

  1 , 2

Crimea, i filorussi occupano Parlamento foto vd 
Kiev a Putin: "Se muovete truppe reagiremo"

Manovre dell'esercito russo con 150mila uomini e 90 aerei
Video Scontri in Crimea - Dossier Yanukovich nel lago foto
Campionato di calcio sospeso a tempo indeterminato

In Ucraina la situazione è questa: Yanucovych era stato eletto in elezioni con il 51,8 per cento dei voti. 
Ora, l’Occidente ha appoggiato questa rivolta, una rivolta molto violenta, armata. Sono stati sequestrati una sessantina di poliziotti e quindi pone il principio che anche un regime democraticamente eletto possa essere rovesciato legittimamente con la violenza. Quindi potrebbe essere uno di quei casi in cui l’Occidente si dà la zappa sui piedi, perché potrebbe accadere anche nelle democrazie ed essere considerata non più illegittima, oltretutto questa partitocrazia è ben più ladra di Yanucovych con le sue piscine. Quello che ha rubato in trent’anni altro che piscine, struzzi e bottiglie di champagne!! Siamo di fronte a una seconda guerra fredda. Dopo il crollo dell’URSS gli Stati Uniti in particolare, ma con i loro alleati occidentali, hanno inanellato credo sette o otto guerre di aggressione, tutte! E solo la prima, quella del Golfo, poteva essere giustificata se Saddam Hussein sveva aggredito il Kuwait, ma le altre, Afganistan, Iraq, Libia… Adesso che la Russia è diventata di nuovo protagonista della scena mondiale, si ripropone la contrapposizione tra questi due blocchi e l’Occidente è all’attacco, anche economicamente, da tutte le parti, nel senso che è un tentativo di occupazione geopolitica del mondo intero. Prendiamo il Venezuela, adesso, dopo la morte di Chavez, guarda caso ci sono queste rivolte. E’ chiaro che in ogni Paese c’è del malcontento, a parte il fatto che la politica di Chavez in Venezuela era stata una politica non alla Castro. Chavez non era un comunista, ma un socialista e eletto democraticamente. E’ altrettanto chiaro che gli Stati Uniti soffiano su questi malcontenti o li foraggiano. L’Argentina, che ha fatto una scelta intelligente, di non integrarsi nel mercato finanziario internazionale, che sta provocando disastri ovunque, è stata messa in ginocchio anche economicamente dal giro finanziario internazionale. 
Quindi è in atto una sorta di guerra tra mondi dove alle due potenze tradizionali si aggiunge la terza incognita, che è il mondo musulmano che non ci sta a farsi né occidentalizzare, né comunistizzare, vuole seguire una propria linea di sviluppo. Oggi la guerra non si combatte come ai vecchi tempi, dove sarebbero entrate truppe russe o arrivati gli americani, si combatte economicamente, quindi la Russia ricatta l’Ucraina con il gas e gli altri rispondono promettendo miliardi di dollari. Però tutto ciò in qualche modo avviene sulla testa degli stessi ucraini e anche di noi cittadini europei, Nessuno decide niente, noi siamo sudditi, questa è una situazione che si vede ovunque e in Italia lo vediamo bene, pur essendo governati da dei quaraquaquà. Chavez aveva un’altra consistenza e se restiamo in Europa la Merkel ha un’altra consistenza, l’Italia è ormai diventata una povera cosa. Suddita due volte, degli americani e in qualche misura di una Europa più forte." Massimo Fini

UkraineElectionRegions

I russi di Rosneft mettono mezzo miliardo per il 13% di Pirelli

Il 26% detenuto da Camfin passa in un veicolo che per la metà sarà controllato dalla società petrolifera. L'altro 50% si divide tra Nuove Partecipazioni, che avrà l'80% delle quote, Unicredit e Intesa Sanpaolo. L'operazione a 12 euro per azione

MILANO - Si rafforza la presa della russa Rosneft sull'Italia. Dopo aver rilevato il 20% di Saras dalla famiglia Moratti, la compagnia petrolifera russa è pronta a mettere le mani sul 13% di Pirelli dando forza ai rumors di fine gennaio quando pareva che insieme a Goldman Sachs fosse pronta a lanciare un'Opa sulla Bicocca. Indiscrezioni che il numero uno della società degli pneumatici, Marco Tronchetti Provera, aveva bollato come "illazioni. Non è arrivata nessuna proposta al sottoscritto, nè tantomeno ho fatto io proposte al board di Pirelli". 

Certo per il momento il passaggio di controllo non è all'ordine del giorno e anzi nei nuovi patti l'uscita di Tronchetti non è più prevista nel 2017, anzi i tempi per decidere il futuro della Bicocca si allungano di altri 5 anni. Nel frattempo, però, esce di scena il fondo Clessidra di Claudio Sposito cambiando così la catena di controllo degli pneumatici, secondo un accordo di massima del quale ha dato notizia con una nota mattutina Intesa Sanpaolo.

Proprio Ca' de Sass, insieme a Unicredit, Clessidra, Nuove Partecipazioni (Marco Tronchetti Provera e soci) e Rosneft è tra i firmatari di questo accordo, secondo il quale verranno "valorizzate" le quote indirette di Pirelli possedute attraverso Camfin "a un prezzo in trasparenza pari a 12 euro per azione" (grossomodo l'attuale
 
prezzo di Borsa). Clessidra dovrebbe incassare 260

milioni, dopo averne investiti poco più di 150 milioni nel giugno scorso.

Ai tempi dell'opa su Camfin della scorsa estate la valutazione di Pirelli era stata di 8 euro ad azione. Di fatto, il pacchetto del 26% circa di azioni Pirelli, detenuto oggi da Lauro 61/Camfin, entrerà in una nuova scatola. Questa "newco", cioè una nuova società creata ad hocper l'operazione, sarà a sua volta detenuta da due diverse realtà. Metà del capitale andrà appunto ai russi di Rosneft, che secondo le indiscrezioni dovrebbero pagare mezzo miliardo. L'altra metà del capitale andrà a un nuovo veicolo nel quale continueranno a sedere Nuove Partecipazioni (Tronchetti Provera) con l'80% delle quote, e le due banche (Intesa Sanpaolo e Unicredit) con il 10% a testa. Entrambi gli istituti di credito avevano investito meno di 120 milioni in Lauro-Camfin e vedranno le proprie quote valorizzate 200 milioni circa prima di reinvestire una cinquantina di milioni nella nuova operazione.

Le banche reinvestiranno quindi parte dei denari ottenuti liquidando le attuali posizioni nella nuova scatola di controllo di Pirelli, mentre il fondo Clessidra sarà del tutto fuori dai giochi. Quanto alla governance, la nota di Intesa specifica che Nuove Partecipazioni "indicherà il presidente e ceo di Pirelli, con pieni poteri sulla gestione ordinaria della società. 

La governance di Pirelli rimane invariata, resta centrale il ruolo di guida del board, in linea con" le migliori prassi internazionali. Con l'uscita di scena di Sposito e di Clessidra decade l'obbligo di valorizzazione delle quote dopo 4 anni, la preannunciata 'exit' da Pirelli nel 2017. I nuovi accordi con Rosneft avranno, durata di 5 anni, rinnovabili a scadenza. E' possibile ipotizzare che il gruppo russo, con questa mossa, si candidi a rilevare il controllo della società, anche se in base ai nuovi accordi il numero uno della Bicocca, Tronchetti Provera, non avrà più alcun obbligo di uscire dal gruppo italiano entro il 2017. Ci sarebbero così cinque anni per decidere del futuro del celebre marchio italiano.

Quanto infine agli aspetti industriali, "obiettivo dell'accordo - si legge nel comunicato - è sviluppare le attività e il business di Pirelli, anche rafforzando la rete commerciale in Russia grazie alla capillare presenza sul territorio di Rosneft". E ancora: "Già dalla fine del 2012 Rosneft, la più importante società quotata nel settore oil and gas al mondo, ha definito con Pirelli una serie di intese commerciali e nel settore della ricerca e sviluppo, in particolare nei materiali per la produzione di pneumatici e nella gomma sintetica". Rosneft, come detto, è la stessa società che ha siglato un accordo con i Moratti, storicamente legati a Tronchetti Provera, per rilevare il 20% della Saras, la società della raffinazione.

L'ultimo aggiornamento Consob sull'azionariato dell'azienda della Bicocca vede Lauro 61 al 26,2% di Pirelli, seguito dai Malacalza poco sotto il 7%, poi Edizione al 4,6%, Mediobanca al 3,95%, il fondo Harbor International al 3,94%. L'azione della Bicocca (segui in diretta) scivola in fondo al listino principale dopo la notizia. Secondo gli analisti l'accordo rafforza la posizione di Marco Tronchetti in confronto a quella delle istituzioni finanziarie. L'operazione è però vista in modo ambivalente: per gli esperti di Mediobanca riduce l'appeal speculativo. Nei mesi scorsi, infatti, il titolo aveva in parte beneficiato in Borsa della convinzione del mercato che fosse imminente un riassetto, magari anche attraverso anche un'opa. Per Intermonte, invece, "l'ingresso di Rosneft apre una nuova fase in Pirelli: una notizia positiva per il titolo".

Il M5S occupa la commissione giustizia
Renzi: "Grillini bloccano la democrazia"

La presidente della Camera usa la 'tagliola' contro ostruzionismo 5 Stelle su dl Imu-Bankitalia (leggi)
Scoppia la bagarre dei pentastellati e FdI. Il segretario Pd: "Scambiano il Parlamento per un ring" che cos'è il decreto IMU-Bankitalia??

E' un importante decreto voluto il 27 novembre 2013 da Saccomanni nell'ignoranza assoluta degli italioti ipnotizzati dall'espulsione del delinquente di Arcore dal Senato. L'opposizione pentastellata non è riferita ovviamente all'abolizione della seconda rata IMU 2013, ma alla SELVAGGIA PRIVATIZZAZIONE IMPOSTA DAL GOVERNO alla Banca d'Italia. Come già ampiamente descritto nel nostro articolo

Banche, così il governo anticipa di un anno il regalo da 4 miliardi di euro, il Governicchio Burletta ha proceduto ad una spaventosa rivalutazione del capitale sociale della Banca d'Italia (7,5 miliardi di euro contro i precedenti 156.000 !!!) allo scopo di rivalutare a sua volta le partecipazioni azionarie delle varie banchette italiote (Unicredit ed Intesa su tutti...)per fare in modo che rastrellassero 4 miliardini di crediti in relazione alla vendita delle loro partecipazioni che deve essere ridotta al 3%, contemporaneamente aprendo l'intero capitale alle partecipazione privata anche estera in quanto i soggeti devono semplicemente essere membri UE. Da questa colossale vendita il Governo rastrellerà 1,5 miliardi di euro contro la perdita totale della funzione pubblica della Banca d'Italia nonchè di garante a tutela dl risparmiatore. Altresì i giganti bancari europei potranno attingere ad una quota rivalutatissima, spuntare ottime cedole e mettere il becco negli affari italioti. Di fronte a questa porcata allucinante cha fa il paio con la cessione del 40% di Poste Italiote e con la messa in vendita di quote di FinMeccanica e di Enav - la rete di gestione dei controllori di volo - al peggior Italonia del secondo dopoguerra sta svendendo gli ultimissimi rimasugli di patrimonio pubblico dopo aver disintegrato telefonia (Sip-Telecom), industria metal-meccanica (Alfa, ferriere,Italsider), autostrade (date in gestione a Bemetton), credito al risparmio italiano (il fu Credito Italiano), chimica. Uno strapuntino suggellato altresì dal comportamento diarroico dell'ex comunista Boldrini che ormai si è ampiamente scordata di cosa significhi stare all'opposizione

Banche, nuovo record dei crediti a forte rischio: sofferenze a 155,8 miliardi (+24,6%)

Mentre Visco ragiona sulla bad bank nazionale, arrivano i nuovi dati sulla crescita esponenziale dei prestiti a creditori insolventi che zavorrano gli istituti

La mole dei crediti bancari italiani in sofferenza per l’insolvenza del debitore tocca un nuovo record: a dicembre il tasso di crescita sui dodici mesi è risultato pari al 24,6% (con una crescita di 1,9 punti rispetto al 22,7% di novembre). Si tratta di un nuovo massimo dal 1998. Lo fa sapere la stessa Banca d’Italia il cui governatore, Ignazio Visco, sabato 8 febbraio ha aperto la strada alla creazione di una bad bank nazionale, cioè una sorta di veicolo-lavatrice in cui convogliare e smaltire tutta la “spazzatura” del sistema il cui controvalore supera i 300 miliardi di euro. Mentre le sole sofferenze lorde delle banche italiane (categoria che riguarda esclusivamente i crediti accordati a un debitore in stato di insolvenza anche non certificata) a dicembre ammontavano a 155,8 miliardi, 6,2 in più dei 149,6 di fine novembre e ben 30,9 in più rispetto ai 124,9 miliardi di fine 2012. 

Secondo il Financial Times, che cita fonti di governo, l’ipotesi non troverebbe però sponda nel premier Enrico Letta. Le fonti citate dal quotidiano della City sostengono che “l’idea di una bad bank potrebbe essere controproducente per l’Italia” e che il timore del premier sarebbe quello di “accelerare il processo di un downgrade da parte delle agenzie di rating nei prossimi mesi”. Bad bank o meno, secondo il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, che ne ha parlato con l’agenzia Bloomberg, dall’analisi della Bce sulle banche italiane potrebbero emergere carenze tra i10-15 miliardi di euro. Una cifra a suo dire gestibile e in linea con le stime di Bankitalia. 

Intanto imprese e famiglie continua a fare i conti con la stretta del credito. A dicembre, sempre secondo Bankitalia, i prestiti delle banche italiane al settore privato hanno registrato una contrazione su base annua del 3,8 per cento (-4,3 per cento a novembre). Quelli alle famiglie sono in particolare scesi dell’1,2 per cento (-1,5 per cento nel mese precedente), mentre quelli alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 5,3 per cento (-6 per cento a novembre). 

“L’aumento esponenziale di sofferenze ed incagli, non è addebitabile esclusivamente alla crisi sistemica seppur generata dai banchieri, ma in massima parte ad una gestione del credito spesso clientelare“, fanno nel frattempo sapere Adusbef e Federconsumatori in una nota. Un credito, attaccano le associazioni dei consumatori, “che nega piccoli fidi a platee vaste di richiedenti senza Santi in Paradiso, per erogare masse creditizie di decine di miliardi di euro privi di garanzie reali, ai soliti amici, sodali, compagni di merende dei banchieri di sistema, come insegnano i casi di scuola di Zaleski, Zunino, Ligresti, che dovrebbero perfino interessare le Procure della Repubblica per violazione al codice penale per incauti affidamenti“. Reiterata, quindi, la richiesta di chiarimenti sul progetto bad bank nazionale del governatore della Banca d’Italia “il quale, con la usuale scusa di liberare risorse da utilizzare per il finanziamento dell’economia, vuole rifilare l’ennesima patacca agli italiani”.

Dal canto suo il Comitas, l’associazione delle microimprese italiane, ricorda come “la causa della crescita delle sofferenze è delle banche stesse. Negli ultimi anni, infatti, gli istituti di credito da un lato hanno fortemente ridotto il credito concesso a imprese e privati, dall’altro hanno incrementato la revoca dei fidi, rendendo insolventi aziende e cittadini. Se quindi non si concedono più i soldi ai privati e si ritirano – spesso immotivatamente – i prestiti già elargiti, si getta benzina sul fuoco accentuando le difficoltà economiche di una pluralità di soggetti, con effetti diretti sul tasso di sofferenza”. Quanto alla bad bank, “auspichiamo che l’ipotesi avanzata di costituire un fondo dove far confluire i crediti in sofferenza possa alleggerire la situazione a patto che, contemporaneamente, le banche allarghino i cordoni della borsa e ridiano ossigeno alle aziende, soprattutto piccole, che sono in grado di crescere, innovarsi, internazionalizzarsi, e assumere giovani”.

Berlino contro la Bce sull'acquisto Bond.
Ma il tasso Btp scende ai minimi dal 2006

I mercati leggono positivamente il rimando tedesco alla Corte di giustizia europea sul programma di acquisto di titoli di Stato della Bce: di fatto riconosce l'autorità del tribunale comunitario su quello nazionale. Milano chiude in rialzo dello 0,96%, spread in area 200. Negli Usa la disoccupazione cala come previsto al 6,6%, ai minimi da cinque anni, ma i nuovi posti di lavoro sono 'solo' 113mila

MILANO - L'Alta Corte federale tedesca chiede l'intervento della Corte europea sul programma Omt della Bce, lanciato a settembre da Mario Draghi, che prevede l'acquisto di titoli di Stato di Paesi in difficoltà in cambio di rigorosi piani di austerità di bilancio. Una mossa di cui l'Eurotower prende atto ribadendo seccamente che "il programma Omt rientra nel suo mandato". La lettura dei mercati è, tuttavia, positiva: "La Germania - spiegano gli addetti ai lavori - riconosce di fatto di non poter deliberare senza aver interpellato la Corte europea. Proprio quello che voleva la Bce secondo cui è competente solo il tribunale comunitario". Questa versione è sufficientemente accreditata da allentare - dopo un primo scossone - le tensioni sul debito pubblico dell'Eurozona in scia anche alle parole di ieri del governatore Bce Mario Draghi, che ha promesso costo del denaro basso ancora a lungo e ha assicurato che l'Eurozona non si trova in deflazione.

I primi a beneficiarne sono i Btp italiani che ben comprati sul mercato secondario hanno visto il rendimento precipitare al 3,68% ai minimi dal febbraio 2006 (lospread è in calo in area 200 punti), quando la crisi del debito sovrano pareva impossibile. La mossa della Germania si aggiunge

al trend delle ultime settimane con i grandi investitori internazionali che spostano capitali dai paesi emergenti verso i più sicuri mercati occidentali premiando gli ex Piigs: dal Portogallo all'Italia, dall'Irlanda alla Spagna fino alla Grecia. La convizione è che la crisi sia alle spalle e oggi, quindi, si tratta di Paesi che offrono buoni rendimenti (se comparati ai treasury americani o ai bund tedeschi) con rischi limitati. 

A questa importante novità si aggiungono i dati sul lavoro negli Stati Uniti, che erano molto attesi dai mercati. Come da previsioni, la disoccupazione Usa è scesa al 6,6% a gennaio e si è portata ai minimi da cinque anni; d'altra parte, però, la creazione di nuovi posti di lavoro si è fermata a 113 mila unità e ha deluso le aspettative per 170-180 mila nuovi occupati. Nell'intero 2013 l'economia ha creato in media 194 mila nuove buste paga al mese, secondo i dati rivisto oggi dal Dipartimento del lavoro, non lontane dalle 200mila poste come obiettivo dalla Fed. L'andamento degli ultimi due mesi è stato però ben più lento e questo sarà oggetto di discussione in seno alla Banca centrale Usa, chiamata sotto la nuova guida di Janet Yellen a continuare o meno la stretta agli stimoli monetari. E così a Wall Street il Dow Jones sale dello 0,4%, l'S&P 500 dello 0,55%, mentre il Nasdaq avanza dello 0,9% alla chiusura dei mercati europei. 

Chiusura che avviene in terreno positivo: a Milano, Piazza Affari rimbalza positivamente al dato americano sul lavoro e termina gli scambi a +0,96%. Rispetto allo scorso venerdì, il Ftse Mib ha guadagnato un punto percentuale circa, dopo un avvio di ottava decisamente negativo. In rialzo anche gli altri listini: Londrachiude a +0,2%, Francoforte aggiunge lo 0,49%, e Parigi lo 0,96%. Sulla Borsa milanese è stata volatile
Telecom, che è partita a razzo, è passata in negativo e poi ha chiuso tra i migliori; in evidenza ancheMediolanum, dopo il giudizio positivo degli analisti di Citigroup. In rialzo anche Mediaset, grazie alle dichiarazioni del vice presidente Pier Silvio Berlusconi, che ha parlato di "qualche segnale positivo" per la pubblicità dall'inizio dell'anno. L'euro chiude sopra quota 1,36 dollari dopo i deludenti dati sull'occupazione Usa, mentre il biglietto verde arretra. La moneta europea passa di mano a 1,3616 dollari, dopo aver toccato in precedenza un minimo di 1,3551 dollari.

Prima dei dati sull'occupazione Usa si sono registrate alcune indicazioni macroeconomiche dal Vecchio continente. In Germania la bilancia commerciale ha segnato un surplus di 18,5 miliardi a dicembre con un avanzo di 198,9 miliardi nel 2013. L'export è diminuito dello 0,9% su mese a dicembre e aumentato del 4,6% su anno, mentre l'import è sceso dello 0,6% congiunturale e salito del 2% tendenziale. Dati sulla bilancia commerciale anche in Gran Bretagna, dove il deficit di dicembre scende a 7,7 miliardi di sterline. In Spagna, invece, la produzione industriale è salita del 3,5% tendenziale a dicembre. Nell'intero 2013 la produzione industriale è scesa dell'1,8% sul 2012. Numeri che dimostrano come la ripresa a Madrid sia cominciata.

Draghi esclude il “rischio deflazione”. E annuncia: “Azioni decisive se servirà”

L'Eurotower non tocca il costo del denaro e lo lascia agli attuali minimi storici. Il presidente: "Politica Bce non si riflette sui tassi in Italia e Francia". E poi rassicura sul rischio di un calo dei prezzi. Ma per gli analisti resta una reale minaccia per la ripresa

Mario Draghi tenta di allontanare lo spettro della deflazione. “L’Eurozona sperimenterà un lungo periodo di bassa inflazione“, ha avvertito il presidente della Banca centrale europea, ma “seguirà poi un rialzo graduale dei prezzi” e per questo motivo è presto per parlare di “deflazione”. Rispondendo ai giornalisti a Francoforte, l’ex numero uno di Bankitalia ha spiegato che la Bce ”monitora attentamente” gli sviluppi sui mercati monetari ed è pronta ad “azioni decisive“ se necessario, promettendo tassi ai livelli attuali o inferiori “ancora a lungo”.

L’Eurotower ha poi annunciato che il tasso d’interesse di riferimento resta invariato al minimo storico dello 0,25 per cento. “Gli effetti della politica monetaria di bassi tassi della Bce non si riflettono a quelli applicati in Italia e in Francia“, ha affermato il presidente dell’istituto centrale durante la conferenza stampa.

Tornando al rischio deflazione, Draghi ha precisato che “non c’è alcuna analogia con la situazione del Giappone negli anni ’90″ e ha ricordato che l’inflazione nell’area della moneta unica “non è molto diversa dagli Stati Uniti, dopo la ripresa è in corso da più tempo”. Il numero uno dell’Eurotower ha quindi spiegato che l’andamento dei prezzi al consumo è condizionato “dai prezzi di energia e cibo” ma anche “dalla debole domanda, dovuta all’elevato tasso di disoccupazione”.

Ma molti analisti - come riportava nei giorni scorsi il Financial Times - restano convinti che un periodo prolungato di calo dei prezzi possa rappresentare una reale minaccia per la ripresa. “I rischi di deflazione ora sono maggiori”, affermano gli osservatori, sottolineando che se la minaccia deflazione si realizzasse questo potrebbe esacerbare le pressioni sui Paesi della periferia dell’area euro aumentando il costo del debito e soffocando le spese di famiglie e aziende. Tra gli economisti, poi, non manca chi sostiene che alcuni settori economici abbiano già crescita negativa. Anche per questo la Banca d’Inghilterra ha lasciato i tassi di riferimento invariati allo 0,50% confermando il piano di riacquisto Bond a 375 miliardi di sterline.

Proprio l’inflazione era uno dei dossier alla base dell’incontro dei banchieri centrali, che si sono riuniti oggi. Continua infatti a preoccupare l’aumento dei prezzi, in ulteriore rallentamento nell’Eurozona (0,7% a gennaio), in Paesi come l’Italia (0,6%) e inferiore alle attese persino inGermania (1,3%), che assottiglia pericolosamente la distanza di sicurezza dal rischio-deflazione. Draghi – come aveva già fatto in passato – non ha nascosto che l’inflazione è molto bassa e ci rimarrà “a lungo”, promettendo di agire se i rischi di deflazione si facessero troppo concreti.

E ha cercato di rassicurare sul rischio deflazione. Ogni crisi finanziaria, ha detto, “è sempre seguita da un periodo di bassa inflazione”. E quella in corso è dovuta ai bassi prezzi alimentari ed energetici globali e a Paesi come Portogallo, Irlanda e soprattutto Grecia, il Paese più in difficoltà che secondo Bloomberg potrebbe ricevere dall’Ue una estensione a 50 anni dei suoi prestiti, con un taglio dei tassi su alcuni degli aiuti già ricevuti.

L’altro dossier all’ordine del giorno sono i tassi troppo alti che le banche si applicano sui prestiti di liquidità fra loro. Gli stress test sulle banche non hanno infatti ancora fatto chiarezza sui bilanci. C’è quindi poca fiducia a prestare liquidità, specie verso il Sud dell’Eurozona. Aggiungendosi allospread sui titoli di Stato, che fa salire i tassi pagati dalle banche e applicati poi sui prestiti a famiglie e imprese, tutto ciò amplifica la stretta creditizia che sta frenando la ripresa in Paesi come l’Italia.

ARTIFICI CONTABILI PER INVENTARSI LA CRESCITA

Si può! Truccare i dadi si può! Cambiare le statistiche pur di nascondere la verità si può. A giugno 2013 l’Istat trasformò il calcolo dell’indice di fiducia degli italiani ottenendo un aumento di ben 20 punti celebrato da Saccomanni (regalategli un lampadario) e Letta come l’ennesima luce in fondo al tunnel. Da allora gli italiani sorridono alla vita. Ora ci risiamo. A settembre 2014 la Commissione Europea utilizzerà una nuova metodologia di calcolo del PIL. Spese militari (?!) e di ricerca e sviluppo diventeranno investimenti. La valutazione delle spese relative alla bilancia dei pagamenti e al sistema previdenziale cambierà. Il tutto al fine di abbandonare l'ESA 95 (European system of national accounts) e allineare il calcolo del PIL europeo alla analoga metodologia di calcolo americana. L'Europa riparte alla grande. Alcuni Paesi europei hanno già fornito i nuovi risultati con delle simulazioni. Siamo tutti più ricchi e la luce splende in fondo al tunnel. Per l'Italia, durante il periodo 2010-2012, vi è un aumento di PIL di più di un punto percentuale. I cacciabombardieri F-35 diventano un ottimo investimento, in fondoportano lavoro.Gli altri Paesi europei anticipano addirittura un sensibile miglioramento: la Gran Bretagna di 4%, Svezia e Finlandia di 5%. 
Se il risultato di 1-2 punti percentuali in più sarà confermato per l'Italia avremo 500 dai ai 900 milioni di euro da spendere in quanto diventati virtuosi per la UE. Il problema è che i soldi non ci sono. Preparatevi a sei mesi di chiacchiere su un tesoretto che attribuiranno alle capacità di Capitan Findus Letta e di Gelatina Saccomanni senza spiegare che è solo artificio contabile. Più Pil e più bombe per tutti. E' l'Italia che va... Ma dove va?

Le agenzie di rating non sono sempre affidabili, sappiamo bene i danni che hanno fatto certificando come investimenti sicuri i derivati tossici e amplificando la speculazione sul debito pubblico dei Paesi dell’euro tra 2010 e 2012. Ma ogni tanto hanno il pregio di sottolineare l’ovvio, come ha fatto ieri Standard&Poor’s, la più importante delle tre agenzie americane che dominano il mercato. Nel suo report sull’Eurozona, S&P avanza un certo scetticismo sull’Italia: “Siamo ancora incerti se i trend economici e nelle decisioni politiche reggeranno”.

Non è ovviamente solo la situazione politica, difficile da decodificare, a inquietare gli analisti. Ci sono i numeri. Due in particolare. Quello sulla crescita è il più preoccupante: “La domanda di lavoro e le condizioni del credito strette limiteranno la crescita media del Pil in Italia al +0,5 per cento annuo tra il 2014 e il 2016″. Le previsioni del governo sono ormai così chiaramente gonfiate che perfino lo stesso premier Enrico Letta dice pubblicamente che la crescita dell’1,1 per cento nel 2014 è un “obiettivo”, anche se nei documenti ufficiali è indicata come previsione. E la differenza non è ovviamente solo semantica ma di credibilità.

Secondo dato: dice S&P che a fine anno il debito pubblico sarà del 134 per cento del Pil, inutile che Letta celebri riduzioni temporanee di qualche zero virgola. Ci vorrebbero delle liberalizzazioni per liberare la crescita, non potendo usare la leva della spesa pubblica. Ma di queste non c’è traccia nel programma di Letta e neppure in quello di Matteo Renzi, per la verità. Purtroppo ormai il governo, sia con Letta che con il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, ha scelto la linea dello struzzo: negare sempre, contro ogni evidenza, contro ogni numero. E promettere, promettere, promettere.

O si cambia tutto o fra 9 anni il nostro tenore di vita sarà il 60% di quello statunitense, come negli anni’60

Niente luci e ombre, solo bianco e nero. L’Europa corre veloce nella sfida economica con gli Stati Uniti, ma corre all’indietro, talmente veloce che anche l’incerta economia statunitense sembra una locomotiva che porterà la differenza tra i livelli di vita del Vecchio continente nel 2023, praticamente domani, al 60% dei quelli Usa. Peggio di quanto era negli anni’60.

Questo, naturalmente in assenza di profonde riforme economiche. Ma se ne vedono così tante?

A spaventare è che questa previsione, basata su 50 pagine di cifre e grafici complessi, la fa la normalmente tranquillizzante Commissione europea, che non fa altro, da mesi e mesi, che parlare di luce in fondo al tunnel, di ripresa difficile ma che c’è e così via. Lo fa nel suo ultimo report trimestrale sull’area euro, uscito alcuni giorni fa a Bruxelles.

Le voci sulla ripresa sono dunque troppo ottimistiche? Il Trattato commerciale che stiamo negoziando con gli Usa è forse solo un menù che Washington si sta servendo in Europa? Oppure alla Commissione hanno già considerato che questo importante accordo commerciale si incastrerà perfettamente con una serie di riforme decisive a livello europeo e nazionale (Italia compresa) e dunque il rischio non c’è davvero? Tutti gli sforzi fatti dopo il boom della fine degli anni ’50 sono stati bruciati da cinque anni di crisi? Eravamo arrivati quasi alla pari con i ricchi spendaccioni statunitensi e invece, tra nove anni, la nostra economia sarà andata così male che il nostro livello di vita sarà solo il 60% del loro: Loro dieci bistecche? Noi sei. Loro dieci posti di lavoro? Noi sei. Loro dieci giorni di ferie? Noi sei, e via così…

Vale la pena di leggere il passaggio originale: “On the assumption that the euro area and US forecasts underpinning this scenario prove accurate, the euro area is forecast to end up in 2023 with living standards relative to the US which would be lower than in the mid-1960′s. If this was to materialise, euro area living standards (potential GDP per capita) would be at only around 60% of US levels in 2023…”

Eravamo diventati alleati con pari dignità, stavamo nella Nato tutti insieme a gestire le sorti del Mondo e ci ritroviamo invece (tutti noi dell’eurozona) a dover pietire una commessa da un’industria di Cincinnati per tirare avanti?

Secondo i dati diffusi dalla Commissione il crollo europeo è evidente nei dati sulla produttività del lavoro: un’ora di produttività del lavoro nella zona euro era quasi il 90 per cento del valore negli Stati Uniti nella metà degli anni ’90 , ma la cifra è scesa oggi di un 10% e si prevede che arrivi al 73% entro il 2023. Qui si concentreranno le principali motivazioni della differenza, per il resto sarà colpa dei tassi di occupazione e delle ore lavorate procapite.

Secondo la Commissione dunque gli Usa sono usciti dalla crisi meglio di quanto stia facendo la zona euro, con un tasso medio annuo di crescita potenziale del 2,5% nei prossimi 10 anni, mentre la zona euro sarà in media solo all’1% . I tassi di crescita procapite saranno anche qui la metà di quelli statunitensi.

Marco Buti, direttore generale Affari economici cerca di trovare un aspetto positivo in questo dramma, e scrive nella sua introduzione che “il messaggio incoraggiante, tuttavia, è che le prospettive di crescita modesta non sono ‘scolpite nella pietra’. Le proiezioni riportate sono basati su uno scenario “del far nulla”, assumendo cioè che le politiche attuali rimangono invariate. I responsabili politici – ammonisce Buti – possono evitare il terribile scenario di crescita mediante l’attuazione di riforme che contribuiscano a sviluppare appieno il potenziale dell’economia”.

Monte dei Paschi, il mistero dei bilanci è un segreto di Stato

Da due mesi il governo italiano impedisce agli uffici di Bruxelles di rendere nota la decisione con cui la Commissione europea il 27 novembre scorso ha imposto alla banca senese di restituire entro il 2014 tre dei quattro miliardi di aiuti di Stato ottenuti un anno fa

Il documento chiave è secretato. Da due mesi il governo italiano impedisce agli uffici di Bruxelles di rendere nota la decisione con cui la Commissione europea ha imposto il 27 novembre scorso alMonte dei Paschi di Siena di restituire entro il 2014 tre dei quattro miliardi di prestito statale (i cosiddetti Monti bond) ottenuti un anno fa. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni si avvale del diritto di espungere dal testo “informazioni considerate confidenziali”. Un lavoro di sbianchettatura evidentemente laborioso che indica come la vicenda Mps sia ormai affare di Stato.

Il triangolo delle Bermude - Il comunicato emesso lunedì scorso dalla Banca d’Italia lo conferma. Il governatore Ignazio Visco e il direttore generale Salvatore Rossi hanno ricevuto – con un rappresentante del ministero dell’Economia – il presidente di Mps Alessandro Profumo con l’amministratore delegato Fabrizio Viola e il presidente della Fondazione Mps (azionista di controllo della banca) Antonella Mansi con il direttore generale Enrico Granata. Banca, vigilanza e governo – intorno a un tavolo triangolare sempre più somigliante al triangolo delle Bermude – comunicano la loro compattezza: “L’incontro si è svolto in un clima costruttivo, nella responsabile consapevolezza di tutte le parti che il Monte possa continuare a rappresentare una realtà bancaria importante nell’economia del Paese, a condizione di poter contare su un adeguato supporto patrimoniale e su un assetto azionario stabile”. In termini calcistici lo schema di gioco adottato è il catenaccio. Adesso tenete bene a mente l’espressione “adeguato supporto patrimoniale” per capire che cosa c’è sotto.

Tutto comincia nell’autunno del 2011. Lo spread supera quota 500, nasce il governo Monti. L’Eba (European banking authority) ordina a Mps una trasfusione di capitali freschi da 3,3 miliardi di euro. La banca senese è pesantemente esposta sui titoli di Stato italiani, la cui perdita di valore è misurata dall’impennata dello spread. Scatta l’allarme. Il direttore generale Antonio Vigni viene sostituito con un uomo di fiducia della Banca d’Italia, Viola. Il presidente del Monte, Giuseppe Mussari, prima minaccia un ricorso alla Corte di giustizia europea contro la raccomandazione Eba, ma poco dopo si dimette. I suoi amici del Pd senese e nazionale chiamano Profumo.

Per quasi tutto il 2012 il nuovo vertice tratta la crisi Mps come difficoltà fisiologica. Il 9 ottobre 2012, agli azionisti che invocano l’azione di responsabilità contro Mussari, Profumo replica seccamente: “Non abbiamo elementi”. È vero che già dai primi di maggio il Monte dei Paschi è oggetto di perquisizioni a tappeto per l’inchiesta sulla acquisizione della banca Antonveneta, l’operazione del novembre 2007 che segna l’inizio della fine. Ma il 20 giugno Mussari è stato confermato presidente dell’Abi, l’associazione delle banche, all’unanimità. E, soprattutto, il 9 ottobre Profumo non ha elementi, però il 10 ottobre Viola scova in fondo a una cassaforte in uso al suo predecessore Vigni l’ormai celebre mandate agreement, la prova che inchioderebbe Mussari, oggi a processo per ostacolo alle autorità di vigilanza. Nei giorni scorsi la dirigente della Consob Guglielmina Onofri ha testimoniato al tribunale di Siena che gli uomini di Viola avevano già trovato il 20 settembre – venti giorni prima – copia di contratto, con l’indicazione che l’originale si trovava in quella cassaforte. Elio Lannutti, presidente dell’associazione di risparmiatori Adusbef, ha denunciato Viola per falsa testimonianza.

Per capire tante stranezze va spiegato il mandate agreement. Nel 2009 Mussari sta andando con i conti in rosso sotto il peso della sciagurata acquisizione di Antonveneta, pagata 9 miliardi quando ne valeva forse la metà. Per rinviare i problemi convince Nomura e Deutsche Bank a ricontrattare operazioni che vedono Mps in forte perdita. Le due banche fanno il favore, ma a fronte della ricontrattazione con cui rinunciano ai guadagni di due operazioni (rispettivamente Alexandria e Santorini) ottengono una nuova complicata manovra su titoli di Stato (Btp a scadenza 2034) con cui si rifanno abbondantemente ma a lungo termine, consentendo a Mussari di nascondere per un po’ il buco del bilancio.

Gli ispettori di Consob e Bankitalia notano già a fine 2011 queste operazioni in pesante perdita, ma fare cattivi affari non è vietato. E al processo, incalzati dalle domande della difesa di Mussari, argomentano che senza il mandate agreement, il contratto che appunto lega le due operazioni (Btp 2034 e ristrutturazione Alexandria), l’operazione in Btp restava un’operazione in Btp, anche se somigliava terribilmente a un “derivato sintetico” con perdita automatica incorporata.

Come cambia il pensiero di Profumo - La distinzione è decisiva per capire la portata dell’affare di Stato. L’esistenza del mandate agreement viene rivelata dal Fatto il 22 gennaio 2013, con un articolo di Marco Lillo. Lo scandalo esplode e Mussari si dimette dall’Abi. Due giorni dopo a Siena si svolge un’infuocata assemblea degli azionisti, chiamati a un aumento di capitale da 4,1 miliardi al servizio della eventuale conversione dei Monti Bond. Infatti a dicembre 2012, prima dello scandalo, Profumo ha avuto dal governo Monti un prestito di quell’importo, perpetuo ma convertibile in azioni quando lo decida la banca. Trattandosi di un aiuto di Stato, la Commissione europea dà la necessaria approvazione, provvisoria in attesa di un piano di ritrutturazione della banca. All’assemblea del 25 gennaio, nonostante la fresca scoperta dei derivati nascosti di Mussari, Profumo non perde l’aplomb: “La necessaria richiesta del supporto pubblico si riconduce prevalentemente alla crisi del debito sovrano e solo in misura minore anche alle attività di verifica ancora in corso sulle operazioni Alexandria, Santorini e Nota Italia di cui tutti parlano”. Profumo ha dunque chiesto gli aiuti di Stato lamentando difficoltà esogene, come si dice in gergo, cioè non dovute alla gestione di Mussari ma alla crisi mondiale. Il commissario europeo alla Concorrenza,Joaquin Almunia, se ne ricorderà.

Il 6 febbraio Mps comunica di aver calcolato in 730 milioni la perdita su Alexandria e Santorini. All’assemblea degli azionisti del 29 aprile successivo torna in ballo l’azione di responsabilità contro Mussari, e Profumo sfodera un argomento opposto rispetto a tre mesi prima: “La rilevazione operata a fini Eba a fine settembre 2011 ha evidenziato per la Banca una riserva AFS negativa per 3,2 miliardi circa (di cui 1,2 miliardi imputabili all’operazione Nomura e 870 milioni imputabili all’operazione Deutsche Bank), costringendo la Banca a ricorrere a onerose azioni di rafforzamento patrimoniale”. Dunque le operazioni di Mussari hanno lasciato in eredità un buco patrimoniale di 2,07 miliardi, che Profumo fino a quel giorno aveva ascritto alla “crisi del debito sovrano”.

Qui parte l’attacco di Almunia. A luglio 2013 scrive a Saccomanni (fino a due mesi prima direttore generale della Banca d’Italia) minacciando l’Italia di una procedura d’infrazione sugli aiuti di Stato a Mps. Ai primi di settembre, a Cernobbio, scopre le carte. Prima dichiara che l’aumento di capitale da un miliardo prospettato da Profumo è insufficiente. Poi concorda con Saccomanni che l’aumento dovrà essere da tre miliardi, finalizzati alla rapida restituzione del 74 per cento dei Monti Bond. Strano. Profumo lavora su un rafforzamento patrimoniale da 5,1 miliardi (4,1 di Monti Bond più un miliardo di aumento di capitale). Almunia invece impone di restituire 3 miliardi di Monti Bond, e, siccome un decimo dell’aumento di capitale da 3 miliardi va in spese, la banca ci deve mettere 300 milioni suoi, mentre svanisce anche il miliardo di maggior patrimonio che Profumo voleva chiedere al mercato. Risultato: il di cui sopra “adeguato supporto patrimoniale” scende da 5,1 a non più di 3,8 miliardi, e per Mps non è una bella notizia.

Le ragioni del castigo inflitto da Almunia a Mps – compreso il ridimensionamento da terza banca italiana a banca regionale – sono scritte nel documento che il governo italiano non vuole rendere pubblico. All’assemblea del 28 dicembre scorso l’azionista Giuseppe Bivona, rappresentante del Codacons, ha sostenuto, logica e Trattato europeo alla mano, che Almunia, imponendone la restituzione, ha di fatto bocciato gli aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 108 del trattato europeo, secondo il quale una mazzata simile è ammessa se “tale aiuto e` attuato in modo abusivo”. Ma attenzione: la scelta di rimborsare i Monti Bond, indebolendo la banca e ribaltando una decisione di pochi mesi prima, è tutta italiana. Per Almunia andava bene anche la conversione in azioni dei Monti Bond, che avrebbe nazionalizzato il Monte quasi azzerando gli azionisti attuali, a cominciare dalla Fondazione. Per Bruxelles basta che gli azionisti non risolvano i loro problemi con i soldi di Pantalone. Perché dunque gridare in coro “tutto ma non la nazionalizzazione!”, visto che i soldi dei contribuenti erano stati già versati senza rimpianti un anno fa? Forse per evitare che un giorno emergano altre sorprese che – trattandosi di banca controllata dallo Stato – gravino sui conti pubblici. Qui si può solo formulare un’ipotesi, visto che il documento ufficiale è segretato nell’evidente imbarazzo di banca, vigilanza e governo.

Fino a che Mussari era presidente dell’Abi… - Per tutto il 2012 Profumo e Viola, in sintonia con Bankitalia e Consob, non hanno visto i perniciosi derivati del presidente dell’Abi in carica, continuando a battezzarli come operazioni in Btp. Così anche dopo la scoperta del mandate agreement Mps ha continuato a contabilizzare quelle operazioni esattamente come le contabilizzava Mussari, che è sotto processo per ostacolo alla vigilanza ma non per falso in bilancio. Lo ha confermato Viola il 28 dicembre scorso: “In data 10 dicembre 2013, la Consob ha di fatto confermato il trattamento contabile applicato dalla banca, che risulta conforme ai principi contabili IAS/IFRS ed è stato concordato con i revisori esterni Kpmg sino al 2010 e Ernst & Young dal 2011”. È quel “di fatto” a segnalare una continuità quantomeno sospetta. Infatti, a dimostrazione di una situazione confusa, la stessa Consob ordina a Mps anche di allegare al bilancio i cosiddetti prospetti pro-forma, che mostrano il bilancio come sarebbe se quelle operazioni in Btp fossero considerate derivati: con miliardi di euro che vanno e vengono da una partita all’altra. Adesso l’unico obiettivo del triangolo Mps-Bankitalia-governo è portare a casa al più presto l’aumento di capitale da 3 miliardi: eviterebbe le insidie della nazionalizzazione e coprirebbe tutto, prima che dal nuovo esame europeo di fine anno (in gergo asset quality review) emerga un nuovo fabbisogno di capitale. O che dal documento secretato di Almunia i mitici mercati scoprano qualche scomoda verità.

Banche, così il governo anticipa di un anno il regalo da 4 miliardi di euro

All'indomani della cacciata dal Senato di Mister B., ancora a piede libero per la dimenticanza generale di questo popolo di rincoglioniti, avevamo parlato di come il Governo, nel silenzio più assoluto, avesse INCREDIBILMENTE  PRIVATIZZATO LA BANCA D'ITALIA. (VEDERE : L'ULTIMA SVENDITA SILENZIOSA). Il Governo BURLETTA, infatti, con un bel decretino ad hoc fatto per rastrellare un miliardo di euro senza sforare IL DEFICIT DEL 3% SECONDO GLI OBBLIGHI DELLA LETTERA DRAGHI-TRICHET DEL 5 AGOSTO 2011( SOTTO IL IV GOVERNO BERLUSCONI), HA RIVALUTATO LE QUOTE DELLA BANCA D'ITALIA. Cosa significa?? Fino ad ieri, le quote della Banca d'Italia, PRIVATIZZATA DA AMATO NEL 1993 PER LA FAMOSA MANOVRA DA 94.000 MILIARDI DI LIRE FATTA PER LA BANCAROTTA DELLA LIRA SUL MERCATO MONETARIO,con temporanea uscita della stessa dallo SME,fruttavano lo 0,5% delle riserve. In soldoni il capitale originario della Banca d'Italia di 156.000 euro,mai toccato nemmeno da Amato,fruttava al massimo 70 milioni di euro agli azionisti privati come INTESA SAN PAOLO,UNICREDIT,POPOLARE DI MILANO,ecc. Incredibilmente, come descritto ne L'ULTIMA SVENDITA SILENZIOSA, il III Governo Berlusconi riesce a partorire l'unica legge buona in 20 anni: ovvero il ritorno in mani pubbliche di tutte le quote della Banca d'Italia detenute dalle merdose mani private. La legge, del 2005, non viene attuata. Non solo, nella notte del 27 novembre 2013, mentre tutti applaudono all'espulsione di Berlusconi dal merdoso Senato di Roma, Saccomanni fa un decretino che stabilisce  La Banca d'Italia come una PUBLIC COMPANY, il solito neologismo inglese del cazzo PER DIRE CHE L'ISTITUTO DIVIENE A TOTALE PARTECIPAZIONE PRIVATA !!! Il termine english COMPANY non sta per "COSA PUBBLICA", ma per "APERTO AL PUBBLICO", cioè aperto a PINCO PALLA O VATTELAPESCA. Il patrimonio originario di 156.000 euro viene portato a 7.500.000.000 di euro !!! Non solo: il limite dello 0,5% sulle riserve viene portato al 6% così al posto dei 70 milioni di euro di utili si passa a 450 milioni di euro per la gioia di INTESA-SAN PAOLO,UNICREDIT,BPM,UBI,ecc. !!! Infine tutte le quote detenute dal pubblico vengono messe sul mercato a chi le vuole, ovvero BARCLAYS, CITYGROUP,DEUTCH BANK,PNB PARIBAS, perchè il soggeto non deve essere italiota ma comunitario !!! Tutto questo giro delle "tre tavolette" doveva garantire un miliardo allo stato  e utili alle Banche private italiote con PERDITA TOTALE DELLA SOVRANITA' BANCARIA PUBBLICA DELLA BANCA D'ITALIA. Purtroppo non è bastato: BURLETTA ha dovuto imporre la retroattività al decreto per far incassare subito AD INTESA ED UNICREDIT una rivalutazione tra i 2,7 ed i 4 MILIARDI DI EURO !!!

“Il governo presenterà un emendamento per confermare che le modifiche allo statuto di Bankitalia sono valide a partire dal bilancio del 2013 – hanno rivelato i relatori al decreto legge Imu ­Bankitalia, Andrea Fornaro e Andrea Oliviero, entrambi in quota Partito Democratico. La proposta di modifica, che sarà presentata nell’aula di palazzo Madama, si rende necessaria perché il provvedimento è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale del 31 dicembre e quindi, entrando in vigore il giorno successivo, si correva il rischio di poter applicare la misura solo a partire da quest’anno”.

Un rischio che evidentemente il sistema bancario italiano, sotto pressione per via della crisi del mattone, dei grandi debitori inadempienti e dell’arrivo di nuovi paletti internazionali, non può correre. L’intera faccenda non ha però mancato di generare malumori in Parlamento. Con Sel che non ha esitato a parlare di incostituzionalità del decreto legge.

”Questo ennesimo decreto in esame non risponde ai requisiti di costituzionalità per vari motivi – ha dichiarato il senatore Luciano Uras che ha posto la pregiudiziale di costituzionalità poi respinta dall’Aula. Si scrive dl Imu si legge dl Bankitalia. Infatti, si tratta in realtà della copertura di un’operazione ingannevole ed artificiosa a favore di una parte del sistema bancario italiano in vista di importanti scadenze europee, del tutto lontane ed estranee dalla necessità di ridefinire la governance dell’Istituto”. Uras ha contestato l’assenza di un vero dibattito politico procedendo “per decreto ad una riforma storica dell’assetto proprietario e della governance della Banca d’Italia che pregiudica palesemente la tutela del risparmio”.

Senza contare che il governo ha già trovato un compratore per le partecipazioni superiori alla nuova soglia di proprietà del 3/5%, cioè quelle di Intesa e Unicredit. E che il guadagno delle banche venditrici sarà tassato al 12% contro il 16% inizialmente previsto e il tradizionale 20 per cento. “Il testo che ci apprestiamo a votare, sottolinea il senatore M5S, Francesco Molinari ­è un regalo alle banche private e ai suoi padroni e una truffa ai danni del popolo italiano. Ormai la svendita delpatrimonio dello Stato per mantenere intatti gli sprechi di una classe politica corrotta non conosce limiti”.

L’aula del Senato ha approvato (9 gennaio) in prima lettura la conversione in legge del discusso decreto che rivaluta le quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia (1). In questa fase, sono state introdotte modifiche opportune che, come giàavevamo notato, seppelliscono l’idea iniziale di creare un libero mercato internazionale delle “azioni” della banca centrale.
Nel frattempo, è stato reso noto (27 dicembre) il 
parere della 
Banca centrale europea sulla bozza di decreto. Il parere richiede “ulteriori dettagli” sul metodo di valutazione, che ha condotto alla cifra di 7,5 miliardi per il capitale complessivo della Banca d’Italia, e richiama il rispetto delle regole prudenziali e contabili europee nelle operazioni di ricapitalizzazione che le banche italiane, azioniste della Banca d’Italia, potranno fare sfruttando la rivalutazione delle loro quote. Ma al di là di questi aspetti tecnici, quello che colpisce sono due richiami espliciti, seppure formulati nel linguaggio soft dei banchieri centrali.

Troppa fretta

A pagina 2 del parere leggiamo: “La Bce ha ricevuto la richiesta di consultazione il 22 novembre 2013, mentre il decreto legge è stato approvato il 27 novembre 2013”. Il Governo italiano ha dato solo tre giorni lavorativi alla Bce per emanare il parere che, secondo quanto previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, doveva precedere l’approvazione del decreto. Ciò equivale in sostanza a “un caso di non consultazione”, ragion per cui “la Bce desidera richiamare l’attenzione del Ministero circa il rispetto della procedura di consultazione”. In altre parole, Mario Draghi (firmatario del parere in qualità di Presidente della Bce), ha dovuto tirare le orecchie al suo ex-collega Saccomanni, che prima di diventare Ministro sedeva al vertice della Banca d’Italia, parte dell’Eurosistema.

Possibili trasferimenti dalla Banca d’Italia alle banche azioniste

Ma veniamo a un aspetto di sostanza, anziché di procedura. Il decreto prevede un limite massimo alle singole quote, pari al 3 per cento del capitale della Banca (2).  Esso autorizza la Banca d’Italia a effettuare operazioni di acquisto (temporaneo) delle proprie quote, presso quegli azionisti che detengano partecipazioni superiori a quel limite. A pagina 5 del parere si legge: “La Bce prende atto che la possibilità, per la Banca d’Italia, di effettuare tali operazioni, può comportare un trasferimento di risorse finanziarie agli azionisti”. In sostanza, la Bce richiama l’attenzione sul potenziale costo, a carico della banca centrale, di quelle operazioni a favore dei suoi azionisti. Poiché la Bce non quantifica questo costo, proviamo a farlo noi. Naturalmente, il costo effettivo dipenderà dalle decisioni del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Noi possiamo solo indicare una forchetta, che va da un minimo pari a zero, qualora il Consiglio decidesse di non fare alcuna operazione di riacquisto, a unmassimo indicato nella tabella sottostante. Gli importi massimi, indicati nella terza colonna della tabella, sono stati calcolati moltiplicando la quote di capitale che devono essere cedute da alcuni azionisti della Banca d’Italia (in pratica le partecipazioni in eccesso rispetto alla soglia del 3 per cento, indicate nella seconda colonna) per il valore nominale del capitale della Banca, che rappresenta il prezzo massimo d’acquisto da parte della Banca d’Italia. Come si vede, si tratta di importi rilevanti, che sommano a un totale di quasi 4,2 miliardi di euro (corrispondente a quasi il 56 per cento del capitale della Banca).

Trasferimento massimo a carico della Banca d’Italia, a favore di:

trasferimento-massimo-bankitalia È bene sottolineare che quello esposto qui è solo un esercizio. Siamo sicuri che la Banca d’Italia eserciterà con la massima prudenza e parsimonia l’autorizzazione ricevuta con il decreto legge, facendo in modo che gli azionisti che hanno partecipazioni eccedenti il 3 per cento trovino altri acquirenti delle eccedenze. Forse però si poteva evitare di introdurre una discrezionalità, il cui esercizio potrebbe esporre la banca centrale al rischio di acquistare le proprie quote a un prezzo superiore a quello al quale le dovrà rivendere in un momento successivo. Si può obiettare che questa autorizzazione era necessaria, per agevolare il processo di smaltimento delle quote in eccesso rispetto al limite del 3 per cento. Tuttavia, lo stesso decreto prevede che le quote eccedenti siano “sterilizzate”: private del diritto di voto e di ricevere dividendi (dopo un periodo transitorio). Quindi, i “grandi azionisti” hanno tutto l’incentivo a trovare acquirenti per le partecipazioni in eccesso; al giusto prezzo, s’intende. Perché allora introdurre una agevolazione? Forse anche alla Bce se lo sono chiesto…

(1) Su questo sito siamo più volte intervenuti sull’argomento: si vedano gli articoli raccolti nel dossier. Si vedano anche gli interventi di Marco Onado e di Luigi Zingales sul Sole-24-Ore del 20/12/2013.
(2) La soglia era pari al 5 per cento nel decreto originale; è stata abbassata al 3 per cento in fase di conversione.

Inps, 2013 in rosso per altri 14,4 miliardi. Quest’anno atteso un buco nel patrimonio

I conti non migliorano neanche nel 2014, quando è previsto un passivo di 11,9 miliardi. Lo si apprende dall'ultimo documento firmato da Mastrapasqua, che ha lasciato sabato scorso la presidenza dell'Istituto. Pensioni, effetto Fornero: nuovi assegni crollano del 43%

 risultato d’esercizio dell’Inps per il 2013 sarà negativo per 14,4 miliardi. Continuano quindi a peggiorare, anno dopo anno, i conti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, a pochi giorni dall’addio di “mister 25 poltrone”, Antonio Mastrapasqua, che ha lasciato sabato scorso la presidenza dopo l’approvazione di un ddl sul conflitto di interessi. Ma il dato più preoccupante è un altro: l’azzeramento del patrimonio dell’Istituto atteso nei prossimi mesi. Dal preventivo per l’esercizio appena iniziato emerge infatti che negli ultimi quattro anni il patrimonio netto è passato dai circa 40 miliardi di euro del 2009 a 7,47 miliardi del 2013. E per il 21 dicembre 2014 è atteso unrosso di 4,5 miliardi.

Le attese per il 2014 non sono quindi più rassicuranti. Per l’esercizio appena iniziato è previsto un ulteriore passivo di 11,99 miliardi in attesa di chiarire però se lo Stato si accollerà in via definitiva l’onere delle pensioni dei dipendenti pubblici dal 2012 in poi, cioè dall’anno in cui l’ente di previdenza pubblica, Inpdap, è stato fuso nell’Inps in scia alla riforma Fornero.

Da ricordare inoltre che l’Inps è anche azionista della Banca d’Italia e quindi beneficerà dellarivalutazione delle quote di via nazionale prevista dal decreto Imu-Bankitalia, come le banche tra cui Intesa SanPaolo e Unicredit.

Pensioni, effetto Fornero: nuovi assegni crollano del 43%
Dal confronto tra il bilancio preventivo Inps per il 2014 (nel quale sono contenuti i dati 2013 assestati che risentono della riforma Fornero) e il bilancio sociale per il 2012 emergono poi dati preoccupanti sulle
 pensioni. Nel 2013 sono stati stati liquidati 649.621 nuovi assegni con un calo del 43% rispetto ai 1,14 milioni di nuovi assegni liquidati nel 2012. E il divario dovrebbe aumentare ancora nel 2014, con 596.556 nuove pensioni previste e 739.924 assegni che si prevede di eliminare. Tra il 2013 e il 2014 si prevede un crollo dei nuovi trattamenti di anzianità. Nel 2013 – secondo i dati assestati – sono stati nel complesso 170.604, mentre nel 2014 si stima che scendano a quota 80.457 (57.891 delle quali ai lavoratori dipendenti) con un calo del 52,8 per cento.

“Conti poco trasparenti, separare previdenza e assistenza”
“Sono anni che ci battiamo per fare chiarezza sui conti dell’Inps chiedendo innanzitutto la separazione della spesa previdenziale pura da quella assistenziale“, ricorda il segretario confederale Uil, Domenico Proietti, sottolineando che “il dato che emerge dal documento di previsione 2014 dell’Inps è frutto di questa commistione, sulla quale bisogna far chiarezza attraverso un’operazione di trasparenza finanziaria“. E aggiunge: “Sui conti dell’Inps pesa anche l’altissimo livello di disoccupazione degli ultimi anni che, in un sistema a ripartizione, incide negativamente attraverso la diminuzione della contribuzione versata”.

Consumatori, azione di responsabilità verso Mastrapasqua
Di fronte al buco di bilancio dell’Inps, Adusbef e Federconsumatori auspicano invece che venga avviata una “doverosa azione di responsabilità verso l’artefice unico di questa catastrofe, l’ex presidente e collezionista di poltrone il dimissionario Antonio Mastrapasqua”. E’ quanto si legge in una nota dei consumatori. “Come mai – si chiedono – sono stati disattesi i richiami della Corte dei Conti e le segnalazioni alle commissioni parlamentari su una situazione allarmante dei bilanci Inps, che gettano ombre su una gestione quanto meno discutibile?”.

La disoccupazione di massa è una scelta politica?

Questa è una sintesi dell’articolo “Serve un acceleratore della crescita” pubblicato oggi sul Sole 24 Ore.

Nel 2013 il mondo ha raggiunto nuovi vertici di benessere: + 8% la produzione industriale, + 11% il commercio mondiale rispetto al 2008 …Le banche centrali hanno collaborato allo stimolo fiscale garantendo tassi d’interesse prossimi a zero; stabilità dei titoli pubblici qualunque fosse il livello del debito e del deficit; finanziamenti diretti all’economia reale; acquisti sul mercato dei titoli pubblici e versamento degli interessi nelle casse del Tesoro.

Questi risultati mettono in luce, per contrasto, l’inaccettabile e gratuita performance dell’Eurozona: qui la produzione industriale e il PIL sono ancora inferiori del 15% e dell’1,6% rispetto al 2008; la crescita è minima, tutta importata dall’estero, non in grado di abbattere la disoccupazione (…) Se l’Europa – solo l’Europa – adotta un sistema monetario simile al gold standard, a cui aggiunge politiche del cambio, monetarie, e fiscali Hooveriane, non sorprende che le conseguenze siano simili a quelle degli anni ‘30.

Fra queste conseguenze, vi è anche l’isolata prosperità di un grande paese europeo che gode di un tasso di cambio sottovalutato. Il suo enorme surplus commerciale drena domanda dal resto del continente; i capitali affluiscono copiosi; (…) il bilancio è in pareggio senza austerità. Scambiando la buona sorte per virtù, impartisce lezioni ai vicini. “La nostra nazione merita l’ammirazione di tutti” – diceva nel ’32 il Presidente del Consiglio francese, Tardieu – per la sua “struttura economica armoniosa”, la “parsimonia” dei suoi abitanti, “la flessibilità del sistema economico”, la sua “modernità (…)”. La Francia (…) insegna che un paese in surplus non ha alcun incentivo a modificare la situazione. Così è per la Germania. Nel suo recente discorso al Bundestag, la Cancelliera ha ribadito che la deflazione è la strada obbligata per i paesi in deficit commerciale. Dunque, tagli ai salari e ai bilanci pubblici; aiuti, sotto pesanti condizioni, solo quando si fosse sull’orlo di una crisi sistemica. Ed in futuro, ‘contratti’ per imporre le riforme strutturali: le nazioni europee – ha osservato Carlo Clericetti – dopo aver rinunciato alla moneta e alla sovranità di bilancio, dovrebbero anche lasciare ad altri le decisioni su quali riforme fare e come; se non sono d’accordo, dice la Merkel, “li spingeremo” ad accettare (…)

La storia degli anni ‘30 offre un altro insegnamento: nonostante i pessimi risultati, le politiche deflazioniste non vennero mai abbandonate dalle élite democratiche del tempo, trincerate dietro il motto: “l’austerità non ha alternative!”. Solo i partiti anti-sistema o perfetti outsider come F.D.Roosevelt risposero al grido d’aiuto dei disoccupati. La crisi odierna è per certi versi ancora più complessa: l’Euro è più rigido del gold standard, non è così facile uscirne (…) Ma negli anni ‘30 non esisteva la teoria macroeconomica, oggi la scusa dell’ignoranza non vale più. O non dovrebbe valere. Eppure, in questi anni ci è stato detto, prima, che non c’era una crisi della domanda; poi, che l’insufficienza della domanda era reale, ma ‘di breve termine’; infine, si fa capire che la crisi è necessaria per imporre le riforme. La saldatura degli interessi della Germania, dei riformatori neoliberali, e degli eurocrati che puntano all’Unione Politica Europea sta prolungando la crisi. Il problema non è economico, è interamente politico.

Ha notato Paolo Savona sul Sole del 22 Dicembre che le ricette deflazioniste – sconfitte alla prova dei fatti – tuttavia hanno vinto sul piano politico. Ma questa ‘vittoria’ comporta alti prezzi politici: una deriva tecnocratico-autoritaria in Europa, e una forte riduzione dei consensi alle istituzioni democratiche nazionali. Perciò un compromesso dovrebbe essere nell’interesse anche dell’establishment, per favorire la vera pacificazione nazionale: quella fra chi non ha lavoro e chi governa. In Italia, si tende a cavalcare le pulsioni maggioritarie, peroniste, e anti-costituzionali nella speranza di contenere gli effetti del calo dei consensi. Ma la Corte Costituzionale ci ricorda che non si può favorire la governabilità a scapito della rappresentanza oltre un certo limite. Bisogna essere davvero miopi per non vedere la fragilità di questo disegno. Meglio sarebbe rappresentare gli interessi del corpo elettorale, e ritrovarne il consenso. Come fare?

Una strada c’è. La Confindustria prevede una crescita dello 0.7% quest’anno e dell’1,2% nel 2015. Sono cifre che non cambiano il quadro generale (…) La nostra proposta è questa. Stabiliamo un obiettivo di crescita del 2% nel 2014 e del 3% nel 2015. Supponendo che, in assenza di politica economica, gli andamenti siano quelli previsti dalla Confindustria, si tratta di aggiungere 1,3% di crescita nel 2014 e 1,8% nel 2015. A parità di politica monetaria e di tasso di cambio dell’euro, l’onere di una accelerazione della crescita ricade sul deficit pubblico. A sua volta la misura del deficit necessario dipende dai moltiplicatori fiscali. Recentemente i moltiplicatori in Italia sono stati pari a circa 1, ma quelli di alcune poste del bilancio – in particolare gli investimenti pubblici, gli acquisti di beni e servizi, i trasferimenti alle fasce in condizioni di povertà assoluta (come le spese sociali studiate dal sottosegretario Guerra per le famiglie più bisognose) – paiono avere valori pari o superiori a 2. 

Sarebbe dunque sufficiente uno stanziamento – rispetto alle cifre di finanza pubblica indicate nella Legge di Stabilità – dell’ordine dell’1% del PIL nel 2014 e del 0,6% nel 2015. L’impatto iniziale degli aumenti di spesa parrebbe portare il deficit dal 2,7% al 3,8% nel 2014 e dal 2,4% al 3% nel 2015. Ma già nel 2014 l’allargamento della base imponibile darebbe un maggiore gettito fiscale e risparmi di spesa, per 0,5% del PIL (deficit al 3,3%) e nel 2015 per 0,7% (deficit al 2,3%). Il rapporto debito/Pil nel 2017, grazie all’effetto sul denominatore, cioè sul PIL, sarebbe inferiore di 3,5 punti percentuali rispetto a quello che si avrebbe in assenza di tale manovra; e vi sarebbero quasi mezzo milione di disoccupati di meno. Inoltre questi scostamenti modesti, rispetto al vincolo del 3%, non farebbero scattare alcuna sanzione nei confronti dell’Italia.

Questo è il minimo che le classi dirigenti devono al paese. Se non lo si vuol fare, si ha il dovere di spiegare il perché.

PierGiorgio Gawronski

Il bitcoin: un paradosso e un atto di fede. Chi ci guadagna?

Il successo dei bitcoin tra gli speculatori non solo è un paradosso ma conferma che dietro la moneta, di qualsiasi tipo essa sia, non c’è nulla di concreto, soltanto un atto di fede.

Iniziamo dal paradosso. All’inizio di gennaio del 2009 compare in rete il bitcoin, nessuno sa bene chi lo abbia inventato, sicuramente si è trattato di uno o più hacker che hanno scelto lo pseudonimo Satoshi Nakamoto. La leggenda vuole che il bitcoin fosse la risposta di costui o costoro alla crisi del credito del 2008, all’uso del denaro pubblico, dei risparmi dei contribuenti per salvare i giganti di Wall Street. Si dice anche che Satoshi, chiunque esso sia, facesse parte del movimento Cypherpunk, nato negli anni Ottanta sulla scia dell’omonimo movimento musicale, che vuole liberalizzare l’informazione e distruggere un sistema basato sul suo controllo e sui privilegi.

La leggenda vuole insomma che Satoshi ed i bitcoin siano pane per il popolo, il primo sicuramente vuole sostituire un sistema equo, trasparente ed accessibile a tutti alla creazione della moneta da parte delle banche centrali, controllate da un élite bancaria che ne è la sola beneficiaria e che ormai governa il mondo – fa eleggere i presidenti, gestisce il Fondo monetario e de facto controlla anche i nostri conti in banca. Il bitcoin è lo strumento attraverso il quale il popolo, o almeno quello che naviga in rete, può riconquistare la sovranità monetaria. Insomma come Prometeo Satoshi ci ha dato il fuoco per conquistare la libertà.

Non è facile in poche parole spiegare il meccanismo attraverso il quale ci liberemo della schiavitù della moneta cartacea stampata dalla Bce o dalla Fed, ma proviamoci. All’origine della creazione dei bitcoin ci sono complessissime formule matematiche che offrono soltanto una soluzione e che non sono reversibili, le hash. Ogni volta che qualcuno ci riesce crea bitcoin, ma prima che l’operazione si concluda c’è bisogno dell’approvazione di tutta la comunità che li maneggia. Ogni soluzione è poi legata a quella precedente ed alla successiva in una catena temporale che è iniziata a gennaio del 2009 e finirà quando tutti i 21 milioni di bitcoin nascosti in rete saranno stati letteralmente ‘estratti’ dal web. Chi si dedica a questa attività infatti lavora come in miniera, così nel gergo si parla di estrazione e di minatori. La concatenazione delle soluzioni, come le vene minerarie, è il filo conduttore della produzione dei bitcoin e garantisce il massimo di trasparenza e di sicurezzacontro la contraffazione.

E veniamo al paradosso: dal 2009 quando è comparso il valore del bitcoin è passato da 0 fino a1200 dollari (il picco dello scorso novembre). Il motivo? La speculazione. E chi specula non sono gli adolescenti che passano la vita in rete o su facebook, neppure gli impiegati ai quali viene tagliato lo stipendio ad ogni manovra finanziaria, ma i giovanotti di Wall Street. Sono nate squadre di minatori pagate dalle grandi banche e finanziarie che usano computer velocissimi e tecniche sempre più complesse per estrarre i bitcoin. Per ora grazie all’aumento della complessità delle soluzioni man mano che si estraggono i bitcoin (siamo a quota nove milioni) ed al sistema di verifica, la creazione dei bitcoin è stabile ma il valore, il valore non fa che salire perché tutti vogliono far parte di questa ennesima speculazione. E chi ci guadagna? I soliti noti.

E veniamo all’atto di fede. Che il valore di una moneta creata in rete da non si sa bene chi, la cui produzione è legata a soluzioni matematiche complessissime che richiedono programmi informatici passi da 0 a 1200 dollari in 3 anni, non sorprende perché rientra nella passione per il gioco d’azzardo che brucia dentro gran parte dell’umanità, e quindi su questo c’è ben poco da dire, ma che questa stessa moneta inizi ad essere usata per gli scambi da individui comuni, ecco questo può essere spiegato soltanto come un atto di fede.

In fondo tutte le monete oggi esistono in base ad un atto di fede che chi le maneggia esprime nel momento in cui le usa per scambiare bene e servizi. Dietro al dollaro o all’euro non c’è una riserva diricchezza, e cioè lingotti d’oro o tonnellate d’argento, ne’ si può parlare di industrie o risorse, come il petrolio o il gas naturale, la creazione di moneta avviene invece attraverso l’emissione del debito, un principio che come la soluzione delle formule dei bitcoin non ha nulla a che vedere con la ricchezza di una nazione, anzi in un certo senso le va contro. E’ però un principio come un altro accettato come undogma religioso da chi queste monete le usa ed in nome del quale, a giudicare dalla storia, si è disposti a tutto.

Riflettiamo su questi principi: nell’immaginario collettivo il dollaro, l’euro come il bitcoin, monete prodotte dal nulla, sono simboli di una divinità monetaria, l’ultimo sicuramente rientra in una categoria sui generis perché potenzialmente tutti noi possiamo farne parte ma de facto solo chi ha strumenti costosissimi e particolari può produrlo. Come le indulgenze medioevali chi stampa o estrae  queste monete si arricchisce, e chi le usa non solo non va in Paradiso ma finisce per impoverirsi.

Il muro delle Sparkassen tedesche:417 CASSE DI RISPARMIO LOCALI CHE TRATTENGONO 1000 MILIARDI DI EURO FUORI CONTROLLO BCE, DI QUESTI , 67 MILIARDI SONO ANDATI A COPRIRE I BUCHI DELLE LANDESBANKEN SPROFONDATE SOTTO I COLPI DEI SUBPRIME
contro una piena unione bancaria

La Germania è riuscita a tenere le sue 417 casse locali, di proprietà pubblica, fuori dai meccanismi di supervisione della Bce. Ma nel complesso questa rete di istituti ha attivi per mille miliardi. Trascurata così la lezione delle Landesbanken, le casse regionali: per salvarle Berlino ha speso più soldi (67 mld) di quelli a disposizione dell'intero fondo di salvataggio Ue

ROMA - I soliti tedeschi che, pur di non correre il rischio di dover sborsare un solo euro per conto di un istituto straniero, stanno sabotando e castrando l'unione bancaria europea, rendendola inutile, se non dannosa? Il giudizio, assai diffuso dopo le ultime contorte trattative sulla futura regolamentazione delle banche europee, è, in realtà, ingeneroso. Nella cocciuta, insormontabile resistenza tedesca ai progetti di integrazione bancaria europea, la diffidenza e l'avarizia non sono gli elementi cruciali. Per i politici di Berlino, di qualsiasi colore, si è trattato soprattutto di difendere un intero sistema politico: quello costruito e alimentato dalle Sparkasse, le Casse di risparmio.

Le 417 Sparkassen sono, insieme, il sale e il lubrificante della politica tedesca. Di proprietà pubblica, riversano al pubblico i loro profitti, ma, soprattutto, con le loro attività locali di beneficenza finanziano molte delle più vistose iniziative (dalla squadra di calcio al parco per bambini) delle amministrazioni locali nonché il grosso delle imprese locali. Chi ricorda le Casse di risparmio italiane della prima Repubblica ha un'idea dell'intreccio strettissimo che, attorno a questi istituti, si crea fra politica locale, nazionale e finanza. Su questa trincea, i politici tedeschi non hanno ceduto un centimetro. Un fondo comune europeo di assicurazione dei depositi non si farà, perché le Sparkassen non vogliono rinunciare al loro fondo di categoria e non vogliono che i loro soldi vengano utilizzati

per salvare banche estranee. Le regole europee sulle riserve obbligatorie di capitale per loro non saranno applicate, consentendo alle Sparkassen di risparmiare miliardi di euro. Infine, continueranno ad essere sorvegliate da controllori tedeschi e non da quelli della Bce. Berlino ha infatti ottenuto che gli uomini di Draghi si occupino solo di banche con più di 30 miliardi di euro di attivo, soglia che supera una sola cassa di risparmio (quella di Amburgo).

Non è un'esclusione marginale, perché, tutte insieme, le Sparkassen hanno attivi per mille miliardi di euro, su un totale, per tutte le banche europee, di 27 mila miliardi: stiamo quindi parlando del 3-4 per cento dell'intero sistema bancario europeo. Inoltre, il trattamento preferenziale delle Sparkassen ha fondamenta assai poco solide. Le banche sono tenute ad una gestione prudenziale ed agiscono solo a livello locale, ma questo non ha impedito, negli Usa di Reagan o nella Spagna di questi anni, crisi drammatiche di istituti del tutto analoghi. Basta che esploda una bolla immobiliare e i tassi d'interesse salgano all'improvviso: improbabile oggi, ma non domani. Infine, l'anello debole del sistema è la sua proiezione extralocale: le Landesbanken, emanazione, insieme, delle Sparkassen e dei governi regionali. E' attraverso le Landesbanken che lo sbandierato localismo delle Sparkassen si affaccia sui mercati internazionali.

Con esiti che sono stati disastrosi. Le Landesbanken sono state fra i protagonisti negativi della bolla dei subprime e ne sono state travolte. Poiché fanno parte del sistema Sparkassen è intervenuto l'apposito fondo di salvataggio (quello preservato nei confronti della futura unione bancaria). Ma le Landesbanken erano troppo grosse ed è dovuto intervenire il governo di Berlino. Sborsando, per il salvataggio di queste medie banche regionali, dalle tasche dei contribuenti tedeschi, ben 67 miliardi di euro. Ora, per capire perché molti pensano che l'unione bancaria che verrà trionfalmente presentata la prossima settimana sia solo una scatola vuota, basta confrontare quei 67 miliardi con le disponibilità teoriche massime del fondo di salvataggio europeo (quello che si deve confrontare con 27 mila miliardi di attivi): 55 miliardi di euro. E neanche subito. Fra dieci anni.

 

Debito pubblico, chi lo crea sta

mpando moneta e chi lo paga con le tasse

Nel 2014 diventerà operativo il fiscal compact, per chi voglia rinfrescarsi la memoria ecco la definizione che riporta Wikipedia:

“Il Patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, conosciuto anche con l’anglicismo Fiscal compact(letteralmente riduzione fiscale), è un accordo approvato con un trattato internazionale il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri dell’Unione europea, entrato in vigore il 1º gennaio 2013.”

L’accordo contiene le regole d’oro della gestione fiscale degli stati membri, tra queste c’è l’impegno del nostro paese a ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil al 60 per cento attraverso una maxi manovra finanziaria all’anno per i prossimi 20 anni, la prima avverrà quest’anno. Dato che al momento questo rapporto supera il 132 per cento (equivalente a 2080 miliardi di euro circa) bisogna ridurlo di almeno 900 miliardi di euro, il che equivale a circa 45 miliardi l’anno per due decadi. Per chi voglia cifre aggiornate al nano secondo sul debito pubblico qui trovate dove il conteggio avviene in tempo reale. 

Naturalmente nel dibattito italiano non si parla del fiscal compact, ma di questo non dobbiamo sorprenderci, se ne parlerà a josa quando bisognerà tirar fuori i soldi per rispettarlo, tra qualche mese. In pratica il pagamento dei 45 miliardi avverrà o attraverso l’aumento delle tasse o attraverso la contrazione della spesa pubblica, che può comprende sia la riduzione dell’occupazione che dei salari pubblici, o in tutti e due i modi. Morale: saremo più poveri perché dobbiamo tirare la cinghia ulteriormente per ridurre il volume totale dei nostri debiti.

La prima domanda da porre ai lettori di questo giornale ed a tutti coloro che commentano quasi religiosamente i suoi articoli è la seguente: a chi dobbiamo restituire questi soldi? La risposta più semplice è la seguente: alla banche straniere che ce li hanno prestati. Ma dal 2011 in poi la percentuale delle banche straniere nostre creditrici è scesa ed oggi è inferiore al 40 per cento. Chi ha in portafoglio gran parte del nostro debito pubblico sono le banche italiane, tra le quale c’è anche il Monte dei Paschi, che deve allo Stato, e cioè a noi poveri debitori, 4 miliardi di euro.

Creditori e debitori sono le stesse persone, direte voi, perché fanno tutti parte dello Stato, della collettività. Ma questa spiegazione non è del tutto corretta perché né lo Stato dei contribuenti né le banche nazionali controllano la massa monetaria, detto in parole povere, non stampano moneta. Entrambi la ricevono dalla banca centrale attraverso il debito. Assurdo? Succede in quasi tutto il mondo a pare qualche eccezione, come la Svezia e la Cina dove la banca centrale è di proprietà dello Stato, quindi si potrebbe dire che la collettività si indebita con se stessa.

La Banca Centrale Europea è l’unico organismo che ha il diritto di stampare moneta, lo dovrebbe fare secondo parametri fissi ma data la crisi Draghi è riuscito ad aggirarli ed è lui alla fine che stabilisce quanta moneta cartacea si stampa. Da notare che nessuno di noi europei lo ha eletto. La Bce è una banca privata, di proprietà degli azionisti delle banche centrali dell’Eu, tutti enti ed organismi non statali, tra costoro ci sono anche alcune delle nostre banche.

Come funziona il meccanismo? La Bce crea dal nulla euro, nel gergo comune trasforma carta straccia in banconote, questi soldi vengono dati in prestito, oggi a tassi vicini allo zero, alle banche di Eurolandia. Con questi soldi le banche acquistano i buoni del Tesoro dello Stato con i quali i governi nostrani ripagano ogni anno solo gli interessi sul debito pubblico, di più infatti non si riesce a fare. Idealmente questi soldi dovrebbero alimentare l’economia e farla crescere: prestiti all’industria, per l’innovazione o per le opere pubbliche ecc. La crescita economica dovrebbe far aumentare il gettito fiscale con il quale ripagare il prestito. Ma non è così nel nostro caso, e questo lo sanno tutti ormai, l’austerità taglia le gambe alla crescita quindi il circolo virtuale appena descritto diventa un circolo vizioso di impoverimento.

Il punto cruciale su cui i lettori di questo giornale dovrebbero riflette è il seguente: perché la Bce e non lo Stato o l’Ue ha il diritto di produrre dal nulla il bene denaro? E perché i contribuenti in crisi di Eurolandia devono ripagare questo bene creato dal nulla, in un momento in cui per farlo si rischia di finire nella depressione economica, alla Bce – tutti i soldi alla fine lì infatti finiscono dato che la banca centrale, ed i sui azionisti privati, sono il solo creditore dell’intero sistema? Dato che dietro gli euro, come dietro qualsiasi moneta cartacea non c’è nulla, ma solo la fiducia di chi queste banconote le continua ad usare indebitandosi, cioè noi, e dato che il diritto a stampare moneta dal nulla alla Bce glielo abbiamo dato noi, cittadini di sistemi democratici, attraverso la delega ai nostri governanti, perché non azzerare questo debito e ripartire da zero? In passato ciò è avvenuto con le guerre, oggi si potrebbe farlo per evitarle.

 

Fed, Bce e il controllo democratico delle banche centrali. Si può disturbare il conducente?

Il dibattito pubblico su euro, Europa e Bce si fa sempre più petulante e ripetitivo: da un lato, ci sono quelli “che la BCE non stampa moneta perché è in mano ai tedeschi”, dall’altro quelli “che senza l’euro siamo tutti morti”. La classica discussione all’italiana tra sordi, insomma.

Si dovrebbe parlare d’altro.
Potremmo ad esempio discutere di quali debbano essere le forme di controllo democratico sull’operato della Banca Centrale Europea e, soprattutto, chiederci se sia giusto delegareall’opaca diplomazia europea la nomina dei suoi vertici.

Vediamo perché.

Dal 2007 al 2013 sia la BCE, sia la Fed (banca centrale americana, n.d.r.) hanno combattuto i devastanti effetti della crisi dei subprime con l’arma della politica monetaria: una produzione di nuovo denaro senza precedenti nella storia dell’economia occidentale, che ha cambiato decisamente il modo di intendere il governo della moneta. Per apprezzare meglio la dimensione del fenomeno, vi prego di dare un’occhiata al grafico qui sotto, che espone l’andamento di M2 (indicatore di riferimento per misurare l’offerta di moneta) tra il 2007 e il 2013:

politica-monetaria

Non facciamoci ingannare dalla derivata piuttosto simile delle due curve.

Pur essendo entrambe crescenti, le scale di valore raccontano due storie diverse: mentre l’offerta di moneta nell’area euro aumenta del 39%, negli Stati Uniti il progresso è del 57% e una bella parte dello scarto matura da fine 2011 in poi.

Il dato è ancora più interessante se riletto alla luce dell’andamento dell’economia reale dei due sistemi, illustrato da quest’altro grafico: 

politica-monetaria1

Come si può osservare facilmente, le due curve di evoluzione del Pil sono praticamente incollate l’una all’altra nella primissima fase della crisi e fino alla fine del 2011; in seguito i due trend si disallineano in maniera radicale, con gli Stati Uniti avviati a una ripresa economica stabile e l’Europa ancora in affanno.

Non ci vuole un esperto per capire che c’è una relazione tra l’andamento nettamente migliore dell’economia americana e la politica monetaria più coraggiosa della Fed.

Perché la BCE si è comportata così?

Normalmente i sostenitori del modello tedesco di banca centrale difendono l’atteggiamento della BCE sottolineando il rischio di inflazione e sventolando il vincolo di mandato che obbliga Mario Draghi a non superare la fatidica soglia del 2% di incremento dei prezzi. Eppure la realtà dei fatti dice che il rischio di un’inflazione eccessiva è piuttosto lontano. Anzi: alla fine del 2013, l’area Euro si trova davanti alla concreta prospettiva di deflazione, mentre gli Usa mostrano una dinamica dei prezzi decisamente più sana.

La realtà è che la BCE ha fatto (e continua a fare, ogni giorno) una precisa scelta politica: avere una moneta forte che favorisca le importazioni a buon mercato, tenere alta la pressione sui salari e ricercare la competitività internazionale attraverso la leva della produttività e rifiutando quella della svalutazione.

E allora torniamo all’interrogativo iniziale: è giusto che questa scelta politica (il cui prezzo è peraltro pagato in misura maggiore dalle economie deboli dell’Eurozona) non sia sottoposta ad alcun sindacato democratico? E’ giusto che la politica monetaria sia derubricata a questione meramente burocratica e delegata a funzionari che non rispondono a nessuno?

Io, francamente, lo trovo assurdo.

Come trovo assurdo l’intero impianto ideologico della BCE, frutto di una filosofia “ipertecnicista” secondo la quale le questioni monetarie vanno protette dalla perniciosa influenza della politica e dalle pressioni dell’elettorato.
Cosa deriva da questa impostazione? Prima di tutto ne deriva il mito “dell’indipendenza del banchiere centrale”: il banchiere centrale non è un mandatario del Governo o del popolo, ma agisce nel superiore interesse della stabilità dei prezzi.

Divertente vero? Ve la immaginate “la stabilità dei prezzi” che chiama al telefono Draghi e lo sgrida perché sta facendo male il suo mestiere? Ce la vedete “la stabilità dei prezzi” che si lagna del fatto che la Fed funziona meglio?No.

Succede invece che, per il principio dell’horror vacui, quella BCE che non risponde ai governi, ai Parlamenti e alle altre istituzioni democratiche, finisce per rispondere solo a sé stessa, esponendosi alla gravissima responsabilità di decidere senza alcuna legittimazione il futuro di milioni di cittadini.

Mi pare che questo sia esattamente ciò che è successo nell’ultimo quinquennio: andando per la maggiore il pensiero economico di matrice rigorista, la BCE ha perso una straordinaria occasione di intervento, non approfittando di questi anni di inflazione contenuta. La frigidità dei nostri banchieri centrali ci ha costretto, da un lato, a subire gli effetti negativi della concorrenza cinese (aziende che delocalizzano, disoccupazione) e, dall’altro a rinunciare a una politica monetaria molto più aggressiva che avrebbe favorito una crescita a inflazione bassa (proprio grazie alla pressione sui prezzi di quella stessa concorrenza cinese).

Ma, ribadisco, non mi preme tanto criticare la BCE: mi preme di più mettere in luce la gravissimacarenza di legittimazione democratica di chi ha fatto quelle scelte (sbagliate). Queste persone non rispondono a nessuno, non possono essere sfiduciate, non si ripresenteranno alle prossime elezioni.

E’ giusto?

Gli americani, ad esempio, non la pensano così.

E, a tal proposito, concludo raccontandovi un esemplare episodio accaduto dall’altra parte dell’Atlantico: a maggio 2013 Ben Bernanke (governatore della FED) annuncia a sorpresa che la banca centrale americana potrebbe a breve adottare una politica monetaria meno lassista. La dichiarazione determina un’improvvisa impennata dei rendimenti del debito pubblico e mette in difficoltàObama. Dopo circa un mese, quando si comincia a discutere del possibile rinnovo dell’incarico dello stesso Bernanke (in scadenza a gennaio 2014), Barack Obama dichiara:“Credo che Bernanke sia stato Governatore più a lungo di quanto volesse”.
Aplomb anglosassone, ma messaggio chiaro, che tradurrei così: “Caro Bernanke, la politica monetaria la decido io, poiché il popolo ha eletto me. Accomodati fuori, grazie”.
Risultato del dibattito? Il nuovo Governatore della Fed sarà Janet Yellen, signora di sinistra e notoriamente favorevole alla politica monetaria ultra-espansiva degli ultimi anni. 
Ben Bernanke, invece, tornerà a fare l’insegnante.

Irlanda, lo scudo anti-spread ora pare un bluff

L’Irlanda prova a rinascere e vuole farcela da sola, basta con la troika Ue-Bce-Fmi e niente sostegno dal Fondo salva Stati Esm. Per l’Italia non è una buona notizia. La Tigre celtica è stata travolta nel 2008 dalla crisi delle sue banche, salvate da uno Stato che ha visto il debito pubblicopassare dal 36 per cento del Pil nel 2007 all’86 per cento del 2012.

Nel 2010 Dublino ha chiesto il salvataggio europeo tramite il fondo salva Stati Efsf: 85 miliardi per un Paese che non poteva finanziarsi al tasso da strozzinaggio chiesto dal mercato, il 7 per cento. In tre anni di sacrifici l’Irlanda ha rimesso in discussione tutto tranne la tassazione agevolata che le permette di fare dumping fiscale attirando la sede delle grandi multinazionali, che così sottraggono gettito ai Paesi in cui operano (tipo l’Italia). Oggi la ex-Tigre celtica è l’allieva prediletta delle istituzioni europee: nel 2013 il suo deficit è al 7,4 per cento, il prossimo anno sarà il 5 e quello dopo l’agognato 3 fissato da Maastricht, la crescita è ripartita (piano), +0,5 quest’anno, +1,7 e +2,5 in quelli successivi. Sui mercati lo Stato si finanzia alla metà del tasso di cinque anni fa, un comodo 3,5 per cento. Per Bruxelles il fatto che il tasso di disoccupazione resti molto alto, nel 2015 sarà ancora l’11,7, è un dettaglio secondario.

Il premier Enda Kenny ha annunciato che, quando a dicembre 2015 l’Irlanda uscirà dal programma di aggiustamento, non chiederà la “linea di credito precauzionale” dal fondo salva Stati Esm. Cioè quello strumento che in Italia abbiamo sempre chiamato“scudo anti-spread”, un intervento di sostegno dal fondo salva Stati con acquisti di titoli di debito sul mercato secondario (o direttamente alle aste) come premio ai Paesi che hanno fatto le riforme, senza sottoporsi alle richieste umilianti e terribili della troika. L’intesa al Consiglio europeo di giugno 2012 e poi le operazioni OMT annunciate dalla Bce di Mario Draghi prevedevano la possibilità anche per i Paesi virtuosi, ma con conti difficili (l’Italia), di beneficiare di un sostegno europeo presentandolo ai mercati come unpremio, invece che un salvataggio. Alla Bce non sarebbe dispiaciuto chel’Irlanda chiedesse la linea di credito: tutta l’architettura di difesa dell’euro di Draghi ne sarebbe uscita rafforzata. Invece niente. Lo “scudo” è soltanto quello che si temeva: non quadro di premi e punizioni, ma un piano di emergenza che, in caso di utilizzo vero potrebbe rivelare le sue fragilità.

Un bluff che è meglio non andare a vedere. La mossa dell’Irlanda lascia quindi l’Italia più scoperta, la fragile corazza che ci eravamo illusi di avere attorno è carta velina. Per fortuna i mercati, distratti dalla liquidità immessa dalle Banche centrali, sembrano non essersene accorti.

LA NECESSITA' IMPROROGABILE DI RIDISCUTERE I PATTI

I dati ormai parlano chiaro e solo una disastrosissima classe dirigente italiota,che il popolo non riesce e non vuole scrostarsi di dosso,si ostina a rifiutare millantando fantasie senza senso.

I dati sul PIL appena usciti, la crisi annunciata dell’INPS (dopo Alitalia Telecom Finmeccanica ecc.), il nuovo record della disoccupazione e del debito pubblico, la forte deflazione dei prezzi alla produzione, descrivono uno scenario di graduale asfissia economica. La crisi dell’Eurozona sta portando alla disperazione decine di milioni di Europei: tra questi, sei milioni di italiani che vorrebbero lavorare ma non trovano lavoro. Si tratta di una crisi strutturale: perciò a politiche vigenti essa è destinata a trascinarsi a indefinitamente. Gli effetti di isteresi sull’offerta aggregata consolideranno definitivamente, nei prossimi anni, il crollo di civiltà in atto nei paesi Mediterranei. 

L’Euro venne varato senza che vi fossero le condizioni perché i paesi aderenti potessero condividere una moneta unica. I padri dell’Euro speravano che in corso d’opera opportune riforme istituzionali avrebbero creato tali condizioni. Ma tali riforme (ammesso che siano sufficienti) non sono mai state fatte. Anche dopo l’esplosione della crisi, l’Europa si è limitata ad adottare:

  • provvedimenti tampone;

  • misure minime, al limite della violazione dei Trattati Europei, strettamente necessarie per evitare il crollo dell’Euro, senza correggere i Trattati;

  • modifiche ai Trattati inadeguate e controproducenti.

Insomma, i progressi istituzionali sono stati deludenti.Ad oggi chi ne ha beneficiato è la Germania e l'Europa del Nord: i secondi mantenendo una socialdemocrazia ad ogni costo con la compressione estrema della dinamica salariale a fronte di uno stato sociale finanziato per oltre il 50% dell'imponibile, contrazione adottata dai tedeschi sotto il cancellierato Schroeder, che ereditava i costi ingenti dell'Unificazione tedesca del 1990. Ancorando poi l'euro ad una valuta forte come il marco, il risultato è stato che la Germania sola ha beneficiato di una valuta pesantissima che grazie alla compressione interna ha finito per generare un SURPLUS COMMERCIALE AD OGGI DI QUASI 1800 MILIARDI DI EURO !! Uno "sterminio" economico che ha finito per massacrare tutte le economie tipiche d'esportazione di paesi che non hanno alcuna materia prima interna, come Italia,Spagna,Portogallo,Grecia,Irlanda fino ad allora scudate da monete nazionali deboli. Se in PIIGSF la crescita della produttività accelerasse, non è detto che ciò determinerebbe un recupero di competitività sulla Germania. Perché nel frattempo la produttività tedesca non si ferma. Dunque non può essere questo il meccanismo di riequilibrio: non esiste al mondo. Anche perché trasformerebbe l’Eurozona in una micidiale macchina per sopprimere i diritti dei lavoratori. (Guarda caso…). In ogni caso, in Germania l’aritmetica è… un’opinione?! Non tutti i paesi possono avere simultaneamente un avanzo commerciale. E per recuperare competitività la Germania nel 2000-08 beneficiò di un’inflazione al 3-4% in PIIGSF, mentre oggi l’inflazione tedesca è all’1,4% e non ci lascia margini. In ogni caso, il surplus commerciale tedesco è illegittimo (accordi G20), devastante perciò immorale. La Germania potrebbe crescere come tutti i paesi del mondo avvalendosi della domanda interna. Ai tedeschi è riuscito con il sorriso e lo spread ciò che è sprofondato con le panzer divisioni di Hitler. Il dominio economico tedesco ha un pesante riflesso politico con i Trattati europei d'acciaio non modellabile. Peggio ancora, a peggiorare l’assetto normativo dell’Eurozona grazie alla preminenza finanziaria acquisita: essa rende gli altri paesi vulnerabili e perciò sensibili a minacce ed incentivi, dunque all’influenza politica dei paesi in surplus. Perciò l’alleanza fra Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, e Francia non è mai nata. Lideologia macro-liberista è molto forte in Europa: e porta a negare le analisi e le evidenze empiriche che smentiscono la bontà delle politiche, degli assetti istituzionali, e della filosofia di cui l’Eurozona è impregnata.

Non che la crisi sia stata provocata: ma non deve essere risolta se non facendo funzionare il meccanismo di flessibilizzazione dei prezzi (quindi dei salari) e di riduzione della spesa pubblica: sono questi i Valori Prioritari, rispetto ai quali la disoccupazione e il PIL diventano non solo secondari, ma strumentali.

La crisi in atto è dunque fondamentalmente politica. La Storia ci insegna come finiscono crisi di questo genere. Negli anni “30, un’intera classe dirigente di politici, banchieri centrali, diplomatici, funzionari, economisti, ecc., aveva legato il proprio cuore e il proprio destino al gold standard. Ma fu proprio l’abbandono del gold standard a consentire la fine della crisi. Eppure, l’establishment fino alla fine lottò per conservare il sistema aureo. L’Inghilterra fu espulsa (per sua fortuna) dai mercati, a causa dell’assenza di un lender of last resort internazionale; ma la BCE è stata costretta ad accettare, più o meno, questo ruolo nel Luglio 2012, il che ha escluso tale evenienza. In altri casi, fu necessaria la grande vittoria politica di un leader nuovo (Roosevelt, Hitler), determinato a mettere fine alla crisi, a costo di ‘provarle tutte’, anche sconvolgere gli equilibri esistenti. Tali vittorie politiche richiedono: disoccupazione di massa; e una democrazia che lasci qualche possibilità agli outsiders. L’establishment europeo sta cercando di impedire l’insorgere di tali condizioni: applicando un po’ di flessibilità al paradigma dominante; costituzionalizzandolo; e prevedendo penalità per chi dovesse abbandonare l’Eurozona (l’uscita dall’Euro è vietata).Ora la Commissione, vista l’aria che tira, fa la voce grossa con la Germania. Ma si tratta sempre di un’ammoina: il limite per il surplus dei conti con l’estero è stato fissato a uno stratosferico 6% del PIL. La Germania viaggia fra il 6 e il 7% da alcuni anni. Ma un surplus tedesco al 5,9% non cambierà granché. Ora la BCE spiega che ha tutti gli strumenti a disposizione per evitare la deflazione: se necessario, interverrà.Dunque la BCE dice che è perfettamente in grado di attenuare la depressione, ma non muoverà un dito a meno che l’inflazione non diventi negativa. Com’è possibile accettare una Banca Centrale i cui obiettivi politici sono così contrastanti con quelli della società?

COLLABORAZIONISMO E CESSIONE DI SOVRANITA' POLITICA,ECONOMICA E MONETARIA:dal Cavaliere di Arcor al Quisling Letta

L'italia così come la conosciamo fuoriusciva dopo due anni di occupazione del Centro -Nord da parte della Germania nazista e del Sud da parte degli Alleati. Sconfitta nel fascismo con la defenestrazione del Duce del 20 luglio 1943,ad opera dei suoi stessi accoliti in camicia nera coadiuvati dal re d'Italia - che poi prese a scappare a Brindisi una volta firmato l'armistizio il 2 settembre 1943, responsabile di aver trascinato un paese fragilissimo in una guerra di massa,la penisola cercò il riscatto nella guerra partigiana di retrovia che non sortì tuttavia l'effetto di indurre una sollevazione di massa contro l'occupante nazista prima della vittoria Alleata finale contro la Germania. Anzi:l'Italia, in relazione alla ferocissima campagna di bombardamento alleato del territorio del  Reich, divenne una preziosa leva produttiva per i nazisti che pareggiavano gli ammanchi in patria con il lavoro delle fabbriche italiane. Per espressa volontà americana, l'Italia,all'indomani dello sbarco ad Anzio, che aggirava la noce di Cassino,divenne fronte secondario,col risultato di trascinare la guerra per altri due anni volendo sfondare il Reich da ovest e da est piuttosto che da sud. Il 2 maggio 1945 i plenipotenziari tedeschi firmavano la resa incondizionata delle truppe tedesche sul territorio italiano e da quel momento le potenze vincitrici, ad eccezione dell'URSS,stabilirono la propria sfera di influenza.  Sostanzialmente l'Italia, pur essendosi sganciata due anni prima dal crollo del nazismo e pur avendo combattuto una guerra di retrovia,all'interno degli Accordi di Jalta,veniva trattata come una semplice colonia e da colonia aderì, dopo l'espulsione dei comunisti dalla compagine governativa ed all'indomani della vittoria della DC alle elezioni democratiche del 1948, al Patto Atlantico che entro la cornice della difesa contro l'espansionismo sovietico, stabiliva il controllo statunitense dell'intera politica italiana soprattutto in relazione all'esistenza del più grosso partito comunista occidentale.La disintegrazione dell'URSS e del Patto di Varsavia non liquidò affatto l'Alleanza Atlantica che anzi prese ad espandersi proprio in Europa Orientale dando modo agli USA di aumentare il potere di controllo politico dell'area in relazione alla globalizzazione dei mercati che ponevano all'orizzonte nuovi "nemici" come le Tigri Asiatiche (Cina,Vietnam,Singapore,Malesia,Indocina) ed i paesi ricchi di petrolio che contrastavano l'ingerenza statunitense(Iran,Iraq,Siria,Libia). Il disastro delle Torri gemelle di New york,con parziale danneggiamento del Pentagono a Waschington, del settembre 2001 diede il via alla strategia dell'attacco preventivo statunitense contro i così detti "stati canaglia":prima l'Afghanistan e poi l'Iraq nel giro di due anni furono investiti dalla potenza di fuoco nord americana, il tutto affiancata dal codicillo di colonie del Patto Atlantico secondo quelli che sono i precetti dello stesso in quanto gli USA vengono considerati potenza attaccata senza alcuna dichiarazione di guerra da parte di alcuna nazione !!! La guerra planetaria ed il controllo portarono ben presto gli USA sull'orlo del tracollo economico che non tardò a palesarsi col crollo del colosso bancario Lemhan Brother, punta di un gigantesco Iceberg costituito da centinaia di miliardi di dollari di debiti basati sulla così detta cartolarizzazione dei mutui immobiliari.La crescita abnorme dei contratti derivati da mutui insolventi generò uno spaventoso effetto domino su tutta l'economia mondiale che improvvisamente si contrasse a tal punto da portare il governo nord americano ad un soffio dalla bancarotta con ben due occupazioni da finanziare. L'onda lunga della crisi non tardò ad investire anche l'Italia che con i governi propagandistici finto imprenditoriali non adotto' alcuna misura di contrasto e difesa dal crollo finanziario. Il paese, già infiacchito nei debiti da una unione monetaria che impose un pesantissimo cambio 1 a 2000 contro il marco tedesco trasformatosi in euro,venne pesantemente travolto nelle finanze nell'estate del 2011 ed il 5 agosto dello stesso anno la Banca Centrale Europea spedì al governicchio Berlusconi una Lettera d'intenti ovvero di obblighi del governo da attuare CHE SANCIVA LA CESSIONE DI SOVRANITA' ECONOMICO-FINANZIARIA DELL'INTERA NAZIONE ALL'EUROPA in cambio del mantenimento in vita artificiale. Saccomanni, qualche tempo fa, si lasciò sfuggire una frase "Bisogna dire la verità agli italiani". Si riferiva allo sfascio economico. Poi è rimasto in silenzio, in attesa di essere cacciato dal governo. Da allora ogni giorno è in bilico. Nel frattempoCapitan Findus Letta racconta le sue menzogne agli italiani. Sposta sempre la linea della ripresa più in là, mentre il Paese sprofonda con bollettini quotidiani di guerra vera, di deserto delle aziende, degli investimenti. Questo doppio registro, l'Italia che viene distrutta dalla mancanza di una politica economica e le falsità di Letta propagandate dai giornali e dalle televisioni ha assunto ormai una dimensione grottesca, fumettistica. Letta interpreta una nuova parte della Commedia dell'Arte, il Mentitor Cortese. Ogni sua dichiarazione si è dimostrata falsa come un soldo bucato, ma lui, imperterrito, continua con le sue fandonie. Ora vede la luce nel 2013, ora un po' più in là, alla fine del 2014. Questa rappresentazione stucchevole di un ometto graziato dalla sorte e politico a carico dei contribuenti dalla nascita (non ha mai fatto altro nella vita, eoni fa, nel 1998 è stato ministro per le politiche comunitarie del governo D'Alema) ha però un suo significato, quello di garantire gli interessi dei nostri creditori internazionali, in primis la Germania. Non sarà sfuggito che Capitan Findus ha quasi speso più tempo all'estero dalla sua elezione che in Italia a farsi accreditare dalle segreterie internazionali. Come Rigor Montis prima di lui, Letta rappresenta l'assicurazione che l'Italia onorerà i debiti contratti dalle nostre banche attraverso la BCE e i rimborsi dei titoli pubblici e degli interessi. E' il novello Quisling italiano, il collaborazionista norvegese al servizio dei nazisti durante l'ultima guerra mondiale. Il suo è un governo fantoccio che rappresenta gli interessi di Stati stranieri e non dell'Italia. La cassa integrazione in deroga è al collasso,350mila lavoratori sono senza sussidio da nove mesi. Le partite Iva sono crollate dal 2008 al giugno del 2013 di 400mila unità. Disoccupazione fuori controllo, debito pubblico esplosivo, chiusure di negozi e piccole e media imprese come se piovesse. Il disastro Italia assomiglia a un bombardamento quotidiano dove a una cattiva notizia ne succede una pessima. Quisling Letta non ha fatto nulla per risollevare il Paese. Gli ordini li prende dall'estero. E' un procuratore fallimentare che deve garantire i creditori. Quanto potremo andare avanti così? A venderci persino le spiagge? Due misure sono improrogabili. Vanno tagliati gli sprechi, le spese inutili che ammontano a circa 100 miliardi. Queste voragini nel bilancio dello Stato non possono però essere eliminate da chi ne gode i benefici, dai partiti e dai Letta, che appunto per questo vanno mandati a casa. Vanno rinegoziati con la UE il tetto del 3% che ci strangola, che va superato da subito per gli investimenti in attività produttive, ristrutturato il nostro debito, cancellati gli impegni impossibili assunti con il Fiscal Compact con nuove tasse per 50 miliardi all'anno per vent'anni, una pazzia. Primum vivere, prima gli interessi nazionali.Ma non finisce quì: oltre agli sprechi dovuti ad una classe politica sconfinata nei numeri e nei costi, esistono montagne di miliardi dirottati in opere infrastrutturali senza senso come il TAV Torino-Lione. Questa linea ferroviaria inutile rappresenta il PRIMO CASO EUROPEO DI CESSIONE INFRASTRUTTURALE DI SOVRANITA' A LATERE DI QUELLA POLITICA-ECONOMICA-FINANZIARIA TRATTEGGIATA FINO AD ORA. "Quando si tratta di TAV il Governo è un treno: il 20 novembre c'è l'incontro con la Francia e occorre convincere i francesi a proseguire un'opera sulla quale hanno espressoconcrete perplessità. In Italia s'ha da fare, per i soliti oscuri interessi, e quindi ci si dispone a tutto pur di forzare la mano alla Francia. Anche a cedere la nostra sovranità ai cugini d'oltralpe: sulla tratta italiana vigerà la legge francese. Un treno extraterritoriale! E ciò torna assai comodo alle imprese italiche, perché i francesi non chiedono certificati antimafia. Si sta seguendo una prassi pazzesca per simulare di corsa l'approvazione del Trattato: se ne ratifica mezzo. Cioè si vota alla Camera, e si presenta poi ai francesi senza che sia passato al Senato. Una cosa inaudita e del tutto anticostituzionale. Nessuna Commissione parlamentare se ne è mai occupata: il Ministro Lupi ha accentrato su di sé ogni decisione. Chissà di quali interessi è garante. Il M5S ha presentato ben 1082 emendamenti all'obbrobrioso impiccio chiamato "Trattato". Glielo faremo sudare."

IL MODELLO CIPRO ESTESO A TUTTA EUROPA AD USO E CONSUMO DELLA MERDOSA GERMANIA

Il futuro dell’Unione Bancaria europea si decide in questi giorni tra Bruxelles e Francoforte. Un altro pezzo di sovranità nazionale ci abbandona senza il parere degli italiani ALL'INDOMANI DELLA FAMOSA E MISCONOSCIUTA LETTERA DELLA BCE DEL 5 AGOSTO 2011. Cosa contano ormai gli italiani?
L’Euro ci ha sottratto sovranità monetaria, l’Unione Bancaria
 ci sottrarrà sovranità bancaria, la funzione primaria della banca, la tutela del risparmio. E si tratta di un diritto sacrosanto scolpito nell’articolo 47 della nostra Costituzione: "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito"... Ma cosa conta ormai la Costituzione?
La nostra economia è strozzata dalla scarsa liquidità erogata da un sistema bancario che, a sua volta, è strozzato da 140 miliardi di euro di sofferenze e da una BCE sempre più minacciosa con lo "stress test" del 2014, sui bilanci bancari nei quali per la prima volta verrà inserito il rischio di titoli di Stato. Un esame che, per essere superato, costringerà le banche italiane a rastrellare miliardi di euro di nuova liquidità sul mercato.
L'Unione Bancaria aveva all'inizio due obiettivi positivi, ha fatto l'opposto. L'Unione doveva sia ricapitalizzare le banche in difficoltà per evitarne il fallimento che spezzare il legame perverso tra banche e Stati dovuto al debito pubblico nei bilanci bancari con la condivisione del rischio a livello UE. E, per inciso, le banche italiane traboccano di oltre 400 miliardi di nostri titoli.
Dopo due anni di dibattiti la vincitrice è sempre la Germania. La Merkel vuole infatti solo mettere tempo e ostacoli tra il fallimento di una banca in Europa ed il rischio che i tedeschi debbano pagarne il prezzo, ECCEZION FATTA PER IL FALLIMENTO DELLE SUE MERDOSISSIME BANCHE FEDERALI, LE BANKLANDEN, RIFOCILLATE IMMEDIATAMENTE DA BERLINO CON 100 MILIARDI DI EURO PRELEVATI DALLE BANCHE LOCALI TEDESCHE ESCLUSE MOTU PROPRIO DAL CONTROLLO INTEGRATO BANCARIO. La lista delle vittorie tedesche sancita nel summit della scorsa settimana a Bruxelles è lunga.
Ci sarà un fondo europeo comune per la ricapitalizzazione delle banche in crisi che verrà costituito con contributi delle banche stesse. Però... Tale contributo inizierà solo nel 2016 e sarà completato nel 2026. Alla fine di questo periodo il salvadanaio che le banche avranno costituito per tutelare loro stesse sarà di appena 55 miliardi di euro. Meno di 1% del totale dei bilanci delle banche coinvolte. Per capire l’esiguità della cifra si pensi che dall’inizio della crisi i cittadini europei, attraverso gli Stati, hanno sostenuto salvataggi bancari per circa 550 miliardi.
Cosa succederà se da qui al 2026 una banca dovesse trovarsi in difficoltà? In caso di fallimento saranno coinvolti i gli obbligazionisti (bail-in) e i depositi superiori a 100mila euro. Dopo aver applicato il bail-in minimo dell’8%, gli Stati potranno fare ricorso a fondi pubblici, ma solo dietro autorizzazione di Bruxelles.Rischiamo di non avere neppure il diritto di nazionalizzare MPS, o altre banche prossime al fallimento, ed essere costretti a venderle allo straniero per un piatto di lenticchie,cosi' come e' gia' stato fatto per la banca d'italia nel silenzio assoluto.("Le quote della Banca di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari. Attraverso il decreto sulla rivalutazione delle quote della banca di Italia, per avere 900 milioni di Euro senza sforare il tre per cento del deficit. Ne regaleremo 450 all’anno agli azionisti della Banca di Italia, che come sapete sono privati.Il mostro in passato è stato in qualche modo limitato, perché? Perché la ripartizione degli utili prodotti dalla Banca di Italia è sempre stata riservata in minima parte ai suoi azionisti privati, non più dello 0,5 per cento delle riserve, che ammontano più o meno a 22 miliardi di Euro. Per cui anni buoni e anni cattivi non hanno consentito agli azionisti di prendere più di 50 - 70 milioni di Euro all’anno dal capitale della Banca di Italia. Nel 2005 il governo Berlusconi fa per miracolo una legge giusta e stabilisce che le quote nel capitale della Banca di Italia, detenute da soggetti non pubblici debbano passare entro tre anni allo Stato. 
Sono passati otto anni e quella legge è rimasta inattuata. 
Il 27 novembre notte tempo, mentre il Parlamento dichiara la decadenza di Berlusconi e tutti i cittadini sono distratti,
 
Saccomanni fa una clamorosa marcia indietro, con un decreto legge stabilisce che la Banca di Italia non sarà più destinata a diventare un istituto di diritto pubblico detenuto dallo Stato, ma una public company, ovvero una società a azionariato diffuso con azionisti tutti privati.Inoltre, il capitale della Banca di Italia passerà dagli attuali 156 mila Euro a 7,5 miliardi di Euro, con un forte vantaggio patrimoniale per tutti partecipanti,la cosa più importante è che fino a oggi la Banca di Italia non poteva distribuire un utile superiore al 10% dell’attuale capitale sociale, di 156 mila Euro, più una quota delle riserve, che per prassi non superava mai lo 0,5 per cento all’anno. 
Nel progetto del governo Letta questo limite viene alzato al 6% del nuovo capitale sociale di 7,5 miliardi di Euro,
 
vale a dire ben 450 milioni di utili distribuibili all’anno. 
La fine è peggio dell’inizio, perché un’altra incredibile novità di questo magnifico progetto è che le quote della Banca di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari. )
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo delle banche centrali, immaginate quanto potrà contare se la sua banca centrale sarà di proprietà degli stranieri!"
E' il modello del salvataggio di Cipro scritto ora nero su bianco. Oltretutto, l’Italia è il Paese che maggiormente in Europa colloca le sue obbligazioni bancarie presso le famiglie. Coinvolgerle nella ricapitalizzazione vuol dire condividere con loro (e non con la Germania...) il rischio di perdite. Alla fine vuol dire sottrarre risparmio alle famiglie per tappare i buchi delle banche.
I Paesi in difficoltà, i cosiddetti Pigs, hanno provato ad alzare la voce. Addirittura "Gelatina" Saccomanni ha trovato il coraggio di scrivere una lettera di Natale a Bruxelles per chiedere che gli Stati in difficoltà con le banche nazionali possano attingere ai 700 miliardi di euro del fondo salva-Stati (ESM) a cui l’Italia peraltro contribuisce con 117 miliardi, metà dei quali già versati grazie nuove emissioni di titoli pubblici su cui paghiamo profumati interessi. La Germania non solo ha risposto picche. Ha anche detto che sarà possibile solo se un Paese accetterà di sottomettersi ad un piano di aiuti della Troika.
Non è cambiato quindi nulla e restiamo nello scenario del disastro greco. Hai bisogno di aiuto? Io Europa (quindi io Germania) ti presto i soldi, ma solo se mi lasci governare il tuo Paese a botte di austerità e recessione. Martin Schulz, l'amico fraterno del pdexmenoelle, presidente dell’Europarlamento, ha annunciato che Bruxelles sarà durissima su questo punto, la cui supervisione sarà affidata alla BCE con il compito di vigilare su 130 banche europee (di cui15 italiane). La vigilanza unica della BCE si applicherà solo a banche al di sopra di 30 miliardi di euro di attività su richiesta della Germania per tutelare sotto la vigilanza domestica le sue Landesbanken e Sparkasse, quasi metà del sistema bancario tedesco, quello spesso definito "zombie" per l'incapacità di reggersi in piedi senza il sostegno pubblico e proprio per questo sottratto alla vigilanza di Draghi.
Non si spiega quindi cosa celebrino i tromboni di regime nello sventolare l’accordo sull’Unione Bancaria come un successo. Saremo, peggio di prima, costretti a risolverci i problemi a casa nostra con i nostri risparmi. Perché dovremmo allora privarci del diritto di regolare e agevolare il sistema bancario nazionale senza ricevere nulla in cambio?
La morale di tutto questo è che con 400miliardi di euro di BTP nella pancia delle nostre banche se lo spread dovesse ripartire, e ci sono tutte le premesse, questa Unione Bancaria non farà nulla per evitare che la crisi si abbatta sulle nostre banche con potenziali perdite e fallimenti che dovremo comunque ricoprire attingendo alle tasse ed al risparmio nazionale. 

 

LE DISASTROSE

 

 TRAPPOLE DEI

 

 FONDI

 

 PENSIONE

La trappola dei fondi integrativi si è estesa ai dipendenti pubblici, da circa un anno sono attivi i fondi Sirio e Perseorivolti ai dipendenti pubblici, che si aggiungono a Espero. Tre trappoline per i dipendenti della Scuola, della Sanità, dei Ministeri. 
Poi soprattutto è ripresa da alcuni mesi una forte campagna a favore della previdenza integrativa dei fondi pensione con articoli abbastanza indecenti su “Il Sole 24 ore”, su Il Corriere della sera, etc.. Gli articoli che appaiono su questi giornali, anche su un supplemento del lunedì del Corriere della Sera che leggeranno ben pochi, non sono rivolti ai lettori, gli articoli sulla previdenza, come quelli sui fondi comuni, servono per essere fotocopiati e usati come supporto per le vendite, questo è il fine di questi articoli! L’Italia ha una stampa economica, e in particolare nel settore della previdenza, che non è cattiva, ma pessima La regola è gonfiare i vantaggi parziali, tacendo tutti i difetti e in compenso per quanto riguarda il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) tacere tutti i vantaggi. 
Vorrei smontare alcune cose regolarmente scritte nei giornali, pronunciate dai vari economisti di regime intervistati, spinte in tutte le maniere dalla propaganda. Il vero rischio non è la pubblicità, si sa che è di parte, ma gli articoli dei giornali, dei cosiddetti esperti e a volte anche dei miei, sciaguratamente colleghi, docenti universitari. Chiariamo alcune cose. Non è vero che la previdenza integrativa è indispensabile per integrare la propria pensione. Totalmente falso, la propria pensione si può integrare risparmiando, mettendo da parte i soldi, investendoli in qualche maniera e usando quelli. Non è vero che il TFR della pensione, deve essere messo nei fondi pensione, assolutamente no, menzogna spudorata, uno si tiene il TFR, se è un dipendente pubblico il TFS (Trattamento di Fine Servizio) e quando lo incasserà se vuole lo utilizzerà per una rendita integrativa, tenendosi però la sicurezza del TFR e del TFS fino a quell’età e non dandola agli sfasciacarrozze del risparmio gestito che gestiscono i fondi pensione. 
Vantaggi fiscali? E’ falso come viene detto da giornalisti, sindacalisti, banche, assicuratori che la previdenza integrativa ha forti vantaggi fiscali. Non è vero, soprattutto per un giovane. Facendo i conti giusti che sa fare chiunque conosce questa materia il famoso vantaggio di pagare al 15 o al 9% di imposta su quanto accantonato, all’inizio della pensione, per un giovane significa un vantaggio di rendimento in termini annui nell’ordine dello 0,5%. Una miseria. Il vantaggio fiscale è divorato dai costi, è irrilevante. 
Aggiungiamo il fatto che non è sicuro perché nell’arco di 30/40 anni le leggi cambiano, quelle tributarie tantissime volte. Nell’ultima legge di stabilità hanno tolto un’agevolazione sulla previdenza integrativa che riguardava le polizze vita, cosiddette previdenziali, quindi questi vantaggi fiscali sono incerti e comunque già adesso insufficienti, al massimo potrebbero andare bene per chi ha un reddito sui 300 mila Euro l’anno e a 5 anni dalla pensione, non è esattamente la categoria di persone a cui sembra rivolgersi la previdenza integrativa, quindi buttiamo via il discorso dei vantaggi fiscali. È falso anche quello che che per un lavoratore di un’azienda dove c’è un fondo di categoria, c’è un grande vantaggio che rende conveniente aderire ai fondi pensione, che è il contributo datoriale, bruttissima parola, cioè del datore di lavoro, non è vero che questo sia determinante. Si può vedere con qualche semplice simulazione che bastano un po’ di anni negativi e viene divorato; non è affatto garantito, ma il contributo del datore di lavoro ci sarà soltanto finché dura il contratto collettivo di lavoro, 4/5 anni. E' un’ingiustizia pagare di più alcuni lavoratori rispetto a altri. Di più quelli che aderiscono al fondo pensione, di meno gli altri, questo è buttare a mare una conquista sindacale nell’arco di più di un secolo: stesso lavoro, stessa retribuzione. Invece no: stesso lavoro ma chi aderisce al fondo pensione viene pagato di più. Altra cosa falsa che Il confronto tra fondi pensione e TFR è sempre vantaggioso per il fondo pensione se si considera il periodo positivo, ma se si prende un altro periodo storico, senza risalire all’impero romano, semplicemente a dal '62 al '82 con un fondo pensione un lavoratore avrebbe perso circa l’80% in potere di acquisto, 81% nel caso delle azioni, quindi avrebbe perso i 4/5. In quello stesso periodo con il TFR avrebbe perso soltanto il 18% che è già molto meglio che perdere l’80 %. Quindi falsità una dopo l’altra. 
Oltre alla falsità vi sono cose che non vengono dette. Per i fondi pensione aperti, chiusi, i piani previdenziali e tutta l’altra congerie di prodottacci per portare via soldi ai lavoratori non c’è quasi nessuna trasparenza, solo qualche dato generico e soprattutto regola ferrea del risparmio gestito e della previdenza integrativa. L’interessato che ha messo i suoi soldi non ha diritto di sapere che titolo viene comprato, quando, a che prezzo, che titolo viene venduto. A questo punto è facile dire che nel torbido si pesca bene, e altre battute per dire che lasciare la possibilità al gestore di fare quello che vuole, lo spingerà logicamente a fare porcherie varie, porcherie che peraltro vengono fuori. Dare i propri soldi a un fondo pensione a un piano individuale previdenziale, soprattutto un fondo pensione, vuole dire rischiare con i mercati finanziari , perché vuol dire avere il risultato legato all’andamento ai titoli azionari, obbligazionari. Non è opportuno giocarsi la pensione alla roulette dei mercati finanziari. 
Nessun prodotto della previdenza integrativa, nessun fondo pensione chiuso, aperto, socchiuso che sia, nessun piano individuale previdenziale o pensionistico, nessuna polizza vita garantisce in potere d’acquisto i soldi messi dal lavoratore- La garanzia in potere di acquisto c’è al massimo per un periodo breve, mentre il TFR dà una base garantita in potere d’acquisto per tutta la sua durata quanto essa.. 
Questo è fondamentale perché nell’arco del ‘900, per tre volte i risparmi previdenziali o non previdenziali degli italiani vennero decimatidall’inflazione, a cavallo della Prima Guerra Mondiale, a cavallo della Seconda Guerra mondiale e al tempo petrolifero dal '73 all’84/85. Non c’è nessun lavoratore nell’arco del ‘900 che abbia vissuto senza incontrare un momento in cui i risparmi risparmi mobiliari venivano distrutti dall’inflazione. La garanzia nei confronti dell’inflazione i fondi pensione la danno per un periodo brevissimo! Questo è il vero rischio di tutta la previdenza integrativa, vedere il fondo che non fallisce, formalmente non fallisce, "i fondi pensione non falliscono, ma in potere di acquisto possono perdere il 90%". 
Mi rendo conto di essere la voce di colui che grida nel deserto, quasi nessun altro lo dice, perché la torta della previdenza integrativa è una torta ricca, succosa, gustosa. Perché a differenza dei fondi comuni, se uno mette i soldi nella previdenza integrativa non può riscattarli, deve aspettare l’età della pensione, quindi fino a 65/67/70 non può riscattarli e per giunta la trasparenza è ancora minore che nei fondi comuni dove già è bassissima. Questi prodotti interessano alle banche alle assicurazioni, ai gestori e alle società di gestione, ai sindacati che ci mettono i loro amici, sono centinaia di poltrone strapagate di parassiti che non fanno nulla perché, e questo è veramente buffo, gli amministratori dei fondi pensione, non gestiscono il fondo pensione, subappaltano a un altro la gestione, come spesso è stato subappaltato ad altri l’amministrazione della raccolta delle quote. Poltrone fatte per dare soldi, prese metà dai sindacati e metà degli amici di Confindustria, Confcommercio, dalle associazioni patronali.
Conclusione: evitare tutti i prodotti previdenziali: fondi comuni, aperti, chiusi, piani individuali pensionistici, polizze vita. Tutti da evitare, se uno li ha sottoscritti, interrompere i versamenti, tenersi il TFR. Non affidare i propri soldi a nessuna gestione, non solo alla previdenza integrativa, ma neanche affidarla ai fondi comuni, alle gestioni né italiane né estere, sono uguali, sono scatole nere dove i gestori mangiano, non dico mangiare tutto, ma possono raschiare tanti soldi, con 2,5 di commissioni annue di gestione, è uno sproposito!

Accordo Ecofin, ecco chi pagherà per le crisi bancarie in Europa

Il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni lo ha definito un accordo “storico”. L’accordo raggiunto nella notte di martedì a Bruxelles è il primo passo concreto verso l’unione bancaria. La materia è delicata ma cruciale. Il presidente della Bce Mario Draghi lo considera “un grande passo avanti”. Il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz parla di “un primo passo” e promette un esame “durissimo”.

1. Perché l’accordo europeo è così importante?
Stabilisce come funzionerà il fondo di risoluzione europeo, che dovrà intervenire quando una banca andrà in difficoltà e il nascente organismo di Supervisione unica (di fatto un’emanazione della Bce) dovrà decidere come gestire la crisi, pilotando verso il salvataggio o la bancarotta controllata. Operazioni costose, che qualcuno deve pagare: prima gli azionisti, poi i creditori, in parte anche i risparmiatori (è l’approccio bail-in). Quel che resta sarà coperto dal fondo.

2. Ogni Stato pagherà per le sue banche o la gestione sarà europea?
Questo era il punto delicato. Si è trovato un compromesso: il fondo nasce con contributi nazionali tenuti separati, a compartimenti stagni. Nel corso di dieci anni diventerà un fondo davvero europeo, così che i mercati sappiano che in caso di dissesto di una banca esiste uno strumento comunitario pronto a intervenire. Questo, assieme alla supervisione rafforzata da parte della Bce, dovrebbe rendere molto più credibile il sistema bancario europeo, agevolando quindi i finanziamenti a imprese e famiglie.

3. Quali sono le banche coinvolte?
In teoria tutte, anche i Paesi fuori dalla zona euro possono entrare in questo progetto di Unione bancaria. I 130 istituti principali saranno sottoposti alla supervisione diretta della Bce che vigilerà anche sugli altri ma per tramite delle autorità nazionali (nel nostro caso la Banca d’Italia).

4. Chi decide che una banca deve essere chiusa?
Il processo decisionale è complicato, c’è un board del Meccanismo unico di supervisione che è composto da un presidente, cinque membri della Bce e 18 delle autorità nazionali, poi trasmette la sua decisione al consiglio dei governatori della Bce, che poi rimanda la palla al Meccanismo unico di supervisione. Salvo che la Commissione o il Consiglio (cioè l’esecutivo europeo e gli esecutivi nazionali) non si oppongano, le decisioni del board del Meccanismo unico di supervisione diventanooperative in 24 ore. Sono previsti poteri che permettono di agire anche contro il volere di alcuni Stati o delle autorità di vigilanza nazionali (nessun governo o supervisore locale gradisce vedere esplodere una crisi bancaria in casa propria).

5. Da dove arriveranno i soldi?
Il fondo per la risoluzione sarà finanziato dai privati, cioè dalle singole banche nazionali, ma potrà attingere risorse anche dal fondo salva Stati Esm (i cui capitali per ora non vengono utilizzati) nella fase transitoria, cioè finché il fondo non sarà pienamente operativo.

6. Quando entrerà in vigore tutto questo?
Il meccanismo sarà pienamente operativo tra 10 anni e serve prima l’approvazione di un trattato intergovernativo, cioè devono ratificarlo i singoli Stati membri (o meglio, un numero sufficiente a garantire l’80 per cento delle risorse al fondo di risoluzione). Il processo partirà dal 2016, salvo sorprese.

7. Quali sono i buchi in questa rete di protezione?
I tempi sono lunghi, le incognite tante, i dettagli da chiarire decine. Il negoziato è appena all’inizio. Se è rassicurante che si sia imposta la logica che il “backstop”, cioè il fondo per il pronto intervento, sia europeo, per anni resterà frammentato su base nazionale. Riducendo così l’effetto rassicurante per gli investitori, che avranno ragioni per continuare a preoccuparsi soprattutto delle crisi bancarie che riguardano istituti operanti su diversi Paesi.

Il Pd schiavo delle lobby d'oro

lobbista_beccato.jpg

"A chi obbediscono i partiti? Ai loro elettori o ai lobbisti? La legge di Stabilità non è fatta per i cittadini ma per tutelare interessi e affari, caste e cordate. Vi sembra eccessivo? Sentite questa: il Pd, prima firma il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, presenta un emendamento alla stabilità per salvaguardare le casse dell’Inps. Viene previsto un tetto massimo di 150mila euro fra pensione e altri incarichi, pubblici e privati. Bene. Parte la discussione in commissione che si protrae per la notte. Le trattative fervono nei corridoi. Ma dopo una lunga gestazione, il Pd partorisce una riformulazione che azzera il contenuto della norma: il tetto sale fino a 294mila euro ed è applicabile solo a chi cumula pensione e incarico nella pubblica amministrazione salvando tutti i contratti in vigore. Come dire: “abbiamo scherzato, ci siamo sbagliati”. Cos’è accaduto nel mentre, fra il prima e il dopo? Quale manina è intervenuta? Per capirlo bisogna uscire dalla commissione, farsi un giro, entrare nella saletta fumatori nel cuore di Montecitorio e immergersi nella folla dei lobbisti che assedia il Parlamento. E ascoltare:
Tu non avresti potuto fare niente al di sopra dei 150 mila euro compresa la pensione – si sente dire a una persona che parla al telefono - ho dovuto scatenare mari e monti. È stata una battaglia durissima – spiega compiaciuto mentre tesse le sue stesse lodi - … ehhh, è questo il Parlamento oggi. Io lo potrei portare… scrivere in un manuale come caso di eccellenza di azione di lobby… ho dovuto smuovere tutto”. 
È tutto vero! Ma chi è che parla al telefono? La voce è quella di un vecchio “lupo” di Palazzo, consigliere parlamentare in pensione con un incarico alla Camera dei Deputati. A nome di chi parla lo rivela lui stesso: “Io sono stato questa settimana in full immersion, giorno e notte perché la commissione ha lavorato giorno e notte per fare cazzate dietro... dietro a queste faccende qua, perché avevo una marea di gente che mi chiamava in questa condizione, chi per il lavoro autonomo, chi perché c'hanno privilegi che fanno i Consiglieri di Stato, i professori universitari, ste cose qua, e quindi si sono salvati pure quelli”. 
Il "misterioso" lobbista ha fatto calare la testa al Pd per conto dei detentori di pensioni d’oro, accumulatori seriali di incarichi, professoroni in quiescenza mai andati (veramente) in pensione. Gente come Giuliano Amato e Lamberto Dini.
Ecco a chi obbedito il Pd di Renzi(e, ndr). Mentre le vittime sono i soliti noti. Noi." M5S Camera

Porcellum bocciato dalla Consulta, accolto il ricorso dei cittadini. ALTRO SILURO DEL POTERE GIUDIZIARIO ALLA POLITICA ITAGLIOTA. Solo una settimana prima era stato affondato il finanziamento pubblico ai partiti...

La Corte Costituzionale ha bocciato la norma ideata dal leghista Roberto Calderoli in tutti e due i punti sottoposti al vaglio di legittimità rispetto alla legge fondamentale dello Stato: ovvero il premio di maggioranza e la mancanza delle preferenze. Berlusconi: "Organo politico della sinistra"

Il Porcellum è incostituzionale. E’ quanto ha deciso la Consulta, che aveva respinto i quesiti referendari nel gennaio 2012 e che, dopo un ricorso presentato dai cittadini, era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della norma con cui sono eletti gli ultimi tre parlamenti (2006, 2008 e 2013). Incostituzionali, secondo gli ermellini, sia il premio di maggioranza che la mancanza delle preferenze (cioè le liste bloccate), ovvero i punti sottoposti al vaglio della Corte. Tradotto: gli italiani non andranno più a votare con la ‘porcata’ (copyright del suo ideatore, il leghista Roberto Calderoli), o almeno non con le caratteristiche con cui era nata. A spiegarlo alcuni costituzionalisti. Tra questi Valerio Onida, secondo cui con la pronuncia di oggi sono ‘morti’ premio di maggioranza e liste bloccate, ma non il Porcellum. Onida (uno dei saggi di Napolitano), del resto, ha praticamente tradotto quanto fatto sapere dai giudici costituzionali, i quali dopo la sentenza avevano fatto sapere che “resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali”.

I TEMPI DELLA SENTENZA E GLI EFFETTI NON IMMEDIATI
Sembrava che la legge,
 dopo il rinvio della discussione nel 
Senato, dovesse resistere ancora e invece di fatto i giudici impongono ai parlamentari quella riforma che è stata a lungo chiesta dal presidente Giorgio NapolitanoL’efficacia del verdetto, comunque, decorrerà dal momento in cui le motivazioni saranno pubblicate. “Nelle prossime settimane” fa sapere la Consulta. E comunque, fino a nuova legge, non c’è un ritorno di fatto al Mattarellum. L’approdo in Consulta della legge elettorale ha alle spalle una vicenda giudiziaria di ricorsi e bocciature, alla cui base c’è la testardaggine di un avvocato 79enne, Aldo Bozzi. Nel novembre 2009, in qualità di cittadino elettore, il legale aveva citato in giudizio la Presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno davanti al Tribunale di Milano, sostenendo che nelle elezioni politiche svoltesi dopo l’entrata in vigore della legge 270/2005, il cosiddetto Porcellum, e nello specifico nelle elezioni del 2006 e del 2008, il suo diritto di voto era stato leso, perché non si era svolto secondo le modalità fissate allaCostituzione – ossia voto “personale ed eguale, libero e segreto (art. 48)” e “a suffragio universale e diretto”. Il tenace avvocato è riuscito ad arrivare fino in Cassazione. Che poi con un’ordinanza del 17 maggio scorso aveva rimesso la questione ai giudici costituzionalisti.

BERLUSCONI: “CONSULTA E’ DI SINISTRA”. BOZZI: “E’ TORNATO MATTARELLUM”
La Corte costituzionale “è un organismo politico della sinistra” ha detto
 
Silvio Berlusconi, secondo cui ”la nostra architettura istituzionale è fatta non per decidere, ma per vietare. Il presidente del Consiglio italiano ha solo il potere di stendere l’odg del Consiglio dei ministri. Non ho ancora un’informazione precisa, non posso fare commenti. Bisogna vedere cosa hanno dichiarato incostituzionale” ha aggiunto il Cavaliere. Entusiasta, invece, l’avvocato Aldo Bozzi: “Quattro anni di battaglie andate a buon fine – ha detto all’Adnkronos – E adesso bisogna sottolineare che non si crea nessun vuoto giuridico: a mio parere, con la pronuncia della Consulta, di fatto si torna alla legge elettorale precedente, il Mattarellum. Molto probabilmente torneremo a votare in estate. Ma intanto oggi ci godiamo la vittoria, da domani penseremo a riassumere la pronuncia in Cassazione, dove è pendente un altro procedimento”.

ONIDA: “NON C’E’ RITORNO AUTOMATICO AL MATTARELLUM”
Dopo la pronuncia della Consulta, i costituzionalisti sono sostanzialmente d’accordo nel ritenere che uno degli effetti sarebbe il ritorno al proporzionale, ma le valutazioni “politiche” sul pronunciamento della Corte sono diverse. “Non si torna alla legge precedente”, ossia ilMattarellum, “ma si ha una conferma del proporzionale senza premio di maggioranza. Questo sembrerebbe l’effetto della prima parte della sentenza” ha spiegato il presidente emerito della Consulta Valeria Onida, aggiungendo che “solo col deposito della sentenza si produrrà l’effetto di far cessare l’efficacia delle norme dichiarate incostituzionali. Quindi, per ora – ha precisato – formalmente non è ancora cambiato nulla”. Uno dei saggi di Napolitano, però, è andato anche oltre. “La Corte – ha continuato il costituzionalista – ha fatto venir meno la previsione del premio di maggioranza. Quindi, si dovrebbe immaginare che, se non intervenisse nessun altra misura legislativa, si applica il proporzionale senza premio di maggioranza. Per l’altro aspetto”, ossia leliste bloccate, “è stata dichiarata incostituzionale la parte in cui non consente di esprimere preferenze. Ma qui è più difficile capire l’effetto pratico se non ci fosse un intervento legislativo: si può immaginare non solo che l’elettore possa dare preferenze, ma che poi l’ordine di elezione sia determinato dalle preferenze e non dall’ordine di lista? Su questo punto credo dovremo attendere le motivazioni, per capirne bene la portata” della sentenza.

PELLEGRINO: “PARLAMENTO DELEGITTIMATO, 150 DEPUTATI DA SOSTITUIRE”
Più drastico il giurista
 
Gianluigi Pellegrino, secondo cui “dopo il pronunciamento della Consulta, il Parlamento è delegittimato; dal punto di vista istituzionale è una decisione clamorosa. Nelle motivazioni della sentenza, la Corte si sforzerà di dire il contrario. Ma l’effetto reale è quello di una potente delegittimazione delle Camere”. Non solo. A sentire Pellegrino le due camere andrebbero sciolte immediatamente. “Il Parlamento e il governo – ha osservato il giurista – non sono intervenuti con una riforma. Ora la sanzione costituzionale, priva le due Camere di ogni minima legittimazione costituzionale e politica. A questo punto vi è un dovere civico di procedere allo scioglimento, potendosi solo procedere come indica la Consulta ad una riforma elettorale che sia ampiamente condivisa, perché certo non si possono usare le maggioranze incostituzionali per approvare la legge elettorale”.

Per Pellegrino si pone, inoltre, un altro problema: quello dei parlamentari eletti con il premio senza soglia bocciato dalla Corte: “Sono stati eletti sulle base di una norma illegittima e ora devono essere sostituiti. Alla Camera, dove non si sono concluse le operazioni di convalida, la giunta deve espellere circa 150 deputati e sostituirli con altri: dovrebbero uscire esponenti Pd, ed entrare esponenti Pdl-Fi, Movimento 5 Stelle e Lista civica”. Proprio Pellegrino, all’indomani delle ultime elezioni, a nome di un’associazione di cittadini presentò ricorso alla giunta delle elezioni di Camera e Senato contestando l’elezione dei parlamentari entrati grazie al premio. “Ora presenteremo una nuova memoria alle giunte, che dovranno accogliere i nostri ricorsi” ha annunciato. “A mio parere – ha sostenuto il giurista -, il governo deve fare un decreto legge per introdurre un sistema per l’elezione di collegio al primo turno con premio su base nazionale al secondo turno. Il decreto deve essere convertito in 60 giorni: se lo sarà prima di eventuali elezioni, si voterà con questo sistema. Altrimenti con la legge di stampo proporzionale con sbarramento in entrata, che si configura dopo la sentenza della Consulta”.

Consulta e Porcellum, ritorno agli anni '80

Una manciata di righe. Non di più. La nota della Corte Costituzionale che ammette il ricorso anti-Porcellum è stringata, rimanda alle motivazioni della sentenza che verranno diffuse tra qualche settimana. Ma il testo è sufficiente per capire che oggi dalla Consulta è stata partorita quella che può ben definirsi una svolta storica per gli scenari politici e istituzionali presenti e futuri. Un colpo secco, tre risultati: la Suprema Corte ha 'asfaltato' il sistema maggioritario, affossato le pretese del futuro segretario del Pd Matteo Renzi e azzoppato la credibilità di questo Parlamento con tutti gli atti che ha prodotto, compresa l'elezione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questo terzo punto non è vero, ma è già vero per i social network: il che è un fatto.

1. La Corte ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza del Porcellum. Non solo. Incostituzionale è anche la mancanza delle preferenze, prevista dal sistema di liste bloccate. Che significa? Di fatto, la sentenza di oggi indica i binari lungo i quali il Parlamento potrà legiferare per approvare un nuovo sistema elettorale. Se non lo farà, se non riuscirà a trovare un accordo su una nuova formula, quando si tornerà alle urne, si voterà con quello che rimane del Porcellum al netto dell'intervento della Consulta. E cioè con un sistema proporzionale, cioè il Calderolum spogliato del premio di maggioranza. Quanto alle preferenze, per reinserirle sarà necessario un intervento legislativo, che però comunque è molto più semplice della reistituzione dei collegi, che andrebbero ridisegnati.

2. Se questa è la prospettiva, si riducono i margini di manovra di Matteo Renzi. Il sindaco avrebbe voluto un sistema maggioritario a doppio turno, che di fatto coronerebbe la sua leadership, premierebbe lo sforzo fatto per arrivare a fare il segretario del Pd, santificherebbe la sua visione politica bipolarista. Ora se lo può scordare. La sentenza della Consulta non porta buon vento per Renzi. Anzi. Di fatto, lo annulla. Annulla il suo potere contrattuale verso Angelino Alfano, interessato ad un impianto proporzionale e comunque assolutamente interessato a restare al governo il più a lungo possibile, ad allontanare lo spettro delle elezioni anticipate, per avere tempo di organizzare il suo neonato Ncd. Ora, nell'era del post Consulta, nell'era del post Porcellum, se Renzi non scende a compromessi con Alfano e la truppa governista sulla legge elettorale, finisce in minoranza e non ha nemmeno armi da agitare. La sentenza della Consulta lo ha infatti privato dell'arma più preziosa: quella del ritorno al voto. Ora non gli converrebbe più, visto che si voterebbe con quel che resta del Porcellum.

3. Però la sentenza della Consulta ha prodotto anche un terzo effetto. Uno di quegli effetti perniciosi che non corrispondono alla realtà ma diventano realtà sui media. Subito dopo la notizia sulla bocciatura del Porcellum, i social si sono riempiti di commenti arrabbiati sull'illegittimità di questo Parlamento, eletto a febbraio con una legge elettorale evidentemente incostituzionale. Non è vero, la Corte Costituzionale è chiara al proposito: gli effetti della sentenza di oggi riguarderanno le prossime elezioni e non quelle passate. Però, anche se non è vero, non ci si può nascondere che la riflessione sull'illegittimità di questo Parlamento contiene suggestioni che troveranno spazio nel clima attuale dell'anti-politica. Tant'è vero che Berlusconi e Forza Italia la stanno già cavalcando alla grande. Un pasticcio. Che rischia di riportarci al proporzionale anni '80. In nome della stabilità e delle larghe intese forever.

L'ULTIMA SVENDITA SILENZIOSA:LA BANCA D'ITALIA

Dal 1999 il governo impastato centro sinistrato presieduto dalla jattura storica Dalema ha iniziato una poderosa svendita del patrimonio pubblico italiano costruito faticosamente dalla crisi degli anni Trenta allo scopo di foraggiare IL CAPITALISMO FAMILISTICO DI RELAZIONE ITALIOTA A PESANTE DANNO DEL PATRIMONIO DI TUTTI che infatti proprio da quel momento storico ha iniziato ad erodersi fino ad arrivare alle ossa odierne. La prima disastrosa operazione fu lo smantellamento della rete telefonica nazionale, Telecom, che oggi è finita di proprietà degli spagnoli. Via via scomparirono industrie automobilistiche, Alfa Romeo-Innocenti-AutoBianchi-Lancia, industrie siderurgiche, Italsider-Ferriere,industrie chimiche,SNIA-Viscosa,come detto telecomunicazioni telefoniche e poi televisive con lo strapotere concesso a costo zero a Mister B che gode tutt'oggi di una Legge monopolistica, la Legge Gasparri, nonchè del pagamento concessionario dell'1% sul fatturato effettivo (a lui che è stato condannato PER FRODE FISCALE !!!),ISTITUTI DI CREDITO come il CREDITO ITALIANO, banche solide con bilanci floridi gettate nelle mani di delinquenti come Geronzi che fuse il Credito con Capitalia, piena zeppa di debiti, per dar vita ad Unicredit. Questa formalina CAPITALISTOIDE ha generato mostruosità come le ECO-MAFIE, la devastazione ambientale, la cementificazione scomposta, LE FONDAZIONI PARTITICHE BANCARIE che hanno assoggettato l'intero credito nazionale, LA DISINTEGRAZIONE DEL PATRIMONIO TECNICO ED INDUSTRIALE SACCHEGGIATO DALLE AVIDISSIME MANI STRANIERE. Tra le ultime SVENDITE, E' PASSATA NEL SILENZIO ASSOLUTO LA PRIVATIZZAZIONE DELLA BANCA D'ITALIA. All'interno della distrazione nazionale PER LA DECADENZA DI UN GERONTOCRATE PEDERASTA FRODATORE FISCALE PLURIMO, il governo DISASTROSISSMO LETTA ha firmato il decreto ultimo per lo smantellamento della Banca d'Italia.

"Le quote della Banca di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari. 
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo delle banche centrali, immaginate quanto potrà contare se la sua banca centrale sarà di proprietà degli stranieri!"
 Lucio Di Gaetano

 di Lucio di Gaetano, ex-dipendente Banca d'Italia

"Sono Lucio Di Gaetano, nella vita mi sono sempre occupato di banche, per cinque anni ho lavorato in Banca di Italia, per altri sette ho lavorato nel settore privato e ora faccio il consulente di azienda. 
Sono qui per parlarvi della fregatura che il governo Letta, di nascosto, mentre si dichiarava la decadenza di Berlusconi ha fatto a danno di tutti gli italiani, attraverso il decreto sulla rivalutazione delle quote della banca di Italia, per avere 900 milioni di Euro senza sforare il tre per cento del deficit.
 
Ne regaleremo 450 all’anno agli azionisti della Banca di Italia, che come sapete sono privati. 
Ma facciamo un passo indietro, perché la banca di Italia nella governance ha azionisti privati? Perché c’è questa situazione da mondo di Oz dove un istituto di diritto pubblico è partecipato da banche private che sono detenute da fondazioni controllate dai partiti?
 
La Banca di Italia nasce nel 1893 ed è completamente detenuta da azionisti privati, all’epoca si usava così. Nel '26 il governo fascista la pubblicizza e espropria i suoi azionisti. Successivamente le quote del capitale della Banca di Italia vengono cedute alle banche, nel frattempo pubblicizzate a causa della crisi degli anni '30. Nel '93, a seguito della crisi finanziaria il governo Amato concepisce
 
un mostro giuridico, la privatizzazione delle banche italiane mediante la'attribuzione delle loro quote di controllo alle fondazioni nominate dai partiti. 
Il grosso del capitale viene quotato in borsa e di conseguenza oggi ci troviamo nell’azionariato della Banca di Italia, banche che agiscono con logiche di soggetti privati.
 
Per fortuna il mostro in passato è stato in qualche modo limitato, perché? Perché la ripartizione degli utili prodotti dalla Banca di Italia è sempre stata riservata in minima parte ai suoi azionisti privati, non più dello 0,5 per cento delle riserve, che ammontano più o meno a 22 miliardi di Euro. Per cui anni buoni e anni cattivi non hanno consentito agli azionisti di prendere più di 50 - 70 milioni di Euro all’anno dal capitale della Banca di Italia, che non si è mosso dalla cifra originaria di 156 mila Euro con cui era stato valorizzato.
 
Nel 2005 il governo Berlusconi fa per miracolo una legge giusta e stabilisce che le quote nel capitale della Banca di Italia, detenute da soggetti non pubblici debbano passare entro tre anni allo Stato.
 
Sono passati otto anni e quella legge è rimasta inattuata. 
Il 27 novembre notte tempo, mentre il Parlamento dichiara la decadenza di Berlusconi e tutti i cittadini sono distratti,
 Saccomanni fa una clamorosa marcia indietro, con 
un decreto legge stabilisce che la Banca di Italia non sarà più destinata a diventare un istituto di diritto pubblico detenuto dallo Stato, ma unapublic company, ovvero una società a azionariato diffuso con azionisti tutti privati.
Inoltre,
 
il capitale della Banca di Italia passerà dagli attuali 156 mila Euro a 7,5 miliardi di Euro, con un forte vantaggio patrimoniale per tutti partecipanti, che saranno obbligati a pagare una imposta, per di più agevolata, del 12%, e avranno, poi, tutto il tempo per eseguire l’obbligo di vendita della quota eccedente il 5% eventualmente detenuta, con una fortissima plusvalenza. 
E torniamo alla fregatura di cui parlavamo all’inizio, la cosa più importante è che fino a oggi la Banca di Italia non poteva distribuire un utile superiore al 10% dell’attuale capitale sociale, di 156 mila Euro, più una quota delle riserve, che per prassi non superava mai lo 0,5 per cento all’anno.
 
Nel progetto del governo Letta questo limite viene alzato al 6% del nuovo capitale sociale di 7,5 miliardi di Euro,
 
vale a dire ben 450 milioni di utili distribuibili all’anno. 
Non è cosa di poco conto, perché se i grandi banchieri possono brindare a champagne i cittadini non hanno proprio nulla da festeggiare! Quei 450 milioni, se non fossero dati ai banchieri privati andrebbero dritti nelle casse dello Stato. Come è stato fino a oggi.
 
Ma non finisce qui, anzi la fine è peggio dell’inizio, perché un’altra incredibile novità di questo magnifico progetto è che le quote della Banca di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari.
 
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo delle banche centrali,
 
immaginate quanto potrà contare se la sua banca centrale sarà di proprietà degli stranieri! 
Interessa?

IL SENATORE DECADENTE COME IL SUO IMPERO,tra passaporti russi e armi segrete,troje,puttane,nani e ballerine

Una intercettazione e un accertamento fiscale sull'ex socio occulto Frank Agrama le carte che dovrebbero cambiare la storia del processo. Ma la nuova mossa potrebbe essere l'ennesima manovra dilatoria: fra due giorni il Senato deciderà per la sua decadenza. Già lo scorso settembre l'ex presidente del Consiglio aveva annunciato una svolta parlando di una sentenza svizzera risultata inesistente

Un accertamento fiscale negli Usa e una intercettazione. Silvio Berlusconi tenta la carta delle nuove prove per chiedere una revisione del processo Mediaset per cui è stato condannato in via definitiva a 4 anni per frode fiscale. Mentre il governo Letta pone la questione di fiducia sulla legge di Stabilità, di fatto fissando il voto sulla decadenza il 27 novembre, il leader di Forza Italia annuncia urbi et orbi che questi documenti cambieranno la storia del suo processo e fa sapere che si rivolgerà alla magistratura di Brescia. La nuova mossa potrebbe essere l’ennesima manovra dilatoria. Già lo scorso settembre l’ex presidente del Consiglio aveva annunciato una svolta parlando di una sentenza svizzera risultata poi inesistente. Il tutto mentre arriva in Italia l’amicoVladimir Putin che, secondo indiscrezioni di stampa, potrebbe avergli già consegnato unpassaporto diplomatico che gli permetterebbe di viaggiare all’estero indisturbato. Solo qualche giorno il Cavaliere aveva dichiarato che se avesse avuto i documenti se ne sarebbe andato ad Antigua. Ma c’è chi ha avanzato anche un’altra ipotesi: che l’ex premier possa essere nominato ambasciatore in Vaticano per la Russia.

Berlusconi: “Chiederò la revisione del processo a Brescia”. Le novità importanti, per quanto riguarda il processo Mediaset, sono che in Usa il fisco americano sta per procedere con una causa verso Frank Agrama e altre persone, ritenute responsabili di evasione fiscale importante, e da queste situazioni emergono testimonianze di importanti dirigenti del gruppo Agrama, che dimostrano come la vicenda che vede il gruppo Agrama protagonista sia una vicenda da cui Silvio Berlusconi è assolutamente, completamente estraneo, altri sono i protagonisti e sono dichiarati in modo chiaro, senza possibilità che si possa interporre alcun dubbio – spiega l’ex premier parlando in terza persona -. Probabilmente ne leggerò anche una parte, e darò la notizia che noi intendiamo presentare quanto prima una domanda di revisione del processo alla Corte competente, la Corte d’appello di Brescia, fidando sul fatto che questa domanda possa essere assolutamente accolta, per la chiarezza di queste notizie, che oltretutto sono anche confermate da molti testimoni, che i giudici di primo e secondo grado non hanno voluto nemmeno ascoltare. Abbiamo le deposizioni di tutti questi inascoltati testimoni, che fanno riferimento alla realtà, una realtà che mi vede completamento estraneo, che esclude assolutamente ogni mia partecipazione a qualsiasi fatto illegittimo”.

L’intercettazione tra Frank Agrama e Bruce Gordon. Ci sarebbe anche una intercettazione tra il produttore Frank Agrama, condannato in via definitiva a 3 anni dalla Cassazione come “socio occulto” del sistema di frodi ideato dal Cavaliere, e Bruce Gordon, presidente della distribuzione Paramount, tra le carte che dovrebbero cambiare la storia del processo. Una conversazione in cui i due direbbero: “Stiamo diventando veramente ricchi”.  Cosa questo significhi lo spiegherà Berlusconi alle 15.30 in conferenza stampa. Certo è ed è nelle motivazioni della sentenza che la testimonianza di Gordon è tra quelle considerate importanti dai giudici della Cassazione per il verdetto finale. Il 21 dicembre 1993 il top manager in una lettera al collega Lucas aveva confermato “la totale sovrapponibilità tra Agrama e Berlusconi, posto che non vi è distinzione né tra le società né tra le persone, né tra le cifre’. (…) A conferma del legame a doppio filo tra il produttore e il Cavaliere. Ora invece il Cavaliere vorrebbe far pensare che i due avrebbero tramato alle sue spalle per truffarlo. 

I testimoni inascoltati. Era il 26 settembre del 2011 quando il presidente del collegio di primo grado tagliò una decina di testi della difesa. Il giudice Edoardo D’Avossa in quell’occasione aveva parlato di prescrizione ritenendo stringere i tempi perché il dibattimento era iniziato nel 2006 e ancora non si riusciva a chiudere. I testimoni tagliati all’epoca era tutti residenti all’estero e nonostante le convocazioni da parte del Tribunale non si erano mai presentati in aula. Adesso a processo definito e fuori tempo massimo però dovrebbero dare il loro contributo. 

Come con la tangente a Bettino Craxi. In passato tante volte il Cavaliere in conferenza stampa ha tentato di sviare l’attenzione sulle indagini che lo hanno coinvolto. Quando i magistrati milanesi scoprirono la mazzetta a Bettino Craxi (processo prescritto grazie alle attenuanti generiche) il Cavaliere, era la fine del 1995, convocò una conferenza stampa e annunciò l’equivoco: quei soldi erano il pagamento “per la commercializzazione di diritti televisivi” all’imprenditore Tarak Ben Ammar (poi entrato nel consiglio di amministrazione di Mediaset nel 1996 ). Il Tg5 intervistò l’imprenditore franco tunisino che confermò la versione dell’allora premier. Ma quelle parole non entrarono mai in un verbale: convocato tre volte i magistrati milanesi non sono mai riusciti a interrogarlo. 

Intanto l’Europa, come riporta il Corriere della Sera, ha messo sotto accusa l’Irlanda per il ritardo accumulato, ben sette anni, nel rispondere alla richiesta di assistenza giudiziaria dell’Italia su due società: la Olympus trading Ltd e la Olympus trading Ireland Ltd per i processi Mediatrade e Mediaset. Un’altra rogatoria quella di Hong Kong sarebbe stata bloccata per anni grazie ai buoni uffici dell’ex senatore Idv Sergio De Gregorio. L'attaccante, apparso svogliato contro il Genoa, per la seconda volta in fila non rispetta l'orario del raduno. La squadra in vista della delicata sfida di Glasgow contro il Celtic è spronata dalla dirigente. Intanto Seedorf si fa sentire: "Voglio diventare il miglior allenatore del mondo"

Lega nord, verso il processo Bossi e figli. “Truffa allo Stato per 40 milioni di euro”

Chiuse le indagini sullo scandalo che ha travolto il Carroccio: in qualità di legale rappresentante al Senatur è contestato l'intero ammontare del finanziamento pubblico. Lui e i figli devono rispondere di appropriazione indebita per 500mila euro: 77mila per la laurea in Albania. Richiesta di archiviazione per Roberto Calderoli, Matteo Brigandì e Manuela Marrone

Quaranta milioni di finanziamento pubblico alla Lega. Cifra maggiore rispetto ai 18 milioni di euro venuti alla luce finora. La Procura di Milano contesta al fondatore della Lega Umberto Bossi – nuovamente in corsa per la segreteria del partito contro Matteo Salvini il prossimo 7 dicembre – la “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” ossia i rimborsi elettorali ricevuti dal Carroccio in base ai rendiconti al Parlamento del 2008 e 2009. Una truffa allo Statocommessa, secondo i pubblici ministeri, in concorso con Maurizio Balocchi, segretario amministrativo della Lega ormai deceduto, per quanto riguarda il rendiconto dell’esercizio 2008 e con Francesco Belsito, ex tesoriere leghista per il 2009 e 2010. Con tanto di inganno ai presidenti di Camera e Senato e ai revisori pubblici delle due assemblee che autorizzavano i rimborsi basandosi su rendiconti volontariamente falsati “in assenza di documenti giustificativi di spesa e in presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito politico”.

La Procura di Milano ha chiuso le indagini relative all’inchiesta “The family” in vista del prossimo passo: la richiesta di rinvio a giudizio per dieci persone, tra cui Umberto Bossi e i suoi due figliRiccardo e Renzo. Al centro, la gestione dei fondi della Lega, caso scoppiato nella primavera del 2012. Tra gli indagati, anche l’ex vicepresidente del Senato Rosi Maurol’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito e l’imprenditore veneto Stefano Bonet, l’uomo degli investimenti in Tanzania con i soldi del partito.

Chiuse le indagini anche nei confronti di Rosi Mauro, l’ex senatrice del Carroccio, che ora è accusata di una appropriazione indebita di 99.731,50 euro, denaro proveniente dalle casse del partito. Tra i soldi di cui l’ex esponente lumbard si è appropriata, secondo l’accusa, ci sono anche 77.131,50 euro “per acquisto titolo di laurea albanese (in sociologia) – si legge nel capo di imputazione – presso l’Università Kristal di Tirana a favore di Pierangelo Moscagiuro”, ex guardia del corpo della Mauro. Laurea presa il 29 giugno 2011 nella stessa università scelta da Renzo Bossi, detto ‘il Trota’, che consegue il titolo (in Gestione aziendale) il 29 settembre 2010 con un “corso di studi” durato un solo anno, senza tuttavia mettere mai piede in Albania.

Per la laurea del Trota a Tirana 77mila euro – A Renzo e Riccardo Bossi, i due figli del ‘Senatur’ Umberto, viene contestato di aver usato a fini personali circa 303mila euro di soldi pubblici ottenuti dalla Lega come rimborsi elettorali. Renzo detto ‘il Trota’, accusato come Riccardo di appropriazione indebita, avrebbe speso tra le altre cose oltre 77mila euro per l’“acquisto” dell’ ormai famosa laurea albanese “presso l’Università Kristal di Tirana”. Ma non solo. Il secondo figlio di Bossi, che, nel 2010, a 21 anni diventa il più giovane consigliere regionale mai eletto in Lombardia, pare avere una passione per le auto e per la velocità. Con la sua Audi A5 scorrazza per la Lombardia accumulando oltre 7mila euro di multe. Contestazioni che vengono pagate con i soldi del partito. E nonostante la cattiva condotta automobilistica, il Trota passa a una macchina più potente, un’Audi A6 pagata 48mila euro più 3mila di assicurazione. Ovviamente a spese dei contribuenti. Il 10 aprile 2012 Renzo è costretto alle dimissioni dalla sua carica in Regione. Lo scandalo dei soldi pubblici girati dall’ex tesoriere Francesco Belsito agli esponenti del Carroccio fa terminare l’incarico tre anni prima del previsto. Tuttavia, i due anni trascorsi al Pirellone gli fruttano, secondo la legge, 40mila euro di indennità

La passione per le auto di lusso di Riccardo Bossi - Il primo figlio del Senatur avuto nel 1979 dalla prima moglie Gigliola Guidali, i giudici contestano 52 pagamenti. Soprattutto multe – per oltre 2mila euro – ma non solo: con i soldi del partito Riccardo paga anche il mantenimento della moglie, l’affitto con tanto di bollette, il veterinario, l’abbonamento Sky, il garage e le spese di carrozzeria, nonché le rate per l’Università dell’Insubria. E poi debiti personali, bonificiassegni circolari. Infine, le auto: 20mila euro per il riscatto del contratto di leasing per la Bmw X5 e oltre 21mila per una Mercedes.

Per Belsito, oltre due milioni di appropriazione indebita – E’ di diverse pagine il dettaglio delle spese contestate all’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito tra cui, oltre a multevarie, risultano spese per bar, ristoranti, rosticcerie ed enoteche, nonché composizioni floreali, abiti, hotel, scontrini di rivenditori di elettronica e serramenti, 1.500 euro per acquisto di armi e munizioni, ricariche telefoniche, pagamenti di parcheggi, cartelle esattoriali, diversi prelievidalle casse del partito. E, per non farsi mancare nulla, anche un servizio di bonifica ambientale e telefonica per un valore di 8200 euro.

Richiesta di archiviazione per Calderoli e moglie di Bossi -  Richiesta di archiviazione perRoberto Calderoli, Matteo Brigandì e Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi. Una archiviazione parziale, solo per alcuni episodi, è stata richiesta inoltre per Francesco Belsito, Umberto Bossi e Rosy Mauro. “Pagare le spese di un’abitazione a Roma, luogo dove principalmente si svolge l’attività politica e parlamentare, a un esponente di punta del partito, può in definitiva a nostro giudizio essere una scelta di impegno finanziario legittima (salvo il dovere di darne conto in contabilità, qui non rispettato, non decisivo ai fini del reato di appropriazione indebita)”, scrivono i magistrati in riferimento alla posizione di Calderoli. Per quanto riguarda, invece, la posizione della Marrone, si ricorda come fin dalla prima relazione del procuratore generale, la moglie di Bossi sia stata inserita, insieme alla Mauro e ad altri famigliari del leader del Carroccio, all’interno del “cosiddetto ‘cerchio magico’ che sarebbe stato alimentato con favoritismi ed elargizioni a danno del patrimonio della Lega”. “Certo – scrivono i pm di Milano – non si può escludere che delle somme corrisposte per la scuola Bosina in denaro contante la Marrone possa aver profittato a titolo personale. Ma per tutti gli indagati, come in questo caso per la Marrone, è stata applicata una rigorosa regola probatoria”.

Salvini: “Mafiosi e assassini possono attendere…”. Bossi: “Sconcertato” – Il vicesegretario del Carroccio Matteo Salvini inneggia all’indipendenza e chiede “giudici eletti dal popolo” come unica via per sfuggire ai tribunali. Candidato insieme a Bossi alle primarie per la segreteria del partito in programma il 7 dicembre, scrive su Facebook: “Finito (forse) con Berlusconi e Ruby, adesso il Tribunale di Milano torna a ‘occuparsi’ di Bossi e della Lega. I processi a mafiosi e assassini possono attendere”. Bossi invece accusa i magistrati di “strano tempismo” rispetto alle primarie: “Questa cosa non mi aiuta certo…una cosa che esce proprio adesso e mi lascia sconcertato”.

Silvio Berlusconi, esce "Il Cavaliere nero" scritto da Paolo Biondani e Carlo Porcedda. Pubblichiamo il capitolo "I numeri della frode" 

I numeri della frode

Una condanna da 10 milioni

La sentenza definitiva del 1° agosto 2013 ha inflitto a Silvio Berlusconi quattro anni di reclusione, una condanna che però è soltanto teorica: tre anni sono cancellati dall’indulto del 2006 e il quarto potrà scontarlo da uomo libero, grazie al beneficio dell’«affidamento in prova ai servizi sociali». Sul piano economico, la condanna finale lo obbliga a risarcire il danno provocato dalla frode fiscale: l’imposta evasa, naturalmente, e un rimborso allo Stato, costretto a un’attività d’indagine resa «difficilissima e costosa», come spiega la sentenza, proprio dalla «particolare complessità dell’operazione di occultamento del reale risultato fiscale» delle sue aziende. I giudici però hanno dovuto commisurare il risarcimento a una piccola parte dell’evasione totale: soltanto quei 7,3 milioni che sono sopravvissuti alla prescrizione. Berlusconi è stato quindi condannato a rimborsare allo Stato, in totale, 10 milioni di euro. Meno di un trentaseiesimo dei profitti che ha potuto nascondere all’estero con il reato di cui è stato dichiarato colpevole.

I numeri del nero

La massa di denaro nero che, fin dai primi anni Ottanta, si è riversata sulle società offshore gestite e finanziate dalla Fininvest, ma che oggi risultano «di proprietà personale di Berlusconi», è, come scrivono i giudici, «colossale». Nel solo processo All Iberian, che riguardava il primo gruppo di offshore, attive nel periodo 1989-1994 (con ricadute fino al 1995), l’atto d’accusa finale ha ricostruito una lunga serie di operazioni riservate, per un valore totale di 1550 miliardi di lire: 775 milioni di euro. Il processo Mediaset interessa altre società anonime, con un nuovo sistema di conti bancari: ci sono le offshore più segrete del sistema Fininvest, a cui si aggiungono società di copertura intestate a intermediari di comodo e prestanome. Qui l’accusa ha come limite temporale il periodo successivo: dal 1994 al 1998.

All Iberian 1 (finanziamento illecito al PSI)[modifica | modifica sorgente]

Finché il processo All Iberian è stato trattato unitariamente, il reato asseritamente commesso fino al 1992 era ancorato al falso in bilancio contestato fino al 1996; ciò tuttavia non modificava l'aspetto relativo alla possibile estinzione per prescrizione, in quanto essa decorre autonomamente per ciascun reato, salva la contestazione (secondo la normativa all'epoca in vigore) della continuazione (art. 81 c.p.). Avvenuta la separazione dei processi, il finanziamento illecito fu perseguito da solo, con la conseguenza che il termine prescrizionale di sette anni e mezzo sarebbe decorso dal 1992, mettendo in pericolo la pronuncia di una sentenza definitiva di merito.

Nel processo di primo grado, concluso il 13 luglio del 1998, il proscioglimento per prescrizione era stato dichiarato solo per il versamento di 10 dei 22 miliardi di lire contestati; per la restante parte dell'accusa Berlusconi era stato condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione e al pagamento di una multa di 10 miliardi di lire.[28]

Il processo All Iberian si è concluso il 22 novembre 2000, quando la Corte di Cassazione, confermando la sentenza d'Appello emessa il 26 ottobre 1999,[29] ha dichiarato il proscioglimento dell'imputato per intervenuta prescrizione del reato. La Corte non ha ritenuto di assolvere l'imputato nel merito in quanto «la prova della innocenza era incompleta ed erano necessari ulteriori attività istruttorie»; attività che non sono consentite in sede di giudizio di legittimità.[30]

All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato)[modifica | modifica sorgente]

Oltre a dover ricominciare da zero per un vizio procedurale, come deciso dai giudici nel giugno del 1998, la seconda tranche del processo All Iberian dovette una seconda volta essere azzerata in quanto, il 12 marzo 1999, il tribunale, accogliendo un'eccezione relativa alla «totale indeterminatezza dei fatti» contestati, dichiarò nullo il precedente rinvio a giudizio per una «sostanziale equivocità dell'imputazione», rinviando il procedimento alla fase dell'udienza preliminare.[31]

Il nuovo rinvio a giudizio portava la data del 23 novembre 1999, e fissava l'inizio del processo di primo grado al 7 aprile 2000.[32] Ma una pronuncia della Cassazione del 9 febbraio 2001, rilevata l'incompatibilità di un giudice con il processo,[33] riportò nuovamente il giudizio all'apertura del dibattimento. Il dibattimento riprese davanti ad un nuovo giudice il 22 febbraio dello stesso anno.

Il processo All Iberian 2 si è definitivamente concluso con l'assoluzione di Silvio Berlusconi (con formula perché il fatto non costituisce più reato in seguito alla riforma del diritto societario del Governo Berlusconi[34]) emessa dal Tribunale di Milano il 26 settembre 2005. Il processo All Iberian 2 è stato ed è tuttora un argomento di polemica politica. Lo schieramento del centrosinistra (e con esso i suoi sostenitori), infatti, ha accusato il Parlamento di aver approvato delle leggi ad personam, ossia delle norme che sarebbero state emanate al solo scopo di influire sui processi pendenti nei confronti dell'allora presidente del Consiglio Berlusconi.

Le polemiche cominciarono già a seguito dell'emanazione della legge 367 del 2001 sulle rogatorie internazionali, che si diceva avrebbe portato alla conclusione anticipata del processo per sopravvenuta inutilizzabilità di alcuni documenti, ritenuti decisivi dall'accusa, provenienti dalla Svizzera. Tuttavia, la polemica non trovò conferma nei fatti. I documenti, infatti, furono utilizzati dal Tribunale a norma della stessa legge criticata.[35][36] Successivamente alla riforma del diritto societario, approvata dal Parlamento sotto il governo presieduto da Berlusconi, i critici del centrodestra rinnovarono la loro accusa al Parlamento, reo, a loro dire, di aver legiferato così da venire incontro ai desiderata giudiziari di Silvio Berlusconi.

L'applicazione della nuova normativa in materia di falso in bilancio, infatti, ed in particolare dei riformulati articoli 2621 e 2622 del codice civile, ha reso la condotta imputata a Berlusconi non più perseguibile penalmente. La norma infatti prevede la perseguibilità del reato a querela di parte, querela che non era stata presentata a suo tempo e che avrebbe costretto i giudici a prosciogliere l'imputato per difetto di causa di procedibilità. Il Tribunale, invece, ritenne di accogliere le richieste della difesa – l'accusa aveva chiesto che Berlusconi venisse prosciolto per prescrizione del reato[37] – volte ad ottenere la più ampia formula di proscioglimento (la citata il fatto non costituisce più reato). Con la riforma, infatti, il reato di falso in bilancio, che vedeva ridursi i termini prescrizionali, è diventato perseguibile solo quando l'entità della falsa dichiarazione sia tale da aver creato degli effetti nocivi, non bastando che questi effetti rimangano potenziali.[38]

 

La condanna definitiva quantifica il totale dei fondi neri, solo per questo quinquennio, in altri 368 milioni 510.000 dollari. Anche in questo caso, non si tratta di ipotesi, stime o deduzioni, ma di soldi veri, bonificati sui conti bancari scoperti dai magistrati.Le stesse sentenze considerano provato che Berlusconi avesse un mare di nero già negli anni Ottanta, anche se le indagini hanno dovuto concentrarsi fin dall’inizio, per effetto della prescrizione, sul periodo successivo al 1989. L’avvocato Mills però ha confessato di aver creato le prime offshore per la Fininvest già «a metà degli anni Ottanta», quando operavano effettivamente le prime tesorerie offshore dei diritti televisivi, come Accent e Timor, da cui sono nate le famose Century One e Universal One, quelle che Berlusconi progettava di donare ai figli.

Tesoretto alle Bermuda per la figlia Marina

Le carte del processo Mediaset documentano anche una ricca donazione offshore di papà Silvio alla figlia Marina, la primogenita, oggi al vertice del gruppo editoriale Mondadori e azionista di controllo della Fininvest. Al centro del caso c’è una società anonima delle Isole Vergini. Si chiama Bridgestone Properties Limited ed è una delle società offshore create dall’avvocato David Mills tra gli anni Ottanta e Novanta per gestire il nero uscito dalla Fininvest. La Bridgestone è una cassaforte immobiliare: è intestataria di una favolosa villa alle Bermuda, chiamata Blue Horizons, e della sua dotazione, che comprende uno yacht.

Le indagini dei magistrati milanesi hanno ormai ricostruito anche la storia di questo tesoretto offshore: paradisi fiscali, proprietà non dichiarate, documenti sottratti alle perquisizioni. Tutto comincia nel 1987, quando Silvio Berlusconi compra personalmente la villa Blue Horizons pagandola 12 milioni di dollari. Pochi anni dopo, la rivende per circa 9 milioni e mezzo. Sulla carta sembra solo un affare sbagliato: una lussuosa residenza ai Caraibi comprata a caro prezzo, che viene ceduta perdendo un paio di milioni di dollari. L’acquirente di quella villa alle Bermuda, però, è proprio la Bridgestone, che compare nell’elenco delle offshore targate Fininvest (il famoso Gruppo B) sequestrato nel 1996 nello studio Mills.

L’avvocato inglese, negli interrogatori dell’epoca, conferma che anche quella società anonima è collegata al gruppo di Berlusconi, ma giura di saperne pochissimo, sostenendo che non era lui a gestirla. A quel punto i magistrati concludono che la Bridgestone, in sostanza, serviva a scaricare sull’azienda italiana le spese personali per la villa e lo yacht: è una delle accuse che, dopo le elezioni del 2001, vengono cancellate dalla legge che ha annientato il reato di falso in bilancio. A partire dal 2002 le nuove indagini su Mediaset, quelle che nel 2013 porteranno alla condanna definitiva di Berlusconi, permettono anche di ricostruire la reale proprietà di quella offshore con annessa villa alle Bermuda. Prima di tutto i magistrati scoprono un altro depistaggio: l’avvocato Mills aveva sottratto proprio i documenti sulla Bridgestone alla perquisizione della polizia inglese, il 16 aprile 1996, insieme alle carte su altre società anonime.

Era la prima parte dell’operazione completata tre giorni dopo dal banchiere-tesoriere Paolo Del Bue, incaricato di far sparire le tre offshore personali di Silvio Berlusconi: Principal Network, Century One e Universal One, le grandi fabbriche del nero dei diritti televisivi. Scoperto così il doppio depistaggio, i magistrati chiedono direttamente a Mills, nell’interrogatorio del 18 luglio 2004, a chi appartiene veramente la Bridgestone. L’avvocato inglese, nervosissimo, ammette: «Bridgestone è la società che aveva acquistato la villa di Silvio Berlusconi alle Bermuda e un’imbarcazione: so che apparteneva a Marina Berlusconi. E ne ho avuto conferma quando ho consegnato le carte di Bridgestone al suo avvocato Maurizio Cohen, di Montecarlo, che mi disse che le avrebbe consegnate a Marina Berlusconi».

La confessione di Mills smentisce la versione ufficiale, riportata nei contratti d’affitto della villa Blue Horizons sequestrati dalle autorità britanniche: fino al 2003 Marina Berlusconi continuava ad apparire come semplice inquilina e firmava gli atti come teorica controparte della misteriosa immobiliare Bridgestone. Alla fine del 2004 i magistrati riescono a interrogare a Montecarlo anche il suo avvocato, Maurizio Cohen, che conferma tutto: «Ricordo di aver ricevuto nel 1999 o 2000, mi sembra dall’avvocato Mills, il dossier concernente la proprietà Blue Horizons, che è una villa alle Bermuda». E a chi appartiene quella villa? Cohen, in francese, risponde sicuro: «Marina Berlusconi ha il godimento esclusivo della proprietà e lei stessa mi ha indicato che è registrata come proprietaria nei registri fondiari delle Bermuda. Mi ha detto che ne è diventata proprietaria per donazione». Un magnifico regalo di papà: una villa da sogno in formato offshore.

Miliardi al portatore

Non bastasse, c’è il nero italiano. Nel verdetto definitivo del processo per le tangenti alla guardia di finanza, la Cassazione spiega che il proprietario della Fininvest, almeno fino all’inizio degli anni Novanta, aveva notevolissime «disponibilità extra-bilancio» anche dentro i confini nazionali. La stessa Suprema corte (cioè i giudici che in quel caso lo hanno assolto) ha quantificato questi fondi neri in «circa 130 miliardi di lire»: altri 65 milioni di euro. Il metodo era ancora artigianale: i soldi erano depositati in «libretti di risparmio al portatore» (poi vietati dalle 
norme antiriciclaggio), che venivano gestiti dai due manager che erano anche i suoi tesorieri personali, Livio Gironi e Giuseppino Scabini.

Il meccanismo si basava su un sistema di anticipi e restituzioni, tutti in contanti, che veniva chiamato «sospesi di cassa». L’intera inchiesta sulle «toghe sporche» è nata da un modesto prelievo da uno di quei libretti, battezzato con un nome in codice calcistico: «Inter». Attraverso l’inchiesta All Iberian, inoltre, i magistrati hanno scoperto anche una rete di «depositi fiduciari», rimasti attivi almeno fino al 1995: soldi custoditi riservatamente dalla Banca Arner (con il fondo «Pennine») o dalla Bil del Lussemburgo. Si tratta di un altro giro di denaro non ufficiale, che però non finisce alle offshore. In totale, su questi depositi fiduciari, c’erano altri 150 miliardi di lire: 75 milioni di euro. Anche questi soldi sono spariti. Le indagini, arenate nei testardi silenzi delle banche interessate, non hanno potuto accertare dove siano stati nascosti per sfuggire ai controlli.

Stando ai risultati delle inchieste giudiziarie, normalmente il sistema delle offshore serviva a far uscire soldi dalla Fininvest ufficiale, per riversarli all’estero sui conti non dichiarati di Silvio Berlusconi. Ma qualche volta è successo il contrario: è il Cavaliere che, in circostanze eccezionali, sposta denaro proprio, depositato in Italia, nelle tesorerie estere. Tra le operazioni che interessano personalmente Silvio Berlusconi, la più misteriosa si svolge poco prima che esploda Tangentopoli. Tutto parte dal «mandato 500», il deposito riservato aperto da Berlusconi alla Fiduciaria Orefici di Milano. Tra il 1991 e il gennaio 1992, più di 90 miliardi di lire (45 milioni di euro) fanno uno stranissimo 
tour internazionale: la Fiduciaria Orefici compra titoli di Stato, due manager Fininvest vanno a ritirarli, li portano a San Marino, li cambiano in contanti e ne depositano un terzo. Gli altri due terzi, esattamente 55 miliardi di lire, tornano subito in Italia, negli uffici della Fininvest, da dove ripartono per la Svizzera. Sempre in contanti, stipati nei furgoni blindati di una ditta italiana di trasporto valori prima, e di un corriere elvetico poi. Gli autisti, sentiti come testimoni, ricordano un commento scherzoso su quell’incredibile traffico di valigette di banconote tra Milano, San Marino e Lugano: «Ma che ci fate con tutti questi soldi? Gli fate prendere aria?».

Anche i dirigenti della Fiduciaria Orefici, che non avevano mai visto prelevare simili somme in contanti, testimoniano di aver chiesto spiegazioni ai dirigenti della Fininvest e ricordano una loro risposta allusiva: «I politici costano cari». Quella frase a verbale ha sollevato sospetti e illazioni, perché proprio in quei mesi a Roma era stato varato il chiacchieratissimo piano nazionale delle frequenze televisive, ma è rimasta per anni enigmatica. Solo le inchieste sulle offshore hanno permesso ai magistrati di decifrare, almeno in parte, l’incauta battuta dei cassieri della Fininvest. Al processo «Toghe sporche», infatti, i pm milanesi hanno potuto affermare che quei 55 miliardi di lire del «mandato 500», alla fine del tour, sono approdati sul conto svizzero di All Iberian: sono serviti a finanziare le tangenti pagate da una parte a Craxi, dall’altra ai giudici corrotti. In questo caso, quindi, erano i soldi personali di Berlusconi che entravano nelle offshore, usate come schermo per cancellare le tracce della provenienza di quelle tangenti. Nell’ottobre 1992, però, le tesorerie estere restituiscono il «prestito»: i 55 miliardi che hanno preso aria in Svizzera si riuniscono ai 35 di San Marino e tornano tutti in Italia, «nella disponibilità di Silvio Berlusconi», che li utilizza in parte per «spese familiari», in parte per finanziare una sua società personale, la Mercurio Fincom, che si occupa di film.

L’inarrestabile Agrama

Un altro tesoro nascosto è invece attualissimo. Nel processo Mediaset il ruolo di principe del nero, appena un gradino sotto Berlusconi, spetta indubbiamente a Frank Agrama, imprenditore con base a Los Angeles, condannato a tre anni di reclusione. La sentenza definitiva lo bolla come un «intermediario fittizio» che, almeno fino al 1998, incassava il nero e lo spartiva segretamente con Berlusconi in persona, tanto da presentarsi di fatto come suo «socio occulto». L’inchiesta non ha potuto documentare come siano stati divisi e dove siano finiti i 170 milioni di dollari che Agrama ha incassato dal Gruppo Fininvest solo fino a quell’anno. I soldi infatti sono stati «appositamente dispersi in mille rivoli finanziari», tra società anonime e conti offshore, sparsi in svariati paradisi fiscali impenetrabili alle rogatorie. Dopo decine di pagine di motivazioni, i giudici spiegano però che è «del tutto logico», alla luce della massa di prove raccolte, concludere che Agrama abbia restituito a Berlusconi una grossa fetta del tesoro nero accumulato vendendo a Mediaset, in esclusiva, i film della Paramount. Mentre «non vi è alcun elemento di prova» per sostenere la tesi contraria, cioè che l’amico americano possa aver truffato Berlusconi «per decenni», per «cifre colossali» e senza provocare la minima reazione, anzi continuando a lavorare per le sue televisioni perfino mentre era già in corso il procedimento per frode fiscale.

Ancora una volta non si tratta di deduzioni o illazioni. I giudici lo dimostrano e lo spiegano per filo e per segno nelle motivazioni della condanna definitiva. Ma se è vero che Agrama, in sostanza, è un tesoriere occulto di Berlusconi, questo significa che il Cavaliere nasconde ancora, in giro per il mondo, una nuova montagna di denaro nero. Una cassaforte segreta tutt’ora in funzione. Il consulente tecnico della procura, Gabriella Chersicla, ex revisore della Kpmg, si è guadagnata il plauso di tutti i giudici, dal tribunale alla Cassazione, illustrando al processo i risultati economici oggettivi del «sistema Agrama». Nel solo quinquennio 1994-98, le tv di Berlusconi hanno speso 199 milioni e mezzo di dollari per acquistare film della Paramount attraverso quel fortunatissimo mediatore di Los Angeles. Ma di tutti quei soldi, al colosso del cinema americano ne sono arrivati meno di un terzo. Le società di Agrama, che erano il primo anello della catena degli intermediari, hanno incassato 55 milioni di dollari «senza svolgere alcuna attività reale». Altri 80 milioni sono finiti direttamente sui conti delle offshore televisive di Silvio Berlusconi.

Dunque, la spesa totale dichiarata da Fininvest e Mediaset ha quasi raggiunto quota 200, ma ben 135 milioni di dollari se li sono divisi, in nero, Berlusconi e Agrama, che è fortemente sospettato di aver dovuto girare anche una parte della quota personale, di nascosto da tutti, al suo benefattore. A dispetto di inchieste e processi, però, Frank Agrama sembra aver continuato serenamente a vendere film al gruppo Mediaset attraverso una nuova rete di società estere, con uffici tra Hong Kong e l’Irlanda, in cui formalmente non compare.

Su questi ultimi affari non c’è ancora una sentenza: il processo-bis è ancora in primo grado. Il risultato economico, però, è già chiarissimo, 
grazie a una nuova consulenza tecnica che il pm De Pasquale ha affidato alla stessa superesperta, Gabriella Chersicla. Che ora, grazie alle nuove indagini internazionali, ha potuto ricalcolare tutte le entrate e le uscite dei conti bancari targati Agrama fino al 2008. Il bilancio finale ha dell’incredibile. Il gruppo Fininvest/Mediaset versa a questo mediatore, in totale, quasi mezzo miliardo di dollari: esattamente 486 milioni e mezzo. Ma ai grandi produttori di Hollywood, per pagare i reali costi dei diritti televisivi, le società di Agrama versano soltanto 169 milioni. Mentre gli altri soldi, cioè più di 300 milioni di dollari, finiscono in tasca a società o persone che

E chi incassa tutto questo denaro? Anche questa è una caccia al tesoro, tutta interna al pianeta Agrama. Più di 30 milioni di dollari escono dalle società dell’amico americano per finire sui conti esteri di dirigenti o rappresentanti dello stesso gruppo Fininvest/Mediaset. Primo fra tutti il solito Daniele Lorenzano, condannato a tre anni e otto mesi al processo Mediaset. Sono soldi non dichiarati al fisco e, stando agli avvocati, nemmeno all’azienda. In mezzo a tutto quel nero, insomma, una cordata di dirigenti italiani si è sicuramente ritagliata una bella cresta Altri 46 milioni di dollari sono rimasti in tasca alla famiglia Agrama, che ne ha restituiti solo 22 alle società. La differenza è il suo guadagno personale finora accertato: il premio per i rischi che si è assunto.

Almeno 25 milioni (ma tra le uscite dubbie ce ne sono altri 35, per un totale di circa 60) sono molto sospetti, perché finiscono a società-fantasma che sono state già schedate nel processo Mediaset come «intermediari fittizi». Sono quelle stesse società di comodo, senza alcuna struttura, che fino al 1998 avevano restituito soldi in nero, ovviamente senza dichiararlo, soprattutto alle offshore personali di Silvio Berlusconi. Dopo il 1999, invece, si ignora chi abbia intascato i soldi delle nuove mediazioni. Di sicuro Agrama continua a pagare tutti fino al 2008.Nel bilancio dell’amico americano, però, la sorpresa più grande è che ben 198 milioni di dollari sono spariti. È certo soltanto che sono usciti dai conti di Agrama e non sono stati incassati da nessun vero fornitore di film o programmi televisivi. Sono transitati sui conti esteri di misteriose società anonime, che li hanno dispersi da un capo all’altro del mondo. Su questi circa 200 milioni di dollari, la Procura di Milano continua a indagare.

© 2013 Chiarelettere editore srl

LA FINANZA DEI ROBOT E DEI CAVI SOTTOMARINI TRANSOCEANICI

Le coste della Cornovaglia sono oggi oggetto di grande interesse da parte di società finanziariee di telecomunicazione. Ed infatti, nel 2012, la Crown Estate, impresa che gestisce il fondale marino nel Regno Unito e che vende licenze per tutto ciò che lo attraversa, ha registrato un aumento delle entrate del 104 per cento. Circa il 95 per cento delle notizie finanziarie viaggiano via cavo e non via satellite e questo spiega perché ogni anno si investono intorno ai 2 miliardi di dollari per produrre 50 mila chilometri di autostrade di fibre ottiche, lungo le quali viaggiano le notizie finanziarie al altissima velocità. L’arteria più importante è quella che attraversa l’Atlantico. I cavi partono dalla costa est e riemergono in Portogallo ed in Cornovaglia. Anche se il primo è il paese più vicino agli Stati Uniti, è sempre stato un mercato finanziario marginale, mentre in Gran Bretagna si trova la piazza affari più importante d’Europa.

Nel Vecchio continente il nodo principale dell’informazione finanziaria è dunque la Cornovaglia, ed è dal profondo dei suoi fondali che emergono dati e notizie che Wall Street ha prodotto appena 65 millesimi di secondo prima. Questi alimentano computer sofisticatissimi e velocissimi, abilitati alla contrattazione finanziaria, ubicati nella City di Londra.

Il trading ad alta frequenza utilizza formule matematiche ed algoritmi per scambiare prodotti finanziari nel modo più veloce possibile e con la frequenza più elevata. L’obiettivo è battere sul tempo la concorrenza nelle contrattazioni finanziarie. A differenza degli investimenti tradizionali, una posizione può essere mantenuta soltanto per pochi istanti o anche per molto meno ed il computer può vendere e comprare da solo migliaia di volte al giorno lo stesso prodotto, sfruttando variazioni di prezzo infinitesimali.

La tecnologia non è però l’unica variabile da tener presente, anche la geografia gioca un suo ruolo. Persino i computer più veloci sono svantaggiati se geograficamente lontani dal centro di smistamento dei dati. Chi si trova a Londra ha un vantaggio di 5 millesimi di secondo rispetto a chi è a Francoforte o a Parigi. A parità di tecnologia, tra Londra e Francoforte ci sarà sempre uno scarto di 5 millesimi di secondo, un vantaggio non indifferente in questo settore. Per capire perché basta dire che alcune società private come Hibernia Networks e Reliance Globalcom stanno investendo circa 300 milioni di dollari per migliorare le fibre ottiche ed i cavi che corrono sul letto dell’Atlantico per poter risparmiare 6 millesimi di secondo.

Siamo nella fantascienza? No, il trading ad alta frequenza è più diffuso di quanto si creda, negli Stati Uniti il 50 per cento delle contrattazioni sul mercato azionario è gestito da macchine. I rischi sono tanti ed infatti l’Unione Europea sta indagando sulla possibilità di proibirlo. Al trading ad alta frequenza, ad esempio, è attribuito il crollo del Dow Jones del 6 maggio del 2010 – il più grosso nell’arco di una giornata nella storia di questo indice – che perse tra le 14:42 e le 15:05 1000 punti (circa il 9 per cento) per poi recuperarli subito dopo. In un mercato molto frammentato, quale quello del 6 maggio del 2010 a causa della crisi greca, una singola operazione riprodotta da migliaia di computer ad alta frequenza ha creato una spirale negativa, o una situazione di panico, che ha spinto macchine ed operatori finanziari a vendere in blocco.

I nostri risparmi potrebbero finire in una di queste macchine ed essere investiti da un complesso di microchip e dipendere dalla velocità con la quale i dati corrono lungo cavi seppelliti negli abissi o riemergono dalle sabbie bianche della Cornovaglia. Un pensiero che si, sarebbe meglio se appartenesse alla fantascienza che alla realtà finanziaria.

 

Il Senato vota sì alla decadenza. Berlusconi è fuori dal Parlamento

Dibattito animato in Aula. Respinti gli ordini del giorno presentati dal centrodestra. Fi contro i senatori a vita: "Vergognatevi". Nel pomeriggio il Cavaliere ha tenuto un comizio a Roma davanti a palazzo Grazioli. Grillo: "Non fine di un regime, ma di un banale uomo"

Decadenza Berlusconi, l’odiato Parlamento che il Cavaliere non vuole lasciare

Vent'anni dopo l'appoggio a Fini sindaco, ecco la storia politica del Caimano che detestava le Camere e le usava soltanto per leggi ad personam e insulti ai nemici

Mercoledì 27 novembre, salvo sorprese, per Silvio Berlusconi è l’ultimo giorno di Parlamento. L’ha sempre disprezzato, da oggi lo rimpiangerà (che fa rima con immunità). Tutto accade a vent’anni esatti dalla sua prima uscita politica. È il 23 novembre ’93 quando, inaugurando un ipermercato Standa a Casalecchio di Reno, annuncia il suo appoggio a Fini contro Rutelli, che si giocavano al ballottaggio la poltrona di sindaco di Roma. Forza Italia è pronta da mesi. Marcello Dell’Utri ci ha lavorato da par suo. Il primo a saperlo è stato Craxi, il 4 aprile. La Fininvest affoga nei debiti (2.500 miliardi di lire), il pool Mani Pulite ronza attorno al Cavaliere da un anno, arrestandogli un manager via l’altro. In estate, mentre ad Arcore impazzano i provini per i candidati (uno, per l’emozione, è caduto nella piscina), è stato avvertito anche Indro Montanelli: “Entro in politica, il Giornale sarà con me?”. “Te lo puoi scordare”.

Montanelli sostiene i referendum di Segni, per un centrodestra liberale e moderato. E il 25 novembre avverte il Cavaliere sul Giornale: “L’idea di mettere intorno a un tavolo Bossi, Fini, Segni, Martinazzoli e non so chi altro mi sembra un sogno a occhi aperti. Ma anche se Berlusconi riuscisse a realizzarlo, con quegli ingredienti non si fa un programma: si fa solo un minestrone da cui non ci si può aspettare nulla di concreto”. E, sia chiaro, “l’unico che può cacciarmi è il becchino”. Da quel momento sulle reti Fininvest i vari Sgarbi, Fede e Liguori – i “manganelli catodici” – iniziano a massaggiargli la schiena per indurlo alle dimissioni. Il 26 novembre, mentre Mentana, Costanzo e i giornalisti Mondadori chiedono garanzie sull’autonomia del Gruppo, il vecchio Indro dice a Sette: “Se oggi in Italia saltasse fuori un altro Mussolini, avrebbe spazio libero. Ma abbiamo visto dove portano gli incantatori di masse”.

Minoli anticipa un’intervista a Mixer del Cavaliere, che intanto affronta i giornalisti alla Stampa estera, per la prima volta da politico. Finge di non aver deciso se entrare in politica direttamente o solo come sponsor di un rassemblement: la candidatura è solo l’extrema ratio, lui non se la augura. E l’iscrizione alla P2? Una storia vecchia. E il fascismo? Un’ideologia vecchia, “sepolta nel passato”. E chi dice il contrario? “Si vergogni!”. La stampa di sinistra, italiana ed europea, è più scandalizzata dall’appoggio al “fascista” Fini che dal finanziere-tycoon in politica. Ma il Berliner Zeitung scrive: “Nessuno in Europa ha tanto potere nei media quanto Berlusconi”, senza contare i “grossi debiti del suo gruppo”. La parola “conflitto d’interessi” fa capolino anche in Italia, perché il Tg4 ha trasmesso integralmente la conferenza stampa. Veltroni annuncia: “Faremo subito una legge antitrust sulle tv e la pubblicità”. Buona questa.

Si fa vivo anche Giorgio Napolitano, presidente della Camera con un monito ante litteram: “Possono anche entrare in campo nuovi soggetti dalla vita economica. Ma le istituzioni si facciano carico di garantire il massimo equilibrio nell’uso dei mezzi di informazione”. Buona anche questa. Il Cavaliere replica a stretto giro in terza persona: “Se un editore importante dovesse scendere in campo, mi parrebbe giusto e di buon senso scegliere tra le due cose”. Buona pure questa. Nascono i comitati Boicotta Biscione di Gianfranco Mascia. Tina Anselmi paventa il ritorno della P2. Sgarbi ce l’ha con “i nipotini di Stalin”. Bossi capisce subito che la volpe di Arcore vuole razziare nel suo pollaio: “Un partito non si crea dall’alto, piazzando una decina di generali: deve nascere dal popolo”.

Berlusconi entra per la prima volta in Senato il 16 maggio 1994. Presenta il suo primo governo per la fiducia. E dice: “È stato legittimamente sollevato il problema del conflitto d’interessi… Nel primo Consiglio dei ministri abbiamo deciso una commissione di esperti per trovare delle soluzioni entro fine settembre”. Poi fa gli auguri “ai nostri atleti” in partenza per i Mondiali di calcio in America e, già che c’è, pure al Milan che ha vinto la Champions “per difendere i suoi colori, quelli di Milano ma anche quelli dell’Italia”. Il 19 maggio, a Montecitorio, parla per l’opposizione Giorgio Napolitano. Nuovo monito ante litteram: “Ricercare il più ampio consenso per le riforme costituzionali” e dialogo con il governo: “una linea di confronto non distruttivo tra maggioranza e opposizione”. Che “non deve impedire che il governo governi”. Manco fosse a Westminster. Il Cavaliere si arma di un sorriso a 32 denti e sale a stringere la mano a questo “oppositore corretto, all’inglese”.

Da allora a oggi le apparizioni del Cavaliere in Parlamento saranno un po’ meno numerose dei suoi capelli veri, forse anche dei suoi processi. Quasi soltanto per le fiducie dei governi suoi e altrui, e per le leggi sugli affari suoi. Il 2 agosto ’94 tuona contro la sinistra che vorrebbe (addirittura) “l’esproprio proletario” della Fininvest: “ma siamo in Italia, non nella Romania di Ceausescu”. Per il resto “il Parlamento mi fa perdere tempo” (11.10.94). Ma, sia chiaro, “il mio rispetto per il Parlamento è assoluto”. Il 21 dicembre gli tocca proprio andarci, alla Camera, perché Bossi l’ha appena sfiduciato: “Ha una personalità doppia, tripla, forse anche quadrupla. Il suo mandato diventa carta straccia. Una grande rapina elettorale”. Il 2 agosto ’95 lancia la sua riforma costituzional-presidenzialista. L’anno seguente, per oliare l’inciucio della Bicamerale, ottiene dal solito Violante una seduta straordinaria della Camera per denunciare lo scandalo del “cimicione”: “Onorevoli colleghi, il fatto è grave. Un’attività spionistica ai danni del leader dell’opposizione, da chiunque ordita, rientra perfettamente nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai, nella storia repubblicana, sono gravate sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose. Nellagiustizia malata di questo Paese siamo alle intercettazioni virtuali” (16.10.96). Si scoprirà poi che l’aggeggio trovato a Palazzo Grazioli è un ferrovecchio scassato e inservibile, piazzato lì non dalle toghe rosse, ma dalla stessa ditta da lui incaricata di “disinfestare” la casa.

Nel ’97 Berlusconi vota con l’Ulivo per la missione militare in Albania, mentre Lega e Rifondazione sono contro. Il leghista Luigi Roscia lo canzona: “Bravo, inciucione!”. E lui: “Bravo tu, furbacchione: votate con Rifondazione, avete proprio delle facce di cazzo!”. Poi cade Prodi e arriva il governo D’Alema-Cossiga-Mastella. Il Cavaliere, alla Camera, torna a strillare al ribaltone: “Continua con D’Alema la maledizione dei partiti comunisti: mai riusciti ad andare al governo con un libero voto popolare… Questo è uno sciagurato mix fra vecchi gladiatori e vecchie guardie rosse… Moro fu assassinato dalle Br, i cui volti spuntavano dall’album di famiglia del comunismo italiano. Il suo, onorevole D’Alema, è un governo senza legittimità democratica, ha solo il 28% dei consensi”. Fabio Mussi lo fulmina: “Quando arriva al 100 per cento, Cavaliere, ci faccia un fischio” (24.10.98).

Nel 2001 torna al governo, ma non in Parlamento. Un giorno i Ds gli chiedono di riferire alle Camere sul Medio Oriente, e lui: “Sono richieste ridicole! Basta leggere i giornali, anche l’Unità, e tutti possono sapere la situazione in Medio Oriente” (6.3.2002). L’Italia entra in guerra contro l’Iraq. Scalfaro denuncia in Senato il “servilismo” di B. verso Bush. Lui sibila: “Ma vaffanculo!”. L’ultima impresa parlamentare degna di nota è in Senato, all’approvazione della Devolution: “Chi non salta comunista è!” (16.11.05). Poi più nulla fino al 22 aprile 2013, dopo l’ultimo capolavoro: la rielezione di Napolitano. Il Re esalta l’inciucio prossimo venturo e lui magnifica “il discorso più straordinario che io abbia mai sentito nei vent’anni di vita politica”. Ergo, “meno male che Giorgio c’è”. Segue abbraccio affettuoso. Sette mesi fa, e pare già un secolo. Il 2 ottobre, mentre Bondi alla Camera tuona contro Letta Nipote (“vergogna vergogna!”), Berlusconi in Senato annuncia la fiducia. Oggi – salvo colpi di scena, o di coda, o di mano, o di testa, o di sonno – Palazzo Madama voterà la sua decadenza. E, se sarà presente, i commessi lo accompagneranno all’uscita. Potrà rientrare fra sei anni, quando ne avrà 83. E l’ordine lo darà il presidente Piero Grasso, lo stesso che l’anno scorso voleva premiarlo per il suo indefesso impegno antimafia. A quel punto, al Caimano, verrà da ridere. O forse da piangere.

Processo Mediaset: il caso delle rogatorie mai arrivate. L'Europa mette sotto accusa l'Irlanda

Nel giorno in cui Silvio Berlusconi ha deciso di convocare una conferenza stampa per illustrare le nuove carte americane che, secondo le sue intenzioni, potrebbero riaprire il processo Mediaset e rimettere in discussione la condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale, si è aperto un nuovo fronte (questa volta europeo) che potrebbe minare le nuove certezze del Cav.

L'Irlanda, come spiega Luigi Ferrarella su il Corriere, infatti è stata messa sotto accusa da Eurojust perché da sette anni non dà risposte a una richiesta di rogatoria italiana su due società di Frank Agrama, il produttore americano condannato, nello stesso processo di Berlusconi, per frode fiscale.

Ricostruiamo i fatti. È il 17 luglio del 2006 il Pm De Pasquale chiede prima la rogatoria all'Irlanda sulle società irlandesi Olympus Trading e Olympus Trading Ireland Ltd di proprietà proprio di Frank Agrama poi accoglie l'invito irlandese di richiederla con altre formalità l'11 gennaio 2008. Dopo due anni però nulla accade, il 19 marzo 2010 De Pasquale apprende che Dublino, senza dire nulla a Milano, ha rivelato ad Agrama alcune comunicazioni confidenziali tra la Procura milanese e la Central Authority irlandese.

Il 14 ottobre 2011 l'Irlanda comunica che il giudice ha deciso mezza questione ma per l'altra metà servirà ancora tempo. Da lì passano mesi, settimane e poi anni. Ufficialmente la rogatoria (è il 2011) sarebbe partita destinazione Italia però il ricorso alla corte Suprema dei legali di Agrama blocca tutto. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, De Pasquale scrive una lettera al vetriolo minacciando di chiedere l'intervento di Eurojust. Richiesta che viene accolta. Il direttorio europeo, dopo aver votato a larga maggioranza, avvia formalmente la procedura per l'emissione di un parere non vincolante. Un paese dell'Unione europea messo sotto accusa dagli altri 26: da quando esiste Eurojust non era mai successo.

L’Italia è in bancarotta

Una clamorosa notizia. Quello che non ci dicono. Abbiamo i mesi contanti. Ecco cosa potrebbe succedere al nostro Paese.

Entro sei mesi tutto sarà chiaro: o l’Italia ritrova un po’ di crescita sfruttando le riforme iniziate dal governo Monti, oppure il peggioramento della crisi, nell’economia reale e sui mercati finanziari, “potrebbe costringere il Paese alla richiesta di salvataggio”. Lo scrive l’analista Antonio Guglielmi in un report di Mediobanca Securities, la controllata di Londra di Mediobanca specializzata in intermediazione finanziaria, che è stato consegnato soltanto ai clienti. Le banche sono restie a divulgare analisi pessimistiche sullo stato della situazione italiana per non creare allarme. Ma il Fatto Quotidiano ha avuto modo di leggere il report di Guglielmi, le cui analisi nei mesi scorsi hanno suscitato vivaci polemiche.

Enrico Letta e i suoi ministri continuano a rimandare i problemi, dall’Iva all’Imu, ma secondo il report di Guglielmi non c’è più tempo: la situazione “è peggiore” che nel 1992, il contesto macroeconomico “sta colpendo l’economia italiana più pesantemente” e l’Italia “non può più contare sulla leva della svalutazione”. E quindi? Il rapporto di Guglielmi sottolinea un fenomeno inquietante: di recente sul mercato in vari momenti (anche l’altro ieri) il rendimento dei Btp ha superato quello dei Bot di pari durata. Perché i mercati chiedono un interesse più basso per un Bot che dovrà essere rimborsato tra sei mesi rispetto a un Btp ventennale emesso 19 anni e sei mesi fa? “Questa differenza di rendimento non ha alcuna ragione di esistere a meno che i mercati non stiano facendo differenza tra i bond a rischio ristrutturazione (Btp) e quelli che non sono soggetti a ristrutturazione (Bot e strumenti di mercato monetario )”. Traduzione: gli investitori si aspettano che nei prossimi sei mesi l’Italia possa dichiarare una parziale bancarotta sul suo debito. Come ha fatto la Grecia. La fuga dei grandi fondi dai Paesi mediterranei è ricominciata.


 

Islanda chiama Italia

L’Islanda è stato il primo Paese ad accusare la crisi economica per il problema dei mutui subprime americani, ma l’Islanda è anche stato il primo Paese a superare la crisi.
L’Islanda non ha salvato le proprie banche nel momento in cui sono entrate in crisi di liquidità. Operavano su mercati finanziari internazionali e erano paragonabili alla grandezza delle banche internazionali, lo Stato islandese, con una economia relativamente piccola, non era in grado di salvarle, quindi le ha dovute lasciare fallire, ma con il senno di poi si è rivelata una ottima scelta.
 Gli islandesi sono riusciti a fare cadere un governo corrotto che negli anni aveva portato il Paese sull’orlo del baratro. Avevano liberalizzato tutto il sistema finanziario senza le capacità per gestire quello che avevano creato. C’era una parte del debito accumulato da queste banche verso l’estero, soprattutto verso Inghilterra e Olanda, pratica che ormai è comune quasi ovunque in tutto il mondo. Tutti i profitti delle banche erano privati, il debito accumulato nel momento del fallimento si convertì in debito pubblico. Questa pratica è stata fermata dagli islandesi che con un movimento di partecipazione e con una petizione sono riusciti a bloccare la legge che convertiva il debito e a non pagare il debito, grazie a un referendum che poi è stato indetto dal Presidente della Repubblica. 
Un elemento importante che ha consentito all’Islanda di uscire in tempi rapidi dalla crisi economica è una moneta sovrana perché, se da una parte la corona si è svalutata all’improvviso, ha causato problemi, chi aveva mutui, debiti si è trovato sommerso da questi debiti e in grossa difficoltà, dall’altro la svalutazione ha ridato competitività all’economia Islandese in tempi molto rapidi. C’è stato un momento iniziale di rabbia, che ha portato a una sete di giustizia diffusa e ha avuto come conseguenza il processo di molte persone che in vari modi si erano resi colpevoli della crisi. Sono stati resi noti pochi giorni fa i nomi di
 una ventina di banchieri attualmente sotto processo e che facevano parte del consiglio di amministrazione delle due banche principali islandesi. L’unica condanna definitiva per ora è quella che pende sul capo del primo ministro di allora, condannato per frode. Una delle conseguenze più positive dell’intera vicenda è che poi da questo momento iniziale di rabbia si è riusciti a passare a una seconda fase molto più costruttiva, che ha avuto vari frutti tra cui la riscrittura della Costituzione. 
La
 vecchia Costituzione era un retaggio di quando l’Islanda faceva parte del regno danese e quindi di fatto era la costituzione danese riarrangiata, però non raccontava i valori veri della nazione Islandese, degli islandesi come popolazione, delle loro origini e tradizioni. Quello che si è fatto è riscrivere la Costituzione in modo innovativo e rivoluzionario. Si è cercato di aprire a una fetta sempre più grande di popolazione e si è fatto prima eleggendo una assemblea costituente. Alle elezioni si poteva presentare chiunque. Questa assemblea costituente quando si riuniva trasmetteva le proprie sedute attraverso i social network, attraverso vari strumenti per coinvolgere il più possibile chi non poteva essere di persona. Di fatto anche da casa si poteva inviare spunti, seguire come evolveva la scrittura della Costituzione. Questa Costituzione così bella, così partecipata, non è ancora entrata in vigore perché attende il vaglio definitivo del Parlamento.
L’utilizzo di Internet come strumento di partecipazione è una costante di tutto il caso islandese ed è anche stato messo a sistema. Sono state create leggi ad hoc per rendere internet uno strumento il più libero possibile. Addirittura a una legge, varata nel 2011, ha partecipato lo stesso Julian Assange che ha contribuito insieme a un’attivista Islandese, Birgitta Jonsdottir. Un’eccellenza per la libertà della Rete, di fatto molti attivisti della Rete chiedono asilo all’Islanda quando si trovano in difficoltà. 
Si è innescato un cambiamento storico di grossa portata. A livello di popolazione si riesce comunque a percepire questo cambiamento, sia negli stili di vita, sia negli argomenti di cui parla la gente in un bar. E' rimasto un sentire diffuso e delle connessioni tra persone che via via si sono attivate per cambiare le cose e per riprendersi in mano la facoltà di decidere del proprio futuro. Una delle obiezioni che viene fatta al caso islandese è che non è replicabile, perché ci sono delle caratteristiche specifiche dell’Islanda e della popolazione islandese che non appartengono a molti altri Paesi. In Islanda ci sono pochissime persone su un territorio relativamente vasto, ricco di risorse e c’è una cultura diffusa, anche molto all’avanguardia su quanto riguarda la rete internet. Tuttavia ci sono alcuni messaggi che sono già alla base di molti movimenti che, anche da noi, cercano di cambiare le cose. Il concetto di base è
 riprendersi in mano il potere di decidere sulla propria vita e sulla società in cui viviamo, un potere che ci è sfuggito negli anni, in un periodo in cui ci è stato detto che non era affare nostro decidere della società in cui viviamo, che ci avrebbero pensato altri, che noi dovevamo pensare a noi stessi e basta. Il messaggio di riappropriazione del potere di decidere e della sovranità intesa come idea di partecipazione alla cosa pubblica, l'idea di costruire un percorso collettivo, è il messaggio più bello e anche più universale che si possa cogliere dall’esperienza islandese.

Tecnicamente si definiscono fondi distressed ma nel gergo finanziario sono meglio noti comevultures, avvoltoi, per via della palese somiglianza “strategica” con la nota specie di predatori. Sono i fondi speculativi che prendono di mira i debiti in default acquistando crediti e diritti sugli asset spaventosamente svalutati. Gli speculatori comprano i titoli dai creditori, tipicamente a prezzo stracciato, alla ricerca di una successiva liquidazione a prezzo maggiorato. La differenza costituisce il profitto.

Gli esempi non mancano. Ne sanno qualcosa le casse statali della Repubblica democratica del Congo, protagoniste di una storica battaglia con la società di New York FG Hemisphere, ma ne sa qualcosa soprattutto l’Argentina, impegnata a fronteggiare con estrema difficoltà la contesa legale con il fondo Nml, di proprietà della Elliot Capital Management. La strategia tende a funzionare. Ma talvolta, evidentemente, i ruoli rischiano di invertirsi e a patire le maggiori difficoltà possono essere i fondi stessi. Esattamente come accade da cinque anni a questa parte in un Paese profondamente colpito dalla crisi ma non per questo troppo propenso a scendere facilmente a patti: l’Islanda.

La storia è tornata d’attualità negli ultimi tempi rimarcando il braccio di ferro tra il governo di Reykjavik, dallo scorso aprile guidato dai conservatori, e un’ottantina di hedge fund internazionali come Davidson Kempner, Taconic Capital e soprattutto Paulson & Co, la creatura del “mitico”John Paulson, l’uomo che, si narra a Wall Street, sarebbe riuscito nell’impresa di guadagnare un miliardo di dollari dal collasso Lehman Brothers con un investimento iniziale di appena 22 milioni di dollari in Credit default swaps, i derivati che assicurano dal rischio bancarotta. Sul tavolo, assicuraBloomberg, ci sono miliardi di dollari di asset bancari, prevalentemente concentrati in un paio di istituti. Un tesoro sul quale i fondi tentano da anni di mettere le mani. Ad oggi del tutto invano.

Un passo indietro. L’Islanda è andata incontro al default nel 2008, l’anno in cui sono fallite le sue tre grandi banche private: Landsbanki, Kaupthing e Glitnir. Un fallimento da 85 miliardi di dollari per un Paese che l’anno successivo avrebbe registrato un Pil totale di poco superiore ai 12 miliardi. La maxi bancarotta ha escluso qualsiasi possibilità materiale di salvataggio bancario costringendo il Paese a chiedere un prestito d’emergenza da 4,6 miliardi al Fmi. Il governo islandese ha quindi ha imposto un limite molto severo all’ammontare di corone convertibili in valuta estera con l’obiettivo di bloccare, o comunque limitare, le tre piaghe tipiche di ogni default sovrano che si rispetti: svalutazione, fuga di capitali e inflazione. I tre istituti, infine, sono stati scorporati secondo lo schema classico della bad bank: gli asset di valore sono finiti in nuovi istituti, quelli svalutati sono invece rimasti nelle vecchie banche. I creditori hanno ottenuto quote delle nuove banche e diritti sugliasset svalutati.

La battaglia odierna si svolge proprio attorno alla conclusione del processo di riorganizzazione. Ad oggi, segnala Bloomberg, il valore nominale degli asset reclamati dai creditori nei confronti di Glitnir e Kaupthing ammonta a 44 miliardi di dollari mentre quelli su Landsbanki sarebbero sostanzialmente trascurabili (718 milioni circa). Il valore reale degli asset totali in mano alle due banche principali si aggira sui 14 miliardi. Buona parte degli asset reclamati, precisa ancora l’agenzia, sono denominati in valuta estera ma alcuni di essi sono invece denominati in corone islandesi (per un controvalore di 3,8 miliardi di dollari) e come tali sono bloccati dai limiti sul trasferimento di valuta nazionale imposti all’alba del default. La banca centrale islandese avrebbe il potere di fare un’eccezione ma al momento non ha ancora preso alcun provvedimento.

Il governo, nel frattempo, ha deciso di bloccare anche il trasferimento degli asset in valuta estera in attesa di prendere una decisione definitiva sul fronte delle corone. Nel frattempo resta ancora da stabilire la dimensione finale del cosiddetto haircut sul valore dei titoli reclamati. Ovvero a quanta parte del valore nominale dovranno rinunciare i fondi creditori. Da qualche tempo circola l’ipotesi di un taglio definitivo del 75% che garantirebbe comunque un profitto agli investitori (visto che li hanno acquistati dai creditori originari ad un prezzo inferiore) ma per il momento non esistono certezze. Nei giorni scorsi, ha riferito ancora Bloomberg, il ministro delle finanze di Reykjavik Bjarni Benediktsson ha definito quella del 75% un’ipotesi “non ufficiale” specificando il taglio finale potrebbe essere inferiore o eventualmente anche superiore.

IL DENARO,LA PROPENSIONE ALL'INFINITO,IL DISASTRO DEL TAGLIO DEL COSTO DEL DANARO,IL CATTOLICESIMO POLITICO E LA MISERICORDINA

Il denaro che c’è nel mondo, in tutte le forme, azioni, obbligazioni, crediti di qualunque tipo, fatto 100 questa quantità di denaro con l’1% compri tutti i beni e i servizi del mondo, il 99% che cos’è? Non è nulla, se non una folle proiezione. 
Il denaro nella sua prima forma appare in Lidia, nell’ambito della cultura greca intorno al tremila avanti Cristo, lì inizia la storia del denaro, inizialmente è un intermediario nello scambio per evitare le triangolazioni del baratto, che sono faticose. C’è un geroglifico nelle piramidi egiziane dove uno per avere una focaccia deve prima andare da un altro, perché quello che ha lui non interessa a quello che ha la focaccia, e quindi fare una triangolazione. E sostanzialmente così resta per molto tempo, un utile mezzo di scambio. 
Poi il denaro prende invece la forma di fine, non più di mezzo e diventa protagonista del sistema. Con la rivoluzione industriale diventerà fondamentale, perché come dice Adam Smith è “la tecnica che unisce tutte le tecniche”, è ciò che permette questo tipo di sistema che abbiamo oggi e, piano a piano, si smaterializza, si svincola dal supporto materiale, prima c’è la banconota, che Adam Smith considera una invenzione pari a quella della macchina a vapore e poi diventa virtuale. Questo ha alcune conseguenze, questa smaterializzazione del denaro dalla moneta fisica e la sua finanziarizzazione. Oggi ci sono i derivati e le opzioni si moltiplica il denaro esistente in modo enorme, perché sono scommesse su scommesse su scommesse. Si parte da un’azione di una azienda a una scommessa su quanto varrà questa azione due mesi dopo e poi una scommessa su questa scommessa. Insomma è un moltiplicatore di denaro, motivo per cui c’è questa bolla enorme che prima o poi ci ricadrà addosso. Ci ricadrà addosso anche per una ragione più di fondo, perché il nostro modello di sviluppo è basato sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, per cui a un certo punto tu arrivi a un limite e noi siamo molto vicini a questo limite. Non possiamo più crescere e chiunque parla di crescita mente sapendo di mentire. E’ come una potentissima macchina che partendo dalla rivoluzione industriale ha corso velocissima in questi due secoli e mezzo e adesso si trova davanti a un muro e continua a dare di gas e naturalmente a un certo punto fonde. 
Ragionevolmente bisognerebbe fare qualche passo indietro. Le correnti di pensiero che si sono occupate di queste cose, soprattutto americane, perché essendo gli Stati Uniti la punta di lancio del modello sono anche quelli che esprimono per primi gli anticorpi, anche se sono pensieri di nicchia, ma non sottovalutati. In America, parlano di un ritorno graduale, ragionato a forme di auto-produzione e autoconsumo che passi attraverso il recupero della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale finanziario. Se tu hai autoproduzione e autoconsumo non hai bisogno di denaro, quando si dice che certi Paesi vivono poveramente perché hanno il reddito pro capite due dollari al mese, bisogna vedere, perché può essere che neanche quei due dollari gli servano, se sono autosufficienti. 
Lo dice molto bene, devo dire, Ta-Tanka I-Yotank , il vecchio Toro Seduto a fine Ottocento “Quando avrete abbattuto l’ultimo bisonte, tagliato l’ultimo albero, prosciugato l’ultimo fiume vi renderete conto che non potrete mangiare il denaro accumulato nelle vostre banche”. Prima della rivoluzione industriale c’era l’abitudine del maggese, una parte della terra la facevi riposare. Adesso invece la si sfrutta a sangue e a un certo punto la terra diventa totalmente improduttiva.
Il popolo ha sempre avuto una estrema diffidenza nei confronti del denaro. Voglio fare prima un esempio che riguarda l’Africa esposto in un libro che mi è costato molta fatica: “Il denaro, sterco del demonio”, sterco del demonio sono parole di Martin Lutero.Quando i colonialisti arrivarono in Africa i neri non volevano saperne di denaro, loro vivevano di autoproduzione e di baratto e allora che cosa fecero? Imposero una tassa su ogni capanna, per cui questi dovevano procurarsi un surplus, e lì inizia la storia dello scambio attraverso il denaro e non più attraverso un baratto. 
C’è una bella poesia di un poeta africano che dice “Ah che bello il tempo quando se io avevo sale e tu pepe io ti davo sale e tu pepe senza stare a pensare se il sale valeva più del pepe o il pepe più del sale”.
Il denaro favorisce quei soggetti che avendone capito profondamente l’essenza lo sanno maneggiare, e sono i grandi finanzieri, ma la gente comune non sa, non solo, si fa totalmente ingannare, il risparmiatore è la vittima designata del sistema del denaro, perché finanzia attraverso le banche i ricchi perché diventino sempre più ricchi, se le cose a costoro vanno bene tanto meglio per i ricchi, se vanno male la cosa cade sulla testa dei risparmiatori. In qualche forma la rapina del cosiddetto risparmio avviene già, perché o è l’inflazione o il fatto che a un certo punto vieni tassato, il risparmiatore non può uscirne.Non c’è qualcuno alla guida di questo treno, è un meccanismo che si autoriproduce, autopotenzia e che indebolisce l’uomo, più si indebolisce e più diventa prigioniero del meccanismo. 
Questo me l’ha confermato Rubbia, uno scienziato positivista, quando gli ho fatto questo esempio ha ammesso che è così, che il treno è lanciato a mille all’ora e che noi non sappiamo se anche fermandolo adesso non abbiamo già superato il punto di non ritorno e quindi andiamo a schiantarci contro la montagna. Fuori di metafora verso quel momento in cui crollerà questo tipo di mondo e di sistema. 
E’ chiaro che l’Occidente pur di salvarsi scatenerà guerre, ma si salveranno coloro che saranno fuori da questo tipo di logica, pochissime società marginali, autosufficienti. 
In guerra si vede bene. La città diventa il luogo della prigionia e in campagna tu puoi autosostentarti. Una mucca può perdere anche un po’ di valore, ma continua comunque a brucare e trasformare in latte, a cagare come Dio comanda. Non può mai azzerarsi il valore di una mucca. Il denaro può azzerarsi totalmente in qualsiasi momento, si è visto in alcune crisi famose, il denaro non valeva più niente,la crisi di Weimar: un francobollo costava quattro miliardi di marchi! Il Messico doveva 50 miliardi ai Paesi industrializzati e era sull’orlo della bancarotta, la bancarotta in realtà fa più male al creditore che al debitore, cosa fecero? Prestarono al Messico 50 miliardi di dollari perché potesse restituire 50 miliardi di dollari. 
Questa cosa sembra non avere nessuna logica. Se io ti devo 100 Euro e tu mi dai 100 Euro perché ti restituisca i 100 Euro non è logico. Nel sistema globale ha una sua logica, perché in questo modo tu tieni agganciato il Messico, quindi continui a vendergli Coca Cole e altre stronzate di questo genere. Nel 2008 la crisi subprime come è stata risolta? Gli americani hanno tirato fuori tre trilioni di dollari che o li avevano prima, e non si capisce perché non li avessero usati, o se li sono stampati e a che cosa corrispondono? A niente! Servono per mandare avanti ancora per un po’ il sistema, ma in realtà creano una bolla speculativa che ricadrà addosso a loro, agli europei, a tutti quanti. Più o meno tutti i Paesi hanno reagito in questo modo, immettendo altro denaro non esistente sperando che il cavallo già dopato faccia ancora qualche passo avanti, ma prima o poi crolla per eccesso di overdose
Il lavoro diventa un valore con la rivoluzione industriale, sia da parte marxista che liberista, per Marx l’essenza è il valore e per i liberisti è quel fattore che combinandosi con il capitale dà il plusvalore, ma prima il lavoro non era affatto un lavoro, era uno spiacevole sudore della fronte. Non era proprio lavoro, ma mestiere, che è una cosa diversa, comunque la gente lavorava per quanto gli bastava, il resto è vita! Noi oggi invece siamo tutti degli schiavi salariati costretti a lavorare, sotto un qualche padrone. Che in questo caso è l’imprenditore, che a sua volta è schiavo di certe dinamiche, ma l’essere usciti in questo modo clamoroso dalla autoproduzione e autoconsumo per creare questo mondo così complesso alla fine si è rivelata una scommessa perdente. La rendita è in se parassitaria, perché è denaro fatto su altro denaro, cioè è un nulla fatto sul nulla, che poi si materializza, nel senso che poi tu compri una cosa magari, ma di fondo nel complesso mortifica tutti gli altri. A lungo termine questo crea una bolla speculativa che prima o poi ti cade addosso, in modo drammatico, perché è quello che succede a tutti i sistemi totalitari e totalizzanti a un certo punto. L’impero romano aveva appena finito di conquistare tutto il mondo conosciuto che implose su se stesso, qui accadrà la stessa cosa, solo che l’impero romano era uno sputo nel vasto mondo di allora, qui il sistema si pone come planetario, quindi il crollo quando sarà planetario e provocherà sconvolgimenti straordinari. Noi ci stiamo, si dice, risollevando dalla crisi, ma in realtà l’occupazione diminuisce. E allora dove ci stiamo risollevando? Ci stiamo risollevando a danno delle persone, e del resto tutte le volte che in America una grande multinazionale dice che i suoi profitti sono aumentati. ma contemporaneamente hai il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori, allora il meccanismo è fatto per noi uomini o per altro? Il progresso si è trasformato in uno straordinario regresso dal punto di vista umano. L’unico Dio veramente condiviso è il Dio quattrino e tutti gli altri valori sono spariti, lo vediamo, chi ha vissuto come me da anni appunto in questo Paese sa che alcuni valori pre-politici, come onestà, lealtà, dignità, esistevano anche nel nostro sciagurato Paese, negli anni ‘50 era così, l’onestà era un valore per tutti, per la borghesia, se non altro perché dava credito, nel mondo contadino lo sanno tutti, se tu violavi la stretta di mano eri emarginato e anche per il mondo proletario. 
Tutti questi valori il benessere li ha cancellati. Ecco perché ho scritto un pezzo che ha suscitato molte polemiche, dico a noi occorrerebbe una guerra, non quelle che facciamo sugli altri, ma quelle da subire, perché almeno ci ridarebbero una scala di valori, ciò che è importante e ciò che non è importante.. 
Bisognerebbe ritornare all’essenziale, senza esagerare. Queste teorie americane, del neo comunitarismo, del bioregionalismo, non è che pretendano che si ritorni all’età delle caverne e neanche al medioevo, però non abbiamo bisogno ancora di ingozzarci di beni. 
Quando trionfa in questo modo il principio individualistico la comunità si spezza.Riscontriamo in Italia, nell’interpretazione migliore, una diffusa insensibilità per i problemi dei risparmiatori. Giovedì scorso la Banca Centrale Europea (Bce) ha abbassato il tasso di riferimento allo 0,25%, consolidando così una situazione già molto critica.

Un investitore non sfugge infatti a un’imbarazzante alternativa. Se ricerca la sicurezza (titoli di Stato tedeschi e simili), deve accettare rendimenti sotto l’inflazione, il che implica il progressivo assottigliarsi del valore reale di quanto accantonato. Se vuole di più, deve accollarsi il rischio di perdite anche significative, implicite nei prestiti di Stati malconci (Spagna, Italia, Portogallo ecc.) e peggio ancora nelle azioni. Un altro mondo rispetto agli anni Ottanta e Novanta con facili guadagni persino coi Bot: nel 1986 fruttarono addirittura un 8,5% pulito pulito, tolta l’inflazione e senza imposte. Intanto gonfiava, altra faccia della medaglia, il debito pubblico.

Ora uno si sarebbe atteso reazioni negative alla decisione della Bce da parte dei sedicenti difensori dei risparmiatori, come è stato per esempio in Germania. Attesa prontamente delusa.

Peggio ancora sul fronte specifico della previdenza integrativa. Con tassi reali negativi, i soldi (Tfr compreso) a essa destinati non s’incrementano col passare degli anni, ma anzi si contraggono. In Germania la Lega degli Assicurati (Bund der Versicherten) denuncia che così “vengono puniti quanti risparmiano per la vecchiaia”, in sintonia per altro con l’associazione degli assicuratori: si veda Der Spiegel.

Zitte zitte invece tutte quelle cosiddette associazioni di consumatori italiane che sgomitano solo per entrare in bislacche fondazioni, comitati, tavoli paritetici ecc. finanziati e quindi al servizio di banche e assicurazioni. Zitti zitti anche i sindacati, occupati a spartirsi con le associazioni padronali le poltrone dei fondi pensione, incassando laute prebende: dire la verità ne frenerebbe le vendite.

Qualcuno penserà che io abbia la fissa della Germania, ma come si fa a prescindere da essa per tutto quanto riguarda la moneta comune, tassi d’interesse compresi? Comunque il punto non sono i meriti tedeschi, ma le colpe italiane.

Entrando un po’ dentro gli eventi, scopro che i fautori della finta «scissione» da Berlusconisono quasi tutti «cattolici», con qualche escrescenza di contorno: Cicchitto (P2), Saccomanni, cattolico perché già socialista craxiano. Alfano, Formigoni, Lupi, Mauro, Lorenzin, Di Gerolamo, Giovanardi (ah! Beato chi ha un Giovanardi tra le costole, non avrà mai male di schiena), et similia. O meglio, costoro dicono di essere «cattolici», ma non lo sono. Come può essere cattolico un Formigoni o peggio uno Schifani che è ancora indagato per mafia? Beh, mi direte che mafia e religione sono sempre andati a braccetto. Ed è vero! Non basterà un Francesco anche Papa a salvare il grano dal loglio.

Tornando a bomba, ma ci siamo dentro fino al collo, pare che la «scissione» sia stata voluta daRuini, da parte della Cei e spezzoni del Vaticano che mal sopportano Papa Francesco che ha dato ordini di non volere ingerenze nelle politiche dei Paesi e dei partiti. Costoro infatti, tramano nell’ombra e come sicari si muovono rasenti i muri, in silenzio, travestiti per la «maggior gloria di Dio».

La Cei e il Vaticano non hanno rinunciato al sogno dell’unità politica dei cattolici, cioè quelli che sono pronti a ubbidire per spartirsi il potere e la carogna che resterà dell’Italia e ci provano ogni volta, anche contro la logica, la grammatica, la sintassi e anche contro la Storia. Non demordono mai, perché pensano di essere al di sopra di Dio, il quale Dio se vuole mantenere il posto a tempo indeterminato deve ubbidire a loro, miscredenti e pagani senza ritegno e senza scrupoli. Dio è lo strumento del loro potere.

Ecco come è nata la santa scissione che mantiene le mani libere a Berlusconi e inguaia il Pd perché una parte, quella che resterà delusa, si aggregherà al «Nuovo Centro Destra», nome che prova che non ci credono nemmeno loro. Resta l’amara conclusione che in Italia chi comanda è sempre una sottana di prete che fa e disfa pretendendo anche l’inchino e il baciapiedi da governo e collaterali.

Un mio amico di Siracusa, Aurelio Caliri, mi informa che a Lampedusa durante un tg abbia detto: «Una scena orribile che spero la Divina Provvidenza abbia fatto verificare per fare aprire gli occhi all’Europa». Se questo scempio deve essere detto da un cattolico, protetto dagli eminentissimi cardinali, allora voglio essere ateo, miscredente, agnostico e altro ancora. Come si fa a dire una bestialità del genere, sufficiente per una scomunica nella debita forma? Siamo in mano di questa gentaglia qua, che dice l’ignominia di una gravità inaudita. Nessun prete ha risposto.

Papa Francesco? Poveretto, ce la mette tutta, ma presso di lui la «scissione» è già riuscita: lui fa il papa delle folle e quelli tramano incontri, fanno piani di guerra, disegnano strategie elettoraliperché il gioco non è la veste bianca, per giunta povera, ma il cuore dello Stato italiano che deve diventare l’espressione visibile del Regno di Dio – pardon! – del regno ecclesiastico. La loro forza è nel fatto che il Papa non conosce la situazione italiana.

Papa Francesco domenica 17 novembre 2013 ha fatto cilecca e mi dispiace: si è messo a propagandare la «misericordina», la scatoletta fatta dai polacchi più retrogradi: dentro c’è un par di santini e un rosario. Una volta, Ernesto Calindri beveva un Cynar nel gorgheggio del traffico «contro il logorio della vita moderna», oggi se non c’è di meglio, abbiamo la «misericordina» made in Polsky. Ah! Cecco, Cecco! Non è così che si riforma la Chiesa.

LA NECESSITA' IMPROROGABILE DI RIDISCUTERE I PATTI

I dati ormai parlano chiaro e solo una disastrosissima classe dirigente italiota,che il popolo non riesce e non vuole scrostarsi di dosso,si ostina a rifiutare millantando fantasie senza senso.

I dati sul PIL appena usciti, la crisi annunciata dell’INPS (dopo Alitalia Telecom Finmeccanica ecc.), il nuovo record della disoccupazione e del debito pubblico, la forte deflazione dei prezzi alla produzione, descrivono uno scenario di graduale asfissia economica. La crisi dell’Eurozona sta portando alla disperazione decine di milioni di Europei: tra questi, sei milioni di italiani che vorrebbero lavorare ma non trovano lavoro. Si tratta di una crisi strutturale: perciò a politiche vigenti essa è destinata a trascinarsi a indefinitamente. Gli effetti di isteresi sull’offerta aggregata consolideranno definitivamente, nei prossimi anni, il crollo di civiltà in atto nei paesi Mediterranei. 

L’Euro venne varato senza che vi fossero le condizioni perché i paesi aderenti potessero condividere una moneta unica. I padri dell’Euro speravano che in corso d’opera opportune riforme istituzionali avrebbero creato tali condizioni. Ma tali riforme (ammesso che siano sufficienti) non sono mai state fatte. Anche dopo l’esplosione della crisi, l’Europa si è limitata ad adottare:

  • provvedimenti tampone;

  • misure minime, al limite della violazione dei Trattati Europei, strettamente necessarie per evitare il crollo dell’Euro, senza correggere i Trattati;

  • modifiche ai Trattati inadeguate e controproducenti.

Insomma, i progressi istituzionali sono stati deludenti.Ad oggi chi ne ha beneficiato è la Germania e l'Europa del Nord: i secondi mantenendo una socialdemocrazia ad ogni costo con la compressione estrema della dinamica salariale a fronte di uno stato sociale finanziato per oltre il 50% dell'imponibile, contrazione adottata dai tedeschi sotto il cancellierato Schroeder, che ereditava i costi ingenti dell'Unificazione tedesca del 1990. Ancorando poi l'euro ad una valuta forte come il marco, il risultato è stato che la Germania sola ha beneficiato di una valuta pesantissima che grazie alla compressione interna ha finito per generare un SURPLUS COMMERCIALE AD OGGI DI QUASI 1800 MILIARDI DI EURO !! Uno "sterminio" economico che ha finito per massacrare tutte le economie tipiche d'esportazione di paesi che non hanno alcuna materia prima interna, come Italia,Spagna,Portogallo,Grecia,Irlanda fino ad allora scudate da monete nazionali deboli. Se in PIIGSF la crescita della produttività accelerasse, non è detto che ciò determinerebbe un recupero di competitività sulla Germania. Perché nel frattempo la produttività tedesca non si ferma. Dunque non può essere questo il meccanismo di riequilibrio: non esiste al mondo. Anche perché trasformerebbe l’Eurozona in una micidiale macchina per sopprimere i diritti dei lavoratori. (Guarda caso…). In ogni caso, in Germania l’aritmetica è… un’opinione?! Non tutti i paesi possono avere simultaneamente un avanzo commerciale. E per recuperare competitività la Germania nel 2000-08 beneficiò di un’inflazione al 3-4% in PIIGSF, mentre oggi l’inflazione tedesca è all’1,4% e non ci lascia margini. In ogni caso, il surplus commerciale tedesco è illegittimo (accordi G20), devastante perciò immorale. La Germania potrebbe crescere come tutti i paesi del mondo avvalendosi della domanda interna. Ai tedeschi è riuscito con il sorriso e lo spread ciò che è sprofondato con le panzer divisioni di Hitler. Il dominio economico tedesco ha un pesante riflesso politico con i Trattati europei d'acciaio non modellabile. Peggio ancora, a peggiorare l’assetto normativo dell’Eurozona grazie alla preminenza finanziaria acquisita: essa rende gli altri paesi vulnerabili e perciò sensibili a minacce ed incentivi, dunque all’influenza politica dei paesi in surplus. Perciò l’alleanza fra Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, e Francia non è mai nata. Lideologia macro-liberista è molto forte in Europa: e porta a negare le analisi e le evidenze empiriche che smentiscono la bontà delle politiche, degli assetti istituzionali, e della filosofia di cui l’Eurozona è impregnata.

Non che la crisi sia stata provocata: ma non deve essere risolta se non facendo funzionare il meccanismo di flessibilizzazione dei prezzi (quindi dei salari) e di riduzione della spesa pubblica: sono questi i Valori Prioritari, rispetto ai quali la disoccupazione e il PIL diventano non solo secondari, ma strumentali.

La crisi in atto è dunque fondamentalmente politica. La Storia ci insegna come finiscono crisi di questo genere. Negli anni “30, un’intera classe dirigente di politici, banchieri centrali, diplomatici, funzionari, economisti, ecc., aveva legato il proprio cuore e il proprio destino al gold standard. Ma fu proprio l’abbandono del gold standard a consentire la fine della crisi. Eppure, l’establishment fino alla fine lottò per conservare il sistema aureo. L’Inghilterra fu espulsa (per sua fortuna) dai mercati, a causa dell’assenza di un lender of last resort internazionale; ma la BCE è stata costretta ad accettare, più o meno, questo ruolo nel Luglio 2012, il che ha escluso tale evenienza. In altri casi, fu necessaria la grande vittoria politica di un leader nuovo (Roosevelt, Hitler), determinato a mettere fine alla crisi, a costo di ‘provarle tutte’, anche sconvolgere gli equilibri esistenti. Tali vittorie politiche richiedono: disoccupazione di massa; e una democrazia che lasci qualche possibilità agli outsiders. L’establishment europeo sta cercando di impedire l’insorgere di tali condizioni: applicando un po’ di flessibilità al paradigma dominante; costituzionalizzandolo; e prevedendo penalità per chi dovesse abbandonare l’Eurozona (l’uscita dall’Euro è vietata).Ora la Commissione, vista l’aria che tira, fa la voce grossa con la Germania. Ma si tratta sempre di un’ammoina: il limite per il surplus dei conti con l’estero è stato fissato a uno stratosferico 6% del PIL. La Germania viaggia fra il 6 e il 7% da alcuni anni. Ma un surplus tedesco al 5,9% non cambierà granché. Ora la BCE spiega che ha tutti gli strumenti a disposizione per evitare la deflazione: se necessario, interverrà.Dunque la BCE dice che è perfettamente in grado di attenuare la depressione, ma non muoverà un dito a meno che l’inflazione non diventi negativa. Com’è possibile accettare una Banca Centrale i cui obiettivi politici sono così contrastanti con quelli della società?

IL MIRACOLO POLONIA

L’ex quartier generale del Partito comunista della capitale polacca oggi ospita un negozio diFerrari ed uno di Montblanc, dal 1991 al 2000, durante il primo decennio post-comunista, fungeva da sede della Borsa di Varsavia. Ecco un’immagine che ben descrive il successo economico polacco dalla caduta del muro di Berlino fino ai giorni nostri. Per una serie di motivi, che andremo qui di seguito ad analizzare, l’economia polacca si è mossa lungo un sentiero anticiclico rispetto a quello dell’Unione Europa, di cui fa parte dal 2004, e questo ha reso possibile l’attuarsi di un piccolo boom economico.

Nel 2009, quando il prodotto interno lordo dell’Ue si e contratto dell’4,5 per cento, l’economia polacca è stata l’unica a crescere dell’1,6 per cento. Oggi, le dimensioni dell’economia comunitaria sono ancora minori di quelle di cui godeva nel 2008 (e di certo le perdite subite non verranno recuperate nel 2013). Ebbene, durante questi anni di contrazione in Europa, l’economia polacca è cresciuta complessivamente del 16 per cento. La crisi in Polonia, insomma, non c’è stata.

Il miracolo economico polacco è in parte legato allo sfasamento temporale dei flussi di capitale: la Polonia ha avuto la fortuna di entrare nell’Unione Europea alla vigilia della crisi del credito. In altre parole, l’economia non ha fatto in tempo ad indebitarsi come è avvenuto nelle altre nazioni. Ma questo è un destino che altri ex paesi dell’est europeo condividono, eppure nessuno gode di unacrescita economica simile perché nessuno ha affrontato con la stessa determinazione latransizione verso un’economia di mercato aperto.

Dal 1989 al 2007 l’economia polacca è crescita del 177 per cento, e cioè ad un tasso superiore a quello di tutti gli altri paesi del centro ed est europeo, grazie a politiche economiche aggressive edespansive.    

I calmieri su pressi sono stati aboliti, i salari statali controllati, il commercio liberalizzato e loZloty, la moneta nazionale, è stato convertito sul mercato dei cambi. Queste politiche hanno gonfiato le file dei disoccupati (la disoccupazione rimane alta al 10,3 per cento, ma a livelli di gran lunga inferiore a quelli della Periferia di eurolanida) ma hanno anche liberato l’economia da decenni di cattiva gestione. Nel 2004, quando la Polonia è entrata nell’Ue, era già in grado di competere con le economie più avanzate.

Mentre i paesi della periferia di Eurolandia perdevano competitività la Polonia l’acquistava grazie alla decisione di rimanere fuori dell’euro. Da settembre 2008 a febbraio 2009 lo Zloty ha perso un terzo del valore rispetto all’Euro, prima di stabilizzarsi, alla fine di quell’anno, a circa il 70 per cento del suo valore massimo. Ciò ha dato una grande spinta alla competitività del Made in Poland. Ed infatti mentre in euro il valore delle esportazioni polacche dal 2008 al 2009 è sceso del 15,5 per cento, in Zloty è salito del 4,4 per cento.

La svalutazione dello Zloty ha reso le importazioni più costose e spinto le imprese nazionali a concentrarsi sulla qualità e non sulla quantità delle esportazioni. Il mercato di sbocco principale è la vicina Germania, che assorbe il 25 per cento del fatturato polacco. Ed è grazie a questa domanda che nel 2014 il Pil polacco dovrebbe crescere del 2,5 per cento.

Ma non basta, la Polonia non ha dovuto sottomettersi alle politiche di austerità imposte alla Periferia, al contrario ha perseguito politiche espansive, ad esempio la riduzione delle aliquote fiscali dal 40 al 32 per cento proprio quando la crisi si abbatteva sul eurolandia.

Paradossalmente, poi, grazie alle dimensioni e prossimità dell’economia polacca alla Germania, la più grande economia europea, la Polonia riceverà dal 2014 in poi 105,9 miliardi di euro dall’Ue, trasformandola nella più grande beneficiaria in assoluto.

Una favola a lieto fine? E’ quello che molti polacchi pensano. A scriverla, secondo loro, è stata unaclasse dirigente che invece di fare gli interessi della casta ha fatto quelli del paese.

Privatizzazioni: chi ci garantisce dai garanti?

Il governo Letta vuole dimostrare di fare sul serio con le privatizzazioni. Ieri il ministero del Tesoro ha presentato i membri del comitato che dovrà gestirle. Premesso che in Italia si guarda sempre con un certo scetticismo alla nascita di nuove stratificazioni burocratiche, specie nell’ambito di un processo che dovrebbe ridurre il ruolo dello Stato, i nomi indicati legittimano qualche dubbio sulla cultura pro-mercato dell’esecutivo.

Niente da dire su Vincenzo La Via, è il direttore generale del Tesoro, è giusto che presieda il comitato per vigilare su come vengono vendute (o svendute) le quote azionarie di Eni, Sace, Fincantieri, Enav di proprietà del ministero.

Ma gli altri? Secondo il decreto di nomina, il Tesoro doveva scegliere “quattro esperti di riconosciuta indipendenza e di notoria esperienza nei mercati nazionali e internazionali, individuati nel rispetto del principio di pari opportunità tra uomini e donne”. L’unica donna è Anna Maria Artoni, guida il gruppo di famiglia che si occupa di trasporti, da Reggio Emilia, ha avuto momenti di celebrità quando era a capo dei giovani della Confindustria, ma a parte l’amicizia con Enrico Letta a quale titolo siede nel comitato?
Gli altri nomi sono ancora più singolari. C’è Piergaetano Marchetti, notaio milanese al centro dei gangli del capitalismo di relazione italiano, è a lungo stato presidente della Rcs, il salotto buono in cui siedono banche e imprenditori che potrebbero essere interessati alle quote azionarie messe in vendita dal Tesoro. 
Un altro membro è l’ex rettore della Bocconi Angelo Provasoli, che ha preso il posto di Marchetti alla presidenza di Rcs. É anche membro del cda di Telecom e presidente del collegio sindacale della Cassa depositi e prestiti per conto della quale ricopre anche la carica di presidente del collegio sindacale del Fondo strategico italiano. In pratica Provasoli decide come e cosa il Tesoro venderà e, negli altri suoi incarichi, vigila su come la Cassa depositi nazionalizza una parte crescente del sistema economico.
L’ultimo componente del comitato è Massimo Capuano, oggi banchiere a Iwbank (gruppo Ubi), è stato amministratore delegato della Borsa italiana, e forse è l’unico dei membri che un investitore internazionale si aspetterebbe in un comitato privatizzazioni.

Ma forse è giusto così: in fondo quelle del governo non sono vere privatizzazioni, solo un disperato tentativo di fare cassa vendendo asset che hanno già un facile mercato. Quindi non servono persone che conoscono il mercato, ma che ragionano pensando al “sistema”, per evitare che questa pur minima dose di incertezza introdotta dalla crisi turbi troppo gli equilibri dello spompato capitalismo italiano.

Scattano le ultime Privatizzazioni, 12 mld per abbattere il debito.
Sul mercato vanno Eni, le reti Cdp e Fincantieri. L'Italonia agli strapuntini finali ultimi:dopo aver disintegrato autostrade(cedute ai benetton),

aereonautica(ceduta ai capitani coraggiosi 2),chimica,telefonia

(ceduta agli spagnoli),industria(ex Iri),energia(Enel),

rimangono SOLO gli ultimi due colossi...

Al via il piano di cessioni per convincere la Commissione Ue a garantire all'Italia la possibilità di maggiori investimenti senza appesantire il rapporto deficit/Pil. Slittano il congelamento della seconda rata Imu - per il quale resta il nodo dei terreni agricoli - e la rivalutazione di Bankitalia.

Slitta a martedì prossimo l'esame e il varo del decreto per cancellare la seconda rata dell'Imu sulla prima casa, che era all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi. Stessa sorte per la rivalutazione delle quote di Bankitalia, mentre prende forma l'intervento sulle privatizzazioni finalizzato ad abbattere il debito pubblico e a convincere la Commissione Ue a liberare la possibilità di fare investimenti aggiuntivi senza che si intacchi il rapporto tra deficit e Pil. I nodi ancora da sciogliere riguardano l'estensione della cancellazione della seconda rata dell'Imu anche ai terreni agricoli e la ricezione di un parere della Banca centrale europea, che deve dare il proprio "ok" alla decisione sul valore di via Nazionale.

Nella conferenza stampa dopo il Cdm, il premier Enrico Letta ha spiegato che si "tratta solo di motivi formali", ma "come sempre abbiamo sostenuto la seconda rata dell'Imu non sarà pagata dalle famiglie e dai cittadini. Questo è il nostro impegno e sarà rispettato". Anche in considerazione di questi passaggi tecnici necessari, il pagamento degli acconti fiscali che dovrebbero coprire la seconda rata Imu "viene spostato dal 30 novembre al 10 dicembre". Doveroso il pensiero alla Sardegna, che ha aperto la conferenza: "Sentiamo una voglia di partecipare da parte

dell'intera comunità nazionale alla tragedia che è accaduta in Sardegna. Ora non dobbiamo lasciarli soli".
 
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, ha invece spiegato che domani l'Eurogruppo dirà la sua suigiudizi che la Commissione Ue ha stilato per la Legge di Stabilità. Il ministro ha ricordato che la Commissione "non ha bocciato" la Manovra, "ma ha preso atto del fatto che il debito pubblico, per la recessione e la decisione di rimborsare i debiti della Pa (27 miliardi nel 2013 e 20 nel 2014), sarebbe salito". Ma "già a Bruxelles avevo ricordato che i provvedimenti in via di definizione avrebbero riportato sotto controllo il debito" e il commissario Rehn "ha detto che di fronte a questi" passi operativi ulteriori "l'Italia avrebbe potuto sfruttare la clausola sugli investimenti". Saccomanni, in sostanza, spera che già domani i ministri delle Finanze della moneta unica diano indicazioni di apprezzare il piano di privatizzazioni e lascino aperte le porte a Roma perché possa sfruttare lo spazio di investimenti aggiuntivi.

Partecipazioni. Una quota di controllo di Sace e Grandi Stazioni, poi quote non di maggioranza di Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, il gasdotto Tag. Sono queste le società per le quali si è previsto un pacchetto di privatizzazioni in rampa di lancio nei prossimi giorni. Letta ha anche annunciato il via libera all'operazione di cessione di un pacchetto del 3% di Eni, affiancato a un buyback del Cane a Sei zampe che non farà scendere lo Stato sotto il 30% del capitale, la famosa soglia d'Opa. In pratica, con il riacquisto di titoli azionari effettuato dalla società petrolifera, la partecipazione del Tesoro, in mano principalmente alla Cdp, crescerebbe al 33%; proprio di quel 3% aggiuntivo si avvia la dismissione e Saccomanni ha spiegato che dovrebbe valere 2 miliardi. Il titolare delle Finanze ha aggiunto che sul mercato andranno una quota del 60% di Sace e Grandi Stazioni. Per Enav e Fincantieri si tratta del 40%, mentre "nel complesso delle privatizzazioni che riguarderanno le reti in mano alla Cdp saremo nell'ordine del 50%". "Da queste operazioni - ha aggiunto Letta - dovrebbero entrare tra i 10 e 12 miliardi di euro, di cui la metà vanno a riduzione del debito nel 2014 e l'altra parte a ricapitalizzazione della Cdp".

Imu. Per esentare dal pagamento dell'Imposta municipale anche i terreni agricoli, rispetto alle risorse finora trovate, servono 400 milioni, ai quali se ne associano altri 500 per assicurare ai Comuni il gettito atteso per il 2013. In pratica, nel calcolare le coperture necessarie all'esenzione sia dalla prima che dalla seconda rata, il governo ha sempre fatto riferimento agli introiti dell'ultimo anno di pagamento, il 2012. L'anno scorso dall'Imu sulla prima casa e su terreni e fabbricati agricoli a dicembre entrarono 2,4 miliardi di euro. Ma nel 2013, 600 Comuni hanno aumentato l'aliquota base del 4 per mille, portandola in molti casi al 6 per mille, con una differenza rispetto al 2012 che ammonta appunto a circa mezzo miliardo di euro. Risorse che ora mancano dai bilanci comunali e che le amministrazioni chiedono dunque come compensazione allo Stato centrale.

Già ieri, la Coldiretti aveva ammonito il governo su una possibile impasse: "Un dietrofront nei confronti degli impegni assunti per abolire l'Imu sui terreni e i fabbricati strumentali all'attività agricola sarebbe inaccettabile e metterebbero a rischio la credibilità delle Istituzioni. Le imprese hanno bisogno di certezze e stabilità e non certo di una tassa ingiusta che colpisce i fattori di produzione". Lamentele raccolte dal ministro Nunzia de Girolamo, che ha insistito perché si trovasse la quadra e piuttosto rinviasse la trattazione del provvedimento.

Bankitalia. Oltre alla seconda rata Imu, sul tavolo del Cdm - iniziato con un minuto di silenzio per ricordare le vittime dei nubifragi in Sardegna - c'era anche un dl per la rivalutazione delle quote delle banche inBankitalia. Ma anche su quest'ultimo fronte, una decisione verrà presa solamente nella prossima settimana in attesa di una comunicazione da parte della Bce, che dovrebbe arrivare a giorni. 

Tra le altre misure, Letta ha spiegato che il Cdm ha deciso di presentare un emendamento alla Legge di Stabilità che riguarda il "ripristino completo delle somme legate alla non autosufficienza" e fra queste quelleper i malati di Sla.  Quanto alla revisione della spesa, oggi "Carlo Cottarelli ha presentato ai ministri il piano sulla 'spending review'. C'è stata una discussione di metodo e di merito. Sulla spending review ci giochiamo molto del lavoro prossimo", ha aggiunto Letta. "Abbiamo valutato e deciso che le risorse che saranno trovate saranno finalizzate a tre grandi obiettivi: un ulteriore carico di riduzione delle tasse sul lavoro; alcuni investimenti produttivi mirati di spesa pubblica; una quota andrà alla riduzione del debito e del deficit", ha osservato il premier. Quanto infine alla Stabilità, si registra un'uscita del viceministro Stefano Fassina sull'emendamento che riguarda le agevolazioni per la costruzione degli stadi: "Così come formulata la bozza di emendamento del governo sugli stadi "non va", ha affermato, aggiungendo che "potrebbe non essere presentata". Opionione condivisa dal ministro Orlando. 

Critico Renzi. Per il sindaco di Firenze, le privatizzazioni annunciate dal governo suonano più come una svendita, perché cadono in una fase di crisi e saranno fatte al ribasso. 

L’ultimo default dell’Italia è del 3 settembre 1992 quando il presidente del Consiglio Amato annunciò in diretta televisiva la svalutazione della lira. Svalutare una moneta che si controlla in cui è espresso il proprio debito pubblico equivale a ristrutturare il debito verso i creditori esteri. Nel caso dell’Italia la svalutazione fu innescata dalla impossibilità di pagare gli interessi sul debito nel regime a cambi fissi del Sistema Monetario Europeo (SME). Ventuno anni dopo l’Italia ha ancora le mani legate, allora c'era lo SME, adesso l'Euro. L'Italia ha interessi sul debito pubblico, che ha raggiunto 2047 miliardi, sempre più alti. Nel solo mese di maggio con 32 miliardi di nuovo debito pubblico pagheremo circa 1,5 miliardi di euro in più di interessi annui.
L’esperienza del passato ci serve per capire cosa avverrà del nostro Paese. Nel decennio 1982 – 1992 il rapporto debito/PIL quasi raddoppiò: dal 60% al 110%, questo perché nel 1981 Tesoro e Banca d’Italia divorziarono. Da allora lo Stato non ha più potuto contare su un prestatore interno con cui indebitarsi e ha dovuto offrire rendimenti sempre più elevati per vendere il debito. Se nel 1982 l’Italia pagava un interesse reale vicino a 0 per indebitarsi, nel decennio successivo raggiunse una media del 5.5% con picchi dell’8%. E’ quindi l’esplosione degli interessi sul debito cumulato ad aver portato il debito a livelli insostenibili. Un immenso schema Ponzi in cui gli interessi in assenza di crescita sono pagati emettendo nuovo debito. In sostanza, come analizza Alberto Bagnai nel suo "Tramonto dell’Euro", il risultato è stato un trasferimento netto di reddito nazionale dai servizi primari ai contribuenti, sanità, scuola, sicurezza, ai detentori del debito, soprattutto alle banche italiane e estere. Ma perché questo divorzio assurdo? Perché ce lo chiedeva l’Europa dello SME nel quale eravamo entrati nel 1978 legandoci mani e piedi ad un cambio rigido penalizzante che ci fece rinunciare alla leva della svalutazione. Nulla di diverso rispetto a oggi.
- Allora fu lo SME a legarci le mani, oggi l’Euro
- Allora emettevamo debito in una valuta nazionale di cui non controllavamo il valore rigidamente fissato nello SME. Oggi è peggio perché ci indebitiamo in una valuta estera (tale è l’Euro per aver rinunciato alla nostra sovranità monetaria) non potendo usare la leva del cambio 
- Oggi come allora i rendimenti che l’Italia dovrà offrire per rendere appetibile il suo debito non potranno che salire 
- Oggi come allora sarà il mercato ad imporci una decisione: allora si trattò di abbandonare lo SME e svalutare, oggi si tratterà di decidere se ristrutturare il debito restando nell’euro o tornare alla lira. 
Solo così l’Italia tornerà a vedere la luce. Una prova? Usciti dallo SME nel 1992, svalutata la lira di quasi il 20% e riguadagnata la sovranità monetaria, il rapporto debito / PIL scese dal 120% del 1992 al 103% del 2003. Nel primo trimestre del 2013 abbiamo raggiunto il 130,3% nel rapporto debito/PIL, secondi solo alla Grecia.
La Storia è piena di entrate e uscite di Paesi da aree monetarie comuni. Queste sono normalmente imposte da Paesi forti (USA con Bretton Woods, Germania con l’Euro) con fini di annessione economica via export verso le zone più deboli e/o al fine di tutelare i propri crediti in tale area monetaria. Il sistema a cambi fissi di Bretton Woods ad esempio servì agli Stati Uniti per tutelare la propria posizione creditoria verso l’Europa dovuta al Piano Marshall dopo la Seconda guerra mondiale. 
Il credito della Germania verso l’Europa è il lato oscuro della medaglia del debito di Italia e Spagna. Invece di prestare ai PIGS il Nord Europa preferisce prestare alla BCE che a sua volta fornisce liquidità ai PIGS. Con tale sistema, chiamato "Target 2", la Germania ha accumulato 600 miliardi di euro di crediti verso la periferia dell’Europa via BCE. La tutela di tali crediti è l’unico criterio che la guida. Non importa che i 600 miliardi siano stati costituiti da parte della Germania violando gli stessi accordi europei che oggi essa impone agli altri. Infatti sforando ampiamente il 3% di deficit nel 2003 la Germania ha finanziato riforme strutturali che nel decennio successivo le hanno dato un vantaggio competitivo grazie ad un'inflazione minore dei partner europei e ad un basso costo del lavoro ottenuto grazie alla forza lavoro della Germania dell’Est. Ciò si è tradotto in vantaggi di prezzo e nel boom delle esportazioni verso l'Europa..
Sarebbe bastato imporre il pareggio della bilancia commerciale invece del pareggio di bilancio per avere una storia completamente diversa che avrebbe tarpato le ali alle politiche mercantiliste del Nord Europa. La politica italiana prona al volere della Germania ha permesso che la tutela del nostro debito privato e pubblico detenuto dall’estero (in buona parte generato dal meccanismo perverso dell’Euro e dello SME) diventasse la priorità. La politica italiana ha venduto l’anima al diavolo teutonico in cambio della propria sopravvivenza a spese della collettività su cui ha riversato austerità e deflazione. 
Se non sarà l’Italia a reagire lo farà per lei il mercato con il suo linguaggio universale, ci sarà un prossimo rialzo degli interessi richiesti fino a rendere insostenibile il nostro debito.

L'EUROPA DEL FRANCO/SUD CONTRO L'EUROPA DEL NORD??

"Nel 2014 l'Italia rischia il collasso", intervista a Pritchard, International Business Editor del The Daily Telegraph da l'Antidiplomatico, di Alessandro Bianchi.
Alessandro Bianchi: Dalle colonne del Telegraph, Lei ha scritto spesso come i Paesi dell'Europa del sud dovrebbero formare un cartello e parlare con un'unica voce nel board della Bce e nei vari summit per forzare quel cambiamento di politica necessario a rilanciare le loro economie. Ritiene che il sistema euro possa ancora salvarsi o giudica migliore per un Paese come l'Italia scegliere il ritorno alla propria valuta nazionale?
Pritchard: Quello che serve in Europa oggi è uno shock economico sul modello dell'Abenomics (serie di iniziative macroeconomiche attuate nel 2013 per risollevare il Giappone dalla decennale depressione economica, ndr). Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, insieme alla Francia devono smettere di fare finta di non avere un interesse in comune da tutelare. Questi Paesi hanno i voti necessari per forzare un cambiamento. La BCE oggi non sta rispettando gli obblighi previsti dai trattati e non solo per il target del 2%, dato che nei trattati non si parla solo d'inflazione, ma anche di crescita e di occupazione. Il dato dello 0,8% di ottobre è un autentico disastro per l'andamento della traiettoria di lungo periodo del debito. Senza un cambio di strategia forte, l'Italia sarà al collasso nel 2014. Il Paese ha un avanzo primario del 2.5% del PIL e ciononostante il suo debito continua ad aumentare. Il dramma dell'Italia non è morale, ma dipende dalla crisi deflattiva cui è costretta per la sua partecipazione alla zona euro. La politica è fatta di scelte e di coraggio. Fino ad oggi non si è agito per impedire che si dissolvesse il consenso politico dell'euro in Germania. Ma oggi c'è una minaccia più grande e se Berlino non dovesse accettare le nuove politiche, può anche uscire dal sistema. Il ritorno di Spagna, Italia e Francia ad una valuta debole è proprio quello di cui i Paesi latini hanno bisogno. Del resto, la minaccia tedesca è un bluff ed i Paesi dell'Europa meridionale devono smascherarlo. L'ora del confronto è arrivato.
Alessandro Bianchi: Il problema è che i governi attuali dell'Europa meridionale sembrano ipnotizzati dall'incantesimo del "più Europa" e non prendono in considerazione altre soluzioni. Da cosa dipende?
Pritchard: Recentemente ho avuto modo di incontrare a Londra il primo ministro italiano Enrico Letta ed abbiamo parlato proprio di questo. Alla mia domanda sul perché non si facesse promotore di un cartello con gli altri Paesi dell'Europa in difficoltà per forzare questo cambiamento, il premier italiano mi ha risposto che secondo lui sarà Angela Merkel a mutare atteggiamento nel prossimo mandato e venire incontro alle esigenze del Sud. Si tratta di un approccio assolutamente deludente. Enrico Letta, come anche Hollande in Francia, è un fervido credente del progetto di integrazione europea e non riesce ad accettare che l'attuale situazione sia un completo disastro. Questo atteggiamento non gli permette di comprendere le ragioni per cui l'euro sia divenuto così disfunzionale per i Paesi membri.
Alessandro Bianchi: Coloro che sostengono che i Paesi dell'Europa meridionale non possono tornare alle loro monete nazionali utilizzano due motivazioni in particolare: l'enorme inflazione conseguente all'inevitabile svalutazione ed il fatto di non poter poi reggere la concorrenza di colossi commerciali come la Cina. Le giudica corrette?
Pritchard: Si tratta, in entrambi casi, del contrario esatto della realtà. L'euro è un'autentica maledizione per le esportazioni, che dipendono dai prezzi e dal tasso di cambio. I Paesi europei sopravvalutati a causa della moneta unica hanno perso una quota importante del loro mercato globale a discapito della Cina. Con Pechino che tiene lo yuan sottovalutato e con una moneta enormemente sopravvalutata, molte aree dove l'industria italiana eccelle sono inevitabilmente in crisi. Una crisi che dipende dal tasso di cambio. Per quel che riguarda l'inflazione, qualora l'Italia dovesse procedere ad un collasso disordinato e caotico dell'euro, il Paese potrebbe perdere nella prima fase il controllo dei prezzi. Ma oggi quest'ultimi sono già fuori controllo. Nei Paesi dell'Europa meridionale è in corso una grave crisi di deflazione che rischia di riproporre il "decennio perso" del Giappone con contorni inquietanti per quel riguarda l'andamento debito/Pil. In Italia è passato dal 120% al 133% in due anni: si tratta di una trappola che sta portando il Paese al collasso. Il problema da combattere oggi è la deflazione e non l'inflazione. L'esperienza attuale dell'Italia e degli altri Paesi della zona euro è molto nota in Gran Bretagna. Nel nostro Paese ci sono stati due esempi similari di crisi di deflazione e svalutazione interna: agli inizi degli anni '30 con il sistema del Gold Standard e nella crisi delloSME del 1991-1992. In entrambi i casi, il Regno Unito ha determinato la rottura del sistema e restaurato il controllo totale della propria valuta nel momento in cui gli interessi del Paese erano messi a rischio. I critici al tempo utilizzavano la stessa argomentazione dell'inflazione, ma nel 1931 all'uscita del Gold Standard, in una situazione di deflazione interna, non vi è stato alcun aumento incontrollato dei prezzi, con lo stimolo monetario e la svalutazione che sono stati la premessa per la ripresa dalla Grande Depressione. La stessa identica esperienza l'abbiamo vissuta nel 1992 con la crisi dello SME. Spesso si tende ad avere un approccio superficiale alle questioni economiche e questo non aiuta il dibattito politico. Se dovesse lasciare l'euro, l'Italia dovrebbe optare per un grande stimolo monetario da parte della Banca d'Italia, una svalutazione ed una politica fiscale sotto controllo. Questa combinazione garantirebbe al Paese una transizione tranquilla e nessuna crisi fuori controllo.
Alessandro Bianchi: Molto spesso coloro che reputano insostenibile il ritorno alle monete nazionali paventano anche l'insostenibilità di poter sopportare le inevitabili ritorsioni economiche della Germania. Si tratta di una minaccia credibile?
Pritchard: Non c'è nulla di più falso. E' negli interessi della Germania gestire l'eventuale uscita di un Paese membro nel modo più lineare, regolare e tranquillo possibile. Nel caso di un deprezzamento fuori controllo della Lira, ad esempio, il più grande sconfitto sarebbe Berlino: le banche ed assicurazioni tedesche che hanno enormi investimenti in Italia sarebbero a rischio fallimento; ed inoltre, le industrie tedesche non potrebbero più competere con quelle italiane sui mercati globali. Sarebbe interesse primordiale della Bundesbank acquisire sui mercati valutari internazionali le lire, i franchi, pesos o dracme per impedirne un crollo. Si tratta di un punto molto importante da comprendere: nel caso in cui uno dei Paesi meridionali dovesse decidere di lasciare il sistema in modo isolato, è nell'interesse dei Paesi economici del nord Europa, in primis la Germania, impedire che la sua valuta sia fuori controllo e garantire una transizione lineare. Tutte le storie di terrore su eventuali disastri che leggiamo non hanno alcuna base economica.
Alessandro Bianchi: In diversi suoi articoli recenti, Lei dichiara come la spinta al cambiamento arriverà dalla Francia. Quale sarà l'elemento che lo determinerà in concreto?
Pritchard: Con la disoccupazione che cresce a livelli non più controllabili, Hollande, che ha posto come suo obiettivo primario della sua presidenza quello dell'occupazione, ha perso ogni credibilità e sta arrivando al limite di sopportazione con l'Europa. Quello che sta accadendo oggi alla Francia è l'esatta riproposizione delle dinamiche economiche che il Paese ha vissuto dal 1934 al 1936, quando con il Gold Standard il Paese si trovava in una situazione di deflazione, disoccupazione di massa e non aveva gli strumenti per ripartire. I dati sono arrivati ad un livello insostenibile nella presidenza Laval nel 1935 ed hanno determinato un cambiamento politico rivoluzionario nel 1936: la vittoria del Fronte Popolare. La Francia di oggi è in una situazione simile al 1935, con i dati economici che continuano a peggiorare di mese in mese, ed una svolta come quella del 1936 si avvicina. Basta vedere la tensione dei movimenti di protesta in Bretagna o i risultati crescenti del Fronte Nazionale per comprenderlo.
Alessandro Bianchi: Sarà Le Pen ad imprimere questo cambiamento?
Pritchard: L'ascesa del Fronte Nazionale è incredibile, ma non penso che prenderà mai il potere. Quello che accadrà sarà però altrettanto rivoluzionario, in quanto costringerà gli altri partiti, soprattutto i gollisti, a modificare la loro politica. Il programma di Le Pen è chiaro: uscita immediata dall'euro - con il Tesoro francese che proporrà un accordo con i creditori tedeschi, e se questi non l'accetteranno la Francia tornerà lo stesso al franco e le perdite principali saranno per la Germania – e poi referendum sull'UE sul modello inglese. Sono argomenti che incontrano la simpatia di un numero crescente di persone in modo trasversale e gli altri partiti non possono più ignorarli. Il Fronte Nazionale sta forzando gli altri partiti a cambiare la loro agenda e realizzare che non possono semplicemente avere la stessa opinione di Berlino e Bruxelles.

Alessandro Bianchi: In molti Paesi stiamo assistendo alla fusione dei partiti conservatori e socialisti a difesa dell'austerità di Bruxelles e contro le intenzioni di voto degli elettori. Il voto dei Parlamenti nazionali sulle leggi di stabilità ormai non conta più ed i governi aspettano solo l'approvazione della Commissione. Infine, i Paesi si stanno indebitando per finanziare organizzazioni inter-governative come il MES, che prenderà decisioni fondamentali per la vita delle popolazioni nei prossimi anni e non ha all'interno meccanismi di trasparenza e di controllo democratico. Ma cosa sta diventando l'Unione Europea?
Pritchard: La difficoltà oggi è quella di comprendere il perché la creazione dei vari strumenti di coesione federale decisi dall'UE abbiano creato un sistema così disfunzionale. Il problema fondamentale è la mancanza del controllo delle imposte e della spesa da parte di un Parlamento eletto democraticamente. Non è un caso che la guerra civile inglese sia iniziata nel 1640 quando il re ha cercato di togliere questi poteri al Parlamento o che la rivoluzione americana sia scoppiata quando questo potere è stato tolto da Londra a Stati come Virginia o il Massachusetts, che lo esercitavano da tempo. Sono esempi anglosassoni, ma ce ne sono tanti altri di come le fondamenta della democrazia risiedono nel controllo del budget e delle imposte da parte di organi eletti dal popolo. Quello che sta accadendo all'UE è, al contrario, il tentativo di darne la gestione a strumenti e strutture sovranazionali, che non hanno alcun fondamento con nessun Parlamento. E' estremamente pericoloso e chiaramente antidemocratico. L'argomento che viene usato spesso in sua difesa è che si tratta di un primo passo antidemocratico si, ma che serve per completare la federazione sul modello statunitense. Il sistema americano sarebbe il modello logico da imitare, ma non è realizzabile: non c'è il consenso politico nei cittadini europei e per gli USA vi erano sistemi, istituzioni e tradizioni completamente differenti. François Heisbourg nel suo ultimo libro centra alla perfezione questo punto: non si può creare un'Unione politica con l'obiettivo di salvare l'euro. E' ridicolo. La federazione deve essere subordinata ai grandi ideali che plasmano una società e non per salvare una moneta. I Paesi devono tornare alla realtà sociale al più presto e non devono pensare a strumenti di ingegneria finanziaria per far funzionare qualcosa che non può funzionare.
Alessandro Bianchi: Il referendum voluto da Cameron per la rinegoziazione della partecipazione del Regno Unito all'UE trova il favore di un numero crescente di Paesi, soprattutto nel nord Europa. Cosa si attende dal voto inglese?
Pritchard: La prima reazione in Europa quando Cameron ha lanciato il referendum è stata quella di definire gli inglesi "stupidi suicidi". L'argomento era quello che Londra avrebbe perso mercato e si sarebbe rassegnata al declino economico. Si tratta di argomentazioni ridicole. Le persone che hanno ancora ben compreso come funziona l'Unione Europea, come quelle con cui mi sono confrontato alla Conferenza Ambrosetti a Como in settembre, sanno che l'uscita del Regno Unito sarebbe si un disastro, ma non per Londra, per l'UE. Il progetto europeo si basa su tre gambe, una delle quali è la Gran Bretagna, l'Olanda ed i Paesi scandinavi. E senza una di queste, l'UE è finita, perché la chimica interna cambierebbe e sarebbe particolarmente difficile soprattutto per la Francia mantenere i sottili equilibri con la Germania. La decisione inglese è un enorme avviso a Bruxelles: l'integrazione è andata troppo oltre il volere popolare e le popolazioni vogliono indietro alcuni poteri. La Costituzione europea è stata rigettata da un referendum in Francia ed Olanda. I trattati recenti non sono stati posti al giudizio del popolo, tranne che in Irlanda, ma costringendola a votare fino all'accettazione. Questa fase in cui si procede senza consultare i cittadini è finita. Questo tipo di arroganza è finito.
Alessandro Bianchi: Nel maggio del prossimo anno ci saranno le elezioni per il Parlamento europeo, un test fondamentale per i partiti e movimenti scettici verso Bruxelles. L'UE non sarà più la stessa?
Pritchard: Da studioso dell'economia mi trovo in difficoltà a rispondere. Posso dire che oggi il pericolo maggiore per i Paesi dell'Europa meridionale si chiama crisi deflattiva, che potrebbe presto trasformarsi in una depressione economica in grado di portare fuori controllo la traiettoria debito/Pil. E' un potenziale disastro. In questo contesto, la politica si deve porre l'obiettivo del recupero di una serie di poteri sovrani delegati a Bruxelles e le elezioni europee del prossimo maggio saranno un evento potenzialmente epocale: i partiti scettici dell'attuale architettura istituzionale potrebbero essere i primi in diversi Paesi – l'Ukip in Gran Bretagna, il Fronte Nazionale in Francia, il MoVimento Cinque Stelle in Italia, Syriza in Grecia ed in altri Paesi – e sarà la possibilità per le persone di esprimere la loro irritazione e frustrazione contro le scelte da Bruxelles. Un blocco politico importante potrà distruggere questo "mito artificiale" che si è costruito: l'UE non sarà più la stessa e sarà costretta ad essere meno ambiziosa e comprendere che molte delle sue prerogative devono tornare agli Stati nazionali.I governi di Italia, Spagna, Francia devono riprendere il pieno controllo delle vite dei loro cittadini e non pensare all'allargamento all'Ucraina o alla Turchia. Si tratta dell'ultima battaglia.

spettro_populismo.jpg

Ci piacerebbe che essa fosse ispirata da una riflessione di uno dei più grandi filosofi della seconda metà del novecento, John Rawls, il quale scriveva (***): "Un punto sul quale gli europei dovrebbero interrogarsi riguarda, se mi si concede di azzardare un suggerimento, quanto lontano vogliono che si proceda con la loro unificazione. Mi sembra che molto sarebbe perduto se l’Unione europea diventasse un’unione federale come quella degli Stati Uniti. In quest’ultimo caso, infatti, esiste un linguaggio condiviso del discorso politico e una completa disponibilità a passare da una all’altra forma di Stato. Inoltre, non sussiste un conflitto tra un ampio e libero mercato comprendente tutta l’Europa, da una parte, e dall’altra i singoli Stati-nazione, ciascuno con le proprie istituzioni, memorie storiche, e forme e tradizioni di politica sociale. Sicuramente questi elementi sono di grande valore per i cittadini di tali paesi, poiché danno senso alle loro vite. Un ampio mercato aperto che includa tutta Europa rappresenta l’obiettivo delle grandi banche e della classe capitalista, il cui principale obiettivo è semplicemente quello di realizzare il più alto profitto. L’idea di crescita economica progressiva e indeterminata caratterizza perfettamente questa classe. Quando parlano di redistribuzione, lo fanno di solito in termini di redistribuzione a gocciolamento. Il risultato a lungo termine di questa politica economica — già in atto negli Stati Uniti — conduce ad una società civile travolta da un consumismo senza senso. Non posso credere che ciò è quanto desiderate"

NEO-KEYNES SI O NO??

"In relazione ai punti di riferimento mondiali delle strategie economiche del M5S, va precisato che le idee espresse da economisti neo-Keynesiani come Stiglitz eKrugman sono molto interessanti perché sottolineano come le cure neo liberiste per il problema del debito sovrano siano non solo ingiuste, ma anche sbagliate perché mortificano le risorse e i talenti dell’Europa (il suo capitale umano, fisico e naturale), privilegiando gli interessi di gruppi finanziari a cui sono asserviti gli interessi dei cittadini, e determinano la svendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni delle nazioni.
È interessante come Stiglitz sottolinei che "denunciare questo enorme spreco di risorse non può essere demagogia o populismo", e che l'Europa deve ritrovare una coerenza e una visione comune perchè non può "continuare a prestare soldi alle banche per salvare gli Stati e agli Stati per salvare le banche". 
Paul Krugman è estremamente chiaro nel denunciare la inattendibilità dell'affidabilità di Paesi sovrani sui criteri delle agenzie di rating, che sono contraddittori e usati opportunisticamente per alimentare la speculazione. Non si capisce perché se la spesa sociale è il problema, i Paesi scandinavi, che hanno la spesa sociale più elevata del mondo, hanno tutti la tripla A, e se il problema è il debito, i Paesi più indebitati del mondo (Giappone e USA) godono di valutazioni elevate? Forte è il sospetto, ci ricorda Krugman, del conflitto di interessi, perché chi emette titoli speculativi contro i Paesi indebitati fa parte degli stessi gruppi delle agenzie che emettono le valutazioni, e perciò quei titoli possono farli salire o scendere con valutazioni interessate.
In questa situazione, ricorda sempre Stiglitz, "l’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine, non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato".
Anche Jean-Paul Fitoussi concorda che l'Europa abbia preso un "colossale abbaglio" concentrandosi sulle finanze pubbliche e trascurando il problema urgente dell'impoverimento della gente con la disoccupazione che dilaga. Non si può non condividere la sua idea che "il rigore imposto dai tedeschi e l'austerity difesa da tutti i leader europei non sono serviti ad arginare la crisi, anzi, sembra abbiano peggiorato la situazione", e che "occorre rivedere dalle fondamenta la costruzione dell'euro, modificandone le basi ideologiche, e dando una scossa alla macchina europea". In altre parole, economia subordinata ai cittadini e non viceversa.
Condivisibile anche il rifiuto dell'ideologia secondo cui per preservare il potenziale di crescita economica va accettata una maggiore precarietà, in una logica mercantilistica in cui la finanza e i mercati si sostituiscono alla democrazia, fenomeno che Fitoussi chiama “l’impotenza della politica”, suggerendo di "restituire alla democrazia quel vigore che mai avrebbe dovuto perdere". Resta da vedere se tutto possa risolversi con "una banca centrale vera, eurobond, vigilanza bancaria unificata" come sembra suggerire Fitoussi, che ammette che bisogna inventare un nuovo futuro per individuare "compensazioni" fra soggetti vincitori e soggetti perdenti della globalizzazione e per questo è necessario chiamare "tutti i cittadini a discuterne apertamente sulla pubblica piazza".
Se queste visioni sono condivisibili, sul piano delle soluzioni concrete il nostro punto di riferimento rimane Jeremy Rifkin, secondo il quale "i regimi energetici determinano la forma e la natura delle civiltà: come sono organizzate, come vengono distribuiti i proventi della produzione e dello scambio, come viene esercitato il potere politico, e condotte le relazioni sociali." In altre parole, la crisi che siamo vivendo è la crisi della società creata dalla seconda rivoluzione industriale, basata sul petrolio e sulle fonti energetiche concentrate, che hanno creato una società altrettanto concentrata con ricchezza e potere nelle mani di una élite mondiale che condiziona tutte le scelte e la vita di tutti i cittadini. Questo modello ha prodotto ingiustizia sociale e danni ambientali che sono sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto ha ormai raggiunto i limiti della propria entropia. In altre parole è diventato inefficiente.
Buttiamo via tonnellate di cibo ogni giorno mentre un bambino muore ogni tre secondi di malnutrizione; sprechiamo milioni di tonnellate d'acqua potabile per riscaldare le nostre case con i fossili o raffreddare le centrali nucleari e termoelettriche, consumiamo una bibita in 20 secondi per lasciare una bottiglietta di plastica nell'ambiente per 5 secoli, compriamo zucchine o grano cinesi per risparmiare, facendo morire l'agricoltura di qualità locale; immettiamo gas a effetto serra nell'atmosfera con conseguenze catastrofiche sul clima e anche sull'economia (il rapporto Stern del 2006 prevede una perdita fino al 20% del PIL mondiale).
Quando una cosa non funziona più si cambia.
Rifkin suggerisce una transizione dal ciclo fossile al ciclo solare, verso modelli energetici ispirati alle immutabili leggi della termodinamica solare e basati sulle tecnologie di terza rivoluzione industriale a bassa intensità finanziaria e alta intensità di lavoro. Questo permette di redistribuire la ricchezza dalla grande speculazione finanziaria (PIL concentrato) ai salari di milioni di lavoratori (PIL distribuito). Questa infrastruttura, che è l' "internet dell'energia", si basa su cinque pilastri (rinnovabili, idrogeno, smart grid, costruzioni a zero emissioni, trasporti a zero emissioni) per introdurre i quali bisogna far lavorare un sacco di gente. Sono posti di lavoro qualificati e legati al territorio, non soggetti al ricatto occupazionale della delocalizzazione. E soprattutto sono posti di lavoro che forniscono un redditto adeguato senza distruggere la vita sociale dell'uomo, per sua natura "animale empatico" che lasciano il tempo di occuparsi della vita personale, degli affetti, delle relazioni umane.
Perché si lavora per vivere, e non si vive per lavorare, e questo è un altro pilastro della visione di Rifkin, espresso nel libro "La fine del lavoro", che ridefinisce il concetto di lavoro davanti all'esaurirsi progressivo del lavoro nelle fabbriche (sostituito dall'automazione), e indica un futuro in cui i beni verranno prodotti dalle macchine mentre il lavoro dell'uomo sarà esclusivamente rivolto ai servizi verso l'altro uomo, conferendo dignità a lavori che oggi vengono considerati "volontariato" o "lavori socialmente utili" (cura dei bambini, assistenza a anziani e invalidi, valorizzazione del patrimonio culturale, servizi energetici integrati avanzati, educazione e istruzione, ricerca e sviluppo).
Questa è l'idea del futuro dell'Italia e dell'Europa. Il "Sogno Europeo" di cui scriveva Rifkin qualche anno fa per il momento è diventato un incubo. Questa idea non è compatibile con nessuna delle forze politiche tradizionali rassegnate a fare dell'Italia un hub del gas e delle trivellazioni petrolifere, che penalizza l'industria del solare e della green economy distribuita sul territorio imponendo assurde procedure burocratiche e regole instabili e mutevoli, che brucia risorse chiamandole "rifiuti", che favorisce le speculazioni finanziarie sulle derrate alimentari come sui derivati, praticate da tutte le banche con la complicità della politica, invece che obbligare le banche italiane a investire nel talento locale, nell'efficienza energetica e nelle tecnologie solari che garantiscono un ritorno rapido degli investimenti. Una politica che si rassegna a vendere al miglior offerente la nostra intelligenza, facendo emigrare i talenti o invogliando le multinazionali a investimenti in Italia che alla fine convengono solo a loro, promettendo forza lavoro qualificata "flessibile" (cioè precaria) e svendendo loro i nostri beni comuni. 
Dobbiamo ripartire dalla valorizzazione dell'essere umano e dalla biosfera che ci ospita promuovendo sul territorio modelli economici che vadano verso una riduzione graduale dell'entropia. 
Pratiche commerciali a rifiuti zero, pratiche energetiche e industriali a emissioni zero e pratiche alimentari a chilometro zero, secondo il modello del manifesto Territorio Zero che mette in sinergia le visioni di Jeremy Rifkin, Paul Connett eCarlo Petrini, possono rapidamente creare sviluppo e occupazione e nuovi contratti per le piccole e medie imprese locali legate al territorio, che praticano standard di profitto accettabili e etici, senza pratiche corruttive, anticipando la terza rivoluzione industriale e diventando leder mondiali. Si può fare!" Angelo Consoli, Direttore dell'Ufficio Europeo di Jeremy Rifkin, Fondatore e Presidente del CETRI-TIRES

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca,l'unica acquisizione italiana del 2013 zeppa di intromissioni politiche e non...

Oggi si aprono le assemblee societarie da cui nascerà la Grande Unipol. Con la fusione per incorporazione di Unipol, Premafin e Milano Assicurazioni in FonSai, dal cappello a cilindro della compagnia delle coop “rosse” uscirà UnipolSai, un colosso, la seconda impresa assicurativa italiana dopo Generali. Chissà come la prenderà Gianni Consorte, che era arrivato ai vertici di Unipol quando questa era “l’assicurazione dei comunisti”, l’aveva fatta entrare nel giro della grande finanza e poi nel 2005 aveva provato a conquistare una banca (la Bnl). Fu fermato, come gli altri “furbetti del quartierino” che senza andare troppo per il sottile avevano tentato di scalare a debitoAntonveneta e Corriere della sera.

Oggi l’aria è cambiata e il colpaccio provato dal suo successore, Carlo Cimbri, sta per riuscire, malgrado i dubbi sui conti di Unipol, inzeppati di derivati, e i comportamenti delle autorità di vigilanza, che sembrano la fotocopia aggiornata di quello che successe nel 2005. Questa volta però Mediobanca è della partita e l’aria di larghe intese ha steso un velo di silenzio sui buchi neri dell’operazione.

Confessione per lettera. È una lunga storia che inizia nel 2001, quando la Mediobanca diVincenzo Maranghi si mette in moto per impedire alla Fiat, che si era lanciata alla conquista diMontedison, di mettere le mani su Fondiaria, una bella compagnia d’assicurazione con base a Firenze che era controllata da Montedison. Il successore di Enrico Cuccia non voleva farla uscire dalla sua sfera d’influenza. La mette allora nelle mani di un amico silenzioso e fedele che ha molti motivi di riconoscenza nei confronti di Mediobanca: Salvatore Ligresti, che possedeva già la torinese Sai. Nasce così Fonsai, non senza trucchi da brivido per aggirare le regole che proteggono il mercato ed evitare l’Opa.

Maranghi sa di aver fatto delle forzature e lo ammette in una lettera del 30 maggio 2002 a Ligresti resa nota ieri dal Corriere, in cui dice che l’operazione Fonsai è stata un “obiettivo raggiunto pagando un prezzo assai elevato in termini di immagine e di rapporti personali”. Chiede poi proprio per questo un “cambio di passo” nella conduzione del gruppo, che non potrà più avere, si raccomanda Maranghi, “un taglio famigliare”. Resterà una predica senza risultati. Ligresti governerà la Fonsai per un decennio proprio come fosse un bene di famiglia, mettendo ai vertici manager di sua assoluta fiducia. E spolpandola via via fino al buco che lo ha portato al crollo.

Mediobanca è sempre stata al suo fianco: è stato Maranghi a concedergli il prestito subordinato di400 milioni di euro per permettergli di impossessarsi di Fondiaria. E già nel 2001 il debito totale di Ligresti nei confronti di Mediobanca era di 930 milioni. Uscito di scena Maranghi, arriva Alberto Nagel, ma Mediobanca continua a seguire passo passo Ligresti, che si lancia in bagni di sangue come le acquisizioni di Liguria assicurazioni o della compagnia serba Ddor. Nel 2008, arriva l’ultimo regalo di Mediobanca, 350 milioni. Poi il rubinetto si chiude. In un decennio l’istituto di Nagel ha buttato ben 1,2 miliardi di euro in Fonsai. Comincia allora a cercare una via d’uscita da una situazione ormai ingestibile.

Ligresti tenta un’alleanza con i francesi di Groupama, ma senza risultati. Nel 2011 Unicredit (che aveva messo un mucchio di soldi in Premafin, la holding dei Ligresti che controllava Fonsai) tenta di salvare la baracca con un aumento di capitale da 450 milioni. Operazione oggi sotto inchiesta a Torino, dove ha sede Fonsai, perché la ricapitalizzazione sarebbe stata realizzata barando sullariserva sinistri, taroccata di 538 milioni. Seguirà l’arresto di Salvatore Ligresti e delle figlie Jonella e Giulia. Ma già prima Mediobanca aveva trovato come sostituirli: che cosa c’è di meglio, in Italia, che unire due debolezze, mantenendo Fonsai in mani amiche?

Il prescelto questa volta è Carlo Cimbri. La sua Unipol, indebitata con Mediobanca, dal matrimonio con Fonsai potrà uscire rafforzata e rigenerata. Ecco allora, dal gennaio 2012, le grandi manovre per arrivare alle nozze. 

Il ruolo di Consob. Il piano iniziale prevede che Unipol compri (a buon prezzo) la maggioranza di Premafin (che vale poco o niente, avendo più debiti che attivo): così Ligresti può uscire di scena contento e con un po’ di soldi; e Unipol se la cava con un’opa facile e concordata, perché le azioni di Premafin sono quasi per l’80 per cento nelle mani dei Ligresti. Una volta acquisita la holding, è conquistata anche la vera preda, cioè le sottostanti Fonsai e Milano Assicurazioni, senza bisogno di Opa e alla faccia degli azionisti di minoranza e del mercato. C’era un’offerta alternativa, che era stata avanzata nel dicembre 2011 dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e da Matteo Arpe.

Ma questi volevano comprare Fondiaria, non Premafin, che era una scatola vuota, anzi piena di debiti, che sarebbero restati sul groppone di Mediobanca. Ecco allora che la loro offerta è stoppata, anche grazie alla puntigliosità della Consob di Giuseppe Vegas, che invece è molto più “fluido” nei confronti della soluzione Unipol, voluta da Nagel. Il primo progetto (Opa su Premafin) è chiaramente al di sotto delle soglie minime di decenza, così Nagel a gennaio riunisce nella sede di Mediobanca i protagonisti della vicenda e mette a punto il piano definitivo. Alla presenza di Vegas: l’arbitro si presta a fare da “consulente privato” per un’operazione su cui dovrebbe vigilare. Manca soltanto il bacio in fronte che il banchiere Gianpiero Fiorani, evidentemente più espansivo, nel 2005 scoccò in fronte a un altro arbitro non proprio sopra le parti, l’allora governatore di BankitaliaAntonio Fazio.

Il nuovo piano prevede non l’acquisto, ma un aumento di capitale riservato di Premafin, sottoscritto da Unipol, senza obbligo di opa sulle società sottostanti: così la compagnia bolognese conquista il controllo della holding e, a cascata, delle vere prede sottostanti, cioè Fonsai e Milano Assicurazioni. Eppure ai francesi di Groupama era stato detto, pochi mesi prima, che se volevano Fonsai dovevano fare l’Opa. Unipol no: lo certifica la Consob nella sua delibera del 24 maggio 2012, sostenendo che la sua è considerata un’operazione di salvataggio, dunque esente da Opa. Anche se poi dovrà essere l’Ivass (l’autorità di controllo sulle assicurazioni) a formulare il giudizio finale sulla questione.

Questo è arrivato, ma non si esprime in modo chiaro. Unipol, con la fusione, salirà dal 42 al 50 per cento nella nuova Fonsai: con questo salto, è d’obbligo l’Opa “di consolidamento”. Ma noi non la dobbiamo fare, ribatte Cimbri, perché stiamo completando, con la fusione e gli aumenti di capitale, un’unica, anche se lunga e complessa, “operazione di salvataggio” già autorizzata dalle autorità di vigilanza ed esente da Opa. Dunque niente “consolidamento”? Il problema resta aperto e Ivass dovrebbe sciogliere le ambiguità.

La bomba a orologeria. Invece finora si è limitata a raccomandare a Cimbri di non occupare troppe poltrone nella catena di società che controlleranno Fonsai. Più delicata l’altra “raccomandazione” di Ivass, che riguarda il portafoglio derivati: per alcuni analisti una vera e propria bomba a orologeria nei bilanci della società. A proposito dei derivati in pancia a Unipol, la Consob di Vegas, più che vigilare, sembra aver finora proseguito quella azione di “consulenza privata” che ha già prodotto alcune rettifiche di bilancio, per circa 280 milioni. Ma la chiarezza su quanto pesino i titoli strutturati non è ancora stata raggiunta, anche perché Vegas ha rallentato in tutti i modi le verifiche della struttura interna alla Consob diretta da Marcello Minenna.

L’unica cosa certa è che i Ligresti sono usciti di scena. Non prima però di aver tentato di portare a casa quello che ritenevano fosse loro dovuto. Sfumato il piano iniziale (Opa su Premafin), pensavano di aver comunque ottenuto, nella riunione con Nagel e Vegas a Mediobanca, garanzie su buonauscita e manleva legale (la rinuncia a cause civili per danni nei loro confronti). Dovute, secondo i Ligresti, perché convinti che Mediobanca e Unicredit abbiano sempre “eterodiretto” Fonsai. Ma nel maggio 2012 la Consob aggiunge i “paletti”: per concedere a Unipol l’esenzione dall’opa, devono essere escluse manleve e buonuscite. Ecco allora saltar fuori il “papello”: l’elenco delle cose a cui ritenevano di aver diritto, 45 milioni di euro, consulenze, auto, segretarie, posti al villaggio vacanze…

Nagel nega, sostenendo che la sua firma su quel foglio a quadretti scritto a mano da Jonella non era un patto segreto con i Ligresti, ma soltanto una sigla per presa visione, un modo per far star buono don Salvatore. “Volevamo salvare la compagnia e non Ligresti”, dice Nagel ai magistrati di Torino. Ma i progetti iniziali tentavano di “salvare” entrambi: con un’operazione che, come dice l’amministratore delegato di Mediobanca a proposito del primo aumento di capitale Premafin, “proteggeva la nostra esposizione”. Quanto a proteggere il mercato e gli azionisti di minoranza, pochi in questa storia sembrano pensarci.

 

IL BIENNIO 2010-2011 E COME L'ITALONIA HA INIZIATO A SPROFONDARE. LA CORSA DI UN GERONTOCRATE PER SACRIFICARE UNA INTERA NAZIONE AL SUO BENESSERE. Dalla compravendita parlamentare del dicembre 2010 alla sua fuga dell'8 novembre 2011,fino alla condanna definitiva del 2 agosto 2013...

Cassazione: "B. ideò il sistema illecito"
Lui: "Sentenza allucinante sul nulla"

B. condannato, il Pdl sceglie la piazza piena di vecchi di merda
"Giudici distruggono vita democratica"

Caso Mediaset, 4 anni di carcere e 5 di interdizione all'ex premier IN SECONDO GRADO, IL REATO ORA E' ACCERTATO. Sabato manifestazione a Brescia
il Cavaliere ci sarà. Possibile un nuovo sit in lunedì a Milano durante l'udienza del processo Ruby
COMPRAVENDITA SENATORI, PROCURA DI NAPOLI CHIEDE GIUDIZIO PER BERLUSCONI

Intercettazione Fassino-Consorte
Silvio Berlusconi condannato a un anno
,nel dicembre 2012 era stato condannato a 4 anni per Frode Fiscale. In arrivo la solita prescrizione??

L'ex premier era imputato per rivelazione di segreto d'ufficio. Due anni e tre mesi al fratello Paolo
La sentenza del Tribunale di Milano. Il Giornale aveva pubblicato la conversazione sul caso Unipol
VIDEO - INTERCETTAZIONI E RICATTI, IL WATERGATE ITALIANO (prima e seconda parte)Il tribunale di Milano ha condannato Silvio e Paolo Berlusconi nel processo per la vicenda della pubblicazione sulle pagine del Giornale della conversazione tra Piero Fassino, allora segretario Ds, e Giovanni Consorte, numero uno di Unipol: “Allora abbiamo una banca?” in riferimento alla scalata del colosso assicurativo all’istituto di credito nel 2005, sulla quale si sono aperti poi un’inchiesta e il relativo processo. Per Paolo Berlusconi cadono però le accuse di ricettazione e millantato credito. All'ex segretario Ds un risarcimento di 80mila euro

RUBY

, BERLUSCONI CONDANNATO
"SETTE ANNI DI RECLUSIONE"

RUBY, BERLUSCONI CONDANNATO A 70 ANNI 
"Interdizione perpetua dai pubblici uffici"-
 dir. tv

Video Assalto media / Pm e avvocati / I fan 
Video E fuori si litiga - Foto Un collegio femminile viI giudici, presieduti da Giulia Turri, hanno condannato Silvio Berlusconi a 7 anni nell’ambito delprocesso Ruby.  I giudici hanno rimodulato l’accusa in concussione per costrizione invece che per induzione come ipotizzato dall’accusa. Berlusconi è stato condannayo anche per prostituzione minorile. Il verdetto è arrivato dopo sette ore di camera di consiglio. Disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. I giudici hanno stabilito anche l’interdizione legale per la durata della condanna. Il Tribunale ha deciso anche la trasmissione degli atti alla Procura perché valutinio le dichiarazioni di una lunga serie di testimoni; e la trasmissione all’ordine degli avvocati degli atti riguaranti dell’avvocato Luca Giuliante, primo legale di Ruby. 

DAL SOGNO LIBIALIA AL GRAN FALLIMENTO:L'EPOPEA LIGRESTI

La ricchissima e tangentocrate famiglia siciliana trapiantata in Milano riceveva i buoni uffici del duo MEDIOBANCA-UNICREDIT -IL SALOTTO MERDOSO ITAGLIOTA - nel 2002 PER L'ACQUISIZIONE A DEBITO DI FONDIARIA - SAI. Per 10 anni questa famiglia di merda non ha fatto altro che saccheggiare e saccheggiare per usi personali la seconda compagnia assicurativa italiota fino ALLA DISINTEGRAZIONE FINANZIARIA DEL 2012. In quell'anno quello che era il così detto salotto buono della finanza itagliota dei miei coglioni decideva di lasciare al proprio destino la regale famiglia - non senza buoneuscite miliardarie - e consegnare il polmone senza ossigeno per OLTRE UN MILIARDO DI EURO AD UNIPOL, l'ex compagnia assicuratrice rossa ormai divenuta, come il suo partito di riferimento,ROSA. Tutta questa merda tossico nociva è stata scaricata sulla popolazione in tutta la sua portata, con i piccoli azionisti completamente scuoiati e disintegrati con tonnellate di carta da culo come azioni, mentre UNIPOL acquisiva il polmone con un gettone da 400 milioni di euro SENZA IL LANCIO DI UNA COSTOSISSIMA OPA CHE NON AVREBBE POTUTO SOSTENERE, il tutto taroccando mercato e regole a mani basse DIETRO LA SOLITA DECISIONE OCCULTA TUTTA POLITICA CHE VOLEVA LA COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE NON FINIRE IN MANI STRANIERE IN UN MOMENTO STORICO CHE VEDE L'INTERA NAZIONE PERDERE PEZZO DOPO PEZZO TUTTE LE AZIENDE FATICOSAMENTE COSTRUITE DAL SECONDO DOPOGUERRA.Nell'agosto 2012 le assemblee dei soci estromettevano i Ligresti dai consigli di amministrazione, le procure di Milano e Torino partivano  con le inchieste di FALSO IN BILANCIO ED AGGIOTAGGIO CHE PORTAVANO ALL'ARRESTO DELL'INTERA FAMIGLIA LIGRESTI, AD ECCEZIONE DI PAOLO SCAPPATO IN SVIZZERA, nell'estate del 2013.

Nozze FonSai-Unipol, la stangata perfetta: quando gli arbitri scendono in campo

Dalle carte dell'inchiesta milanese sui Ligresti emerge il ruolo di Isvap, l'organismo di controllo delle assicurazioni, per agevolare la discussa fusione che sta a cuore a Mediobanca. L'attivismo del vicedirettore Flavia Mazzarella e le riunioni con Cimbri, l'ad della compagnia delle coop

Questo matrimonio s’ha da fare. Nel 2012 ai piani alti della finanza italiana c’era una gran daffare perché le nozze tra Unipol e Fondiaria Sai andassero in porto rapidamente, possibilmente con l’uscita di scena dei Ligresti che avevano fatto il loro tempo. E così è stato. A darsi da fare per portare ad ogni costo gli sposi all’altare sono stati in molti. A partire da Mediobanca per quale se qualcosa va storto, “siamo morti”, come emerge in un passaggio cruciale, avvenuto nell’estate 2012 e riportato nei documenti del primo filone dell’indagine milanese del pm Luigi Orsi sul dissesto del gruppo Ligresti depositati nei giorni scorsi.

E’ il 28 giugno 2012 al telefono parlano Stefano Vincenzi e Flavia Mazzarella. Il primo è il responsabile consulenza legale e relazioni istituzionali di Mediobanca. La seconda è il vicedirettore generale dell’Isvap, l’autorità di controllo sulle assicurazioni. Mediobanca, dopo aver fatto comprare FonSai a Ligresti (nel 2002, con soldi di Mediobanca) e dopo averlo finanziato per un decennio (con 1,3 miliardi di euro), ha ormai deciso di chiudere il rubinetto. Don Salvatore è abbandonato al suo destino ma, per non lasciar andare FonSai in mani non controllabili (i francesi di Groupama, o il duoMatteo Arpe-Roberto Meneguzzo), si è individuato lo sposo perfetto: Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol (a sua volta indebitata con Mediobanca). Per arrivare alle nozze, Mediobanca mantiene contatti stretti e diretti con le autorità che dovrebbero vigilare: Isvap eConsob.

L’ARBITRO FA IL TIFO. Dovrebbero essere arbitri imparziali, ma scendono invece in campo, schierati con la squadra che deve a tutti i costi vincere. Ecco, come esempio, che cosa si dicono, in quel cruciale 28 giugno, la numero due di Isvap e il dirigente di Mediobanca: “Mazzarella chiama Vincenzi il quale gli dice che ci sono due ipotesi di lavoro”, si legge nel brogliaccio degli investigatori. “La prima di andare avanti con i due aumenti di capitale, lasciando la fusione da fare a settembre, e c’è una scuola di pensiero in tal senso. Mazzarella dice di non aver capito. Si faranno i due aumenti di capitale e poi quella di esclusione del diritto di opzione. Mazzarella dice che su questo hanno perplessità perché hanno autorizzato il controllo in modo indiretto e il provvedimento riguarda il controllo di Premafin (la holding che controllava Fondiaria, ndr). Vincenzi chiede quanto ci vuole per modificare questo: parecchio. Allora siamo morti”, sbotta l’uomo di Mediobanca. “Perché l’assemblea la convocano. Vincenzi dice che ne ha parlato con Alberto”. Cioè con Nagel, l’amministratore delegato di Mediobanca. “Mazzarella dice che potrebbe parlare con Unipol per fare un’istanza al controllo diretto: ci vuole tempo. Vincenzi dice che sono sotto scacco, hanno poche mosse. Oppure il controllo diretto sull’assicurativa. Vincenzi suggerisce il controllo di Fondiaria: Mazzarella dice che hanno autorizzato un’altra cosa. Vincenzi dice che ha tutto pronto per gli aumenti di capitale”.

MEDIOBANCA E L’ISTANZA DA CAMBIARE “SE NO SIAMO MORTI”. Dunque: un’autorità di controllo, in stretto contatto con la banca che ha deciso le nozze, cerca di aggiustare le cose per arrivare in fretta al matrimonio. Mediobanca chiede all’arbitro di modificare le regole in corsa. E di fare presto. Sennò “siamo morti”. Ma quella del 28 giugno è solo una delle tante conversazioni tra i due. Vincenzi, annotano gli investigatori, nei giorni caldi era in stretto contatto con la Mazzarella e “in più occasioni, affrontava questioni inerenti al progetto di ricapitalizzazione FonSai da parte di Unipol”. Al punto da arrivare quasi ad accompagnare Cimbri nel suo ufficio. E questo nonostante il fatto che formalmente Piazzetta Cuccia non avrebbe dovuto avere alcun ruolo ufficiale nell’iter autorizzativo della fusione.

Ufficioso e decisivo sì, però. Per esempio quando il direttore generale di FonSai, Emanuele Erbetta, il 4 luglio del 2012 chiede l’aiuto della Mazzarella per sbloccare i lavori del cda della compagnia che si erano fermati in attesa della documentazione necessaria da parte di Mediobanca. Pronto l’intervento di quello che avrebbe dovuto essere l’arbitro che invece di stare a guardare alza la cornetta. Chi chiama? Vincenzi. E lo fa intervenire d’urgenza: la delibera andava ottenuta entro mezzanotte. “I motivi del suo intervento si palesavano durante il successivo colloquio, allorquando la Mazzarella esplicitava il timore che il Consiglio dei Ministri (che era in corso e stava discutendo del futuro dell’Isvap) avrebbe potuto prendere delle decisioni che le avrebbero impedito di portare a termine il progetto di fusione”, spiegano il busillis gli inquirenti.

UN MATRIMONIO GRADITO “AI PIU’ ALTI LIVELLI ISTITUZIONALI”. Non sia mai che andassero disperse le energie spese per portare a casa il risultato, incluse le sollecitazioni alla Banca d’Italiaperché desse anche la sua autorizzazione. Del resto che l’operazione si dovesse fare lo spiega chiaramente al pm Orsi anche il testimone chiave dell’inchiesta, il consulente attuario di FonSaiFulvio Gismondi, sulla base di quanto gli dice l’admministratore delegato di Unipol: “Cimbri voleva farmi capire che l’operazione era gradita ai più alti livelli istituzionali… Il senso del discorso… era quello di rappresentarmi che si trattava di un’operazione di sistema”. Insomma, unabicamerale degli affari ai tempi delle larghe intese. Dove l’arbitro più importante, l’Isvap, è lo snodo centrale delle intese, perché Mazzarella non è solo in gran confidenza con Mediobanca, ma anche con il suo vigilato Unipol.

IL FRONTE COMUNE ISVAP – UNIPOL CONTRO LE “ROTTURE DI SCATOLE”. Sono costanti, infatti, i contatti del numero due dell’Isvap con l’ad della compagnia delle coop, Carlo Cimbri nel corso dei quali i due si scambiavano i diversi punti di vista con lui che aggiornava lei sullo stato dei contatti con le banche che avrebbero dovuto appoggiare l’operazione, su quello con le altre Autorità coinvolte e perfino sugli articoli stampa al riguardo. La fiducia reciproca arriva al punto che in occasione del ricorso al Tar del Lazio da parte del concorrente (escluso) di Unipol, Sator-Palladio contro il via libera di Isvap all’acquisizione da parte del gruppo coop, il responsabile degli affari societari di Unipol, Roberto Giai e Mazzarella, si sono scambiati le memorie difensive da produrre al tribunale amministrativo “con l’intento verosimile di fare fronte comune”, come sottolineano gli inquirenti.

Il 18 luglio 2012, ad acquisizione quasi ultimata, Cimbri è poi al telefono con Mazzarella e le descrive i passi successivi da effettuare per l’integrazione tra le due compagnie sottolineandole come “lerotture di scatole non non siano finite”. Al che lei replica “… no assolutamente no … assolutamente chiaro però … però insomma…”. “Però si discute diversamente”, conclude lui. Al che la vicedirettrice generale dell’Isvap chiosa con due battute che “evidenziavano uno specifico interesse ad influire sulla scelta futura dei soggetti designati a costituire gli organi sociali del nascente colosso assicurativo”, come sottolineano ancora una volta gli investigatori.

A completare il quadro, le intercettazione telefoniche e ambientali raccolte nella sede dell’Isvap nei giorni caldi del via libera che forniscono riscontri concreti alle testimonianze del dirigente di Vigilanza 1, Giovanni Cucinotta. Quest’ultimo aveva già parlato  al pm Orsi di una gestione “anomala” della pratica da parte dei vertici dell’authority. “Lei ha avuto modo di percepire che i suoi superiori gerarchici abbiano rapporti particolarmente qualificati con i vigilati FonSai e/o Unipol?”, gli aveva chiesto Orsi nel corso di un interrogatorio. “Con riferimento a FonSai, fin quando è stato amministratore delegato Marchionni, ho notato che aveva un dialogo diretto con il presidente Giannini. I due si davano del tu come ho potuto verificare in qualche occasione in cui sono stato presente”, era stata la risposta sul passato ligrestiano.

I DUBBI DEL CAPO DELLA VIGILANZA: “UNIPOL-SAI STARA’ IN PIEDI TRA DUE ANNI?”. Quanto alla più recente vicenda dell’integrazione Unipol-FonSai ho notato con perplessità e disappunto che tutte le volte che la dottoressa Mazzarella incontra gli esponenti di Unipol (Cimbri) la struttura di vigilanza interviene in un momento successivo all’incontro o viceversa Mazzarella e Cimbri continuano la riunione dopo che noi della vigilanza ce ne andiamo. Ho potuto rilevare che Mazzarella e Cimbri si danno del tu e discutono anche in privato. Questa circostanza mette a disagio le strutture tecniche dell’Istituto, perché non è mai del tutto chiaro cosa i due si sono detti o si diranno prima o dopo le riunioni cui partecipiamo noi della vigilanza. In una occasione Giannini mi ha fatto sapere di aver incontrato i vertici di Mediobanca senza riferire il contenuto della conversazione. A causa di tutto quanto le ho fin qui riferito da qualche tempo ho deciso di fotocopiare tutti i documenti più significativi che inoltro ai miei vertici gerarchici e comunque comunicare per iscritto evitando interlocuzioni informali per quanto possibile”, era stata la descrizione sulla situazione del 2012 durante il traghettamento di FonSai nelle braccia di Unipol. 

“In realtà la domanda alla quale Isvap deve rispondere è se il piano di Unipoi è idoneo a salvare FonSai. Ora, certamente l’iniezione di l,l miliardi di euro è un fatto del tutto positivo per FonSai, non si può dubitare. Ma questa conclusione, del tutto plausibile ad oggi, non è sufficiente a dirci cosa potrà succedere da qui a qualche tempo – aveva quindi ricordato Cucinotta al pm – La questione, di certo non banale, è se il nuovo soggetto assicurativo che si viene a formare sarà in grado di stare in piedi tra due anni. Consideri che il soggetto di cui parliamo dovrebbe diventare il secondo gruppo assicurativo italiano. Non mi sentirei rassicurato dal fatto che nell’immediato si costruisca una realtà industriale così importante, quando magari questo nuovo gruppo nell’immediato futuro non avesse le risorse per andare avanti”. Evidentemente le risposte della sua struttura non devono averlo convinto se poi, al momento di sottoscrivere il via libera da inviare al consiglio dell’Isvap, si è tirato indietro.

Nozze Unipol-FonSai, la rete per avere buona vigilanza e buona stampa

Nelle carte dell'inchiesta le mosse delle due aziende, di Mediobanca e dell'Isvap per sostenere la fusione e bloccare l'alternativa di Arpe

Il triangolo no: perché il rapporto è a quattro. Mediobanca, Isvap, Consob. E i giornalisti. È in questointreccio mistico che cresce la fusione tra Fonsai e Unipol. Le autorità che dovrebbero controllare (l’Isvap le assicurazioni, la Consob le società quotate) invece di essere arbitri neutrali tifano in modo smaccato per la compagnia bolognese controllata dalle coop: è fra le sue braccia che deve finireFonsai, portata da Salvatore Ligresti sull’orlo del crac. Così ha deciso Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, che chiede “di non esaminare la proposta con gli altri”: cioè la richiesta della Palladio di Matteo Arpe e della Sator di Roberto Meneguzzo. Usciti di scena i Ligresti, il matrimonio va celebrato con Unipol: questa “è la via maestra”. Nei mesi della primavera-estate 2012 le nozze sono preparate con cura, fino al 19 luglio in cui avviene l’aumento di capitale che porta la compagnia bolognese all’81 per cento di Premafin, la holding di Salvatore Ligresti. Ora le carte dell’indagine milanese del pm Luigi Orsi, appena depositate, rivelano l’incredibile groviglio tra controllati e controllori. Le intercettazioni telefoniche realizzate dai carabinieri del Noe dimostrano che gli arbitri tifavano pesantemente per una delle due squadre in campo. Protagonista di primo piano è la vice del presidente dell’Isvap, Giancarlo Giannini (indagato dalla Procura di Milano per corruzione e calunnia), e cioè Flavia Mazzarella. È lei a tenere i contatti con gli altri protagonisti dell’operazione e in particolare con Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol. Ma è anche molto attenta ai giornalisti e a quanto scrivono i giornali.

Notizie e indiscrezioni a doppio senso – Il più assiduo è Riccardo Sabbatini, che allora scriveva sul Sole 24 Ore e oggi lavora all’Ania, la Confindustra delle imprese assicuratrici. Telefona spesso a Mazzarella, chiede notizie (com’è naturale per un giornalista), ma anche gliele dà. Come quando il 1 giugno riporta ciò che ha sentito dagli advisor di Fonsai, o il 9 le riferisce “le indiscrezioni provenienti da Mediobanca dove dicono che potrebbe non esserci l’assemblea di Premafin perché, se le banche non ristrutturano i crediti e non viene approvata l’operazione, non avrebbe senso fare l’assemblea”.

Molto apprezzato da Mazzarella è anche Massimo Mucchetti, allora commentatore del Corriere della Sera e oggi senatore del Pd. La sintonia tra i due è forte, perché Mucchetti è (legittimamente) favorevole al matrimonio con Unipol e lo scrive chiaramente sul suo giornale. Il 25 giugno, Mazzarella chiama un dirigente di Mediobanca, Stefano Vincenzi, che le detta il numero di cellulare di Mucchetti “e le dice che questa persona domani è a Roma e non ha nulla in contrario a prendersi un caffè con lei. Il contact name è Lorenza” (probabilmente Lorenza Pigozzi, addetta stampa di Mediobanca).

Quegli articoli che preoccupano – Ma c’è anche chi dà invece molte preoccupazioni alla signora dell’Isvap: sono i giornalisti di Repubblica Giovanni Pons e Vittoria Puledda e il cronista del sitoLinkiesta Lorenzo Dilena, che nei loro pezzi mettono in rilievo anche gli aspetti critici dell’operazione Fonsai-Unipol. Pons e Puledda raccontano anche quanto dice uno studio di Ernst&Young denominato “Plinio”, secondo cui i conti reali di Unipol, che ha la pancia piena di titoli strutturati, sono ben diversi da quelli scritti nei bilanci ufficiali. Dilena poi pubblicherà “Plinio” integrale sull’Linkiesta. Se sono veri i numeri di “Plinio”, la fusione non sarebbe più l’auspicato salvataggio della disastrata Fonsai da parte di un’Unipol in ottima salute, ma sarebbe invece un matrimonio riparatore, in cui si uniscono due debolezze per risolvere i problemi della banca creditrice di entrambe, e cioè Mediobanca. Il 23 giugno, Mazzarella chiama il suo presidente, Giannini, “e gli parla dell’articolo apparso quel giorno su Repubblica . Mazzarella lo giudica vergognoso”. Indica anche chi ritiene essere la fonte interna, che presume spalleggi la proposta Sator-Palladio: è Giovanni Cucinotta, capo di una delle due divisioni della Vigilanza di Isvap (poi spostato). “Mazzarella e Giannini parlano del comportamento infedele e scorretto di una persona che non ha firmato all’ultimo momento… Mazzarella parla dell’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti di Cucinotta. Dice che le hanno proposto di parlare con Dilena, ma non ne vale la pena e sta pensando di parlare con Mucchetti”. Parole dure, il 25 giugno, per Salvatore Bragantini, ex consigliere Consob in quel periodo consigliere Fonsai su nomina di Sator-Palladio: “Mazzarella dà del bandito a Bragantini e dello smidollato a Marco Cecchini”. Quest’ultimo è l’addetto stampa di Isvap, accusato di “prendere i soldi da noi e lavorare per altri”. “Cucinotta è un truffatore” e “un mascalzone”.

Il controllato e il controllore - Intanto il controllato, è cioè Cimbri di Unipol, chiama il controllore, Mazzarella di Isvap, con cui scambia informazioni, preoccupazioni e documenti (“una comparazione da mandare al consulente… dice che se ha già qualcosa domani gliela porterà sicuramente”) e progetta incontri a Roma con lei e con il presidente Giannini. Qualche mese dopo, l’11 dicembre 2012, Pons e Puledda scriveranno su Repubblica un articolo (“Consob fa le pulci ai conti Unipol”) che costerà loro l’apertura di un’inchiesta amministrativa di Consob per aggiotaggio informativo. In realtà è una mossa per ottenere i loro tabulati telefonici, poi effettivamente consegnati alla Consob dalla Procura di Milano, nel tentativo di individuare la fonte dei due cronisti.

Nozze Unipol-FonSai, il pressing di Mediobanca sull’Isvap prima del papello

Le pesanti accuse dell'attuario di Fondiaria Sai che chiama in causa l'ad di Piazzetta Cuccia, insieme a Isvap, Consob e Unipol. Le incongruenze di Peluso

Non solo papelli con scambi di favori, dalle carte dell’inchiesta milanese sul dissesto del gruppo Ligresti e il cosiddetto salvataggio da parte di Unipol, emergono nuove ombre sull’operato dell’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.  Secondo Fulvio Gismondi, attuario di FonSai, ben prima della firma del noto papello,  il banchiere sarebbe intervenuto sulla vigilanza delle assicurazioni, l’Isvap, perchè nel 2012 sollecitasse i Ligresti ad accelerare gli accordi conUnipol per la fusione con Fondiaria-Sai

“Intanto devo dire che Giannini (l’ex presidente dell’Isvap indagato sia a Milano che a Torino, ndr) mostra di essere favorevole all’operazione, come Cimbri (Carlo, amministratore delegato di Unipol,ndr) mi ha riferito. Ma non va sottovalutata la posizione della dottoressa Mazzarella (Flavia, dirigente Isvap e ora all’Ivass, ndr) la quale, se possibile, mostra un atteggiamento ancora più esplicitamente favorevole. La dottoressa Mazzarella ha una familiarità esibita con Nagel”, ha dichiarato Gismondi al pm di Milano, Luigi Orsi che sta chiudendo l’indagine sulle cause ultime del dissesto del gruppo Ligresti e sui punti oscuri della fusione con Unipol voluta da Mediobanca, creditrice di entrambi i gruppi per almeno 1,5 miliardi di euro.

L’interrogatorio è del 16 aprile 2012 e Gismondi, che a Milano è solo un testimone mentre nell’inchiesta di Torino figura tra gli indagati, continua parlando anche di uno “speciale rapporto che Nagel ha instaurato con i vertici dell’Isvap”, che lui deduce dal fatto che di fronte alla “inaffidabilità” dei Ligresti nell’operazione Unipol-Fonsai, “venerdì 16 marzo Nagel si è recato all’Isvap e quello stesso giorno è partita una lettera indirizzata a Premafin (la ex holding di controllo del gruppo assicurativo, ndr) da parte di Isvap”. Secondo l’attuario “il senso di questa missiva è che Premafin e i Ligresti definiscano quanto prima gli accordi con Unipol”. Anche perché il 15 marzo 2012, il giorno prima, Nagel aveva detto a Gismondi, “qualcosa come ‘bisogna che la vigilanza dia un messaggio ai Ligresti e li riporti in carreggiata’”.

La settimana successiva, il 21 marzo 2012, l’amministratore delegato di Unipol parla a Gismondi di un incontro tenutosi a Roma nella sede dell’Isvap alle 16.30, nel corso del quale “Giannini gli aveva assicurato che avrebbe assicurato l’operazione” tra FonSai e Unipol. Le rassicurazioni arrivarono con alcune settimane di anticipo rispetto al via libera dell’Authority a Unipol per l’acquisto di FonSai. “Il lavoro dell’Isvap è ancora in corso e ovviamente non si sa ufficialmente quale ne sarà l’esito”, ricordava infatti Gismondi al pm.  “Con quell’incontro Cimbri voleva farmi capire che l’operazione era gradita ai più alti livelli istituzionali e che il mio atteggiamento (Gismondi era consulente di FonSai nell’operazione, ndr) poteva essere influente. Nella circostanza Cimbri aggiunse anche che avrebbe avuto altresì il via libera della Consob”. Chi della Consob rassicurò Cimbri, chiede il pm: “Lui non me lo ha spiegato – dice Gismondi – probabilmente avrà parlato al più alto livello”.

Dei nodi della fusione tra le due compagnie, poi, sempre secondo Gismondi, avrebbe parlato il figlio del ministro Cancellieri, Piergiorgio Peluso che con lui ha sostenuto di essersi dimesso da direttore generale di FonSai nell’ottobre 2012 perché temeva “di essere coinvolto in un illecito” derivante “dalla irregolarità” nel prezzo fissato per la fusione (che è stato definito tra novembre e dicembre 2012) attraverso i concambi determinati con Unipol per le nozze delle due compagnie. Nessun accenno, invece, alla clausola sul cambio di azionista di riferimento (change of control) inserita nel suo contratto con una curiosa preveggenza quando ancora non era previsto che i Ligresti uscissero di scena e che gli ha garantito una buonuscita milionaria.

Nel corso di un incontro occasionale, è il racconto dell’attuario a Orsi datato 22 ottobre 2012, “Peluso casualmente mi ha detto che si è dimesso ed ha trovato una nuova collocazione lavorativa”, alla direzione finanziaria di Telecom Italia, anch’essa nell’orbita degli interessi di Mediobanca e in una situazione disastrosa, nonché in procinto di cambiare azionista, come si è visto nelle ultime settimane. Il perché del passaggio? “Non intendeva trovarsi nella posizione di direttore generale di Fondiaria nel momento in cui i concambi smettessero di essere delle mere opinioni e determinassero la partecipazione di Fondiaria e Unipol alla nuova costituenda società frutto della fusione”, racconta Gismondi a Orsi.

“Peluso mi ha spiegato che il suo timore di essere coinvolto in un illecito nasce dalla irregolarità che lui ravvisa nel procedimento di definizione dei concambi. Mi ha riferito in particolare che Goldman Sachs, consulente finanziario officiato da Fondiaria, pare starebbe disattendendo le valutazioni che io stesso ed altri consulenti di Fondiaria avevamo fatto di Unipol. Ricordo che la valutazione secondo la quale Unipol mostrerebbe oggi un valore intrinseco negativo, si basa sul criterio base che sempre si segue in questi casi e che è quello dell’’embedded value”, prosegue l’attuario. “Questo criterio base viene poi riscontrato facendo ricorso ad ulteriori metodi valutativi, quali il metodo dei multipli, metodo di Borsa, metodo del consensus. Questi criteri sono estremamente aleatori e mai costituiscono il criterio principale di valutazione di una società assicurativa”, continua Gismondi affermando dunque che “in venti anni di carriera non ho mai visto valutare una società assicurativa senza far capo principalmente al criterio del patrimonio” al punto che “i bonus dei top manager assicurativi a livello internazionale sono individuati facendo ricorso al criterio patrimoniale”.

All’attuario il figlio della Cancellieri avrebbe poi raccontato che “Goldman Sachs sta mettendo da parte del tutto il lavoro mio e di Ernst & Young  e sta facendo ricorso a qualche altro criterio diverso da quello patrimoniale”. L’obiettivo, secondo quanto Pelusoavrebbe riferito a Gismondi, è “riconoscere ad Unipol un concambio più favorevole rispetto agli accertamenti secondo i quali essa avrebbe patrimonio netto negativo. Mi si chiede chi sia l’esponente di Goldman che sta seguendo questa valutazione e rispondo che si tratta del dott. Della Ragione”. Lo stesso nome che compare tra i destinatari di una e-mail di Peluso del marzo 2012 pubblicata dal Fatto Quotidiano lo scorso 25 ottobre nella quale il manager trasmetteva a colleghi e consulenti le “ Considerazioni su criticità bilancio civilistico Unipol 2010” e dove si sottolineava che “a quanto pare non siamo gli unici ad avere problemi di solvibilità …” e si suggeriva di organizzzare una riunione per fare il punto su “quanto stiamo scoprendo”. Documenti che, insieme alle intercettazioni della Guardia di Finanza di Torino che hanno alzato un velo sulle modalità discutibili con cui sono stati definiti i concambi della fusione, non sono state ritenute degne di attenzione dalla Consob di Giuseppe Vegas

Fonsai, le donazioni di Salvatore Ligresti: 32 milioni. Soprattutto alle fondazioni

Comuni, università, associazioni culturali e ambientali, parrocchie. Ma a queste ultime arrivano sempre pochi spiccioli in confronti alle centinaia di migliaia di euro che sono arrivati altrove. Oltre un milione di euro alla fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Oltre un milione anche al centro per la ricerca biomedica mai costruito

Dal monastero delle Carmelitane Scalze alla fondazione Bettino Craxi. Don Salvatore Ligresticuore d’oro, ma soprattutto con le fondazioni. In dieci anni la Fondiaria Sai ha elargito oltre 32 milioni di euro in donazioni. Comuni, università, associazioni culturali e ambientali, parrocchie. Tantissime. Ma a queste ultime arrivano sempre pochi spiccioli in confronti alle centinaia di migliaia di euro che sono arrivati altrove. Nel lunghissimi elenchi degli esercizi della società assicurativa, presenti negli atti dell’inchiesta milanese, fino al 2011 spuntano anche voci insolite tra i beneficiati di tanta generosità di cui parlava anche la compagna dell’imprenditore, Gabriella Fragni, in un verbale. Voci insolite e un centro per la ricerca (Cerba) mai costruito ma che ha ricevuto oltre un milione di euro. 

Ci sono le inserzioni e le erogazioni pagate a Rcs (anche se poche migliaia di euro), la quota associativa alla Fondazione Italia-Cina di Cesare Romiti (organizzazione di imprenditori per promuovere gli scambi tra i due paesi), fatture a nome della concessionaria di pubblicità Pubklicompass spa, al Comune e all’Università di Torino (che conferì e poi revocò una laurea in economia aziendale alla figlia Jonella nel 2007), alla Fondazione Milan, al Rotary club e ai Lions ma anche al Golf club, all’Associazione nazionale per le imprese assicuratrici. Anche il Senato della Repubblica ha ricevuto soldi dalla casse di FonSai per la realizzazione di una mostra: 30mila euro per i Padri fondatori. 

Ci sono tra le “erogazioni liberali effettuate” le quote associative al seminario Ambrosetti, a seminari dell’Università Bocconi, al Centro europeo per la ricerca biomedica avanzata (Cerba, progetto voluto da Umberto Veronesi che avrebbe dovuto sorgere sui terreni di Ligresti e oggi al centro contenzioso nel fallimento Imco-Sinergia). Alla fondazione di un progetto mai diventato realtà, secondo gli schemi presenti agli dell’inchiesta ,sarebbero andati poco meno di un milione e 200 mila euro.  

Poi ci sono anche sigle un po’ misteriose; nell’esercizio 2002 la donazione più alta, oltre 129 mila euro, sono finiti come “contributo straordinario” Ga-SA, in quello del 2003 ben 300mila euro partono da Fonsai e arrivano alla Fondazione Fondiaria Sai, stessa cifra anche nel 2004 e ben 500mila euro ne 2005. L’istituzione, già presieduta da Giulia Maria Ligresti, ha portato avanti secondo il sito alcuni progetti anche all’estero: dalla ristrutturazione di un orfanotrofio in Bielorussia alla costruzione di scuole in Burkina Faso e Mali.  Che la Fondazione possa essere il veicolo di donazioni particolari emerge in un verbale del 13 novembre 2013. A essere sentito è il capo della security Fonsai Luciano Gallo Modena: “Ieri sera l’avvocato Quagliana (ufficio legale) mi ha detto che sta verificando il sospetto secondo il quale da qualche ente morale siano partiti soldi con destinazione la dirigenza Isvap. Gli ho risposto che non ne sapevo nulla. In realtà esiste una Fondazione Fondiaria ma non ho idea che finanzi occultamente la vigilanza assicurativa. Esistono altre fondazioni nella disponibilità della famiglia Ligresti…”. 

A verbale Fulvio Gismondi, attuario, ha raccontato agli inquirenti milanesi che l’ex ad FonsaiEmanuele Erbetta gli aveva riferito di aver saputo da Pergiorgio Peluso, il direttore generale nonché figlio del ministro Anna Maria Cancellieri, che per corrompere Giancarlo Gianni, l’ex presidente Isvap “amico” dei Ligresti, i soldi erano stati fatti passare “per l’intermedio di una onlus sanitaria“. Ma nessuno sa quale sia il nome della onlus e se sia negli elenchi delle donazioni di don Salvatore. 

Ci sono di certo molte fondazioni. Nel 2004 Magna Carta, oggi presieduta da Gaetano Quagliariello, ha ricevuto un contributo di 115mila euro. La fondazione promuove lo studio del diritto attraverso seminari, convegni e manifestazioni. Se bene si sa cos’è Magna Carta non si riesce a capire cosa siano i 184mila euro elargiti nel 2004 come “costo fuori competenza Intercoins”. In beneficenza, nel 2005, anche 260mila euro di contributo al gruppo Agenti Sai. 

Ci sono contributi consistenti anche a molte fondazioni culturali; per esempio alla Fondazione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino 160mila euro nel 2005, 330mila nel 2006, 330mila nel 2007 e 330mila euro nel 2008. Proprio in quel periodo l’ingegnere aspirava a costruire sull’area del Castello. Tra il 2008 e il 2009 al Festival internazionale della musica Mi-To sono andati ben 800mila euro. Cifra che fa impallidire se si pensa che per esempio nel 2009 a un’altra importante istituzione culturale italiana come il Teatro la Fenice di Venezia 5mila euro, mille euro in meno del Rotary club. Notevoli anche i 250 mila euro alla fondazione nazionale del Cinema di Torino in confronto ai 10mila donati all’Associazione nazionale dei vigili del fuoco. Al meritorio comitato fondazione Telethon invece solo 2mila euro nel 2009, anche se 60mila euro sono stati donati a Telefono azzurro.

"Contatti Ligresti-Berlusconi per Giannini"
Accusa della procura nell'indagine Fonsai

Il pm di Milano Luigi Orsi ha chiuso un altro filone dell'inchiesta: l'ex presidente dell'Isvap avrebbe ritardato la funzione di vigilanza in cambio di una promessa dell'ingegnere di Parternò della nomina all'Antitrust

 

MILANO - Il pm di Milano, Luigi Orsi ha chiuso un altro filone di inchiesta sull'ex galassia Ligresti. In questa indagine sono indagati Salvatore Ligresti e Giancarlo Giannini (ex numero uno dell'Isvap) per corruzione. Inoltre, Giannini deve rispondere anche della contestazione di calunnia a danno della stessa famiglia Ligresti. Al centro della vicenda di corruzione c'è la promessa che Ligresti avrebbe fatto a Giannini di interessarsi presso Silvio Berlusconi per una sua nomina all'Antitrust.

Il ruolo di Giannini.
 Giannini, all'epoca presidente dell'organismo di vigilanza sulle assicurazioni private (ora Ivass), "aveva improntato la funzione di vigilanza nei confronti" di Fonsai "in modo tardivo e inefficiente" in cambio della promessa da parte di Ligresti della nomina a presidente dell'Antitrust, "una volta scaduto l'incarico" all'Isvap. Di più: Giannini avrebbe ritardato i controlli già dal 2002 quando il gruppo Ligresti prese il controllo di Fondiaria. 

La calunnia. L'accusa di calunnia a carico di Giannini riguarda una denuncia che l'ex presidente dell'Isvap ha presentato in procura a Milano nei confronti dei Ligresti, accusandoli di ostacolo all'autorità di vigilanza con lo scopo di "occultare il fatto di aver omesso di svolgere al propria doverosa vigilanza su Fonsai" e di "conseguire l'impunità". La denuncia fu fatta il 18 aprile 2012 e per il pm Orsi, Giannini l'ha presentata nonostante sapesse che i Ligresti fossero

innocenti e non responsabili di quanto l'ex presidente dell'Isvap li accusava. Il reato di corruzione risale al 2011.

L'accusa a Ligresti.
 Giannini, infatti, indicava che gli amministratori di Fonsai "avrebbero occultato all'istituto gli scorretti criteri di formazione della riserva sinistri rc auto che si sono riflessi sul bilancio di esercizio 2010 e così veicolato all'autorità una non compiuta informazione sulle reali condizioni economiche della società, ciò incidendo sia sulla tempestività degli interventi di vigilanza, sia sul processo decisionale della medesima autorità in ordine alla considerazione, anche in termini meramente ipotetici, delle più opportune misure da adottare, a fronte della reale situazione aziendale, nel perseguimento della sana e prudente gestione della società stessa". 

La segnalazione. Inoltre, il 21 marzo 2012, Giannini aveva già segnalato con una nota alla magistratura che "a quella data era emerso che sulla base della valutazione del contratto 20 ottobre 2003 concluso tra la Fondiaria-Sai e Salvatore Ligresti, tacitamente rinnovabile, la società vigilata aveva pagato a ligresti complessivi 28 milioni di euro tra il 2003 e il 2010, erogazione anomala e indebita perché la proroga contrattuale non era stata specificatamente valutata dal cda" e perché "l'importo delle erogazioni successive alla prima era contrattualmente indeterminato" e "era difficile percepire il contenuto della prestazione".

Con tale nota, scrive il Pm "implicitamente accusava gli amministratori pro tempore della Fondiaria-Sai di avere occultato la vicenda alla vigilanza prima del 21 marzo 2012". Tuttavia, continua Orsi, a fronte di queste denunce, Giannini "disponeva nell'arco di tempo dal 2002 all'agosto 2010, che l'Isvap non effettuasse alcuna ispezione nei confronti della società vigilata" e "disponeva tardivamente nell'ottobre 2010 un'ispezione generale su Fondiaria, inizialmente centrata sulla governance e successivamente, il 28 dicembre 2010, estesa al tema della sola rc auto".

L'ispezione tardiva. Orsi spiega, inoltre, che l'ispezione del dicembre 2010 a Fonsai è stata tardiva perché "assunta a distanza di un anno da quando, il 29 ottobre 2009, l'istituto chiedeva chiarimenti a Fondiaria sul tema delle riserve relative alla rc auto e alla rc generale con riguardo all'esercizio 2008", senza contare che "il 29 dicembre 2009" Giannini propose al dirigente che aveva rilevato ci fosse necessità di fare una ispezione a Fonsai "di rinviare entrambe le iniziative ispettive nella primavera successiva, quando fossero stati acquisiti ulteriori dati". 

Le parti correlate. Lo stesso dirigente nel marzo 2010 "reiterava il suggerimento di avviare l'ispezione nei confronti" di Fonsai, ma questa non fu fatta che a fine dicembre dello stesso anno. Giannini avrebbe poi interferito "rallentando e comunque ostacolando l'ispezione disposta". Ciò lo avrebbe fatto nel dicembre 2010 "dissuadendo" gli ispettore a "svolgere immediatamente" ulteriori accertamenti, dopo che "erano emerse alcune operazioni condotte da Fondiaria-Sai con parti correlate - specificatamente erogazioni di denaro da Fondiaria-Sai a favore di Salvatore e Jonella Ligresti", e successivamente decidendo "di non segnalare all'autorità giudiziaria" alcuni "sospetti di illiceità delle attribuzioni patrimoniali ai Ligresti" e invitando "l'amministratore delegato di Fondiaria-Sai, Emanuele Erbetta, a 'inondare di carte' l'isvap, laddove i documenti già versati da Fondiaria alla vigilanza comprovavano già l'illiceità delle erogazioni fatte da Fondiaria-Sai a Ligresti". 

Quando Giannini difendeva Ligresti.
 "Ha preso i soldi? E allora? Si tratta forse di un reato?".  Nell'avviso di chiusura firmato da Orsi, con queste parole Giannini avrebbe replicato al capo dell'ispettorato dell'istituto di vigilanza sulle assicurazioni, Ignazio Bertuglia, che "sollecitava l'avvio delle richieste ispettive" in relazione "al fatto che Salvatore Ligresti aveva percepito svariati milioni di euro di sospetta liceità" da parte di Fonsai. 

LA LIBIALIA DEL GRAN VISIR

HO IN MANO PIU' DEL 20% DI MEDIOBANCA, OVVERO SONO DENTRO IL BUCO DEL CULO DI VOLTA DELL'INTERA ECONOMIA D'ITALIA, UN PAESE ORMAI DEINDUSTRIALIZZATO,DELOCALIZZATO E FINANZIARIZZATO (Ocse: "Cala il Pil italiano"Il nostro Paese ultimo del G7

La nostra è l'unica tra le sette maggiori economie mondiali che nel terzo trimestre del 2010 ha registrato, con un -0,3% su base annua, una variazione negativa del Prodotto interno lordo,numeri poi smentiti dall'ISTAT per la gioia di Tremorti. Non è solo il paese a tracollare: sentite questa storia. Tre anni fa le azioni Rcs quotavano in Borsa intorno ai 4 euro. Adesso viaggiano vicino a 1,20, dopo essere scese fino a 0,5 euro a marzo 2009. Questo terremoto ha finito per avere conseguenze pesanti per il povero (si fa per dire) Rotelli. Rotelli è un nobile che con 350 milioni di euro si è comprato l'11% di RCS quando le azioni valevano 4 euro. Oggi perde 150 milioni a botta.... Ma anche altri protagonisti della vicenda, a cominciare dai soci più influenti del patto di sindacato, si sono trovati in bilancio azioni acquistate a quotazioni di gran lunga superiori rispetto a quelle correnti. E allora, nel tentativo di limitare i danni, gli azionisti di comando hanno escogitato le soluzioni più diverse. Giochi contabili, peraltro perfettamente legali, per attutire l’effetto Rcs sui conti delle loro aziende. Il trucchetto si chiama "valore d'uso". Cioè: l'azione vale in borsa 1,20 euro?? Si, ma siccome il marchio RCS è unico, ovvero CorSer, vale di più. In questo modo limiamo le perdite.  Ecco qualche esempio. La Pirelli di Tronchetti già nel 2008 ha svalutato per 65 milioni la sua quota nel Corriere (il 5,3 per cento). La perdita sarebbe stata ancora maggiore se si fosse mantenuta la quotazione di Borsa come criterio di valutazione. La Pirelli, però, ha sfoderato una perizia che fissa in 1,7 euro per azione il cosiddetto “valore d’uso” della partecipazione. E questo basta per evitare di allineare la voce di bilancio al prezzo di Borsa. Un fatto, quest’ultimo, che avrebbe obbligato la Pirelli a contabilizzare una perdita maggiore. L’Italmobiliare di Pesenti si è mossa nello stesso modo. Nel 2008 il gruppo del signore del cemento ha perso 55 milioni su Rcs (7,7 per cento del capitale). Ma questa volta il valore d’uso è inferiore: 1,6 euro. Anche questo calcolo è certificato da una perizia ad hoc. A Mediobanca invece sono ottimisti. Per loro la società del Corriere vale 1,9 euro per azione. Ovviamente anche qui è tutta questione di valore d’uso. Nel bilancio al 30 giugno 2009, l’ultimo disponibile, gli amministratori della banca all’epoca guidata da Cesare Geronzi spiegano una valutazione tanto distante dalla quotazione di Borsa con “l’unicità di taluni asset posseduti” da Rcs. Come dire: di Corriere ce n’è uno solo e il marchio di per sé fa la differenza. C’è poco da festeggiare, però. Mediobanca, primo azionista con una quota del 14,3 per cento, l’anno scorso ha perso più di 90 milioni sulla sua partecipazione editoriale. Intesa invece ha bruciato 78 milioni.

Anche Ligresti viaggia in rosso, almeno a giudicare dai bilanci. La sua Fondiaria infatti è in crisi e passa da un piano di ristrutturazione all’altro. Poco male. Le ambizioni di Ligresti di dire la sua nella gestione del Corriere hanno causato perdite supplementari per 109 milioni nel bilancio 2008 della compagnia. Probabilmente i piccoli azionisti del gruppo assicurativo ne avrebbero fatto volentieri a meno. Nei conti della Fiat, invece, la voce Corriere vale 131 milioni. In Borsa la quota del 10,1 per cento in mano agli Agnelli costerebbe circa 90 milioni. Svalutare? Nemmeno per sogno, perchè, come si legge nella relazione degli amministratori, “la misurazione in base ai valori borsistici è poco significativa”.
 )

,CONTANO SOLO I SOLDI  NON LA PRODUZIONE(ormai non produciamo niente ad eccezzione di megamiliardi di debiti che riusciamo a vendere all'estero. Germania, Gran Bretagna e persino la Cina hanno in pancia fette del nostro debito, ecco perchè ci lasciano in piedi, perchè se cadiamo noi, loro si ritrovano con qualche tonnellata di carta da culo...) E CON I SOLDI DI GHEDDAFI, E DI QUALCHE ALTRO MAMELUCCO, SONO DENTRO IN UNICREDIT E SONO AD UN SOFFIO DALL'ESSERE IL PRIMO AZIONISTA DI RIFERIMENTO DELL'INTERA NAZIONE CONTROLLANDO L'ASSE MEDIOBANCA-GENERALI-UNICREDIT. HO IN MANO IL MINISTERO CHIAVE PER BLINDARE TOTALMENTE IL DOMINIO ASSOLUTO DELLE MIE TELEVISIONI NEL DITALINO TERRESTRE E LANCIARE L'OPA AL RIBASSO E SENZA CONCORRENTI SULLA CONNESSIONE INTERNET A BANDA LARGA, EPPURE NON E' SUFFICIENTE. DEVO SBATTERE FUORI LA MIA SERVA CHE SI E' RIVOLTATA MA NON SO COME FARE PERCHE' IL MIO ALLEATO PRINCIPALE STA CRESCENDO A DISMISURA E PUO' VANIFICARE IL MIO SOGNO IMPERIALE DI DOMINIO TOTALE, ALTRESI' NON CONOSCO UN CAZZO DELLA COSTITUZIONE, MENTRE LEI NE CONOSCE I PUNTI E LE VIRGOLE. DEVO MANTENERE IL BASTONE POLITICO IN MANO PER CHIUDERE DEFINITIVAMENTE TUTTI I MIEI PROCESSI PENALI E PROCEDERE ALL'OCCUPAZIONE IN MASSA DEL PAESE SENZA LIMITI: DEVO LEGALIZZARE LA PEDERASTIA, LA COPROFILIA,LA PROSTITUZIONE ( "Non escludo che senatrici o deputate siano state elette dopo essersi prostituite.Purtroppo può essere vero e questo porta alla necessità di cambiare l'attuale legge elettorale. E' chiaro che, essendo nominati, se non si punta sulla scelta meritocratica, la donna spesso è costretta, per avere una determinata posizione in lista, anche a prostituirsi o comunque ad assecondare quelle che sono le volontà del padrone di turno". Non lo ho detto io, ma la deputata Angela Napoli, una delle firmatarie delle19 querele presentate contro di me da deputate e senatrici attraverso lo Studio Legale Bongiorno e respinte dal Tribunale di Roma per aver pronunciato la frase: "Sei persone hanno deciso i nomi di chi doveva diventare deputato o senatore, Hanno scelto 993 amici, avvocati e, scusate il termine, qualche zoccola, e li hanno eletti". Incredible Italy!" ma non è finita:Non solo Ibrahimovic e Robinho per i tifosi del Milan (24 milioni il primo, 18 milioni il secondo secondo la formula del PRESTITO':CIOE' COMPRI OGGI E PAGHI DOMANI, MA SEMPRE DI PAGARE SI TRATTA...). Il Cavaliere spende e spande anche per garantire una degna dimora alle sue preferite. Investendo centinaia di migliaia di euro.Francesca Pascale (VIDEO trash da TeleCapri), già fondatrice, nel 2006, del comitato "Silvio ci manchi" e habituée di Villa La Certosa, occupa a Roma un mini appartamento del premier in zona Trionfale, pagato 470mila euro. Altri 380mila euro se ne sono andati, invece, per una casa sulla Cassia che, una volta ristrutturata, sarà abitata da Adriana Verdirosi, la ragazza che in tv diceva di essere raccomandata da un politico chiamato, in privato, "Cicci" (VIDEO). Non è finita. Oltre 2 milioni di euro è costato (nel 2006) l'immobile di Campo dei Fiori dove viveva l'annunciatrice Rai Virginia Sanjust. Mentre grazie a uno sconto del 50% nel 2004 una società di Silvio Berlusconi versò solo 900mila euro per un attico in cui ora risiede la conduttrice della tv di Stato, Sonia Grey (LEGGI). Insomma, avere buoni rapporti con il Capo conviene: se non si entra in politica ci scappa almeno un bilocale )E TUTTI GLI ISTINTI PIU' BESTIALI E RECONDITI,IMPASTARE TUTTO CON LE GROSSE MAFIE CHE VOGLIO QUOTARE IN BORSA

CREARE UNA CERNIERA DI CENTRALI ATOMICHE PER FORMARE UN INDOTTO DA 20 MILIARDI DI EURO, UNA FINANZIARIA,PER TENERE IN PIEDI CIO' CHE RESTA DELL'INDUSTRIA ITALIOTA RASTRELLANDO INVESTIMENTI ANCHE DAL COMPARTO FARMACEUTICO VISTO CHE I LIVELLI DI CANCEROSITA' ARRIVERANNO ALL'EMERGENZA SANITARIA. TUTTAVIA NON POSSO FARLO SE MI VENGONO A MANCARE I NUMERI NEL PARLAMENTO CHE DOVREBBE SEMPLICEMENTE, IN FUTURO, RATIFICARE TUTTO  CIO' CHE SMERDO ED APPLAUDIRE TUTTO IL CAZZO CHE FACCIO, PARLAMENTO CHE DOVRA' ESSERE TRASFERITO NEGLI STUDI DI CANALE 5 E DIRETTO DAL MARITO DI COSTANZO IN MEZZO A SGUALGE, PAPPONI,UNTORI,SEMIDEFICENTI,

GERONTOCRATI,DELINQUENTI,L'INTERA DIVISIONE DIRLEWANGLER (*).... DUE MESI FA ERO SICURO DI VINCERE LE ELEZIONI, MA ORA,NONOSTANTE LA FARAONICA CAMPAGNA ACQUISTI SIA IN PARLAMENTO, SIA NEL MONDO DELLO SPETTACOLO TIPO IL CALCIO - CHE MI PORTA UN BEL 3% DI VOTI...TUTTE LE TESTE DI CAZZO CHE FANNO IL TIFO PER IL MERDAN - , I SONDAGGI MI DICONO PICCHE. DEVO PRENDERE TEMPO, DEVO INCASINARE ANCORA DI PIU' LE COSE, DEVO AMMORBARE, ASFISSIARE, CONFONDERE, METTERE ZIZZANIA, DEVO PORTARE IL VOMITO ALL'ENNESIMA POTENZA...

103 MILIARDI DALLA BCE DAL 5 AGOSTO 2011...

 Quasi la metà dell'intervento della Banca centrale europea a sostegno dei Paesi periferici dell'Eurozona ha riguardato l'Italia. Nell'ambito dell'Smp (Securities Markets Programme), cioè l'acquisto di titoli di debito pubblico da parte della Bce sul mercato secondario, pari in totale a 218 miliardi di euro, ben 103 miliardi sono serviti a contenere l'aumento dello spread dell'Italia. E' quanto emerge dai dati al 31 dicembre 2012 resi noti dall'Eurotower, in linea con la politica di trasparenza dopo la creazione del cosidetto meccanismo anti-spread (Omt, Outright Monetary Transactions).

La Bce ha acquistato 102,8 miliardi di euro in bond italiani, iscritti a libro per 99 miliardi, la quota maggiore tra i Paesi dell'eurozona colpiti dalla crisi del debito. Seguono Spagna (44,3 miliardi), Grecia (33,9), Portogallo (22,8) e Irlanda (14,2). La durata media residua del debito italiano in pancia all'Eurotower è di quattro anni e mezzo. La durata maggiore è quella irlandese, mentre la Grecia è quella a più breve termine (circa tre anni e mezzo). Il programma Smp era stato avviato dalla Bce alla metà del 2010, allo scoppio delle crisi del debito ellenico, ed terminato lo scorso settembre quando è stato sostituito dall'Omt. Quest'ultimo non è stato finora mai attivato in quanto, a differenza del precedente programma, richiede, a chi ne fa richiesta, di sottoporsi alle condizioni di aggiustamento strutturale fissate dal fondo europeo salva-Stati.

E l’ipotesi di chiusura dei mercati dell'agosto 2011? Nessuno dei protagonisti di quei mesi, interpellati dal Fatto, ha voglia di scendere nei dettagli, “circolava l’ipotesi di chiudere la Borsa e c’erano pressioni per sospendere le aste del debito pubblico”, dice una fonte informata. Ma il provvedimento era pronto, anche se oggi risulta difficile rievocare quanto vicini eravamo al baratro. Nell’estate 2011 arriva la lettera della Bce che regala a Berlusconi l’ultima occasione, rimane al governo ma per applicare il programma deciso da Francoforte. Ma è così inconcludente che si presenta al vertice del G20 del 4 novembre, a Cannes, senza niente in mano. E nel giro di un paio di settimane deve farsi da parte per lasciare il posto a Monti.
In quei giorni la Consob cerca di bloccare il
 panico sul mercato vietando le vendite allo scoperto (cioè le scommesse al ribasso), a livello europeo vengono bloccate le speculazioni sui Cds, i derivatiche assicurano contro il fallimento di uno Stato sovrano, la Commissione europea pensa di eliminare il rating per il debito dei Paesi che chiedono aiuto. E in quel contesto qualcuno a Roma – governo Monti e Bankitalia, dice De Bortoli – pensa di chiudere i mercati. Anche se al massimo il decreto avrebbero potuto arginare le vendite sulla piattaforma di Milano, non nel resto delle piazze finanziarie mondiali. Monti però non ha poi fatto nulla di simile.

La sua linea era che l’Italia dovesse rimanere indipendente, a qualunque prezzo: chiedere aiuto all’Europa e alla Troika (Bce, Fondo monetario e Commissione) avrebbe significato ridurre il Paese come la Grecia. Bloccare i mercati poteva essere utile solo per guadagnare il tempo necessario a negoziare il salvataggio, e Monti non voleva essere salvato. Ma le pressioni dall’esterno erano fortissime: molti soggetti, dai creditori internazionali alle banche piene di Btp e interessate a privatizzazioni drastiche, spingevano per la capitolazione.

A gennaio 2012, secondo quanto ha raccontato una fonte al Fatto, l’allora viceministro dell’Economia Vittorio Grilli convoca la responsabile del debito pubblico, Maria Cannata, e i dirigenti di vertice che si occupano di finanza e dice: “Avete due ore per convincermi a non chiedere l’intervento del fondo salva Stati”. Devono essere stati convincenti. In questa estate incerta al Tesoro sono tranquilli: come d’abitudine hanno sospeso le aste ad agosto, invece che approfittare del momento con i tassi bassi. Confidano che anche a settembre la situazione rimarrà tranquilla sul mercato obbligazionario. La Banca d’Italia invece sta completando un’analisi della situazione dei bilanci delle banche italiane che verrà chiusa in questi giorni. I guai dell’estate 2013 possono venire più da lì che dallo spread.Il vero obiettivo di questo governo è la distruzione dell'impianto costituzionale per poter cambiare le regole del gioco democratico e assicurare ai partiti il potere e la greppia di Stato. Per cambiare la Costituzione senza impedimenti da parte dell'opposizione in Parlamento e senza il consenso dei cittadini, che ne sono i veri custodi, i partiti vogliono cambiare l'articolo 138, l'architrave. In seguito, sarà istituita una Bicamerale per rivedere la Costituzione con statisti del calibro di Berlusconi (o dei suoi servi, non fa differenza) e di D'Alema e degli altri caporioni del pdmenoelle. Per questo è nato il governo di larghe intese che di tutto si preoccupa tranne che dei problemi del Paese. Cosa dice l'articolo 138?
"Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
"
L'articolo 138 è la barriera tra la Costituzione e i partiti. Impedisce che ne sia fatta carne da porco. Prevede due volte il voto delle Camere e un referendum popolare di conferma. I saggi, prima 10 e poi 40, di stretta osservanza governativa, solo pdl, pdmenoelle e scelta civica, nessuno del M5S, stanno operando laboriosamente per spossessare il Parlamento delle sue (poche) prerogative. I colpi di Stato, come scrisse Curzio Malaparte in Tecnica di colpo di Stato, quasi mai ricorrono alla violenza, di solito avvengono in modo apparentemente legale, nel silenzio ovattato delle cosiddette istituzioni. Il cambiamento della Costituzione discusso ieri in Commissione Affari Costituzionaliin soli 55 minuti per poter essere votato in aula, in tutta fretta, il primo di agosto, senza neppure la possibilità di emendarlo, con gli italiani in ferie e con la stampa e le televisioni di Stato asservite e mute, è un colpo di Stato annunciato. E i colpi di Stato vanno combattuti, in nome della democrazia.

LA FORESTA PIETRIFICATA DELLO PSEUDO CAPITALISMO ITALIOTA

Rapporto della Commissione europea: 'Iberici più competitivi, Roma ha deindustrializzato troppo'"Vorrei ricordare che Telecom è stata privatizzata, e che di tutte le privatizzazioni italiane non credo sia stata uno dei più grandi successi", dice il premier Enrico Letta, che martedì riferirà alla Camera. E D'Alema rivendica: "Fu una scelta giusta, decise il ministro del Tesoro Ciampi" (leggi). Mentre l'Italia discute del passaggio dell'azienda di telecomunicazione in mani spagnole, un rapporto della Commissione Ue mette in luce una forte deindustrializzazione in corso nel Bel Paese: "La Spagna è più competitiva" (leggi)

Oggi Telecom, gravata ab origine da miliardi di euro di debiti mai ripianati. Domani Alitalia, che potrebbe diventare francese con sei anni di ritardo rispetto all’ipotesi originaria contro cuiBerlusconi costruì la retorica elettorale dei patrioti. Il capitalismo senza capitali all’italiana svende i suoi antichi gioielli, ma non prima di averli spogliati di tutto. E se il caso Parmalat fece esplodere il marcio del sistema – e regalò ai francesi di Lactalis una azienda produttivamente sana ma economicamente fondata sui falsi in bilancio – non c’è bisogno dei processi per avere il quadro di un Paese in saldo. Il caso della compagnia di bandiera, che doveva restare italiana e oggi rischia di cambiare nazionalità a prezzo da outlet, rimane la cartina di tornasole di un osso – l’industria italiana – spolpato fino al midollo e poi lasciato al suo destino. E se nel 2007 Air France era pronta ad offrire sei miliardi per accollarsi il nostro vettore, oggi prende tempo, chiede rassicurazioni e punta a spendere il meno possibile senza prendersi i debiti, mentre l’operazione italianità ha accumulato più di un miliardo di rosso e i cittadini si sono accollati i 4,5 miliardi di costi dell’operazione. 

Telecom, insomma, non fa eccezione alla logica dei poteri (ex) forti. Non a caso, immediatamente dopo l’ufficializzazione della vendita, Mediobanca ha diramato una nota per proclamare l’utile del trimestre. In dettaglio, si legge, a seguito dell’aumento di capitale Telco sottoscritto da Telefonica, operazione che valorizza Telecom Italia con un premio dell’85% rispetto alle attuali quotazioni, la partecipazione Mediobanca al capitale sociale di Telco si riduce dall’11,6% al 7,3% (e quella in trasparenza in Telecom Italia dal 2,6% all’1,6%). Inoltre a seguito del parziale acquisto da parte di Telefonica del prestito soci, Mediobanca riduce il prestito soci di pertinenza per 35 milioni (da 78 a 43 milioni) attraverso il concambio in azioni Telefonica e realizza un utile di circa 60 milioni, registrato nel 1°trimestre del corrente esercizio.  

Tradotto, dopo essersi contesi per 16 anni il controllo di Telecom Italia, trofeo ambito nelle loro guerre di potere, gli ex poteri forti l’hanno consegnata, per pochi spiccioli, a Telefónica España,rattoppando in questo modo i propri bilanci. Nel frattempo Telecom è stata una macchina da soldi che ha propiziato arricchimenti e carriere. Adesso non c’è più niente da spolpare ed è un problema di cui liberarsi al più presto. Le cosiddette “banche di sistema” e i profeti dell’italianità riscoprono gli imperativi categorici del mercato. Il governo tace. Il viceministro alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, ha detto ieri: “Vorremmo che tutte le aziende fossero italiane, ma non viviamo nel mondo dei sogni”. Altro che Agenda Digitale: l’Italia rischia di restare senza Internet e pure senza telefoni. Un’esagerazione? La complessa partita a scacchi che sta portando all’eutanasia di Telecom rende fondato il timore.

Al centro della scena c’è il presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè. Ha bisogno di capitali da investire sulla rete del futuro ma l’azienda non li ha perché è ancora gravata da 40 miliardi di debiti accumulati da Roberto Colaninno (che scalò il colosso a spese della stessa Telecom nel 1999) e da Marco Tronchetti Provera che la rilevò nel 2001. Bernabè punta a a un aumento di capitale, cioè i soci che iniettano denaro nell’azienda.

Ma i padroni di Telecom non vogliono scucire un euro, perché quando hanno comprata lo hanno fatto per il controllo (in italiano corrente: il potere) e non per investire nelle telecomunicazioni. E del resto è comprensibile, basta guardare come è composto il salotto buono denominato Telco. Questa scatola appositamente costituita nell’aprile 2007 ha acquistato dalla Pirelli di Tronchetti le azioni Telecom a 2,8 euro l’una, con un investimento di 4,5 miliardi.

Oggi il 22,45 per cento di Telecom, che basta a Telco per comandare, vale in Borsa circa 750 milioni (ieri il titolo ha chiuso a 0,59 euro: in sei anni hanno perso tre quarti dell’investimento). I soci di Telco sono Telefónica España con il 46,18 per cento, Mediobanca e Intesa Sanpaolo con l’11,62 per cento a testa e Assicurazioni Generali con il 30,58 per cento. Il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, ha detto a chiare lettere che lui vuole sbarazzarsi dell’imbarazzante investimento, e che certo non si sogna di mettere altri soldi. Il boss di Generali, Mario Greco, è sulla stessa linea: come spiegare agli azionisti che la compagnia ha perso un miliardo e mezzo per giocare con i telefoni? Nagel e Greco hanno dichiarato all’unisono guerra a salotti, patti di sindacato e capitalismo di relazione, e si comportano di conseguenza. Tace con vivo imbarazzoEnrico Cucchiani, capo di Intesa Sanpaolo, che si è autoeletta “banca di sistema” (ha all’attivo il capolavoro della difesa dell’italianità di Alitalia).

Il numero uno di Telefónica si è rassegnato a offrire agli altri soci Telco fino a 1,09 euro per azione, più del doppio del valore di mercato (perché loro possono, ai piccoli azionisti invece non tocca niente se il controllo delle società quotate si scambia con meno del 30 per cento delle azioni). Le trattative sono ferventi, con varie riunioni nella sede milanese di Mediobanca. In pratica Cesar Alierta pagherà al massimo 850 milioni, probabilmente in due tranche. Per una società che vale inBorsa oltre 11 miliardi è un sacrificio accettabile, soprattutto se serve a paralizzarla.

Alierta non intende mettere un solo euro nella società italiana. Ha già detto a Bernabè che se vuole investire sulle tlc italiane può vendere Telecom Argentina e Tim Brasil, cioè i due unici pezzi del residuo impero che producono utili. Il fatto è che in Argentina e Brasile ci sono anche le controllate di Telefónica, alle quali le società italiane fanno una fastidiosa concorrenza. E la sorte di Telecom Italia senza l’America Latina è segnata.

Gli azionisti italiani in fuga hanno un alibi perfetto: anche se non vendono è uguale. Infatti nel 2007, all’inizio dell’avventura, hanno consegnato ad Alierta un diritto di veto su ogni decisione importante, per esempio gli aumenti di capitale. Quindi Bernabè, anche se Mediobanca, Intesa e Generali non vendessero, non potrebbe mai portare al cda la proposta di aumento di capitale, perché Alierta la bloccherebbe. E neppure un aumento di capitale riservato a un nuovo socio: siccome si parla di 3/5 miliardi, chi paga diventa padrone e Alierta non vuole. Bernabè ha fatto sapere che se le cose vanno avanti così, il suo addio sarà automatico. Ma la Telecom è stata consegnata al suo concorrente Telefónica nel 2007, e la politica se ne accorge (forse) solo adesso che è tardi. Infatti fa finta di niente.

Quando stamattina si è svegliato, Franco Bernabé forse si sarà sentito come Bill Murray nel film il Giorno della Marmotta, quello in cui il protagonista rivive sempre la stessa giornata. Esattamente quattordici anni fa Bernabé guidava la Telecom post privatizzazione, controllata dal nocciolino duro degli Agnelli e delle banche. Fu preso in contropiede dall'Opa da 116 miliardi di vecchie lire di Roberto Colaninno. Avvisò tutti che quell'operazione sarebbe stata la rovina di Telecom e provò a reagire organizzando le difese. Trovò un cavaliere bianco, Deutsche Telekom, al quale appoggiarsi e provò a fondere Telecom con Tim per far salire alle stelle il prezzo dell'Opa di Colaninno.

Non ci riuscì perché, in quell'occasione, il governo D'Alema appoggiò gli scalatori non usando la golden share e facendo mancare le sue quote (insieme a quelle di Banca d'Italia) nel momento di deliberare la "poison pill" della fusione orchestrata da Bernabé. Ora il film sembra lo stesso. Non è un mistero che la Telecom targata Telefonica non gli piace. Così ha iniziato a sondare il governo per capirne l'orientamento. Questa mattina ha incontrato il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, a margine dell'assemblea di Assonime. Poi ha visto anche il vice ministro delle Comunicazioni Antonio Catricalà. Domani mattina Bernabé sarà ascoltato in Senato sul nuovo piano industriale che sarà presentato il 3 ottobre e che potrebbe permettergli di scoccare qualche freccia.

Nella sua faretra Bernabé ne ha più di una. Innanzitutto stamattina ha derubricato l'operazione Telefonica ad un mero riassetto azionario di Telco, il veicolo societario che controlla il 22% di Telecom e nel quale oltre agli spagnoli ci sono Intesa, Mediobanca e Generali. Un modo per dire che in realtà tutto cambia perché nulla cambi. E se nulla cambia, i problemi finanziari di Telecom, con i suoi 29 miliardi di debito, rimangono tutti sul tappeto, compreso il rischio di downgrading fino al livello spazzatura. Non a caso Moody's si è subito affrettata a far sapere che l'operazione Telefonica non impatta sul giudizio (che rimane negativo) e sul rating (a un passo dallo "junk").

Bernabé è convinto che per mettere al sicuro Telecom serva una ricapitalizzazione e nella sua veste di capo azienda, sarebbe pronto a tirare dritto per la sua strada e proporre un aumento di 3-5 miliardi di euro al consiglio di amministrazione. Questo costringerebbe Telefonica a venire allo scoperto, dimostrare il reale interesse per il destino dell'ex monopolista mettendo seriamente mano al portafoglio. Per ora, infatti, il vero esborso per gli spagnoli per prendere Telecom è limitato a 324 milioni, mentre altri 117 milioni saranno versati più avanti. Il resto è un accollo di debiti. Se Telefonica non lo facesse Bernabé potrebbe trarne le conseguenze e dimettersi.

Oltre all'aumento di capitale Bernabé potrebbe proporre al consiglio anche un altro investitore come fece nel 1999 con Deutsche Telecom? Difficile dirlo. Dall'egiziano Naguib Sawiris, al cinese Li Ka Shin, tavoli ne ha aperti tanti, ma di conclusioni ne ha tirate poche.

C'è poi un altro argomento forte che Bernabé potrebbe usare in chiave anti-Telefonica: la rete. Gli spagnoli sono sempre stati contrari allo scorporo e all'ingresso della Cassa Depositi e Prestiti. L'investimento in Telecom, per Telefonica, ha senso solo se la rete rimane saldamente di proprietà. Le altre due galline dalle uova d'oro, ossia Tim Brasil e Telecom Argentina, dovranno essere vendute quando gli spagnoli oltre alle azioni, di Telco acquisiranno anche i diritti di voto (per ora congelati proprio per evitare la reazione delle Authority). La rete, che vale 2,5 miliardi di margini sul conto economico di Telecom, è l'unico vero pezzo pregiato che rimarrebbe all'ex monopolista. Di certo gli spagnoli non ci rinunceranno. Ma la domanda è anche un'altra. Ci investiranno per sviluppare la banda larga? Con 51 miliardi di debito, con la prospettiva di accollarsi anche i 30 di Telecom, anche le casse di Telefonica potrebbero avere qualche difficoltà a finanziare lo sviluppo di internet veloce in Italia.

Il governo Letta farà diversamente dal governo D'Alema e darà ascolto alle tesi di Bernabé? Dai segnali, almeno quelli captati fino a questo punto, si direbbe di no. Fonti dell'esecutivo citate da Reuters, fanno sapere che il governo si terrà fuori dalla partita. Solo ieri il vice ministro Catricalà ha frenato sull'uso della golden share e sullo scorporo della rete. La partita è chiusa? Forse solo cominciata. 

 

CHE LA "BATTAGLIA" DI FINI FOSSE FARLOCCA LO SI SAPEVA BENISSIMO: I finiani prendono tempo e si preparano ad approvare il documento del presidente del Consiglio per non rimanere con il cerino in mano, OVVERO PER NON RIMANERE SENZA SCRANNI PREBENDE ED ALTRA MERDA ASFALTATA. D'ALTRA PARTE SI STA PER SCATENARE UNA SECONDA ONDATA DA 130-150 MILIARDI DI EURO IN SCADENZA CHE L'ITALIA DEVE ONORARE ATTRAVERSO MANOVRE DI "AGGIUSTAMENTO" DA 300.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE !!! QUESTO SOLO PER PARARE UNA PROBABILE ESPULSIONE DALLA UE UNA VOLTA CHE VERRANNO LASCIATI ANDARE AL LORO DESTINO DI MERDA IRLANDA E PORTOGALLO. PER I PAPPONI AL PARLAMENTO DELINQUENZIALE ITALIOTA E' CHIARO CHE UNA CADUTA ANTICIPATA FINIREBBE PER PREGIUDICARE LA PAPPATOIA NEL MOMENTO PIU' BUIO DEL PAESE. ALTRESI' LA PATTA , SI NON PATATA, perchè per i nostri Papponi è la Patta dei pantaloni ad essere al centro delle loro attenzioni, BOLLENTE DA 300.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE CHE SI STA PER SCATENARE NELLA PANCIA MOLLE DI UN PAESE MESMERIZZATO:Edmondo Berselli chiude il suo ultimo libro, L’economia giusta (Einaudi). E uno studio dell’Ires, il centro studi della Cgil, conferma che la diagnosi del giornalista scomparso pochi mesi fa si sta già rivelando corretta. Negli ultimi dieci anni i salari reali, cioè al netto dell’inflazione, si sono ridotti di oltre 5 mila euro. Per la precisione di 5.453 euro. Il conto è semplice: per ogni anno si considera l’aumento del salario a cui va sottratto l’aumento dell’inflazione (che diminuisce il valore reale, perché con gli stessi soldi si comprano meno cose). Poi si considera il cosiddetto fiscal drag, cioè l’effetto per cui un aumento di salario fa scattare un’aliquota Irpef più elevata e quindi il beneficio si riduce di molto o scompare.

Nonostante le apparenze, la tabella sui salari sembra quasi invitare all’ottimismo: il grosso della perdita dei salari è da attribuire al passaggio all’euro (-3.364 euro nel 2003), mentre negli anni della crisi si notano aumenti. I problemi veri si intravedono in filigrana: le prospettive e le disuguaglianze.

I prossimi anni
 Se consideriamo il triennio 2008-2011, scrive la Cgil basandosi su dati Eurostat e del Fondo monetario, si nota la gravità della situazione: il Pil dell’Italia diminuisce, nel complesso, del 4,4 per cento. Nello stesso arco di tempo quello della Francia arretra solo dell’1,2, quello della Spagna dopo lo scoppio della bolla immobiliare del 2,5. L’epicentro della crisi finanziaria, cioè gli Stati Uniti, ha addirittura il segno positivo, +3,4 per cento. Ancora peggio se si guarda alla produttività, che è l’altro parametro – assieme al livello dei salari – per misurare quanto sono competitivi i lavoratori italiani. L’Italia è sostanzialmente allo stesso livello di produttività del 1995: in quindici anni è cresciuta soltanto dell’1,8 per cento. E questo mentre i lavoratori inglesi diventavano più produttivi del 32,2 per cento, quelli francesi del 24,8 per cento e quelli tedeschi del 27 per cento. Proprio il caso della Germania è interessante. Mentre la produttività aumentava, dice sempre la Cgil, i salari crescevano meno che in Italia. Confrontando gli aumenti delle retribuzioni di fatto lorde (considerando cioè l’inflazione ma non le tasse), si vede che tra il 2000 e il 2008 mentre in Italia si assisteva a una crescita del 2,3 per cento, in Germania i salari diminuivano dell’1,20 per cento. 
È chiaro che è difficile risultare competitivi in queste condizioni. Anche perchè l'Italia retta dai voti del FLI di Fini è un protettorato statunitense colonizzato dalla Libia, con una produttività da Terzo Mondo, il cui debito è in mano A Francia, Germania e Gran Bretagna.

ALL'INTERNO DI QUESTO IMPASTAGGIO SPAVENTOSO ABBIAMO ANCHE UN DISCENDENTE DEGLI AZTECHI: DOPO GAUCCI CANDIDATO PREMIER PER L'ARMATA DELLE TENEBRE, ECCO SORGERE DALL'INFINITO MONTEZUMA-MONTEZEMOLO PER L'ARMATA AZTECA ANTI TESTA D'ASFALTO: il confine tra pubblico e privato è stato disegnato negli ultmi vent'anni da TESTA D'ASFALTO e verrà riempito per i prossimi vent'anni da MONTEZUMA-MONTEZEMOLO. Ma chi è questo imperatore ancestrale?

Luca Cordero di Montezemolo nasce già con il caratteristico ciuffo da gentiluomo. Da bambino fa il testimonial per lo shampoo "Libera e bella", soprannome che gli rimarrà per tutta la vita. A cinque anni incontra su una spiaggia di Montecarlo Gianni Agnelli che gli regala un modellino di FIAT 500. Non lo dimenticherà mai. Da ragazzo in coppia con l'amico Cristiano Rattazzi, gareggia in tutta Italia a bordo di una Fiat 500 color corallo. Fa il navigatore, ma la sua indecisione di fronte a ogni bivio gli è fatale, accumula sempre giornate di ritardo. Lascia la carriera di pilota per la FIAT dove vede persone, fa cose e soprattutto organizza incontri di gruppo con l'Avvocato. Cesare Romiti ne premia l'intraprendenza mandandolo alla Cinzano.
Luca fa il secondo incontro della sua vita in un cinema di periferia guardando il film: "Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda". Lo spettatore seduto al suo fianco è il famoso attore Alvaro Vitali che si offre di presentargli Edwige Fenech. Nasce un grande amore. Montezemolo non si scorderà di Vitali e gli affiderà la Ferrari sotto lo pseudonimo di Jean Todt. Vitali vincerà tutto grazie all'applicazione del motto che tira più un pelo di f..a che quattro Ferrari, insegnamento in seguito applicato anche da Briatore. I Mondiali di Italia '90 sono per Montezemolo la grande occasione per lanciare un nuovo modello di edilizia, gli stadi e le strutture fatiscenti e i gli appalti a costi crescenti faranno scuola nei decenni successivi. Gianni Agnelli si ricorda ancora di lui e gli affida la Juventus che si classifica settima e viene esclusa da tutte le competizioni internazionali, un fatto che non si verificava dal dopoguerra. La politica lo tenta, ma lui tentenna e si consola fondando "Charme" un fondo finanziario imprenditoriale per l'investitore che non deve chiedere, ma solo dare.
Montezemolo è una risorsa del Paese, quando nessuno sa che pesci pigliare tutti pensano a lui. Lui riflette, si inalbera, dichiara, si indigna, si guarda allo specchio e poi si ispira ai Savoia serviti dalla sua famiglia per generazioni. Da Vittorio Emanuele III, il re sciaboletta fuggito a Pescara, a Carlo Alberto, detto il re Tentenna. "Al Re Travicello/ piovuto ai ranocchi/ mi levo il cappello/ e piego i ginocchi/ Lo predico anch'io/ cascato da Dio:/ oh comodo, oh bello/ un Re Travicello!/ Calò nel suo regno/ con molto fracasso;/ le teste di legno/ fan sempre del chiasso:/ ma subito tacque,/ e al sommo dell'acque/ rimase un corbello/ il Re Travicello." Montezemolo, il Galleggiante della Repubblica.

 

Effetto domino

 

Uno dopo l'altro, stanno cedendo gli anelli deboli del capitalismo europeo: dopo l'Islanda e la Grecia, ora l'Irlanda, nonostante i suoi trionfali incrementi del PIL neppure troppo remoti, richiede il salvataggio alla Banca Centrale Europea. All'orizzonte si profilano salvataggi anche per Portogallo e Spagna. Qualcuno aggiunge anche l'Italia. Mancando una politica unitaria, ciascun paese cercherà di rimediare al proprio deficit agendo sulle condizioni di vita della popolazione, cosa che d'altronde stanno già facendo anche paesi "forti" come USA, Francia, Inghilterra e perfino Germania. Il Capitale avrebbe bisogno di un fascio-keynesismo centralizzatore mondiale e le singole borghesie si trastullano con la difesa delle prerogative liberal-nazionali. Antistoriche su tutta la linea.

La critica marxista all'economia politica poggia sulla differenza fra la percezione soggettiva del Capitale da parte delle classi e la dinamica oggettiva regolata da leggi. Questa è energia che si accumula per il prossimo terremoto sociale. La crisi attuale dimostra una volta di più che la "pletora di capitali" senza valorizzazione è il risultato di una sovrapproduzione di merci e servizi. E' pertanto assurda l'ipotesi di un ritorno a "investimenti produttivi". Del resto è assurdo anche fare differenza fra speculazione e produzione: nell'epoca del Capitale autonomizzato non è più la fabbrica che usa i capitali ma è il Capitale che usa le fabbriche. Marchionne insegna. Di fronte a questo rovesciamento storico l'enorme balla secondo cui le banche italiane sarebbero rimaste immuni rispetto alla crisi non sta in piedi: c'è ovviamente il tacito accordo di parlarne poco, ma il Banco Emiliano Romagnolo è stato commissariato e i depositi bloccati, mentre la stessa sorte hanno seguito Carim, Credito di Romagna e Credito Di Firenze, quello di Denis Verdini, fenomenale coordinatore del Partito dei Padroni che elargiva linee di credito a ventaglio e senza sosta. Fra le accuse, usura e riciclaggio internazionale. Nel cuore del capitalismo ben temperato e produttivo! E intanto si aprono i giornali e spiccano nomi di banche in crisi a livello globale: Unicredit, Fineco, UBS, Barclays, RCI Banque, Lloyds, ABN Amro, Ing Bank... e 98 banche locali americane.

La borghesia dirigente non ammette che la crisi "finanziaria" in atto sia la conseguenza di una cronica crisi di sovrapproduzione di merci e perciò di capitali. E vuole aumentare comunque la produttività, l'utilizzo degli impianti e l'investimento sui "fondamentali". Eppure il crollo della produzione industriale e dell'occupazione, l'impennata del debito pubblico, la contrazione dei consumi e il ristagno del prodottto lordo sono proprio dovuti a fattori che hanno mandato a rotoli i suddetti "fondamentali". Ogni provvedimento pone un rattoppo ma non fa che spostare a livello più alto il potenziale esplosivo della crisi. La risposta degli sfruttati incoscienti per adesso consiste in focolai di lotta isolati. Ma Francia, Inghilterra, Grecia, Cina e altri paesi sono stati teatro di scontri sempre più significativi, e anche la gioventù condannata alla disoccupazione si ribella. La chiacchiera riformista ha il fiato sempre più corto e scoppiamo con una cadenza sempre più accentuata rivolte.

Le manifestazioni che scaturiscono, ad esempio, dalla rabbia dei giovani cozzano tuttavia contro i propri limiti, rappresentati dagli obiettivi (la riforma Gelmini), dai programmi (una riforma diversa) e dagli alleati (tutti i politici, i giornalisti, i cantanti, ecc. dell'opposizione parlamentare). Nonostante la grande "visibilità mediatica" lo scontro non è ancora al livello raggiunto in altri paesi dove analoga è la disperazione di fronte a un futuro certo di disoccupazione e precariato. Le motivazioni ufficiali coprono in effetti un qualcosa di più profondo che non il disagio per la politica del governo o il vago desiderio di riforma. In gioco c'è un istinto elementare, alimentato da uno sguardo realistico sul futuro già segnato dal presente.

Nel presente, ad esempio, ha vinto Marchionne per 400 voti degli impiegati, che alla Fiat sono la parte escrementizia del proletariato. Gli operai hanno votato no, mostrando il coraggio mancato alla FIOM che non ha dato indicazioni. Ma non è questo il problema. Il problema è che gli operai sono andati a votare.E' il risultato ultimo della malattia ordinovista che da Torino impesta da novant'anni il proletariato italiano e che nel dopoguerra aveva già partorito i Consigli di Gestione. I proletari decidono di sé stessi unicamente con la lotta , tantomeno votano con la pistola del ricatto puntata alla tempia, costretti a sancire la tesi dell'interesse comune fra proletari e padroni. Il battilocchio Marchionne farà comunque ciò che gli ordina il capitale azionario in rapporto al mondo intero fregandosene di quei 5.139 dipendenti, qualunque cosa abbiano votato. I proletari in tutto sono un miliardo e mezzo, ma se non si uniscono e lottano, per i Marchionne del mondo sono solo carne da lavoro.

Una rivolta per spinte reali appare meschina fin che si vuole, ma ha invece un contenuto sovversivo universale. In Cina il numero di rivolte contro il Capitale e il suo Stato è ormai fisso sulle decine di migliaia ogni anno. Le banlieues di tutto il mondo sono in fermento continuo. Oggi esplode l'ennesima rivolta del pane nel Nordafrica. Ci vuol poco a capire che si tratta di un'esplosione dovuta al contrasto fra ciò che il Capitale promette e ciò che in realtà elargisce. Chi scende in piazza rischiando la vita non sventola roboanti programmi, ma partecipa con tutto sé stesso all'affermazione del programma adatto alla rivoluzione.

Sempre più spesso i media scoprono allarmati che vige la legge marxiana della miseria crescente. Ovviamente per via empirica e senza comprenderne i meccanismi sistemici, al più addebitandola alle "ingiuste" politiche di redistribuzione del reddito. La Repubblica, giornale della piccola borghesia intellettuale piagnona, titola: Quasi la metà della ricchezza è in mano al 10% delle famiglie. L'economista Mario Sarcinelli, ad un intervistatore incerto sull'opportunità di indignarsi o meno per la miseria rampante, ribatte: "Ma lei lo sa che viviamo in un sistema ad economia capitalista?" (per la cronaca: negli Stati Uniti il 10% delle famiglie possiede il 96% della ricchezza).

 
 

Paradisi in Terra

 

I socialisti di inizio '800, inorriditi dagli effetti sociali del capitalismo, ad esso contrapponevano modelli di società ideali. Erano utopisti ma, critici acuti di una società disumana, sapevano bene che la soluzione sarebbe stata il suo superamento, non il suo rattoppo. Oggi non si riesce a progettare niente di meglio che città come la PlanIT Valley in Portogallo, Masdar negli Emirati Arabi, Eco City in Jakuzia o le New Towns che stanno spuntando come funghi in Cina. Meravigliose città cosiddette ecosostenibili, occasioni altrettanto meravigliose di lucrosi investimenti (vedi il sito extraordinaryprofits). Un rimedio per pochi eletti all'alienazione contemporanea, comunità fittizie per sfuggire alle ipertrofiche metropoli, ma nello stesso tempo isolamento sociale riproposto a scala più elevata.

Che si tratti di una manifestazione operaia, di una rivolta urbana, di un tentativo di costruire isole felici o anche di un processo di autodistruzione individuale o sociale, la dittatura ideologica della borghesia per adesso impera. La manifestazione nazionale della FIOM svoltasi a Roma si apriva con parole d'ordine della borghesia: "Diritti, Democrazia, Lavoro". Come se gli schiavi potessero avere garanzie sotto il capitalismo, potessero mitigare lo sfruttamento scegliendo chi li sfrutta o potessero affrancarsi dalla schiavitù del lavoro salariato senza distruggere questa forma sociale. Parole d'ordine cui Marx irrideva, relegandole,  quando era costretto a redigere documenti collettivi, in paragrafi dove non dessero fastidio, ma Marx è passato di moda, meglio seguire gli articoli de LA REPUBBLICA...

Infine il governo francese ha dovuto usare la forza per stroncare i blocchi realizzati al di fuori dei soliti ambienti concertativi. S'era infatti formata un'intelligenza collettiva e anonima capace di indirizzare la lotta sfuggendo al controllo dei sindacati e dei giornali. Gli operai non si sono lasciati confinare in sterili manifestazioni pacifiche o all�interno delle fabbriche e delle categorie. Anche se la lotta "al minor costo" come quella che blocca dei punti nevralgici per produrre il maggior impatto economico possibile è stata spesso indice di debolezza e non di forza, lo sciopero francese contro il governo Sarkozy ha travalicato i confini francesi assumendo un carattere internazionale. Mettere a nudo i nodi sensibili dell'approvvigionamento energetico è stato molto istruttivo per il proletariato. Non a caso sicurezza ed energia sono stati gli argomenti centrali dell�incontro di Deauville tra i capi di Stato di Francia Germania e Russia.

Il 17 ottobre scorso è stato l'anniversario della grande manifestazione dei colonizzati algerini a Parigi nel 1961, stroncata con le armi dal governo De Gaulle. Vi furono circa 200 morti e centinaia di feriti, il numero esatto non si è mai saputo perché la polizia gettò i cadaveri nella Senna e molti algerini morirono per le ferite fuggendo dagli ospedali oggetto dei rastrellamenti della polizia. Fu la più grande strage dalla Comune, e ancora oggi nelle banlieues cova la rabbia per quei giorni; rabbia che si aggiunge a quella provocata dalla consapevolezza di un futuro sempre più precario. L'illusione che un'economia forte sia il presupposto di un miglioramento delle condizioni di vita sta svanendo. La battaglia dei banlieusard nel cuore di Lione, città con tradizioni di lotte operaie, è un avvertimento terribile per quelli che credevano di poter separare la racaille di vecchia e nuova immigrazione dal proletariato.

Instabilità strutturale del Capitalismo

 sea_piccola.jpg

Il capitalismo è nato sottomettendo il Capitale allo Stato e morirà dopo aver sottomesso completamente lo Stato al Capitale. La Cina è ancora nella prima fase ma si è già abbondantemente finanziarizzata. Ostenta ancora la sua potenza industriale di fronte al mondo, ma la sua sovrapproduzione di merci non può che essere sovrapproduzione di capitali. I quali in parte sono stati trasformati in dollari, tra bond americani e riserve valutarie, in parte sono penetrati in Africa e Sudamerica con progetti di sviluppo e accordi commerciali sulla base dello Yuan e delle valute locali. Adesso si affacciano in Europa investendosi in titoli sinistrati e perciò ad alto rendimento (Spagna, Grecia, Irlanda) e in infrastrutture, soprattutto portuali (Grecia, Portogallo, forse Italia). Essendo per adesso impossibile una generale guerra rivitalizzante, gli Stati Uniti abbozzano un inconsistente protezionismo. Ma è come spararsi sui piedi. Einstein disse "Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre". I politologi ipotizzano da anni che il prossimo conflitto mondiale, se ci sarà (molti ne sono certi), vedrà il confronto tra Cina e USA, le due superpotenze di questo secolo. La prima in ascesa, la seconda in declino. Una guerra per le risorse, non ideologica. Un confronto già in atto per l'energia, dove la Cina ha raggiunto il primato mondiale dei consumi e da due anni è il primo importatore di petrolio dall'Arabia Saudita, superando gli Stati Uniti.
Il renminbi, o yuan, (la valuta cinese) e il dollaro sono destinati a una inevitabile guerra monetaria a livello mondiale. Il valore dello yuan è per ora mantenuto basso in modo artificiale dal governo cinese per aumentare le esportazioni. Una manovra contestata dall'Occidente e che ha portato il deficit commerciale statunitense verso la Cina a 250 miliardi di dollari nel 2010. In futuro si passerà probabilmente dai petroldollari ai petrolyuan. La Cina è la prima nazione detentrice di titoli pubblici americani con 895,6 miliardi di dollari. Se li vendesse l'economia a stelle e strisce crollerebbe, per ora non le conviene per via delle esportazioni, ma il futuro è incerto per la richiesta di un nuovo protezionismo da parte delle aziende americane. Lo shopping cinese del debito pubblico, e quindi delle sovranità nazionali, avviene anche in Europa. La Cina detiene 630 miliardi di euro di titoli UE e continua ad acquistare come è avvenuto la scorsa settimana in Portogallo. A Bruxelles la Cina è la vera banca europea.
Il presidente cinese Hu Jintao è stato definito da Forbes l'uomo più potente del mondo. La diminuzione delle risorse agricole e l'aumento della popolazione ha creato un nuovo colonialismo: quello agricolo. Si conquistano immensi terreni in Sudamerica e in Africa con la valuta al posto delle armi. In prima fila c'è sempre la Cina. Le basi americane circondano la Cina nel Pacifico con una doppia linea dal Giappone alle Filippine, da Guam a Okinawa. La Cina importa l'80% del petrolio attraverso lo stretto di Malacca. Il predominio navale nel Pacifico è fondamentale per la sua esistenza, ma sui mari comandano gli Stati Uniti. Gli investimenti cinesi nelle armi hanno avuto una forte accelerazione negli ultimi anni. La Cina è ancora lontana dal gigantesco apparato militare USA che conta, ad esempio, 11 portaerei verso nessuna cinese, 900 aerei da combattimento vs 290 e 56 cacciatorpedinieri vs 28. Il tempo è dalla parte della Cina se non viene interrotta prima la sua espansione militare e economica.

Eredi dell'Inghilterra imperialista e navale, gli Stati Uniti fondano la loro potenza sul controllo degli Oceani. I vascelli inglesi furono fondamentali per numero e qualità tecniche, mentre oggi la portaerei rimane l'arma regina della politiguerra americana. Ma è una mastodontica e costosa città militare galleggiante, sempre più vulnerabile. Tra le armi in grado di sconvolgere lo statu quo c'è un nuovo missile cinese, il Dong Feng 21D. Esso pare in grado di superare i sistemi di difesa aeronavali. Ha una gittata di 1500 Km, quindi può essere lanciato da terra senza che occorra portarlo vicino al bersaglio con aerei o navi. E siccome le armi sono merci come le altre, anche il neo-missile avrà il suo mercato internazionale. E' la prima volta che gli americani, scorazzando con le loro portaerei davanti alle coste altrui, sono messi nella condizione di non essere più troppo sicuri. Altresì non sono solo i cinesi a preoccupare per il futuro la leadership statunitense: il riscaldamento globale infatti sta sghiacciando l'Artico. Sembrerebbe una tragedia, ma non tutto il male viene per nuocere. Infatti per la legge di Archimede non salirà il livello del mare e al massimo ci sarà un po' meno concentrazione salina. Orsi e foche traslocheranno, ma su quei fondali ci sono grandi risorse che diverrano accessibili. Si libereranno nuove rotte commerciali (le navi cinesi risparmieranno 6.000 Km da Shanghai ad Amburgo) e saranno messi in discussione gli attuali equilibri riguardo al controllo dei mari. Stati Uniti, Canada e Russia stanno già gareggiando in velocità per una nuova diplomazia marittima. I toni non sono proprio tranquilli. La Russia si sta dimostrando la principale protagonista: ha piantato bandierine sui fondali, ha regolato i confini artici con la Norvegia, insomma, non perde occasione per marcare il territorio. Il riscaldamento è globale davvero, il consumo globale invece è surriscaldato:

nel 2010, dal 1° gennaio al 21 agosto, abbiamo consumato tutte le risorse che la biosfera rinnova in un anno. Da agosto in poi stiamo attaccando insensatamente le riserve del futuro. L'anno scorso il Giorno del Sorpasso fu il 23 settembre. Nel 2007 il 26 ottobre. Vent'anni prima, nel 1987, il 19 dicembre. Come si vede, l'andamento è esponenziale, appena mitigato dagli ultimi tre anni di crisi. Se ci fosse l'agognata ripresa la curva s'impennerebbe ancor più. La voracità capitalistica di plusvalore, cioè sfruttamento di forza lavoro, pone un limite politico all'esistenza del Capitale, la voracità di risorse aggiunge un limite fisico. Il mondo non basta più ed incominciano a capirlo gli USA del "palmare" Obama. La Cina è ingombrante, per ora, e rischia di essere molto ingombrante. Così Obama è volato in India. Il paese è solo 14° nella graduatoria degli scambi commerciali con gli USA, ma ha 1,2 miliardi di abitanti e una robusta crescita economica. Duecento amministratori delegati delle maggiori imprese americane e un esercito di portaborse hanno seguito il presidente: l'apparato diplomatico e industrial-commerciale più vasto della storia. Durante un incontro all'università di Mumbai uno studente ha però messo in dubbio gli intenti di reciprocità americani chiedendo perché mai Washington blocchi l'espansione dei servizi telematici in outsourcing di cui l'India è il primo fornitore mondiale. Comprare senza vendere, esportando solo debito, per Washigton incomincia ad essere un problema.

 

 

Keynesismo terminale

sea_piccola.jpg

Il keynesismo non è stato affatto abbandonato, anche perché il liberismo nella realtà non è mai esistito. L'economia si fa sempre più statalizzata come dimostrano le cifre tirate in ballo dal volontarismo statale per l'attuale crisi. L'intero sistema ormai si barcamena - keynesianamente appunto - per "scavare buche al solo scopo di riempirle e distribuire reddito". Il livello di raffinatezza del grande ammortizzatore sociale è rivelato dal proliferare negli Stati Uniti di posti di lavoro finti come quelli garantiti dal sistema di sicurezza. Centinaia di migliaia sono quelli creati nelle carceri privatizzate e nel loro indotto per ingabbiare un americano su cento; centinaia di migliaia di contractors alimentano guerre private un po' dovunque; ottocentomila spioni "lavorano" al servizio di ben sedici agenzie statali e in centinaia di succursali, occupati a livello planetario nel produrre overdosi di casinistica (dis)informazione. Forse in questo campo vale davvero la legge di Say sull'offerta che crea da sé la propria domanda. Tra le nuove occupazioni statali abbiamo quelle dei moderni campi di concentramento. Per alimentarli e tenere alta l'offerta - di nuovi posti di lavoro - si cerca di togliere cittadinanza PER CREARE NUOVI DELINQUENTI. Le continue rivolte nei "Centri di identificazione ed espulsione", destinati a imprigionare gli immigrati clandestini non fanno quasi più notizia per gli organi d'informazione. Eppure il fenomeno dei lager per alieni sociali è in crescita e incomincia a riguardare i nativi dei vari paesi, non solo gli "altri". In Francia il governo propone di togliere la cittadinanza a chi sgarra contro lo Stato. Negli Stati Uniti oltre alle carceri d'ordinanza ci sono già 800 campi di concentramento attrezzati, mentre non si parla quasi più del prototipo costruito a Guantanamo. Dice Marx nel Manifesto che la borghesia non può fare a meno di rivoluzionare continuamente i propri rapporti di produzione. Spingendo alle estreme conseguenze socializzazione e divisione del lavoro, essa preannuncia la futura ricomposizione comunista del lavoro stesso. Di fronte alla catastrofe del Golfo del Messico il governo americano è stato costretto a rimanere passivo essendo privo delle conoscenze tecniche in mano alle grandi compagne petrolifere. E queste, approfittando del disastro, hanno fatto tesoro delle nuove conoscenze che ne sono scaturite, tanto da unirsi per una risposta comune in caso di eventi analoghi. Un esperimento pratico di socializzazione dei capitali e delle conoscenze che va oltre tanto alla cartellizzazione dei prezzi quanto alla feroce concorrenza. La socializzazione contraddistingue anche la mega borghesia italiota:la borghesia localista, individualista e bottegaia italiota sta cercando da quasi vent'anni un partito d'ordine, moderatamente riformatore, capace di gestire lo stato corporativo demofascista, di affrontare la globalizzazione e di obbedire a Washington senza strisciare troppo. Ha tentato con il comitato d'affari craxiano, con i residui prodiani dell'IRI, con il partito-azienda berlusconiano e con l'intermezzo di governi tecnici. La sinistra liberal-riformista amarcord è annientata; la gelatina bersaniana di centro-destra è imbozzolata nella sua insipienza; la holding di destra-destra s'è rivelata un'orda famelica assatanata; i cespugli sono all'asta e la Chiesa è sotto schiaffo. Una vera classe industriale punterebbe a un governo tecnico che durasse abbastanza per far fuori l'intera banda di incapaci, ma la povera Marcegaglia è lasciata lì, a balbettare qualche luogo comune su tasse e riforme, mentre il suo mondo è sull'orlo della catastrofe. Ad ogni estate c'è una novità che dura il tempo della stagione. Quest'anno c'è il gossip intorno alla "Fabbrica di Nichi". Vendola non è diverso dai suoi compari di sinistra ma riscuote un certo successo elettorale e ciò gli permette di auto-candidarsi alla guida del PD. Il guaio per lui è che Casarini & C. si sono buttati nella mischia, cosa che garantisce un mix di comicità e di bordello (confusione, rumore), per cui La sinistra oltre la sinistra è destinata a perpetuare il suo fallimento. Un fallimento strisciante ed a 360 gradi, nel senso che la destra ha investito ed investe tutto: Quando la Sinistra Comunista disse che il fascismo aveva perso la guerra ma si era imposto nell'economia politica si levò un canaio d'indignazione. A nulla servì far notare che il Patto del Lavoro siglato dalla CGIL era una riedizione del corporativismo fascista di Bottai. Ci furono processi stalinisti ed espulsioni dalla Fiom quando al XIV Congresso del 1964 gli operai si ribellarono a un sindacato che accettava il principio della responsabilità verso l'economia borghese. Molti ricordano l'infame chiusura a tradimento della lotta alla FIAT nel 1980 e la mezza insurrezione operaia del 1992 di fronte al famigerato protocollo poi firmato nel '93. Oggi la serie continua e la non firma della FIOM a Pomigliano è una farsa, posta la dichiarata responsabilità, sua e della CGIL, verso le esigenze dell'industria. E siccome l'ennesimo patto fascio-corporativo è in contrasto persino col Contratto Nazionale, ecco che s'innesca il dibattito sul referendum vincolante rispetto alle clausole capestro, votate in un clima terroristico: "Basterebbe approvare una legge di due articoli, probabilmente senza opposizione da sinistra, dato che questa norma di democrazia sindacale [referendum] è da tempo richiesta dalla Cgil", dice Franco Debenedetti, democratico di sinistra, appunto. 

 

Al vertice dell'Eurogruppo del 7 maggio, il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha messo in guardia i leader: "Attenzione, siamo di fronte ad una crisi sistemica". Davvero? Ma guarda! Fa eco The Economist che negli ultimi due numeri, significativamente, riporta in copertina: "Acropolis now, la crisi europea del debito va fuori controllo" e "Verso una città a te vicina? La Grecia, l'Euro e il contagio". Ecco il problema: il contagio. Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia sono in coda sulla soglia. L'Inghilterra è senza l'ombrello dell'Euro. Sotto la pressione dei capitali fittizi vaganti i maggiori paesi europei hanno trovato un'unione che non esisteva il giorno prima e che quindi durerà quanto deciderà un Capitale che muove i governi a bacchetta. Gli Stati hanno salvato le banche, ora chi salverà gli Stati? Il sociologo Ulrich Beck scriveva qualche giorno fa sulle pagine di Repubblica: "L'anno scorso il problema erano le banche; quest'anno lo sono i governi. Ma chi salverà gli Stati dalla bancarotta statale? Il rischio della bancarotta statale non equivale alla bancarotta statale. Rischio significa l'anticipazione della catastrofe nel presente, che va chiaramente distinta dall'effettivo avverarsi di un evento futuro. Questa distinzione è importante perché le asserzioni di rischio prefigurano proprio quel futuro che si tratta di evitare. In questo senso i governi europei combattono contro ciò che finora era impensabile, ossia lo spettro della possibile bancarotta statale e del crollo dell'euro, uno spettro che si aggira per i mercati finanziari". Ci sono effettivamente molti spettri in giro per l'Europa. Ad esempio uno spettro è la totale digitalizzazione: per certi primitivisti la tecnologia è nemica. Ma per piacere: nemico è chi usa la tecnologia contro la vita. La smaterializzazione delle merci e lo sviluppo del cervello sociale sono oggettivi bastoni fra le ruote alla formazione del valore. Fra poco sparirà un altro pezzo di storia del computer: Sony smetterà produzione e vendita dei floppy disk. Altri produttori seguiranno a ruota e già si profila all'orizzonte la scomparsa di Cd e Dvd, sostituiti ovunque dalle chiavette Usb. Un domani non lontano spariranno anche queste, sostituite da memorie remote accessibili con collegamenti veloci. Ma allora spariranno anche il personal computer e i suoi programmi, i libri, gli archivi pieni di dossier...Nello scorato libro Soffocare, lo scrittore americano Chuck Palahniuk descrive così l'utente televisivo-zombie, tanto più convinto d'essere libero quanto più è preda dell'ideologia dominante: "Accende la televisione e si mette a guardare una soap opera, avete presente, no? Gente vera che interpreta gente finta e con problemi inventati, a uso e consumo di gente vera che le guarda per dimenticare problemi veri". Accidenti, fa venire in mente governanti finti in un parlamento vero a parlare di riforme che tutti considerano una finzione per esorcizzare problemi veri...Ogni giorno i voli civili e militari sui cieli europei liberano nell'aria 340.000 tonnellate di CO2, mentre il povero vulcano islandese in eruzione non ne produce che 15.000. In compenso butta nell'atmosfera polvere silicea che sembra avere effetti micidiali sulle turbine dei motori a reazione anche in piccole concentrazioni. Quindi quando gira il vento, aerei a terra. Piccole vendette della natura. Davanti alle coste della Louisiana continua, anzi aumenta, la fuoruscita di greggio dopo il disastro della piattaforma incendiata e affondata. Ogni giorno 6.000 barili (ma alcuni tecnici dicono 60.000) salgono in superficie alimentando una macchia oleosa di migliaia di chilometri quadrati. Vari tentativi di bloccare il flusso sono falliti e i tecnici non sanno più cosa fare. Ce ne sono migliaia di piattaforme come la Deep Water Horizon."Un possibile strumento di controllo dei potenziali nemici della società è il ripristino, in qualche forma conciliabile con la tecnologia e le procedure politiche moderne, della schiavitù. Il fatto che questa istituzione sia tradizionalmente associata con antiche culture preindustriali non dovrebbe renderci ciechi di fronte alla sua adattabilità a forme sociali progredite. Né dovremmo lasciarci accecare dalla convinzione tradizionale che sia incompatibile con i valori morali e religiosi dell'Occidente. E' invece possibilissimo che una forma progredita di schiavitù diventi indispensabile per il controllo sociale. In pratica la conversione del codice di disciplina militare in una forma di schiavitù richiederebbe un numero sorprendentemente esiguo di modifiche" (Rapporto segreto da Iron Mountain, un documento - fantapolitico ma non troppo - di autore sconosciuto, forse Kenneth Galbraith, pubblicato nel 1967).

Il peggior nemico del capitalismo è il capitalismo stesso

Altro che "contraddizioni intrinseche del capitalismo": qui stiamo vivendo un incubo horror dove il cadavere ambulante ammorba tutto con la sua putrefazione. Perfino un Giulio Tremonti è costretto ad ammettere che "i governi hanno dato alla finanza i soldi per salvarsi, la finanza usa ora questi soldi per speculare contro i governi stessi". Comunque è da un secolo e mezzo che ciò si chiama "sottomissione dello Stato al Capitale". L'Europa Disunita proprio non ce la fa a darsi un minimo di libertà d'azione rispetto all'America, e anche la proposta di un Fondo Monetario Europeo è durata lo spazio di un mattino. Ma, mentre dalla Grecia al Baltico si suonerà ancora la musica di Washington tramite il Fondo Monetario Internazionale, le città greche sono insorte con un magnifico sciopero generale preventivo. C'è qualcosa di nuovo sul Fronte Occidentale. Nel frattempo ad est i  debiti nell'ex blocco sovietico hanno raggiunto i 1.700 miliardi di dollari. La valuta della Polonia è crollata del 50% in pochi mesi. L'Ucraina è praticamente insolvente con il PIL crollato del 12%. La Lettonia ha un'economia "clinicamente morta", dice il direttore della sua Banca Centrale, e masse infuriate hanno assaltato il Parlamento. L'Ungheria è incapace di ripianare i debiti. E così i principali Paesi balcanici . Nonostante i 155 mld di dollari stanziati dal FMI per sostenerne le economie, quello che doveva essere l'Eldorado di un capitalismo in cerca di sbocchi si sta rivelando come il peggiore degli incubi, assorbe capitali in perdita invece di produrre plusvalore. Dall'estremo oriente maggiore è il ritardo di un grande paese nello sviluppo capitalistico, maggiore è la sua necessità di darsi uno Stato dirigista e pronto a un'azione mondiale, coordinata e aggressiva. La Cina, che si muove strappando spazio vitale ai concorrenti, è un buon esempio. Oscillando tra diplomazia e pressione economica, in Africa si assicura appalti in ogni settore e vi sfoga la sua sovrapproduzione di merci e soprattutto di capitali. La China Eximbank ha superato persino la Banca Mondiale nel fornire credito al Continente africano e non teme di penetrare anche in America Latina e in Eurasia (comprando ad esempio debito sovrano italiano, Tremorti docet...), dove l'attenzione americana è assai più robusta.

Goldman Sachs è sotto inchiesta per insider trading e truffa nei confronti dei maggiori clienti. La banca in questione è tanto potente da poter inserire suoi uomini nei centri di potere nel mondo, a cominciare dal governo degli Stati Uniti. E' anche accusata di aver prestato consulenza alla Grecia per nascondere lo stato dei conti pubblici. Insomma, è accusata oggi di aver fatto quello che ieri era considerato un modo brillante per valorizzare il Capitale finanziario nonostante il collasso del saggio di profitto industriale. Se fossimo dei capitalisti avremmo davvero paura del livello "scientifico" di consapevolezza borghese sulla struttura della crisi. Sono 150 i morti, 200 i dispersi e 4.000 gli sfollati per una pioggia torrenziale che s'è abbattuta su Rio de Janeiro. Nelle favelas si muore sempre in modo innaturale. Del resto, nell'innaturale reso naturale dal capitalismo, già si muore senza alluvione e non si vive ma si sopravvive, finché è possibile. In Brasile come ovunque. Troppe Favelas da Rio a Mumbay, da Rosarno a Nairobi. Questo globo unico e irripetibile, ormai pare un'arca sotto il diluvio, ma senza una colomba che annunci la terra d'approdo. Le esortazioni al buon governo cadono inevitabilmente nel vuoto, la pietà cristiana si esaurisce nello spazio di un notiziario, gli "uomini di buona volontà" sfilano sugli schermi incorporati negli eserciti, ormai gli unici organismi in grado di rispondere ordinatamente alle emergenze... e agli interessi di chi li comanda. All'interno della guerra commerciale per l'accaparramento di risorse in Africa, la Rio Tinto, azienda estrattiva anglo-australiana, è stata brutalmente costretta a siglare un accordo con la cinese Chinalco. Secondo il Sydney Morning Herald il presidente cinese Hu Jintao avrebbe "personalmente appoggiato" le indagini per accusare quattro dirigenti della filiale della Rio Tinto di Shanghai, arrestarli per spionaggio e farli confessare con metodi sbrigativi. Grande indignazione per i violati diritti umani. Il giornale afferma che tutte le agenzie di sicurezza cinesi sono impegnate in un piano strategico di penetrazione economica internazionale. Ah, ecco. Se c'è un imperialista senza peccato, scagli la prima pietra. C'è da chiedersi da chi e con quale scopo siano stati sferrati i recenti attacchi alla Chiesa di Roma. Chi ha interesse infatti a colpire questo robusto puntello della società capitalistica? Oppure, semplicemente, nell'attuale clima di disgregazione sistemica anche questo aspetto della società non riesce a tenere? Nel chiuso delle sue mura, il personale ecclesiastico non ha mai rinunciato alla sessualità di ogni tipo, pur proclamando coram populo la propria castità, ma oggi sembra impossibilitato a mantenere la coesione interna e soprattutto il segreto. La Chiesa somiglia sempre più agli altri racket dell'ordine borghese.

 

Fallimenti a catena

L'ondata recessiva cominciò con l'insolvibilità dei titolari di mutui subprime e la crisi di banche grandi e piccole. S'innescò una reazione a catena che ne fece chiudere centinaia nel mondo (più di 100 solo negli USA dove altre 400 sono sull'orlo del fallimento). La maggior parte di esse e qualche industria, specie quelle "troppo grandi per fallire", furono però salvate dagli Stati. Adesso gli stessi Stati, indebitati fino al collo, rischiano il fallimento. Il mondo della finanza anglosassone s'era inventato l'acronimo "Pigs" (maiali) per sfottere i paesi mediterranei (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), ma la crisi corre e incomincia a parlare anche inglese (Irlanda, USA e Regno Unito) o altre lingue (Dubai, Giappone, Est Europa). Chi salverà gli Stati? Al di sopra di essi non c'è altro, a meno di non pensare agli extraterrestri...la crisi di oggi non è altro che una delle oscillazioni entro un ciclo di crisi più lungo e cronicizzato, databile dall'inizio degli anni '70 e da allora sempre uguale a sé stesso. E' capitale reale la massa di valori che entra ed esce dal ciclo produttivo, compresa quella che serve alla circolazione del denaro e delle merci, e capitale fittizio la massa monetaria derivata, cioè quella che si forma esclusivamente nella circolazione, ad esempio una cambiale che, servita a una transazione materiale (denaro contro merci o servizi), viene scontata in una banca che a sua volta la adopera come mezzo di pagamento, cioè come denaro. E se è capitale fittizio ogni sopravalore che apparentemente si formi nella circolazione è capitale fittizio anche il reddito di un azionista d'industria che venda la proprie azioni ricavandone, oltre ai dividendi (plusvalore), anche un sopravalore di mercato. Quando l'estensione della carta (oggi dei byte nella rete computerizzata) va molto al di là del fabbisogno sociale, quando i pagherò derivati incominciano a rappresentare ogni genere di attività finanziaria, legale o truffaldina, la crisi è inevitabile."Una legislazione bancaria insensata può peggiorare una crisi creditizia, ma nessuna legislazione bancaria può eliminare le crisi". La crescente autonomia del Capitale nei confronti dei suoi possessori privati, ormai quasi completamente spodestati dalle loro funzioni, la crescente socializzazione del lavoro sotto il comando del capitale globale, non è altro che la soppressione del Capitale come proprietà privata nell'ambito stesso del capitalismo. Nella storia del capitalismo non si era mai verificato il collasso simultaneo del credito, del valore degli immobili, dei mutui, delle azioni, delle obbligazioni, dei fondi di investimento aperti e chiusi, con relativo fallimento di banche e con l'esplosione dei prezzi delle materie prime (speculazione sulla loro crescente scarsità effettiva) subito seguito dal loro crollo (segno evidente di deflazione, molto più temuta dell'inflazione perché sintomo di soffocamento nella sfera della produzione industriale). Tutto ciò nella prospettiva di una recessione, ormai data per scontata e durevole. Entro un mese le società di rating potrebbero abbassare l'affidabilità della Grecia di due o tre punti. L'Unione Europea ha già stabilito di intervenire con qualche decina di miliardi di euro, ma il piano di "risanamento" sarà elaborato dal Fondo Monetario Internazionale, cioè dagli Stati Uniti, con il solito criterio dei "sacrifici". Ciò è stato meravigliosamente recepito dal proletariato greco che, prima ancora di sapere quali saranno le misure adottate, è sceso in piazza con un possente sciopero generale preventivo. Solo chi ha adottato il motto secondo cui il lavoro nobilita, o santifica, o "rende liberi" com'è scritto sul cancello di Auschwitz, crede che sia un paradosso lottare contro il lavoro quando il lavoro manca. Più una società è moderna, più libera forza-lavoro e la rende superflua. Nessuno può impedirlo. E' un processo reale che relega economisti, sindacalisti, preti e tutti i cultori del "diritto al lavoro" al rango di mediocri utopisti, sacerdoti della Religione del Capitale. Essi contribuiscono a castrare l'istinto di classe. Spostano il problema dall'uso della forza dei milioni di proletari alle trattative avvocatesche caso per caso. ( Anche perchè spesso l'istinto di classe cessa di esistere anche nei milioni di lavoratori che vogliono diventare "velini","calciatori" o "imprenditori avvelenatori del prossimo"...) Dalla rivendicazione storica e inconfutabile del salario ai disoccupati e della riduzione del tempo di lavoro, alla disperazione di chi sale sui tetti o s'incatena sperando che ci sia in giro qualche telecamera. C'è stato un nuovo suicidio tra i dipendenti della France Telecom, il quarantaduesimo. E ce ne sono ovunque. Gli operai di un secolo fa lottavano durissimamente e orgogliosamente contro il lavoro e non si sognavano di far violenza a sé stessi, semmai riversavano il loro furore sull'avversario. Sarebbe sempre più necessario, per il capitalismo, un governo mondiale dell'economia globalizzata, e invece si assiste a una regressione nel controllo dei capitali, al consolidarsi di una gestione familistico-mafiosa di traffici. La moderna forma di proprietà capitalistica non è più la vecchia, capace e feroce oligarchia, bensì una melmosa rete anonima di interessi che si esprime con la forma fenomenica di cricche, o racket. Che oggi, tronfi della propria impunità, diventano pasticcioni, incauti, rozzi, esposti al reciproco ricatto. Quando nella società il valore totale prodotto è scarso, si fatica non solo a distribuirlo keynesianamente fra le classi, ma anche a farlo fluire nelle tasche dei pochi capitalisti e dei tanti rentier strappa-cedole nullafacenti. Come risultato del tutto naturale si intensifica la lotta con ogni mezzo per l'accaparramento del poco che c'è, lotta che ovviamente esula da ogni regola giuridica. E in modo altrettanto naturale sboccia la schiera dei bofonchianti moralisti, piazzaioli violacei o parlamentaristi in doppiopetto, ma sempre paladini di un capitalismo senza effetti collaterali, giustizialisti adoratori della Legge, anzi, sbirri del Potere Etico. Mentre gli esecutivi nazionali (mai accoppiata sostantivo-aggettivo fu così fuori luogo), si allineano passivamente alle aspettative del mercato internazionale, i politici si dedicano all'intrattenimento serale dei talk show. Sappiamo così che, accantonati i discorsi sulle veline, nelle liste del Pdl appariranno il dentista di Berlusconi, il fisioterapista del Milan e il geometra di Arcore. Nel Pd la precaria di Alitalia, il ballerino e il ciclista. Per carità, non faranno danni imputabili a dilettantismo, tanto le decisioni non si sono mai prese nei parlamenti. Con buona pace dello stupido mito democratico, come sottolinea da tempo persino un borghese come Massimo Fini.

 

Antichi residui di comunità organiche:non c'erano schiavi

 

Nella necropoli di Giza, in Egitto, sono state trovate alcune sepolture dei costruttori di piramidi. Contrariamente a quanto credeva Erodoto e a quanto molti credono ancora adesso, le immense strutture furono costruite da uomini liberi e non da schiavi. La società borghese tende a proiettare le sue categorie classiste anche su epoche lontanissime, quindi le prove che i pretesi schiavi di allora fossero meglio sistemati e alimentati della maggior parte della popolazione mondiale ''di oggi'' sono dure da digerire. In realtà, come annotava Marx, essi vivevano in una delle società più vitali e self-sustaining che siano mai esistite, senza proprietà privata, senza denaro, senza Stato e non schiavista. E le copiose raffigurazioni di composta bellezza che essa ci ha lasciato riflettono una serenità sociale che oggi ci sogniamo.

 

Il fumo e l'arrosto

 

Barack Obama fa il duro inviando truppe d'invasione in Afghanistan e ad Haiti, ma si mostra delicato e sensibile di fronte ai pescecani della Big pharma che gli affossano la miniriforma sulla sanità (Miniriforma, nemmeno riforma....). Abbaia contro le banche vampire, ma queste sanno che non morde e macinano imperterrite immani profitti speculativi. Tuona contro le lobbies industriali e finanziarie, ma lascia che la Corte Suprema, controllata dai repubblicani, cancelli ogni limitazione al finanziamento dei partiti da parte di quelle stesse lobbies. In compenso nella sua veste di presidente dei liberals nomina con un "fondamentale" gesto politically correct la transessuale Amanda Simpson a Consigliere Capo del Dipartimento al Commercio. Le pubbliche relazioni sono salve, l'America è sempre la stessa e i demo-sinistri di tutto il mondo continuano a chiedersi perché diavolo siano sempre perdenti. Demo sinistri come sinistrati in un paesaggio che li vede solo come cornice. In un mondo globalizzato i salari si confrontano al di là di ogni frontiera; ma i capitali nazionali sono comunque costretti a competere e quindi sfruttano il differenziale che spinge i proletari dei paesi emergenti verso i paesi maturi. Cresce la febbre xenofoba come a Rosarno, ma cova sotto la cenere ben altra devastante antitesi che non ha nulla di "rivendicativo": quella fra l'operaio e il Capitale. Non un'ingiustizia specifica, ma "l'ingiustizia tout-court". Il serbatoio di manodopera a basso prezzo si fa infinito. In Italia siamo all'8,3% di disoccupazione (il 26,5% quella giovanile), il 9,5% in Europa, il 10,5% negli Stati Uniti, il 30% nel mondo. E gli economisti chiedono a gran voce che si aumenti ancora la produttività, cioè che si produca di più con meno operai. Cioè che si aumenti ovunque a dismisura "l'ospizio di invalidità dell'esercito operaio attivo". Mentre cresce a dismisura la massa di schiavi, questi si, non quelli dell'Antico Egitto, i sinistri nel cervello cosa vogliono?? Ancora più schiavi: infatti il facondo ministro I-POD NANO dice che l'articolo 1 della Costituzione, quello della repubblica fondata sul lavoro, non ha senso. Insorge la CGIL in difesa del sacro lavoro (???!!). Fanno coro echi sinistri. Il termine però, senza un aggettivo, vuol dire tutto e nulla. "Lavoro" è quello dello schiavo, del borghese, dell'operaio, del pio bove o della macchina??? L'aggettivo che bisognerebbe aggiungere, se avessero senso le costituzioni, è: "salariato", in modo da specificare l'origine di tutto il valore prodotto in una società. Senza di esso l'articolo 1 è una presa per i fondelli corporativa e fascio-togliattiana. Anche il Papa si è accorto che qualcosa non quadra. La soluzione arriva dal Cielo:"I problemi non mancano, nella Chiesa e nel mondo, come pure nella vita quotidiana delle famiglie. Ma, grazie a Dio, la nostra speranza non fa conto su improbabili pronostici e nemmeno sulle previsioni economiche, pur importanti". Ce l'ha con gli astrologi e con il loro equivalente accademico, gli economisti. Anche il ministro Tremonti era stato critico nei confronti degli economisti-astrologi e non sappiamo se, come il Papa, confidi anch'egli nel divino. Sta di fatto che la dinamica reale si specchia nella legge della miseria crescente e non nei miracoli. Che a quanto pare sono rari come i funghi magici, oppure sono in difficoltà a causa della crescente massa di problemi. Notizie di un giorno qualunque dal fronte "proletario": a Brembio (Lodi) il picchetto alla Fiege prosegue; a Venafro (Isernia) la Geomeccanica è occupata dagli operai; anche il Pastificio Chirico di Teverola (Caserta) è occupato dai lavoratori; a Milano i lavoratori della Omnia bloccano i manager dentro l'ufficio e interviene la Digos a liberarli (giusto 5 mesi fa le televisioni inquadravano i "gruisti" dell'ex Lambretta che raggiungevano un accordo di massima: tutti ad urlare la fine dei problemi....); a Torino e altrove continua la lotta dei lavoratori Eutelia... Milioni di proletari in situazioni identiche lasciati a sé stessi divisi in piccoli gruppi dediti a innocue scalate dei tetti od occupazioni invisibili. Difficoltà enormi, al momento, a rompere con la natura corporativa dei sindacati e con il miraggio del lavoro-galera. Compaiono però embrionali segni di coordinamento. Là dove l'agoniato lavoro c'è, si trasforma in schiavitù vera: in posti come Rosarno c'è schiavitù, certo, ma per niente antica. La 'ndrangheta, come le altre mafie, è un'azienda multinazionale e il lavoro precario con il salario ridotto all'osso è la norma globale. Alcuni dei neri furibondi avevano dipinto sui volti segni antichi di guerra, rivendicando una "comunità umana" che non c'è più, ma la loro esplosione era quella del salariato moderno, per il quale si sta facendo sempre più indistinto il confine fra la rivendicazione sindacale e la ribellione all'intero sistema. No, non è un problema solo dei neri. Anche degli italioti cretini: Craxi ad esempio eccelleva nello sfruttare il cretinismo italiota, ma è stato vittima del suo stesso gioco. I suoi eredi hanno esasperato la questione: bisogna esagerare, andare fino in fondo con media, mafie, spartizioni del malloppo. E quindi è giusto che celebrino il precursore dichiarando l'avvento del Tempo dell'Amore. Persino De Mita, storico avversario di Craxi, dice che "è giusto riabilitarlo, era parte di un sistema." Delizie da basso impero, un "sistema" decadente anche quello. Decadente è anche l'assistenzialismo americano: con uno scatto d'orgoglio se n'è accorto il "ginnico" Bertolaso sbarcato ad Haiti. Haiti era già un territorio a sovranità limitata, dove il governo nazionale era praticamente sostituito dai soldati dell'ONU. Dopo il terremoto, con curioso tempismo, gli Stati Uniti hanno inviato un notevole contingente militare, subito accusati d'invasione militare da alcuni governi sudamericani. In effetti neppure dopo l'uragano che a casa loro aveva distrutto New Orleans erano stati così solerti e "generosi" nei soccorsi. C'è ovviamente una logica: occupati gli aeroporti e i centri nevralgici, ad Haiti dirigeranno di fatto tutto quel che si muove. La guerra umanitaria non è solo un ossimoro. Ossimoro è anche il muro sicuro e l'appartamento coibentato anti-incendio, sentite cosa sta succedendo:

Israele innalzerà il quarto muro. Uno si snoda già intorno alla Cisgiordania, uno al confine del Libano e uno intorno alla striscia di Gaza. Il prossimo sorgerà al confine con l'Egitto. Il governo sionista dice che è per tener fuori i nemici; ma se guardiamo una mappa qualsiasi vediamo che in realtà gli ebrei si sono rinchiusi all'interno di un piccolo territorio circondato da un miliardo di islamici. Sempre in Medio Oriente, a Dubai, c'è stata l'inaugurazione del grattacielo più alto del mondo e alcuni video ne hanno mostrato la soluzione antincendio: siccome a 800 metri d'altezza non si può scappare da nessuna parte, in caso di pericolo ci si barrica dentro a un locale blindato, coibentato e ventilato. Pregando che arrivi aiuto dal cielo prima di finire arrosto.

 
 

Fuori dalla crisi?

La parola d'ordine è: ottimismo. Di fronte al collasso dell'economia mondiale vi è stato il più massiccio intervento delle maggiori nazioni, il più coordinato, il più veloce, il più costoso. E sembra aver avuto risultati, se non positivi, almeno in termini di blocco della catastrofe. Il problema è proprio questo: il blocco. La produzione industriale non ha recuperato ciò che ha perduto; la disoccupazione è al 9% nei paesi OCSE e al 10,5% negli Usa; il costo del denaro è praticamente a zero e facilita semplicemente l'effetto leva della speculazione. Tutti i parametri della produzione e della finanza sono al momento mediamente peggiori di quelli del 1929 (vedi link) e sarà veramente interessante vedere gli effetti dei tanto sbandierati futuri "investimenti produttivi" nel corso di una crisi che è già di sovrapproduzione.

Tuoni in lontananza

Ibrahim M�Bodi, un operaio senegalese cerca di riscuotere due mesi di salario arretrato dal padrone il quale per tutta risposta lo uccide con nove coltellate. Vegim Spahiu, un operaio albanese di 24 anni, fa irruzione in un residence di lusso sequestrando e terrorizzando la famiglia dell'imprenditore presso cui lavorava. Per adesso è stupefacente che certe isole felici per ricchi, dove persiste l'odore dell'erba appena rasata e luccicano le cromature dei SUV, vengano trasformate in territorio di guerra. Non c'erano protezioni in quel residence, "non era mai successo niente", regnava un senso di impunità sociale. Frasi che incominciano ad essere usate con i verbi al passato.

Stato d'assedio

Non è una novità che lo stato d'assedio venga utilizzato come istituzione organica al funzionamento dello Stato. Già a metà Ottocento, in Francia, lo stato d'assedio liberò la società borghese dalla necessità di darsi strumenti articolati di governo. L'esecutivo era tutto ciò di cui aveva bisogno lo Stato per salvaguardare i rapporti sociali capitalistici. Fascismo e stalinismo completarono l'opera, e solo dopo la Seconda Guerra Mondiale s'inventò l'attuale fascismo democratico mantenendo il teatrino dei parlamenti. Ogni tanto la mistificazione cade: negli USA si rispolvera il Patriot Act, in Iran si spara sulla folla, in Grecia il passo pesante dei reparti di polizia e dell'esercito sovrasta le chiacchiere parlamentari. L'eccezione si sta facendo norma ecologica, di pulizia ecologica.

Per noi è evidente che solo l'estinzione dell'esistente  lascerà il posto alla vera ecologia, cioè a un metabolismo naturale che armonizzi la produzione-riproduzione della nostra specie con l'esistenza delle altre specie e l'integrità della biosfera. Altri pensano che sia possibile "fare qualcosa" all'interno di questa società. Ma i sistemi legislativi ed esecutivi attuali non possono far altro che agire su produzione, consumo e profitto, cioè sempre dal punto di vista del capitalismo cui viene aggiunto l'improbabile aggettivo "sostenibile". Oggi il bisogno di ecologia non si trasforma che in bisogno di produrre e consumare ideologia e merce ecologistica.Secondo The Economist l'aumento delle aziende "ibride", cioè operanti a cavallo fra il privato ed il pubblico sarebbe deleterio per la salute del capitalismo (una situazione tipica è quella del settore energetico, dove le 13 maggiori compagnie mondiali sono a controllo statale). Queste tarde lamentazioni liberali fanno sorridere. Nelle sue estreme manifestazioni la società capitalistica, ormai regressiva e conservatrice, non può più fare a meno dell'assistenza dello Stato.(VEDERE IL SISTEMA DELLA RISERVA FRAZIONATA BANCARIA E DEL DOMINIO DELLA IPER BORGHESIA BANCARIA COL SIGNORAGGIO...) Il capitalismo romantico del rischio d'impresa appartiene agli strati fossili del Capitale. Quello affarista attuale vive e prospera solo in simbiosi con lo Stato in quanto garante degli interessi complessivi della borghesia. Quest'intima alleanza ha dimostrato il superamento ''definitivo'' del capitalismo privato. Indietro non si può tornare, né si possono rendere efficienti i mostri statali super-inflazionati.

 

Dinamica suicida

Negli Stati Uniti il terzo trimestre del 2009 ha visto aumentare la produttivita', nel settore dei beni durevoli, dell'8,1% rispetto all'anno precedente. Il Sole-24 Ore commenta: "E' un aumento davvero rapido, frutto anch'esso della crisi, dell'enorme perdita di posti di lavoro. [...] Con una crescita sostenuta a questo ritmo in tre/quattro anni, il settore potrebbe fare a meno quasi del tutto di lavoratori!". C'e' solo un problema: aumento della produttivita' vuol sempre dire, globalmente, diminuzione del saggio di profitto, crisi di sovrapproduzione e aumento della sovrappopolazione relativa. Gli analisti richiamano l'attenzione sul considerevole aumento dei prezzi di copertura dei derivati su titoli emessi dagli Stati contro il rischio della propria insolvenza. La crisi del Dubai, emirato in cui avevano trovato rifugio capitali di altri paesi, da Abu Dhabi all'Inghilterra, ci ha fornito un'ulteriore dimostrazione del perche' la crisi generale non sia solo "finanziaria": la triviale rendita dei grattacieli e delle pseudo-isole di Dubai doveva essere pagata con rendita petrolifera e capitale fittizio. Siccome ogni rendita e' parte del plusvalore, la stretta/CRESCITA produttiva ha provocato, oltre alla fibrillazione del capitale fittizio, una restrizione della sorgente della rendita: con la chiusura dell'80% dei tanto magnificati cantieri. Hanno detto che la crisi era finanziaria, che le banche erano corresponsabili e che bisognava prendere provvedimenti. Intanto il Federal Reserve System rifiuta qualsiasi ipotesi di controllo da parte del presunto onnipotente Stato americano; la UBS, colosso bancario svizzero, minaccia di spostare il suo quartier generale all'estero se il governo dovesse approvare norme di controllo; alcune delle piu' grandi banche salvate dal crack stanno restituendo i miliardollari ricevuti per non essere sottoposte ai vincoli statali che ne derivano. Tutto ricomincia come prima, alla faccia di chi crede che siano i governi a governare e non il Capitale. Le banche europee stanno emergendo dalla crisi creditizia piu' grandi di quanto non fossero prima dello scoppio dei problemi finanziari, mettendo a rischio le loro rispettive economie nazionali.

BNP Paribas, Barclays e Banco Santander sono tra i 352 istituti del Vecchio Continente le cui dimensioni sono aumentate dall'inizio del 2007, stando ai dati raccolti dall'agenzia Bloomberg. Quindici di queste banche possono contare su asset maggiori di quelli delle loro rispettive economie. Tre anni fa erano 10 gli istituti a poter vantare un tale record.

Negli ultimi due anni nel complesso i governi del Vecchio Continente hanno sborsato $5.300 miliardi in aiuti alle banche in difficolta'. Gli istituti bancari salvati dai governi nazionali sono i nove peggiori titoli delle 64 componenti dell'indice del settore bancario europeo di Bloomberg dal fallimento di Lehman Brothers, il 15 settembre del 2008, ad oggi.

No-B-day

Dal flash-mob allo smart-mob

Nonostante tutto, riteniamo che la manifestazione di sabato sia molto importante. Non per l'esempio di democrazia diretta della quale non c'importa nulla (i centomila oggi uniti da un "sentimento contro" saranno disuniti domani su altro), ma per il sordo borbottìo sociale che prende forma non appena si stabilisca una rete polarizzata su un interesse preciso. I giovani organizzano flash-mob (che non servono a niente), qualche sociologo ha già individuato gli smart-mob (finalizzati). Non scandalizzatevi: Lenin guardando alla rete di fabbrica (fatta di acciaio e non di bit) la chiamava spontaneità organizzata.

Piu' di due milioni di disoccupati in Italia, ai quali bisogna aggiungere circa 6 milioni di precari, ci offrono un quadro della situazione sociale. C'e' da aggiungere che la maggior parte dei contratti in scadenza non vengono rinnovati e i cosiddetti ammortizzatori sociali risultano sempre più inadeguati rispetto alla valanga in arrivo. Quando addirittura gli economisti parlano di "generazione lavoro zero", ha ancora senso battersi per un posto di lavoro che non c'è più invece di rivendicare senza tante storie salario per i disoccupati?

Mattanza artigianale, sfruttamento globale

In Peru' hanno arrestato quattro "mostri" sospettati di aver assassinato almeno 60 persone a scopo di lucro. Estraevano dai cadaveri grasso umano che vendevano ad aziende europee di prodotti cosmetici. Si sapeva del commercio di organi dei vivi, ma questa del grasso dei morti e' nuova. Con i tempi che corrono e con la spaventosa cifra cui e' salita la sovrappopolazione relativa, il business e' assicurato. L'indignazione della stampa internazionale e' fuori posto: nella fabbrica globale, il corpo dell'uomo e' incorporato al sistema di macchine come appendice biologica. La morte fa parte del tutto ed e' abbondante senza bisogno di "mostri" assassini, addetti a un settore artigianale rozzo e poco efficiente. Ad esempio l'industria europea dell'automobile produce incidenti stradali per 130.000 morti all'anno e quella della "salute" milioni, senza contare i morti per fame in tutto il mondo (forse un po' troppo magri per estrarre grasso da cosmetici).

 La borghesia ha festeggiato rumorosamente i venti anni dalla caduta del muro. Che, tra l'isteria dei sinistri paventanti un Quarto Reich e la stupidita' dei destri inneggianti allo Spirito Tedesco, nessuno era riuscito a prevedere. Mentre gli ideologi (la testa) avevano guardato ad un futuro in cui non avevano affatto creduto, il futuro era loro precipitato addosso nella veste di una massa (la pancia) transitante sotto lo sguardo sbigottito degli sbirri orientali e dei grassi cittadini occidentali. Una pancia fatta di sacchetti di plastica che muoveva vuota verso Occidente e tornava ad Est piena ("di banane e di riviste porno", dissero gli ineffabili pennivendoli). Incurante di essere o no rappresentata al futuro Bundestag o di cosa avrebbe pensato Hegel sul nuovo Stato. Impotenti comunque tutti, testa e pancia, a capire perché mai dopo vent'anni si stia peggio di prima. Mentre nel presunto ovest si festeggia il nulla, gli equilibri internazionali si modificano, eccome: la Turchia si muove ormai come potenza locale, consapevole della sua crescente importanza geopolitica. Ha preso posizione contro l'invasione di Gaza da parte di Israele; ha vietato il suo spazio aereo durante le recenti manovre Nato; ha mostrato un'apertura verso Hamas; ha firmato con l'ex arcinemica Armenia un protocollo d'intesa; ha intavolato colloqui per un avvicinamento con Siria e Iran; ha preso contatti con la popolazione turcofona dal Caucaso allo Xinjiang, spiazzando persino il governo cinese. Tutte mosse di un vasto giuoco geostrategico che coincidono con la sua storica vocazione euroasiatica. Voltando le spalle ad una Unione Europea Ottusa e inconsistente. Insomma, un "paese amico" che all'interno dello schieramento occidentale sta diventando assai scomodo. Alla modifica degli equilibri”geostazionari” si unisce la trasformazione dell’industria: mero supporto della mercificazione totale. La costruzione in molti Paesi asiatici di cargo civili rapidamente convertibili in navi da guerra trova corrispondenza in un significativo spot pubblicitario per il reclutamento delle Forze Armate taiwanesi. In una sequenza hollywoodiana, aerei, carri e navi transformer diventano scintillanti robot. Un bambino saluta militarmente il nuovo videogame. Nell’altro capo del mondo, il programma Constellation varato da Bush per il ritorno sulla Luna e la "conquista" di Marte sara' interrotto. Più che di Marte si trattava di una conquista dei crani, pura propaganda (e ovviamente business) a colpi di tecno-ideologia, ma si e' rivelata troppo costosa per i tempi che corrono. A dispetto degli affaristi della NASA, Obama avra' in cambio maggiori fondi per l'Education. Prendera' così due piccioni con una fava: chiudera' uno stolto progetto mangiadollari e continuera' la campagna ideologica con uno strumento come il rincoglionimento scolastico, senz'altro piu' economico e piu' efficace. Barack Obama, Nobel per la Pace, non perde tempo: dopo aver annunciato l'invio di altri 30.000 mercenari in Afghanistan ordina ai burattini d'Europa di dare una mano. Senza neppure chiedere il loro parere. Gli "alleati" abbozzano pubblicamente: manderanno anche loro ulteriori truppe. In segreto pero' sbuffano. Primo perche' se un soldato americano costa 770.000 dollari all'anno l'omologo della coalizione non costa tanto di meno. Secondo perche' nessuno al momento ha capito bene che cosa dovrebbero fare i nuovi soldati. Se quelli gia' inviati fossero serviti a rendere autosufficiente l'esercito del governo fantoccio, come si dice, il loro numero dovrebbe diminuire, non aumentare. Anche in Vietnam c'erano basi mai sufficientemente piene di soldati e un esercito fantoccio mai abbastanza addestrato. Obama e' il presidente della “svolta”…..a non si sa che cosa. Tutti si sono rincoglioniti di internet per via dei voti presi on line, ma la politica, quella e' ancora tutta da “internettizzare”: in un afflato di ottimismo orientaleggiante, Super-Obama ha dichiarato alla platea dei Paesi dell'APEC: "Una marea crescente solleva tutte le navi". Ma, mr. President, il suo ministro del tesoro mr. Geithner le avra' pur detto che questa non e' una marea ma una super-crisi che gli esperti hanno chiamato "tempesta perfetta". E il suo segretario di stato mrs. Clinton le avra' pur riferito, di ritorno da Pechino, che il tradizionale trucco americano del super-protezionismo interno e super-liberismo per gli altri ormai non lo digerisce piu' nessuno, Cina in testa. Oltre tutto e' un tantino controproducente dire ai super-esportatori cinesi: "non contate sui consumi americani", accampando il livello della super-disoccupazione USA. Il suo paese ha un super-debito con la Cina e questa, oltre al complementare super-credito, ha anche una super-riserva in dollari, vi terra' d'occhio. Qualche super-problema? Hollywood, anticipando le tendenze meglio degli economisti e dei sociologi, fara' super-bingo con il film super-apocalittico 2012 per il quale si prevedono super-incassi. "Punire e rieducare" diceva una volta la borghesia di fronte a quelle che considerava "devianze sociali". Oggi la sovrappopolazione relativa rispetto al tempo di lavoro disponibile e' in aumento, e cresce in via del tutto naturale anche la sovrappopolazione carceraria. La "rieducazione" passa in ombra, il problema carcerario diventa l'ennesima "emergenza". E siccome la fabbrica sociale di criminalita' non è riformabile, ecco che scatta l'annientamento. In Italia quest'anno sono stati sessanta i suicidi in carcere, senza contare i tentativi. Centocinquanta i morti per cause non naturali. Sovraffollamento, certo, al quale guarda con cupidigia la lobby dell'edilizia carceraria in attesa dei campi di concentramento all'americana. E i sinistri che piagnucolano sulle riforme avranno i loro bravi cantieri.

 

La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni

 

Dai giornali borghesi traspare - magnifica per noi - la preoccupazione della classe al potere per la propria... impotenza. E' la volta del Financial Times che a settembre stima per il mercato azionario una sopravvalutazione del 30-40%. Di fronte a un fatturato industriale che non cresce, è difficile prendere per buono l’auspicio degli economisti per una ripresa che riporti i livelli del PIL al 2007 entro il 2014. Perciò il giornale inglese non fa che riconoscere una rinnovata corsa alla collocazione del capitale fittizio, insomma, un'altra bolla finanziaria, alla faccia delle buone intenzioni produttivistiche dei governanti. Secondo CreditSights, una società di ricerca americana, le grandi banche USA salvate dal disastro e praticamente nazionalizzate stanno rimettendosi in sesto e marciando verso un'altra bolla. Il guaio è che esse rappresentano solo la punta dell'iceberg, il resto per adesso non fa notizia. Dall'inizio del 2008 sono fallite in USA 118 banche sulle 8.200 esistenti. Ma secondo la suddetta società altre 1.100 banche potrebbero aver bisogno di essere salvate. Dicono che sia a causa dei titoli tossici di ogni tipo che continuano ad essere sul mercato. Sarà, ma intanto non arrivano segnali da quella che chiamano economia reale, dove si produce il plusvalore. Nel frattempo la curva ascendente della produzione cinese di automobili ha appena incrociato quella discendente della produzione americana. Nel 2001 Cina e Stati Uniti producevano rispettivamente 2,5 e 19 milioni di automobili; oggi entrambi i paesi ne producono 12 milioni. L'incrocio dell'intera produzione industriale si era già verificato nel 2003. Il prossimo incrocio sarà quello delle produzioni ad alta tecnologia e fra una dozzina di anni, se le cose continuano così, ci sarà quello dell'intero prodotto nazionale. Già oggi la Cina possiede 2.000 miliardi di dollari in titoli di stato americani e riserve monetarie, vale a dire un settimo del PIL americano: fra dodici anni possiederà virtualmente gli interi Stati Uniti. E' evidentemente in corso una sfida al possibile. Interessante. Le cannonate non mancano, ma per il momento la guerra preventiva degli USA al resto del mondo si configura come guerra economica per il controllo dei flussi di valore. Difficile però condurla sul piano valutario come al tempo della supremazia totale del Dollaro. Oggi la valuta americana viene lasciata cadere a 1,50 contro l'Euro. Si avvantaggiano le esportazioni USA e si svaluta anche un poco il debito americano. Ma gli Stati Uniti sono un paese importatore netto, con un deficit commerciale intorno ai 3-400 miliardollari all'anno, quindi pagano caro quel che producono altri. Inoltre i paesi asiatici, Cina e Giappone in testa, hanno forti crediti e riserve in dollari, quindi mal sopportano giochetti su quel terreno. Così spingono - specie la Cina - per un'alternativa, magari una moneta internazionale al posto del Dollaro. Equilibrii delicatissimi: il maggiore paese imperialista collasserebbe se la sua non fosse più la moneta di riserva mondiale.Anche l’Europa Unita non se la passa molto bene: di fronte ai 27 ministri dell'agricoltura dell'Unione Europea riuniti, cinquemila contadini hanno gridato: "Cambiare il sistema del latte o sarà guerra". Questa volta le sovvenzioni (280 milioni di euro, circa 1.000 euro a produttore) garantite dall’Unione non sono bastate a fermare la protesta. Al contadino europeo produrre latte costa mediamente 40 centesimi al litro, ma sul mercato egli ne spunta solo 28. Il resto lo paga lo Stato, come avviene per altri prodotti agricoli, con un trasferimento di valore dal resto della società al contadiname, al fine di calmierare il prezzo del cibo (un po' come se ci fosse la "mutua" per gli alimenti, di cui paghiamo solo il ticket). Questo valore è per definizione profitto, salario e rendita; quando la crisi esplode proprio per carenza di valore reale, lo scontro si acuisce. In Italonia poi la NON crisi esposta dalla stampa pagata dallo stato si inventa una pseudo opposizione di zombie che raccolgono con le primarie all’americana 15 milioni di euro per eleggere una stronzata: con le primarie per l'elezione del capo del PD(meno elle, solo una consonante per distinguersi ) la farsa elettorale si è ripetuta e aggravata. Il proletario in veste di elettore "libero e sovrano" non solo è chiamato a scegliere ogni cinque anni i rappresentati di chi lo sfrutta (Lenin); adesso dovrebbe anche votare per la scelta di chi lo chiamerà... a votare. Siamo al delirio. Niente programmi, niente proposte, neanche in ambito beceramente riformista. Neanche un minimo di pragmatismo stalinista residuo. Solo puro parlamentarismo clownesco, ma con effetti dolciastri da pubblicità del Mulino Bianco. Se i sinistrati mendicano briciole sventolando la pseudo difesa del “liberalismo-democratico”, parolone nel quale ficcarci di tutto, i “destrati” rispondono con il loro ministro delle Piramidi Tremorti: questa volta, forse memore del suo passato "socialista", s'è lanciato in difesa del posto fisso e di tutti i valori collegati, compreso il welfare, che c'entra con il mettere su casa e famiglia, garanzia di stabilità sociale. Impossibile dargli torto: con Mussolini funzionò benissimo. Berlusconi approva. Marcegaglia, capa della Confindustria, ingrana la protesta automatica. I sinistri sono spiazzati. I sindacalisti prendono in parola il ministro "nemico". Intanto fuori dalla sala, lontano dalle chiacchiere, milioni di senza riserve agognano un salario che non avranno mai. Caro ministro, il posto fisso col welfare vi converrebbe un sacco, ma è acqua passata. Come la stabilità sociale.

 

 

 

Il solito riformismo fascista

 

Sembra che il fondo del barile non sia mai raschiato abbastanza. Al meeting di Comunione e Liberazione il ministro dell'economia Tremonti ha lanciato una proposta per la compartecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende. Le modalità non sono ancora note, ma lo scopo è chiaro: una indicazione viene dal ministro del lavoro Sacconi che a Cortina ha accolto entusiasticamente il progetto sottolineando nel contempo  il "bisogno di liquidità" delle imprese. I lavoratori, già truffati con i fondi pensione cui hanno affidato il Tfr, ora vengono chiamati di nuovo a trasformare il loro salario in capitale... altrui. Tra proclami trionfali e applausi a scena aperta avanzano i vittoriosi operai della INNSE. Che siano vittoriosi non ci sono dubbi, è una questione di cosa si chiede in base a ciò che viene offerto. Lo ha affermato persino Tremonti davanti alla platea dei ciellini riuniti a convegno (che si sono spellati le mani dagli applausi): quegli operai non hanno fatto violenza ad altri cittadini... ma l'han fatta alle nostre coscienze obbligandoci alla riflessione. E coscienzioso è stato il nuovo padrone, uno dei "nostri", così sensibile a quella violenza tanto dolce da sembrare una supplica. E ci ha messo i soldi, i "suoi" questa volta! E così, in un tripudio di luddismo al contrario e di spudorato interclassismo, gli operai hanno "salvato" quella che nelle interviste chiamavano la "loro" azienda. Loro sono stati bravi, hanno lottato. E' il copione che è sbagliato, fin dai tempi dell'ordinovismo, quando gli operai si autoimprigionarono in fabbrica e l'esercito restò, con i fascisti, padrone della piazza. Nel ribollire dinamico della moribonda società , la necessità di una nuova appartenenza si manifesta con comportamenti anti-sociali. Comunità informali emergono senza ordine apparente e migliaia di persone vengono coinvolte in lotte spasmodiche. Ribellioni cieche e inconsapevoli delle implicazioni, incapaci di affermare il nuovo ma ben determinate contro l'insopportabile esistente. E già questo, per i guardiani dell'ordine, è preoccupante. Basti segnalare quanto accaduto a Pozuelo, nella periferia di Madrid: al termine di una serata di festa centinaia di giovani incazzati si sono scontrati con la polizia, danneggiandone le auto e cercando di assaltare un commissariato. La polizia ha dovuto sparare per aria e usare pallottole di gomma. Teppisti ubriachi è stato il solito verdetto. Mezza verità, stupidaggine totale. Il fatto è che nell'Occidente evoluto e democratico le battaglie di strada si fanno sempre più frequenti e devastanti. E sempre più capaci di auto-organizzazione. Un vero incubo per la borghesia. Il livellamento dei salari e delle condizioni sociali si fa mondiale e quindi altrettanto mondiale si fa lo scontro . Per ora sono episodi trattati in modo marginale dai media: qualche sequestro di dirigenti o fabbriche minate in Francia, un dirigente ammazzato di botte o una fabbrica inquinante rasa al suolo dagli operai in Cina, scioperi violentissimi in Sudafrica e in Corea, ecc. Al momento in Italia prevalgono comportamenti lamentosi e autolesionisti, e ancora rari sono gli episodi di scontro classista. Ci s'incatena su di una torre, si minaccia i suicidio, si fa uno sciopero della fame. Qualcuno si suicida davvero, uccidendo magari chi gli sta vicino, e allora se ne svela la ragione: era rimasto disoccupato e non poteva più mantenere la famiglia. Il fatto è che non è un problema di "crisi": la diminuzione irreversibile di "lavoro necessario" è una legge sociale, non un fatto contingente o la politica di un qualsiasi governo. E’ talmente vero che la Impala Platinum, in Sud Africa, aveva concesso il 10% di aumento ai i minatori che chiedevano il 14%. Tre settimane di sciopero durissimo ad oltranza per quattro punti di differenza erano sembrate eccessive ai sindacalisti della National Union of Mineworkers, che avevano quindi chiamato gli operai alla ragionevolezza. Ora, il "ragionare" dei proletari è ben diverso da quello dei dirigenti d'azienda e dei bonzi sindacali. L'operaio deve campare, se ne frega dei ragionamenti da contabile, delle statistiche sui salari condotte secondo le leggi del mercato. I salari sono sempre "giusti", com'è "giusto" il medio profitto secondo le stesse leggi. Quindi da che esiste capitalismo esiste un diritto del lavoratore e uno del capitalista. Si sa, diritto contro diritto decide la forza. Con buona pace di ragionieri e sindacalisti:LEGGE SOCIALE. Altresì la senescenza mortale del capitalismo sta producendo un rigurgito di tutti gli "ismi" che sembravano condannati dalla storia. Il primo posto va allo stalinismo, il più efficace travestimento dell'ideologia borghese infiltrata nelle file proletarie. Per quanto faccia un po' ridere uno stalinismo senza Stalin,  senza i suoi discendenti diretti e senza l'URSS, l'effetto controrivoluzionario continua ad essere tremendo. Il secondo posto va al proudhonismo, sia nella versione anarcoide (niente a che vedere con gli anarchici di una volta), sia nella versione borghese, ecologista e no-global. Tutto il resto deriva da questi due grandi ceppi storici. L'insieme possiede a sua volta un'invarianza di fondo: il travestimento parolaio e non di rado truculento di vuote istanze borghesi come libertà, uguaglianza, fraternità, giustizia, ecc., e quindi democrazia interclassista. Di fronte all'emergere della nuova forma sociale, che si impone classicamente come struttura che non sopporta più la sovrastruttura, tutta la "politica" tradizionale non è altro che accanimento terapeutico sul cadavere del capitalismo. Proprio mentre s'intravede entro i rapporti attuali l'emergere potente della nuova forma, mai come oggi abbondano gli atteggiamenti auto-referenziali dei politicanti in crisi. La borghesia mostra sempre più la propria incapacità di porre i fatti economici in un quadro teorico e sistematico, riducendosi a trattare lo stato dell'economia attuale come un episodio passeggero. Con qualche contraddizione. Ad esempio Tremonti, a un anno dal precipitare della crisi (il fallimento della banca Lehman Brothers), con una perifrasi da catastrofe atomica, si sbilancia ad ammettere che il capitalismo è stato prossimo a un meltdown del nocciolo sistemico. Poi, come tutti i suoi colleghi nel mondo, procede come se non fosse necessario capire quel che è andato succedendo da almeno trent'anni a questa parte. Perciò è stato celebrato il compleanno della crisi in clima di scampato pericolo, senza che ci si facessero troppe domande sul perché e sul percome di eventi che non possono certo ripetersi all'infinito.  Condannando l'eccessiva finanziarizzazione del capitalismo, gli economisti, echeggiati dai governanti, hanno sostenuto la necessità di un robusto sostegno alla cosiddetta economia reale. Naturalmente. Ma intanto Il Sole 24 Ore documenta la progressiva riduzione del credito concessa dalle banche alle imprese. Ma come: se solo negli USA la quantità di moneta circolante è aumentata del 100%! Dunque il denaro ci sarebbe. Solo che non arriva alla suddetta economia reale perché essa è in crisi e perciò non è affidabile. Quindi il denaro c'è ma non può far altro che diventare capitale fittizio. Perché? Con criteri anticapitalistici la risposta diventa facile: semplicemente, siamo di fronte a una crisi industriale che si manifesta solo in secondo luogo come crisi finanziaria. Piaccia o no, è la marxiana legge della caduta del saggio di profitto. Scrive Guido Rossi, avvocato, manager, esperto di conflitti intercapitalistici: "La soluzione che appare più sicura nei suoi risultati per dominare una lex mercatoria, frammentaria, interscambiabile e facilmente eludibile sarebbe quella della creazione di un'autorità politica mondiale che avesse i necessari poteri per applicare un diritto di governo finanziario ed economico globale". Luigi Spaventa, economista, docente universitario, manager ed ex ministro dell'economia aggiunge: "Un dittatore universale onnipotente e benevolo risolverebbe la questione manovrando leve opportune (segue l'elenco)". Anche Sua Santità Benedetto XVI non è indifferente al problema e suggerisce nella sua ultima enciclica: "Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale". Il guaio per ogni borghesia è che il suo potere ha base nazionale e questo vuol dire concorrenza e guerra, altro che governo universale. Nel frattempo, a livello locale, il prossimo congresso della CGIL si terrà nel mezzo di un drammatico peggioramento dell'occupazione, dei salari e delle condizioni di vita e di lavoro in generale. Le varie sinistre, non solo sindacali, affermano che il congresso sarà decisivo e avrà conseguenze sulla natura del maggiore sindacato per l'avvenire. Purtroppo per tutti costoro, la natura dei sindacati è stata storicamente determinata dall'affermarsi del corporativismo interclassista e sancita dal patto del lavoro del dopoguerra. Questo processo, perdurando le condizioni attuali, è irreversibile e la prova sta nel fatto che di fronte al suddetto peggioramento delle condizioni proletarie non corrisponde una mobilitazione reale ma tante dichiarazioni sulla responsabilità verso l'economia in crisi….Dalle sale cinematografiche è passato VIDEOCRACY. "La malvagità del banale", così s'è espressa la critica antiberlusconiana parlando dell'ultimo film di Erik Gandini. Nel quale si parla del presidente-imprenditore tanto caro agli elettori italiani, di come egli abbia adattato a sé stesso una "società civile" che non ha fatto alcuna resistenza nel farsi adattare. Nel film c'è molto moralismo sinistrorso, ma oltre all'indignazione piccolo borghese emerge anche qualcosa di interessante. La società del Capitale è ormai mera contemplazione onanistica dell'immane accumulo di merci (materiali, immateriali e soprattutto ideologiche) che la inzeppa. E quindi non ha più freni inibitori né un qualche tipo di Etica Pubblica. Persino il cervello singolo diventa un terminale del Capitale impersonale, per cui la vita stessa è ridotta a pura rappresentazione egoistica di tipo televisivo, senza un briciolo di memoria sull'appartenenza comune di specie.

"Signor Cardinale Bertone,
apprendo dalla stampa che il giorno 7 ottobre 2009, memoria liturgica della Madonna del Rosario, lei ha intenzione di inaugurare la mostra dall’emblematico titolo: "Il potere e la grazia" con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che non posso chiamare "onorevole" perché di "onorevole" nella sua vita pubblico-privata, nella sua politica e nel suo sistema di menzogne non vi è nulla. Se la notizia fosse vera, lei agli occhi della stragrande maggioranza della Chiesa italiana e del mondo si renderebbe complice e si assumerebbe la responsabilità di molti abbandoni "dalla" Chiesa da parte di credenti che sono stufi che la politica della diplomazia sovrasti e affossi la testimonianza limpida del Vangelo. Lei sicuramente sa, come lo sa ogni parroco che vive sulla breccia dei marciapiedi, che quest’anno vi è stata una emorragia nei confronti dell’8xmille che moltissimi cattolici, anche praticanti, hanno devoluto ad altre istituzioni pur di toglierlo alla Chiesa cattolica per le sue ingerenze e connivenze con un governo legittimo, ma ad altissimo tasso di illegalità e immoralità. Questo argomento credo che vi interessi non poco sia come Vaticano che come CEI.
Dopo tutto quello che è successo, le testimonianze, le registrazioni, le inchieste, lo spergiuro pubblico in televisione sulla testa dei suoi figli, gli immigrati morti in mare che il governo ha sulla coscienza; dopo la legge infame che dichiara "reato" lo "stato personale", cioè la condizione esistenziale di "immigrato" divenuto "clandestino" in forza della legge Bossi/Fini; dopo tutto questo lei non può far finta di nulla e farsi vedere in pubblico con Berlusconi o qualcuno dei suoi scherani.
Se parlate di morale pubblica e di etica politica, dovete essere coerenti con i vostri stessi principi che spesso esigete dagli altri che non hanno il potere immondo di Silvio Berlusconi, il quale si crede il Messia e "solutus omnibus legibus", visto che concepisce se stesso come sultano e l’Italia il suo sultanato personale. Egli pensa di potere comprare tutto: i tribunali, le sentenze, la compiacenza di prosseneti e lenoni che gli procurano donnine a pagamento per sollazzarlo con orge (e forse anche droga) di cui egli continua a vantarsi pubblicamente fino a dichiarare con spudoratezza che: "il popolo italiano vuole essere come lui". Crede di potere comprare anche il Vaticano, offrendo leggi e favori a richiesta. Valuti lei se le lenticchie fuori stagione valgano una Messa.
Lei deve sapere che serpeggia nella Chiesa uno scisma ormai non tanto sotterraneo che sta emergendo di giorno in giorno e bisogna stare attenti che non diventi movimento o peggio ancora separazione, anche perché molti vescovi stanno zitti, ma in cuor loro meditano e in privato imprecano. Non prenda a cuor leggero quello che le dico. Il mio vescovo, cardinale
Angelo Bagnasco, e anche lei che mi ha conosciuto bene, sapete che non dico bugie e non parlo mai per sentito dire e di ogni mia affermazione o gesto mi assumo sempre la responsabilità pubblica.
Per una volta, come Segretario di Stato, sia prete, solo prete, intimamente prete e disdica ogni appuntamento con un trafficante senza morale e senza dignità che la sta usando solo per affermare che i suoi rapporti con il Vaticano e con il Papa "sono eccellenti".
Le accludo la "
Lettera di ripudio" che ho inviato a Silvio Berlusconi, e che tante adesioni sta raccogliendo nel mondo credente e non credente. Se lei riabilita Berlusconi, come ha già fatto Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano con l’intervista al Corriere della Sera, nella Chiesa di Dio lei perde il diritto di parlare di Vangelo, etica e moralità.
Se Berlusconi riesce a comprare anche il Vaticano con uno scambio di leggi, favori e denaro, sappia che non potrà mai comprare le nostre coscienze di credenti che ogni giorno pregano Dio per la salvezza della "povera Italia" e per la conversione delle gerarchie ecclesiastiche che spesso sono di scandalo e non di esempio al popolo dei battezzati.
Preoccupato e amareggiato, la saluto sinceramente." Paolo Farinella, prete


COME ANTICIPATO UN PAIO DI ARTICOLI FA, TESTA D'ASFALTO GOVERNA IN ASSENZA DI OPPOSIZIONE: IL SOGNO DI VIDELA, PINOCHET, NORIEGA, SALAZAR, BATISTA, KIM IL SUN, NIXON. Le nostre affermazioni sono suffragate da fatti precisi e scritti: D'Alema e la soluzione un per cento

Massimo_D_Alema.jpg
Se il cane è il più fedele amico dell'uomo, D'Alema lo è, da sempre, dello psiconano. Da ogni punto di vista. Politico con la bicamerale. Giudiziario con il mantenimento del conflitto di interessi. Ed economico, con l'un per cento da corrispondere annualmente per la concessione governativa delle frequenze nazionali delle tre reti televisive di Mediaset. Il grande imprenditùr di Arcore paga allo Stato italiano per le concessioni solo l'un per cento del fatturato della sua azienda. Grazie a chi? A Massimo D'Alema, a quello che il burro lo porta lui. Alla sua legge 488 del 1999, pagina 32, articolo 27, comma 9. Testa d'Asfalto paga 24 milioni di euro all'anno allo Stato su un incasso di 2,4 miliardi. La famosa opposizione del menga del PDmenoelle. E NON FINISCE QUI'. IL BIS LO FA L'EX SEGRETARIO DEI DS, EX PDS, EX PCI, tutta una storia di ex: "Fassino, basta la parola!

Fassino_lodo_Alfano.jpg
Fassino ha quel viso un po' così che abbiamo noi quando ci danno un calcio nei coglioni. Un signore che farebbe la felicità dei pubblicitari di lassativi. Eppure ha una sua verve comica che induce al riso, alla sganasciata senza controllo. Il PDmenoelle ha regalato le televisioni allo psiconano, come ha dichiarato Violante in Parlamento, ma Fassino si batte per la libertà di stampa, "la stampa è una forma di controllo del potere". Per il lodo Alfano non si pronuncia, aspetta di vedere le motivazioni della Corte Costituzionale, poi deciderà sul da farsi. Il confetto Fassino dal dolce sapore di prugna regola l'organismo, basta la parola! Mentre GLI ALLEATI SCODINZOLANTI DI TESTA D'ASFALTO AFFILANO LE ARMI PER LA PROSSIMA GENUFLESSIA, all'interno del PDL tenta di uscire dal coma J.F. Fini, non accorgendosi DI AVER GIA' LIQUIDATO IL SUO PARTITO. Gli rimangono le querele allo SCAGNOZZO FELTRI, suo ex picchiatore. Che i sinistrati di sinistra avevano commesso danni da 10 anni a questa parte lo dice anche la NOSTRA SIGNORA FETISH GELMINI:

 

Bocciata. La riforma dell'università voluta dal ministro Luigi Berlinguer, che ha istituito le lauree 3+2 "non ha prodotto i risultati attesi". Lo sostiene il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini in un documento che è stato recapitato ai rettori degli atenei nei giorni scorsi. Come riportato da La Stampa, nella lettera il ministro sottolinea il calo del numero dei diplomati che si iscrivono all'università e sottolinea il "costante aumento" dei fuori corso, mentre un giovane su cinque abbandona alla fine del primo anno. Una situazione di grave difficoltà, alla quale si aggiunge un altro problema: "Sono invece fortemente aumentate - scrive Gelmini - le dimensioni dell'offerta formativa e i costi, anche a causa della proliferazione delle sedi decentrate, un numero estremamente levato e difficilmente sostenibile". Il ministro punta di nuovo il dito contro le sedi poco efficienti: "In oltre 70 sedi è attivo un solo corso, in 30 due. [...] Appare difficile sostenere che questo aumento costituisca una risposta efficiente alle esigenze di miglioramento dell'offerta e della sua attrattività. Sembra anzi che risponda a logiche interne degli atenei o di diffusione territoriale". Ad aumentare non sono solo le sedi, ma anche i docenti, cresciuti del 20 per cento in dieci anni, "pari a due volte e mezzo l'aumento delle immatricolazioni. Si è inoltre verificato - aggiunge il ministro - un sensibile aumento del numero dei professori a contratto, esterni ai ruoli universitari, cresciuti del 67%". Come rispondere a questa situazione? Il ministro Gelmini invoca "una partecipazione molto incisiva del sistema universitario statale agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica". Il che significa riduzione dei corsi di laurea e pieno utilizzo dei docenti. "I corsi con un numero di immatricolazioni inferiore ai valori minimi - ha ripetuto Gelmini - vanno disattivati". NEL FRATTEMPO, DA UNA PARTE TUTTI PARLANO CHE LA CRISI E' FINITA: "Disoccupazione, l'allarme dell'Ocse
'In Italia il peggio deve ancora venire'

La Fiat: incentivi o sarà un disastro .

L'Organizzazione dedica uno studio alle ricadute della crisi sull'occupazione. 15 milioni i senza lavoro nell'area. Nel nostro Paese erano 1,1 milioni nei primi tre mesi del 2009. Marchionne preoccupato chiede nuovi interventi. I conti del terzo trimestre in linea con le previsioni, confermati gli obiettivi per l'anno. Fiat, da sola con Chrysler, raggiungerà l'obiettivo di 5,5-6 milioni di vetture

Marchionne: "Rinnovare incentivi Altrimenti sarà un disastro"

FRANCOFORTE - "Spero che gli incentivi verranno rinnovati, altrimenti sarà un disastro". Lo ha dichiarato l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne al Salone dell'Auto di Francoforte. Marchionne ha sottolineato l'importanza degli incentivi per il mercato dell'automobile in Italia anche nel 2010 "per il bene del paese".

Fiat, da sola con Chrysler, raggiungerà l'obiettivo di 5,5-6 milioni di vetture, ha aggiunto. Il piano industriale di Chrysler sarà presentato a novembre: la ristrutturazione del gruppo americano è un processo lento ma sono attesi miglioramenti significativi nel 2010. Sul fronte Opel, "io ho chiuso totalmente", è stata la risposta di Marchionne ai cronisti.

Quanto ai conti, "I target del terzo trimestre sono in linea, alla virgola, con quanto previsto", ha dichiarato l'a. d. del Lingotto, che ha anche confermato gli obiettivi per l'intero 2009. Marchionne non ha voluto fornire indicazioni sull'andamento del mercato dell'auto italiano a settembre: "Non voglio portare jella", ha affermato scherzando.

DAI CINEGIORNALI GOEBBELSIANI LEGGIAMO: "La salma di Kim Il Silvio è stata composta e mummificata nella terza camera del Parlamento italiano, la camera ardente di Porta a Porta, alla presenza dell’imbalsamatore ufficiale Bruno Vespa. Le laboriose operazioni hanno richiesto quasi tre ore e mezza di diretta, mettendo in fuga gran parte del pubblico di Raiuno. Nemmeno la desertificazione dei programmi sulle altre reti per costringere la gente a guardare solo lui ha sortito l’effetto sperato. I più hanno preferito qualunque cosa, persino L’onore e il rispetto con Gabriel Garko su Canale5 e la trentesima replica di Dirty dancing su Italia1, pur di non assistere alla raccapricciante decomposizione e ricomposizione del premier. E dire che martedì la platea televisiva era particolarmente nutrita: 28 milioni di persone. Di queste, ben 16 milioni sono transitate per qualche istante su Porta a Porta (i famosi “contatti”), ma solo una media di 3,2 milioni si è fermata lì. Nulla ha potuto il poderoso traino di Affari tuoi, che ha lasciato all’insetto una dote del 25% di share. Il tempo della pausa pubblicitaria e, alle prime note di Via col vento, la comparsa dell’asfaltato capino presidenziale in penombra ha messo in fuga quasi la metà del pubblico di Raiuno verso altri lidi. Solo il 13,4% ha deciso di sorbirsi il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni che vanta il 68% di consensi. In proporzione, meno di un terzo degli elettori della sua coalizione ha deciso di starlo a sentire: magari lo votano, ma non lo vogliono nemmeno vedere.

La fuga di telespettatori è proseguita incessante per tutta la serata (senza contare quelli che, essendosi addormentati, non son riusciti a cambiare canale): dopo il primo spot, gli iniziali 4 milioni si erano già ridotti a 2,5, con qualche successiva risalita fino a 3. Un’emorragia inesorabile che nemmeno il ritorno del pubblico alla fine delle partite, dei film e delle fiction è riuscito a compensare. Solo i quattro cosiddetti giornalisti presenti sul luogo del disastro (specialmente l’eroico Sansonetti) hanno totalizzato ascolti inferiori alla mummia del premier, con le loro domande persino più mortifere delle risposte. Naturalmente, se Kim Il Silvio piange, Mediaset ride: grazie a Porta a Porta e alla cancellazione di Ballarò, la prima serata è stata vinta da Canale5 e Italia1 (e per non far vincere pure Rete4, si è dovuta riesumare una boiata pazzesca come Selvaggi dei fratelli Vanzina).

E dire che il pover’ometto, nonostante i maggiordomi che lo assediavano, le ha provate tutte per bucare ancora una volta il video, come ai bei tempi, quando il grande comunicatore era ancora in vita. Il “sopralluogo” con insetto al seguito fra le betoniere e le gru del “più grande cantiere del mondo” è destinato a entrare nella storia della tv subito dopo i fratelli De Rege. La scena del premier che scopre l’edilizia antisismica e la illustra al mondo come una sua invenzione è meglio del Sarchiapone. Quando poi s’introduce nello chalet pagato dalla Provincia di Trento, se ne appropria e comincia a spalancare le antine della cucina componibile e l’armadio della camera da letto spiegandone l’uso ai terremotati, supera la Cuccarini nelle televendite della Scavolini, la più amata dagli italiani. E ancora :“Presto manderemo batterie di pentole, piatti, posate e bicchieri”, evidente omaggio a Vanna Marchi (che però in questi casi aggiungeva “cinque pentole antiaderenti a gratisss, siori e siore!”). La pronuncia “niu tauns” ricordava il miglior Arbore che pluralizzava tutto, anche i “tams tams”. Notevole anche il “ma quali casette in legno! Queste sono vere e proprie ville nelle quali tutti noi vorremmo abitare”: soprattutto chi ha la fortuna di averne sette in Costa Smeralda, due in Brianza, una sul lago di Como, una a Portofino, una alle Bermuda e un’altra ad Antigua.

Ma il top, pressochè inarrivabile, Kim Il Silvio l’ha toccato con l’annuncio: “Useremo il know how unico al mondo maturato con queste case, per costruire nuove carceri”. Qui l’audience, agonizzante nel resto del Paese, ha avuto un picco improvviso nei penitenziari. La promessa di nuove carceri prefabbricate in legno ha suscitato grande interesse presso i detenuti di oggi e di domani. Gli amici si vedono nel momento del bisogno.

"Caro giornalista italiano,
sei come gli scarafaggi che sono sopravvissuti a tutto, che esistevano prima dell'uomo e dei dinosauri e che esisteranno anche dopo la nostra scomparsa. Le ere glaciali e la caduta dei meteoriti non li hanno distrutti. Hai digerito Forlani, Andreotti, Craxi e digerirai Berlusconi e ogni altro padrone che servirai. La
Metamorfosi di Kafka è il tuo libro di riferimento, con Gregor Samsa che si trasforma da impiegato in insetto ripugnante. Altri aspirano a diventare farfalle da bruchi che sono, tu, più modestamente, uno scarafaggio. E ci riesci quasi sempre. Le eccezioni sono così rare da confermare la regola.
Lo psiconano ci sta lasciando, ieri in Duomo a Milano
pregava per sé, non per Mike. Tu sei già pronto a scaldare i motori. Sei in pole position come Ferrara o più attardato come Minzolini e Belpietro, in libera uscita come Mentana o a contare le margherite come Giordano. Aspetti il prossimo padrone. Non sei di destra o sinistra. Queste definizioni non ti si addicono. Potrebbero pregiudicarti un futuro impiego. Un salto della quaglia. Oggi qui, domani lì. Ieri Lotta Continua, oggi P2, domani chissà. E' la forza della penna sul libretto degli assegni.
Sei riuscito a fare dieci domande dopo venti anni a Berlusconi: quelle sbagliate. Quelle innocue che non possono coinvolgere i tuoi padroni, i tuoi azionisti di riferimento, i Veltroni e i D'Alema. Le domande su Dell'Utri e su Gelli, sulla mafia e sulla P2 le hai tenute di riserva. Sei stato capace di ignorare il conflitto di interessi dello psiconano fino a quando è arrivato il tuo turno di farne le spese. Per te Grillo è
peggio di Mussolini, di Craxi, di Berlusconi e De Benedetti, il distruttore della Olivetti, un grande imprenditore. Tu servi il tuo padrone, non il tuo lettore. In fondo è lui che ti sceglie, che ti paga con i finanziamenti pubblici che gli regala lo Stato.
I soldi disponibili per scrivere le tue menzogne, semi menzogne, quasi verità quotidiane sono sempre meno. La pubblicità è diminuita del 40%, senza le nostre tasse saresti tra i disoccupati. Sei un informatore assistito, un conflitto di interessi permanente. Come puoi criticare Tremorti che finanzia il tuo giornale o il pregiudicato
Scaroni dell'ENI e il tronchetto delle infelicità che pubblicano pagine di pubblicità? I giornali per cui scrivi sono un retaggio del passato, come le carrozze a cavalli. La Rete ti sta scavando la fossa. Per questo la attacchi ogni volta che puoi. In Rete il tuo editore è il lettore. Quanti lettori avrebbe Scalfari in Rete? Un numero a piacere da uno a cento. In Rete i programmi televisivi più visti sono Report e Anno Zero, quelli che la nuova dirigenza RAI vuole chiudere. Vuol dire che riapriranno solo in Rete...
Il
V2Day sulla Libera Informazione che chiedeva, tra l'altro, l'abolizione della legge Gasparri fu boicottato, deriso da ogni giornale. Dall'Unità a Libero, dalla Repubblica al Corriere della Sera. Ora è in programmazione, sui grandi schermi dell'informazione italiana, una giornata di protesta il 19 settembre a Roma per la libertà di stampa. In realtà, come sempre, tu pensi a una sola cosa, a come salvare il culo con il portafoglio dentro." Beppe Grillo


 

 

ALL'INIZIO DI QUESTO PERIODO ESTIVO,siamo nel 2009, AVEVAMO PARLATO DEI 5 PROBLEMINI DI TESTA D'ASFALTO:"IL PRIMO E' IL LODO ALFANO-SCHIFANI. QUESTA PSEUDO LEGGE E' AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE: PER RENDERLA LECITA DEVE CORROMPERE I GIUDICI DELLA SUDDETTA CORTE. IL SECONDO E' IL DIVORZIO: L'EX MOGLIE VUOLE UNA MONTAGNA DI SOLDI. IL TERZO SONO LE PUTTANE D'ALTO BORDO CHE HA PAGATO: NON SI SONO ACCONTENTATE E VOGLIONO DECISAMENTE DI PIU'. IL QUARTO SONO I DANARI CHE DEVE A LOMBARDI, DELL'MPA, PER NON CREARE UNA OPPOSIZIONE INTERNA AL SUO INVOLUCRO ASIATICO. IL QUINTO E' IL RISARCIMENTO CHE DEVE A DE BENEDETTI PER IL FURTO DELLA MONDADORI DEL 1990, BEN UN MILIARDO DI EURO. Le cose si sono allargate nel frattempo: abbiamo la dirittura d'arrivo dell'inchiestina MEDIATRADE, il solito rigonfiaggio dei prezzi fatto da società occulte estere berlusconiane allo scopo di intascarsi "la cresta" in nero IN CONTI OCCULTI ESTERI OVVIAMENTE...L'affare Mediatrade si spacca in due trance: da una parte quella che dagli anni novanta si sposta fino al 2001, dall'altra quella che dal 2001 si spinge fino ai nostri giorni. Infine arriviamo a PALERMO: quì CIANCIMINO JUNIOR sta parlando, con lettere alla mano, dei legami di PROVENZANO CON TESTA D'ASFALTO...

il killer della televisione italiana annuncia alla Nazione alcune buone notizie.

La prima è che non siamo ancora tecnicamente una dittatura perché “un dittatore di solito prima attua la censura e poi chiude i giornali” e lui s’è fermato per ora al primo punto del programma: i giornali, bontà sua, non li ha ancora chiusi. Anzi, “in questi giorni in Italia si è dimostrato che c'è stata la libertà di mistificare, calunniare e diffamare”, come dimostra il Giornale. Che naturalmente non è suo, ma del fratello Paolo: lui ne è soltanto l’utilizzatore finale.

La seconda è che le Procure di Milano e di Palermo “cospirano contro di noi. Ora, che in questo povero paese ci sia ancora qualcuno che cospira contro il padrone di tutto, mentre la cosiddetta opposizione se ne guarda bene, è una notizia che induce all’ottimismo. Ormai si disperava che potesse ancora accadere. Si spera soltanto che sia tutto vero. Certamente Silvio Berlusconi è persona informata sui fatti e, se lo dice lui, bisogna credergli. Lui sa, per esempio, che la Procura di Milano sta chiudendo non una cospirazione,
ma un’indagine giudiziaria che lo vede indagato dall’aprile del 2007 per appropriazione indebita (con conseguente evasione fiscale) insieme al presidente Mediaset Fedele Confalonieri e ad altre sette persone. L’indagine, di cui lui e i suoi legali hanno ricevuto copia della richiesta di proroga nell’ottobre del 2007 e che è “scaduta” alla vigilia delle ferie, è uno stralcio del processo che vede imputati Berlusconi e altri dinanzi al Tribunale di Milano per le “creste” sugli acquisti di diritti televisivi e cinematografici in America da parte di una miriade di società offshore del gruppo Fininvest-Mediaset. In quel processo (congelato dal lodo Alfano in attesa che dal 6 ottobre la Consulta si pronunci sulla costituzionalità o meno del Salva-Silvio) il premier è imputato per appropriazioni indebite da 276 milioni di dollari, evasioni fiscali per 120 miliardi di lire fino al 1999 e relativi falsi in bilancio.

L’inchiesta-stralcio che sta per chiudersi, invece, riguarda l’accusa - come ha scritto Luigi Ferrarella sul Corriere il 25 giugno scorso - di avere “mascherato la formazione di ingenti fondi neri” dirottati dalle casse Fininvest-Mediaset su “conti esteri gestiti dai suoi fiduciari”. Il tutto attraverso la solita compravendita di diritti sui film, negoziati - secondo l’accusa - a prezzi gonfiati con operazioni fittizie tra agenti (fra i quali il produttore egizian-americano Frank Agrama e l’italiano Daniele Lorenzano) e società riconducibili a Berlusconi ma occultate ai bilanci consolidati del gruppo. Un replay della vicenda già approdata in Tribunale, solo che quella si riverbera sui bilanci del gruppo fino al 2001, mentre questa si spinge anche negli anni successivi per via dell’ammortamento pluriennale dei diritti tv.
Qui il Cavaliere è indagato per appropriazione indebita a proposito di 100 milioni di euro nascosti in Svizzera e lì sequestrati dai giudici milanesi nell’ottobre del 2005: un tesoretto occulto intestato al produttore Agrama sui conti di una sua società con sede a Hong Kong, la Wiltshire Trading. Secondo l’accusa, quei soldi non sarebbero di Agrama, ma di Berlusconi del quale il produttore non sarebbe altro che un prestanome o un “socio occulto”. L’inchiesta-stralcio prende nome da Mediatrade, cioè dalla società berlusconiana che dal 1999 è subentrata alla maltese Ims per l’acquisto dei diritti tv, e riguarda una serie di conti esteri dai nomi variopinti (“Trattino”, “Teleologico”, “Litoraneo”, “Sorsio”, “Pache” e “Clock”). Il Cavaliere sa bene che, scaduti in estate i termini per indagare, la Procura sta per depositare alle difese “l’avviso di conclusione delle indagini e deposito degli atti”: una mossa che, in mancanza di una richiesta di archiviazione, prelude alla richieste di rinvio a giudizio che lo trasformeranno da indagato a imputato.

Poi c’è Palermo. Qui il presidente del Consiglio ha voluto essere più preciso: “E' una follia che ci siano frammenti di Procura che da Palermo a Milano guardano ancora a fatti del '92, del '93, del '94”. In realtà non c’è niente di folle a indagare sulle stragi politico-mafiose che hanno insanguinato l’Italia fra il 1992 e il 1993. L’unica follia è che, a 17 anni dalle bombe di Palermo, Milano, Roma e Firenze, non se ne siano ancora smascherati e ingabbiati i mandanti occulti, nonché gli autori e gli ispiratori delle trattative fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Ora le indagini paiono a buon punto, grazie alle rivelazioni di persone molto informate sui fatti, come il mafioso pentito Gaspare Spatuzza (dinanzi alle procure di Caltanissetta, Firenze, Milano e Palermo) e il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino. L’altro giorno, su Libero, Gianluigi Nuzzi parlava di importanti acquisizioni da parte di Ilda Boccassini, che indaga sulla strage di via Palestro del 27 luglio 1993, e della possibile riapertura del filone investigativo che aveva portato all’iscrizione di Marcello Dell’Utri (ma anche di Silvio Berlusconi) per concorso in strage.

Intanto, la prossima settimana, riparte per il rush finale davanti alla Corte d’appello di Palermo il processo di secondo grado a carico di Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: la Corte dovrà decidere se ammettere nel fascicolo processuale la lettera che - secondo Ciancimino jr. - Provenzano inviò a Berlusconi tramite Vito Ciancimino e Dell’Utri nei primi mesi del 1994, in cui prometteva appoggi politici in cambio della disponibilità di una rete televisiva, e in caso contrario minacciava un “triste evento” (forse il sequestro o l’uccisione di Piersilvio Berlusconi). Una possibile prova regina del ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e Berlusconi svolto per decenni da Dell’Utri, rimasta finora nei cassetti della Procura grazie alla “distrazione” dei suoi vecchi dirigenti, ora fortunatamente sostituiti da gente più sveglia.

Nulla di segreto: tutto noto e stranoto, almeno nelle segrete stanze (giornali e telegiornali non si occupano di certe quisquilie). Noto, soprattutto, al Cavaliere. Il quale ha deciso di giocare d’anticipo. Così quando gli atti di Mediatrade saranno depositati a Milano e quelli di Palermo saranno acquisiti al processo Dell’Utri, lui potrà dire: ve l’avevo detto che stavano cospirando. Quella di oggi è un’esternazione preventiva. A orologeria.

 

 

Nei nostri articoli appena citati diciamo: almeno dalla metà degli anni '70; ma se consideriamo come insieme coerente tutta l'epoca dell'imperialismo moderno, quello individuato da Hobson, da Hilferding e trattato da Lenin nel suo "saggio popolare" (effetti del capitale finanziario), dobbiamo risalire alla grande crisi del 1907, che segna lo spartiacque fra l'epoca d'oro del capitalismo e l'epoca dannata delle due guerre mondiali, della Grande Depressione e dei tentativi per ossigenare il comatoso ciclo di valorizzazione del capitale. La crisi del 1907 ha alcune notevoli analogie con quella attuale, ma anche una differenza sostanziale: era la prima volta che un movimento massiccio di capitale finanziario provocava il collasso del credito in quanto sistema. Tutte le crisi successive sono avvenute in un mondo che aveva già sperimentato metodi per salvarsi o che era già piombato in catastrofici aggiustamenti come quelli dovuti alle guerre mondiali. Quindi un mondo che aveva visto ad ogni nuova occasione attenuarsi gli effetti delle ricette escogitate in precedenza.

Nel 1907, al culmine di uno sviluppo relativamente pacifico del capitalismo, esplose una crisi di portata mondiale. Il capitale americano e quello tedesco stavano subentrando a quello inglese e francese proprio mentre altri protagonisti come Italia, Russia e Giappone accumulavano velocemente alimentando l'eccedenza di merci e perciò di capitali. L'elevarsi del livello di vita nei paesi interessati dall'andamento positivo provocava l'aumento della richiesta di merci, che si rifletteva sull'importazione di materie prime da tutto il mondo e, per quelle tessili e alimentari, specialmente da Argentina, Australia, Brasile, Austria-Ungheria, paesi che già possedevano eccedenze commerciali. Come in tutte le crisi di sovrapproduzione, ad un certo punto l'impossibilità di reimmettere nel ciclo produttivo l'eccedenza di capitali, provocò il consueto tentativo di trarre valore dalla circolazione e la crisi prese subito l'apparenza "finanziaria". Ma siccome il commercio e il movimento dei capitali si erano internazionalizzati come non mai, la crisi fu per la prima volta mondiale, con epicentro negli Stati Uniti, il paese più attraente per i capitali dal punto di vista della dinamica bancaria.

Il fatto che l'eccedenza di capitali avesse ingigantito il potere delle banche private nei confronti di quelle centrali, e che le banche stesse avessero varato operazioni di finanza "innovativa" a livello internazionale, fece esplodere la psicosi della speculazione. In effetti il capitale era davvero diventato altamente speculativo, grazie al fatto di potersi spostare in quote crescenti ai quattro angoli del mondo, anche in seguito all'estensione della rete di telegrafia e alla posa dei cavi sottomarini.

L'apparente successo della "creazione" di valore dalla circolazione del denaro alimentò la circolazione stessa inducendo una proliferazione di titoli di ogni genere, anche se in maggior parte ancora basati sui valori azionari. Il "valore" borsistico delle aziende diventò un multiplo di quello reale in virtù degli "investimenti" facilitati dal denaro prestato dalle banche, le quali contribuivano a surriscaldare il mercato proprio con i guadagni sulla gran quantità di denaro prestato. Alcune banche europee più esposte di altre incominciarono con cautela a rientrare dei capitali prestati, e quando l'operazione divenne di dominio pubblico si scatenarono il panico e la conseguente corsa agli sportelli, per cui fallirono alcune fra le maggiori banche degli Stati Uniti. La risposta alla crisi finanziaria fu di tipo protezionistico e ovviamente non fece che precipitare la situazione.

Gli Stati Uniti erano diventati l'epicentro naturale della crisi in corso a causa della loro crescita sostenuta . Ai paesi imperialistici in declino, specie l'Inghilterra, non sembrava vero che vi fosse sfogo per i loro capitali pletorici. Le banche americane non solo erano totalmente libere di agire, ma facevano parte di colossi industrial-finanziari, i quali si ingigantivano per virtù del loro stesso potere monopolistico. Paradossalmente fu proprio la Banca d'Inghilterra, resasi conto che stava addirittura finanziando il tramonto della propria egemonia finanziaria, a interrompere il flusso di capitali, suscitando la catastrofica emulazione degli altri paesi imperialisti europei.

La conseguenza del crollo finanziario degli Stati Uniti, la crisi economica e l'accresciuto protezionismo provocarono una drastica diminuzione delle esportazioni di merci europee in America, tanto che alcune delle maggiori industrie del vecchio continente (compresa ad esempio la Fiat) si trovarono sull'orlo del fallimento e furono salvate da cordate bancarie. Anche nel 1907, come succederà poi nel 1929 e nel 2008, la crisi prese dunque, e dappertutto, l'apparenza di crack finanziario incentrato sulle banche e sul traffico di titoli emessi in relazione ad attività speculative poco chiare. La finanza fu considerata responsabile della crisi industriale (dell'economia reale come si dice oggi, come se ne esistesse una "irreale"), ma in realtà l'esuberanza di capitali che si dirigevano in America, e di qui in buona parte dei paesi in grado di assorbirli, era già il frutto di una sovrapproduzione di merci (non c'è mai pletora di capitali senza pletora di merci). La crisi del 1907 portò alla produzione in massa di armamenti e fu la premessa economica alla Prima Guerra Mondiale.

Perdere l'Afghanistan , l’Asia Centrale e forza lavoro

 

Mentre si celebra il sospetto risultato di elezioni più che altro simboliche, lo scontro militare sta producendo il più alto numero di caduti della coalizione occidentale da quando è incominciata la guerra nel 2001. Nel frattempo la guerriglia si è normalizzata e le complesse componenti tribali e internazionali che per convenzione vengono chiamate "Talibani" si sono coordinate dilagando in Pakistan. Cresce in Occidente il timore di una "disfatta strategica" (The Economist). L'esercito di occupazione non può ormai andarsene, ma ha difficoltà a restare, a meno di non intensificare una guerra che però già destabilizza i rapporti fra le potenze che hanno interessi nell'area. Con un corollario importante: dopo i 3.000 miliardi di dollari spesi per la guerra irachena, non ci sono più soldi per un'altra guerra che si preannuncia più dura e lunga, in un territorio che ha già visto l'umiliazione dell'esercito inglese nell'800 e di quello sovietico nel '900. Con la liberazione delle colonie portoghesi si consideravano poi definitivamente terminate le funzioni rivoluzionarie delle "questioni nazionali". Da allora quelle non risolte - e irrisolvibili fino a quando durerà il capitalismo - vengono utilizzate dalle borghesie antagoniste come teste di ponte all'interno di aree storicamente determinate. Un esempio di nazionalismo crescente è quello dell'area turcofona che va dall'Anatolia allo Xinjiang (Turkestan Orientale, Cina) attraversando tutta l'Asia. Ankara, ponte fra l'Europa e l'Asia, coltiva questo nazionalismo, Cina e Russia l'avversano, mentre gli Stati Uniti appoggiano solo quello dello Xinjiang in funzione anticinese. Fatalmente attratti dalle forze geostoriche centripete che puntano sull'Asia centrale in un intreccio di azioni e reazioni ormai inestricabile, i maggiori paesi imperialisti "fumano come turchi" accendendo zolfanelli seduti su una polveriera. Un’altra polveriera è quella della sovra-produzione. Nonostante le fanfare ufficiali suonino ottimistiche partiture, i tentativi di rianimare il capitalismo malato con medicine stataliste scadute sembrano inutili. E' ovvio: la forza produttiva sociale cresce più velocemente della capacità del sistema di assorbire l'enorme quantità di merci potenzialmente producibili. E' la formula inesorabile della morte del capitalismo. Per adesso sono state escogitate due nuove ricette asiatiche: a Shanghai è stata abolita la legge del figlio unico per forzare la riproduzione della forza-lavoro; in Giappone è stato proposto di sottodimensionare la potente macchina produttiva che, secondo stime del governo, impiega sei milioni di uomini in eccesso. Su sei miliardi e mezzo di esseri umani, i salariati sono 1,3 miliardi. Anche molto al di sotto dei criteri giapponesi, una massa enorme sarà "liberata" dal lavoro nel mondo. Ma non ancora dalla necessità del salario. Sarà una bomba sociale.

“Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne [...] Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di esser disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede?”(1844)

Forzare, sottodimensionare, scorporare, incorporare, tutte terminologie usate anche nelle stime dell’OCSE che si spertica in previsioni meravigliose, in un RALLENTAMENTO DELLA CRISI. Non si capisce molto bene cosa significhi RALLENTAMENTO: è come quando la corazzata Bismark affondata, cadeva pesantemente sul suolo sottomarino, ma sempre sott’acqua…..anche la corazzata ad un certo punto rallentò la sua corsa…..

 

        Che Berlusconi non sia uno stinco di santo lo sanno tutti, a partire dai suoi zerbini che lo santificano un giorno sì e l'altro pure. Perciò lo squisito intrattenimento esquimese per gli ospiti nei suoi palazzi e ville non ha affatto colpito gli ipocriti cristianucci. Anche i laici nemici del cavaliere se ne fregano delle belle escort: le usano come artiglieria nella consueta guerra tra fazioni borghesi. Il puritanesimo anglosassone sembra invece aver preso sul serio la "questione morale"ed ha amplificato a livello planetario le velleità glandolari del premier. Questi barbarici ficcanaso non potranno mai capire l'ineffabile decadenza che ci deriva da ventisette secoli dicivilization. Prendete ad esempio la Chiesa, che è parte integrante di questa civiltà per gli ultimi venti secoli: essa lascia tette e chiappe ai vari Financial Times limitandosi cautamente e saggiamente a "chiedere chiarezza". Sta certamente calcolando i pro e i contro dei sotterranei movimenti di truppe. E volete che la sua millenaria esperienza non le suggerisca qualcosa dopo gli accordi del governo con Putin e Gheddafi? Il cosiddetto gossip potrebbe profumare non di donna ma di petrolio. Il petrolio come panacea di tutti i mali del mondo, anche della prossima islamizzazione dell’Europa ex cristiana. Con un barile di petrolio la Chiesa sposa anche una graduale metamorfosi del vecchio continente: ciò che non riusci’ agli arabi nel 732 , ai turchi ottomani nel 1683 ed ai sovietici nella guerra fredda, sta riuscendo ai poderosi flussi migratori imposti dalla desertificazione e dalla globalizzazione economica, con il potere temporale dei Papi indaffarato ad intessere una rete materiale di scambi con il mondo dei califfi petroliferi allo scopo di diventare un agente privilegiato in un futuro continente trasformato. Così già oggi, volendo, qualche tratto in comune fra Gheddafi e Berlusconi lo si può trovare. Infatti il recente incontro ufficiale sembrava a un reality show, comprese le bizze di prammatica. Sull'immigrazione si è assicurato il popolo che saranno regolati i flussi (già 5 miliardi di dollari furono versati dal Governo Italiano alla Libia nell’agosto 2008….), subito è scattata l'ira contestataria. Solo che i giovani ondivaghi non si sono accorti che il colonnello stava dicendo quello che essi stessi dicono quando manifestano in veste di no-global anti-americani. Tranquilli: continueranno gli "accordi"; gas e petrolio fluiranno; uomini, donne e bambini disperati continueranno ad arrivare o a morire in fondo al mare e nei nuovi campi di concentramento; giovani movimentisti si indigneranno lanciando slogan truculenti contro l'imperialismo. Nel frattempo l’ultimo bastione dell’imperialismo wasp cerca di dimenarsi come può di fronte al suo fiato cortissimo, a quanto pare non è bastato imbastardirsi razzialmente per slanciarsi in avanti: la General Motors è fallita, nazionalizzata e risorta. Il salvataggio della più grossa fabbrica del mondo è costato 100 miliardi di dollari. Un'altra ipoteca sul plusvalore che verrà dallo sfruttamento globalizzato. Oltre ai miliardi per altre operazioni mirate e agli 800 del piano anti-crisi. Quattromila miliardi in tutto l'Occidente, calcola The Economist. I principali istituti finanziari saranno sottoposti all'autorità della FED, che controllerà anche le agenzie di rating e gli investimenti nei fondi chiusi e affini. I giornali scrivono: è dal 1929 che non si vedevano simili piani di intervento statale. Sorgono tendopoli di sfrattati e disoccupati nelle periferie delle maggiori città americane. Si moltiplicano le code per la minestra pubblica. Ma quello con il 1929 è un paragone debole: oggi, a differenza di allora, tutto è già stato escogitato. Infatti non si sta facendo nient'altro che iniettare denaro fittizio dove ce n'è già troppo. E il controllo dello Stato, cioè il fascismo, non ha più effetto. Mentre ha effetto, eccome, l'immobilità del proletariato. Qualche sinistro s'è poi accorto che gli americani sfruttano la rivolta iraniana. Geniale intuizione. Spuntano sempre più numerosi i distinguo, i paralleli con le "rivoluzioni arancione" appoggiate dalla CIA (magari in Ucraina o in Ossetia avvoltolate agli oleodotti che dovevano attraversare la satellite Georgia annessa alla NATO….). C'è chi fa notare l'anti-americanismo e anti-sionismo di Ahmadinejad ricordando che la "rivoluzione komeinista" ha spiazzato le mire imperialistiche di Washington. E che dopo tutto chi si sta rivoltando è la classe media, mentre il proletariato e il contadiname stanno dalla parte del governo, medioevale ma riformatore. L'interpretazione politicantesca trionfa, le spinte materiali che fanno esplodere una rivolta urbana, moderna, sono ignorate. Con la socializzazione estrema della produzione non ha più senso dividere la sfera produttiva da quella improduttiva, perché ogni cosa è integrata alla produzione di valore. Ad esempio è difficile isolare i flussi di informazione pericolosi da quelli considerati innocui o addirittura essenziali, come le transazioni via Internet Business to Business. Se ne è accorta la sbirraglia iraniana che, nel caos sopraggiunto dopo la farsa elettorale, ha tentato di bloccare i flussi di contro-informazione. Tentativo non riuscito, visto che il black-out totale della rete, unico modo per fermare le centinaia di blog e affini, avrebbe significato congelare il sistema produttivo dell'intero paese. Integrati e connessi allo scopo di ritardare il crollo….Tremorti ha una strategia precisa per uscire dalla crisi. Far finta di niente e sperare in Dio. Le sue misure per affrontare la recessione hanno sempre la stessa musica: "No tengo dinero". Il suo obiettivo ora è di scollinare l'estate. Ma: "Settembre poi verrà ma senza sole e forse un altro amore (Draghi,ndr) nascerà...".La pubblicità dovrebbe servire per vendere. In Italia da vent'anni serve per comprare. E' un meccanismo semplice e contorto. Tre frequenze nazionali su quattro sono assegnate da tempo immemore a un privato cittadino. Il soggetto in questione è lo psiconano che gode delle concessioni di Stato a condizioni agevolate. Molto agevolate. Per usarle paga l'uno per cento del fatturato. E' come dare in concessione un nostro appartamento a qualcuno e accontentarsi dell'uno per cento dell'affitto che ne ricava. Solo uno squlibrato o una persona che vuole ottenere altre contropartite lo farebbe. Il Governo D’Alema nel 1999 lo ha fatto, con una legge ad hoc (pag. 32: legge 488, art.27 comma 9, del 23 dicembre 1999).
Il flusso di denaro ottenuto attraverso Publitalia è stato immenso. Da Publitalia è derivata Forza Italia. Una creatura politica pubblicitaria. Che si è sviluppata con le tecniche di persuasione e di marketing della pubblicità. Un partito azienda nato per salvare l'azienda e, quindi, mantenere e aumentare il flusso pubblicitario. Anni fa fu predetto che l'Italia del futuro sarebbe stata plasmata dalle televisioni e non dai partiti e dalle ideologie. L'Italia di oggi è invece figlia della pubblicità. Dei suoi meccanismi. La pubblicità al potere.
Lo psiconano invita a non fare pubblicità sui media catastrofisti. E' come se dicesse di fare pubblicità solo sui media ottimisti che negano la verità economica. In sostanza: i suoi. E' un piazzista della pubblicità in un momento di crollo della pubblicità. Le imprese controllate dallo Stato come l'ENI, le Ferrovie dello Stato, l'ENEL pagano fior di capitali in pubblicità. Quale investimento migliore, dal punto di vista politico, di Mediaset, la televisione commerciale del Presidente del Consiglio? E' un meccanismo straordinario. Soldi di imprese pubbliche finanziano una televisione commerciale che sfrutta frequenze pubbliche pagandole a prezzi di saldo. Soldi che hanno consentito e consentono, la permanenza al Governo del padrone di quelle televisioni.
I soldi della pubblicità controllano la politica, l'informazione, producono l'omologazione di massa. Avviene in modo indiretto, per questo non ce ne rendiamo conto. Il punto di forza di questo sistema marcio fino all'impensabile è la pubblicità, usata come merce di scambio e di potere. Un riciclaggio di favori, un pizzo legale e cercato. Non estorto, ma, anzi, offerto. Una Repubblica Pubblicitaria non poteva finire che con lo spot becero e triviale che si svolge sotto gli occhi di un mondo sbalordito. Si parla di ASSENZA DI OPPOSIZIONE: "PDmenoelle è in mano agli alleati dello psiconano, quelli che gli hanno permesso di trasformarsi nella più grande metastasi della democrazia mondiale. D'Alema, Fassino, Veltroni, Rutelli, Bassolino, Napolitano sono stati, e sono, organici al PDL. Franceschini, il vice disastro secondo il nuovo sindaco di Firenze, è una comparsa della politica, UN UFFICIALE LIQUIDATORE PROBABILMENTE SPEDITO DALL'UNIPOL.
La proposta per l'impeachment dello psiconano di Antonio Di Pietro non ha raccolto una sola firma dai tremuli deputati tuoi colleghi di partito DEL CAZZO ( in riferimento a Deborah Serrachiani in polemica con Beppe Grillo....).
Berlusconi, la P2, il conflitto di interessi, la scomparsa dell'informazione sono figli legittimi dell'assenza di una vera opposizione. PDL e PDmenoelle sono due facce della stessa moneta. Del Turco, Bassolino e Carra valgono i loro pari nel PDL. Si dice che la politica del PDmenoelle sia frutto di incapacità, di confusione. Io non lo credo. PDL e PDmenoelle sono organici, due gemelli siamesi che, se separati, morirebbero entrambi. Berlusconi è fonte di sopravvivenza per "i vertici", senza di lui non esisterebbero. La dimostrazione è Violante, che gli garantì il controllo delle televisioni e se vantò in Parlamento. D'Alema che lo sdoganò per costruire, insieme a un uomo del genere, la Bicamerale per le pseudo riforme costituzionali del cazzo. Veltroni che, appena nominato segretario, discusse con lo psiconano la nuova legge elettorale e avviò (lui, non Mastella) la crisi del governo Prodi, PERCHE' IL PD E' UN PARTITO A VOCAZIONE MAGGIORITARIA, detto da un coglione che ha fatto fallire l'Unità, ha fatto fallire il Comune di Roma ed in un anno di opposizione ha perso due regioni, Abruzzi e Sardegna, ed il suo partito ha perso 10 punti percentuali in PIENA CRISI ECONOMICA !!!!.....
Questa è la casa dove vivi, cara Debora. Sei come una missionaria o una suora di clausura che vive in un bordello. Sei stata eletta con le preferenze, tante preferenze. Ma "i vertici" del tuo partito non sarebbero più in Parlamento se ci fossero le preferenze anche per le poltiche. Le stesse che chiedo di reintrodurre da tre anni. Senza preferenze tu non esisteresti. Con le preferenze "i vertici" andrebbero a zappare la terra o a scrivere libri per la

In Italia quarantunomila ultras, la maggior parte di estrema destra

In Italia quarantunomila ultras, la maggior parte di estrema destra
La curva dei tifosi interisti



Interessante soprattutto il dato sulla 'colorazione politica' delle curve. E' l'estrema destra la più diffusa negli stadi. Dall'ultimo censimento effettuato ad agosto scorso, "risultano attivi 388 gruppi ultras, composti da 41.120 supporters -spiega Ambra- Di questi 388 sodalizi, 45 sono di estrema destra, 15 di estrema sinistra e 9 'misti', perchè al proprio interno comprendono sia elementi di estrema destra sia gruppi di estrema sinistra".

Dei gruppi di estrema destra  "17 sono in serie A, 18 in serie B, 6 in Lega Pro-prima divisione e 4 in seconda divisione". I 15 di estrema sinistra sono così distribuiti: "3 in serie A, 4 in serie B, 5 in Lega Pro-Prima divisione e 3 in Lega Pro-seconda divisione". Mentre nei 'misti' la radiografia ne mostra "5 in serie A, 3 in serie B e uno in Lega Pro-Prima divisione". Tra i gruppi misti, "convivono diverse anime. Si possono trovare simpatizzanti
 

di destra e sinistra nello stesso pulmann per le trasferte o nell'organizzazione delle coreografie. A riprova del fatto che la fede calcistica, in alcuni casi, è più forte dell'appartenenza politica". A Genova ad esempio, "c'è il '5 Rosso', a Torino per i Granata 'Stendardi' o Weiss Schwarz Brigaden per il Cesena".

La regione che ha più gruppi è la Lombardia, ben 56 sodalizi. A seguire la Campania con 50; Liguria e Toscana ne hanno 42, mentre il Piemonte ne conta 32. Ce ne sono 29 inoltre in Sicilia e 24 in Veneto. Nello scorso campionato, spiega ancora il vice questore aggiunto Ucigos, "si sono sciolti 30 gruppi, a fronte di 22 che si sono creati ex novo". Tra le cause della 'scissione', la fa da padrone "in 14 casi, il venir meno degli aderenti. In 7 casi si sono disgregati per conflittualità interna, in 3 casi per protesta al programma della tessera del tifoso. E in altri 3 casi a seguito di attività repressiva. In un solo caso si è registrata una fusione tra club".

Da considerare anche alcuni dati sulla disponibilità al dialogo di questi gruppi con le forze dell'ordine: se "43 gruppi non accettano dialogo, ve ne sono invece 138 che hanno un'altra predisposizione" e perciò più inclini alla mediazione. Nella scorsa stagione calcistica, si evince ancora dai dati Ucigos, per violazione della Legge Mancino sono state arrestate 3 persone, 15 le persone denunciate. "Le tifoserie che più si sono messe in evidenza per questi aspetti -sottolinea Ambra- sono quella della Lazio, con 8 episodi, seguiti dalle tifoserie di Juventus (3 casi) e Roma (2 casi)".

Sono stati "18 gli episodi di cori razzisti. La quasi totalità si è concretizzata con il 'buuu', il verso scimmiesco all'indirizzo dei calciatori di colore. La nostra attività è mirata alla prevenzione. Per l'80% è quotidianamente rivolta al monitoraggio dei gruppi ultras". Ben 50 gruppi ultras su 338 "distribuiscono 'fanzine, sorta di riviste-opuscoli, che si possono trovare anche sul web.

Ma nella missione delle 'squadre tifoserie' "c'è anche il dialogo con i supporters e operazioni che nascono a seguito di attività investigative". L'obiettivo è "analizzare attività esterne e interne dei gruppi, e capire le loro motivazioni, anche durante le trasferte". "Le squadre tifoserie -conclude Ambra- sono un altro tassello nella costruzione di quella sicurezza partecipata che è l'obiettivo primario delle forze di polizia".
La mappa sulle tifoserie italiane è stata tracciata dal vicequestore Carlo Ambra. Intervistato dall'AdnKronos, il dirigente dell'Ucigos ha analizzato attentamente il dna dei gruppi organizzati nel nostro paese: quasi 400 gruppi più di 41mila ultras. I dati evidenziano il riaffacciarsi del problema della "discrimazione territoriale" e la diminuzione degli episodi di razzismo. Le curve mantengono la loro

colorazione politica: l'estrema destra è la più diffusa negli stadi: "Risultano attivi 388 gruppi ultras, composti da 41.120 supporters - dice Ambra - Di questi 388 sodalizi, 45 sono di estrema destra, 15 di estrema sinistra e 9 'misti', perché al proprio interno comprendono sia elementi di estrema destra sia gruppi di estrema sinistra''. Nella scorsa stagione calcistica, per violazione della Legge Mancino, sono state arrestate 3 persone, 15 le persone denunciate. ''Le tifoserie che più si sono messe in evidenza per questi aspetti - sottolinea Ambra - sono quella della Lazio, con 8 episodi, seguiti dalle tifoserie di Juventus (3 casi) e Roma (2 casi)''.

L’esercito dei 74 mila ultras: violenti e affaristi

 

 

 

 


 

 

 

 

 
 

 
 
Nuovo iPod Nano
 
Modelli da 2GB a 4GB. Da oggi Tuo a partire da soli €209
 
 


 

 
 

 
 

RECENTI politica , finanza ed esteri
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

Per informazioni : d.diotti@virgilio.it


©2009

 

 

































 

 

La Juventus vince ladrando. I bianconeri hanno superato il Torino per 1-0 con una rete di Tevez. Ma a quanto pare la gara trova sul banco degli imputati l’arbitro Rizzoli, reo di non aver concesso un calcio di rigore ai granata a dieci minuti dalla fine della partita per un fallo su El Kaddouri di Pirlo, mentre ci si lamenta del gioco di Vidal, già ammonito e a rischio espulsione. L’immagine da Twitter del presunto fallo di Pirlo su El Kaddouri:  gol in fuorigioco all'andata, rigore non visto al ritorno, il furto a Chievo: +6 su Roma

juventus torino rigore el kaddouri

Calaiò, prodezza da ex: il Napoli frena(1-1),la Fiorentina frena(2-2 a Parma),l'Inter di merda frena(1-1 con una squadra ancora più di merda!!!),con gli aiutini vincono Rubentus e Mrdan della MEGA MERDA!!!!

Lazio, continua la contestazione a Lotito. Tifosi pensano di disertare l'Olimpico

L'ambiente è compatto contro il presidente, con l'Atalanta lo stadio potrebbe restare vuoto. Il numero uno non molla: ''La mia era è ancora lunga''. Reja prova a pensare all'Europa: ''Ma questo clima non ci aiuta''

ROMA - Il messaggio lanciato ieri dalla tifoseria della Lazio durante la sfida con il Sassuolo è di quelli che non possono essere ignorati. In quarantamila hanno manifestato il proprio dissenso verso il presidente Lotito, cui è stato chiesto di vendere il club. L'ambiente è compatto contro l'attuale dirigenza e non intende mollare la presa. È molto probabile che la contestazione continui anche nelle prossime gare: dopo il corteo del prepartita con i romagnoli e la scenografia di cartoncini con su scritto "Libera la Lazio", i tifosi biancocelesti stanno studiando altre iniziative. Tra le ipotesi più probabili, c'è quella di lasciare l'intero stadio deserto in occasione del prossimo incontro casalingo (con l'Atalanta) per poi tornare a popolare l'Olimpico nella partita successiva con il Milan. LOTITO NON CEDE: "LA MIA ERA È ANCORA LUNGA" - Nulla di certo per il momento, a eccezione della volontà di continuare a mandare messaggi forti. Che al momento non sembrano scalfire minimante il patron biancoceleste: "Sono disponibile a migliorare, ma non posso accettare condizioni esterne alla società. La Lazio non è in vendita, la darò a mio figlio. Tutte le persone che pensano di costringermi a vendere devono cambiare atteggiamento al fine di non incorrere in situazioni spiacevoli, analoghe a quelle verificatesi nel 2005 (quando furono arrestati   tra gli altri - quattro capi ultras con l'accusa di estorsione, ndr). C'è una regia che vuole costringermi a vendere la Lazio, ma l'era Lotito è ancora lunga, sono molto sereno". 

REJA: "NON ERA SEMPLICE VINCERE IN UN CLIMA COSÌ"
 - Lo saranno un po' meno i calciatori e Reja, che ha spiegato ai microfoni di LazioStyleRadio i disagi nel giocare in un clima simile: "I ragazzi sono stati bravissimi a ritrovare l'energia per conquistare tre punti in un ambiente come quello di ieri. La squadra ha sempre dimostrato attaccamento alla maglia e la vecchia guardia non tradisce mai. Ho volontariamente scelto giocatori che capissero l'atmosfera. Ora vorrei che i tifosi ci stessero vicini". Anche perché giovedì la Lazio deve cercare l'impresa in Bulgaria, per ribaltare l'1-0 nell'andata dei sedicesimi di Europa League contro il Ludogorets: "Cercherò di mandare in campo la miglior formazione possibile, perché passare il turno è un nostro obiettivo. Serve solidità in difesa per non farsi fregare all'inizio: l'ideale sarebbe segnare subito".

Conte con una parola azzera 8 anni di battaglie

Non sappiamo se avesse studiato tutto o se gli sia scivolato inavvertitamente il piede dal freno, ma il tecnico della Juve ieri ha detto qualcosa di molto poco juventino. Furibondo per certe affermazioni di Capello, ha disintegrato l’avventura bianconera dell’attuale ct della Russia: «Qui non ha mostrato un gran gioco e i suoi due scudetti sono stati revocati».

ROMA - Non sappiamo se avesse studiato tutto o se gli sia scivolato inavvertitamente il piede dal freno, ma Conte ieri ha detto qualcosa di molto poco juventino. Furibondo per certe affermazioni di Capello, ha disintegrato l’avventura bianconera dell’attuale ct della Russia: «Qui non ha mostrato un gran gioco e i suoi due scudetti sono stati revocati».

Revocati? Mannò, per tutta la Juve quei due scudetti esistono. Il 

mondo bianconero ha combattuto per riottenerli, ancora non si è arreso all’idea di averli persi, ne ha fatta quasi una ragione di vita: non siamo a ventinove, siamo a trentuno. Tanto che quel numero, trentuno, è scolpito enorme perfino sullo Juventus Stadium, in barba a verdetti e giudizi, consigli e opportunità. In un istante, con una parola, Conte ha cancellato otto anni di lotta: «Revocati». Roba da interisti, magari da granata; roba che suona stranissima in bocca a uno che è bianconero nell’anima.

Che avesse preparato tutto o meno - la sensazione però è che non abbia calibrato bene quanto stava dicendo, andando oltre le intenzioni - Conte ha inevitabilmente indispettito i suoi datori di lavoro. A cominciare da Andrea Agnelli, che più di ogni altro si è esposto nella battaglia, scontrandosi a suon di carte bollate con la Federcalcio, la giustizia sportiva e anche l’Inter. Perciò l’allenatore, richiamato all’ordine, ha poi cercato di ritoccare certe considerazioni. Ma la frittata era fatta.

GdS - Thohir torna: ecco il primo Cda operativo

"Erick Thohir guarda al quadro nerazzurro nella sua interezza, ha un piano triennale per risanare il bilancio e tor..."Anche per questo ha chiesto al d.g. Marco Fassone di raggiungerlo a Giacarta. Le altre tre partite infatti vanno preparate insieme. Una è fissata per venerdì, con il primo Cda operativo dopo l’insediamento dei nuovi azionisti di maggioranza. Ilboard (senza dimenticare che ce ne sarà uno anche per la controllata Inter Futura) sarà l’occasione per fare un primo consuntivo, ma anche per ratificare l’uscita di Roslan Roeslani (il cui 14% sarà rilevato dallo stesso Thohir) e nominare il nuovo membro in quota alla cordata indonesiana. Sarà quasi sicuramente un asiatico, che si affiancherà a Thomas Shreve, Handy Soetedjo - che a sua volta detiene il 14% delle quote nerazzurre - e Hioe Isenta. Non è chiaro se gli ultimi due (Shreve è quasi fisso a Milano) arriveranno con Thohir e Fassone o saranno collegati in video conferenza". 

ASIA SPORT VENTURE: IL CAVALLO DI TROIA PER IL SUDEST ASIATICO? CAMBIO DELLE FIDEJUSSIONI:DALLE BANCHE ITALIOTE A QUELLE INDONESIANE
 L’altro aspetto, non meno importante, che dovrà assolvere Thohir in questa sua nuova puntata milanese sarà sicuramente il ramo commerciale, fondamentale per lo sviluppo del marchio Inter e per i ricavi a lungo medio termine. Secondo la Gazzetta dello Sport, è stato sott...Stando a quanto scrive oggi Il Corriere dello Sport, da oggi Erick Thohir "si dedicherà alla preparazione del cda di venerdì e avrà incontri con le banche indonesiane legate da rapporti stretti a lui e alla sua famiglia. Questi istituti sostituiranno entro la metà di marzo le garanzie dei Moratti presso le banche italiane e garantiranno il debito nerazzurro che si aggira sui 141 milioni".
RASSEGNA STAMPA, 20.02 09:24 - "Che sia proprio Lawrence Barki il prescelto per entrare nel Cda (alternativa il consulente Nicola Volpi, in qualità di uomo di fiducia di Thohir) è soltanto un particolare nello scenario che si sta delineando e che porterà all’ingresso della famiglia Barki&...

LA NORD CONTRO MORATTI: "BRANCA A TEMPO INDETERMINATO? UN COLPO DI..."

Il presidente onorario Massimo Moratti è allo stadio. E a lui è diretto un messaggio dellaCurva Nord che ha a che fare con Branca e le voci che parlano di un contratto che aveva praticamente blindato il dirigente. L'ex dt, ha lasciato con una rescissione consensuale il club nerazzurro, dopo dieci anni, e nei giorni scorsi è arrivato l'annuncio ufficiale. I tifosi presenti al secondo anello verde scrivono: 

"Branca a tempo indeterminato??? Solito colpo di genio di chi in braghe di tela ci ha lasciato". 

Mediaset acquista 
i diritti tv Champions
nel triennio 2015-2018

Offre quasi 700 milioni e batte Sky. Il mercato specula: serve un socio

La massima competizione europea verrà trasmessa da Mediaset nel triennio 2015-2018 per una cifra che si avvicina a 700 milioni (a Murdoch l'esclusiva per l'anno prossimo). Ma questa spesa monstre alimenta la caccia a un possibile socio che sostenga il business di Cologno Monzese

MILANO - Mediaset conquista la Champions League in esclusiva. E per farlo mette sul piatto quasi 700 milioni di euro per il triennio 2015-2018 (Sky avrà l'esclusiva l'edizione 2014-2015): poco meno di 250 milioni di euro l'anno, più o meno quello che il Biscione già spende ogni anno per trasmettere la Serie A, a dimostrazione che il calcio resta l'asset più pregiato della pay tv. Ma per gli addetti ai lavori l'operazione ha aspetti industriali più complessi: "E' la conferma indiretta della necessità di trovare un partner che investa nella società", spiega un banchiere, secondo cui oggi "Mediaset non ha un bilancio abbastanza solido per gestire questi costi". 

Con 2,2 milioni di abbonati, la tv a pagamento del Biscione dal 2015 spenderà solo in diritti televisivi circa 500 milioni di euro per il calcio e altri 100 milioni tra film e serie televisive. Dal momento del lancio, Premium non ha ancora generato utili, ma almeno ha smesso di perdere soldi dopo aver svalutato 200 milioni di euro di diritti lo scorso anno. Secondo gli analisti, per mettere in sicurezza i conti la soglia di abbonati dovrebbe superare quota 2,5 milioni: un obiettivo raggiungibile con la Champions League. A patto di superare indenne una traversata nel deserto lunga un anno.
 

Sì, perché due anni fa, dopo interminabili battaglie, Sky e Mediaset deposero l'ascia di guerra scambiandosi i diritti tv per Champions League ed Europa League. Un accordo che scade a giugno e che le parti -

almeno fino ad oggi - non sembravano interessate a prorogare. L'anno prossimo, quindi, il canale satellitare di Ruper Murdoch avrà tutta la Champions League in esclusiva lasciando a bocca asciutta Mediaset. Che però avrà modo di rifarsi dall'anno dopo, quando per guardare Messi e soci bisognerà passare dalla pay satellitare a quella terrestre. 

A meno che la mossa a sopresa di Mediaset - che ha messo sul piatto 70 milioni in più all'anno di quelli che paga Sky - non sia parte di una strategia negoziale per attrarre un partner di peso. Con l'integrazione della attività di Premium tra l'Italia e la Spagna, Mediaset è diventata un partner appetibile per diversi operatori internazionali. Dalla Newscorp di Rupert Murdoch, che avrebbe già bussato alla porta di Cologno Monzese, agli arabi di Al Jazeera del Qatar che sognano lo sbarco in grande stile in Europa.
 

Anzi secondo qualcuno il Biscione avrebbe già in mano l'accordo con un nuovo importante socio in vista della creazione - entro l'estate - della newco nella quale confluiranno le attività pay di Italia e Spagna.
 

D'altra parte "un'operazione che porta la spesa per investimenti a 600 milioni di euro l'anno - dice un analista - è possibile solo con l'ingresso di un nuovo socio che condivida la scelta industriale o con un aumento di capitale. Difficile che qualcuno possa voler semplicemente rilevare una quota in una società che finora ha bruciato un sacco di cassa". Di certo negli ultimi quattro anni i tempi sono cambiati. Nel 2010 il numero uno di Mediaset, Fedele Confalonieri, accusava Sky di abuso di posizione dominante per essersi aggiudicata l'esclusiva per la Champions League annunciando una serie di ricorsi. Ora le parti si sono invertite.

A dimostrazione che - per quanto si cerchi di minimizzare - il destino della pay tv passa sempre di più per la disponibilità di contenuti premium: sia in un'ottica "stand alone", sia in prospettiva di future alleanze. Solo pochi mesi fa British Telecom ha spiazzato BSkyB nel Regno Unito offrendo 300 milioni per l'esclusiva Champions delle squadre inglesi e scozzesi.

 

Coppa Italia: Roma-Juventus 1-0, Gervinho stende i bianconeri,21-01-14 una brutta giornata per i Padroni di Torino,salta anche Guarin a titolo gratuito

Un gol dell'ivoriano a 11' dal termine interompe la striscia record di 13 vittorie consecutive in gare ufficiali della squadra di Conte e lancia i giallorossi in semifinale contro la vincente di Napoli-Lazio. Decisivo l'ingresso nel finale di Pjanic. Annullato un gol a Peluso
di JACOPO MANFREDI

ROMA – Dopo 13 vittorie consecutive ufficiali inciampa la Juve e la caduta è fragorosa visto che, dopo la Champions, perde di vista anche un altro obiettivo stagionale, la Coppa Italia. A interrompere la fantastica striscia dei bianconeri non poteva che essere la loro grande rivale in questa stagione, la Roma, che si è così presa una bella rivincita dopo la scoppola rimediata 15 giorni fa a Torino in campionato.
 
LA RIVINCITA DI GARCIA – E’ stata, soprattutto, la rivincita di Garcia nei confronti di Conte. Il tecnico giallorosso ha indovinato tutte le mosse: ha prima impedito ai rivali di rendersi pericolosi, preferendo a sorpresa Torosidis e Nainggolan a Dodò e Pjanic, e poi ha fatto la differenza gettando nella mischia, al momento giusto, il bosniaco.
 
CONTE, SCELTE PAGATE CARE – Punito il tecnico bianconero che, invece, ha pagato cara la scelta di effettuare un turn-over eccessivamente ampio (Storari, Isla, Marchisio, Peluso, Quagliarella e Giovinco al posto di Buffon, Lichtsteiner, Pogba, Asamoah, Tevez e Llorente). La Juve, un po’ per propria volontà, un po’ per la pressione dei giallorossi, ha lasciato troppo campo, e per troppo tempo, ai rivali, e alla fine è stata inevitabilmente punita.
 
TAGLIAVENTO GRAZIA BENATIA – Il prudente iniziale equilibrio ha rischiato di rompersi dopo 13’ quando Benatia ha fermato per la maglia Giovinco lanciato a rete. Tagliavento ha optato 

 

per il giallo salvando la partita ma, probabilmente, penalizzando i bianconeri che hanno a lungo reclamato per la mancata espulsione.
 
ROMA PERICOLOSA SOLO CON TIRI DA FUORI – Come accaduto a Torino due settimane fa la Juve ha preferito lasciare ai rivali l’iniziativa ma non ha quasi mai concesso spazi. E, non a caso, la Roma ha allertato Storari solo con alcune conclusioni di fuori (di Nainggolan, Florenzi e Totti) che, però, non hanno centrato lo specchio della porta. Di contro, i bianconeri, malgrado i buoni movimenti di Giovinco e Marchisio, non hanno mai trovato profondità nei primi 45’, finendo per perdersi all’interno delle maglie giallorosse.

GOL ANNULLATO A PELUSO – La ripresa, con Ogbonna inserito a sorpresa al posto di Chiellini, si è aperta con un altro giallo: un cross dalla destra di Isla ha consentito a Peluso di insaccare indisturbato di testa da pochi passi ma il guardalinee ha sbandierato, segnalando che la palla aveva già varcato la linea di fondo con la sua traiettoria arcuata. Una decisione non supportata a sufficienza dalle immagini televisive per poter essere giudicata.
 
ENTRA PJANIC, SEGNA GERVINHO – Passata la paura, la Roma ha ripreso a macinare gioco ma ha continuato a sbattere contro il muro bianconero, impeccabile nell’impedire a Totti, Florenzi e Gervinho di rendersi pericoloso. Almeno fino al 79’ quando i giallorossi, alla prima ripartenza, hanno cinicamente colpito. Pjanic, appena entrato, ha rubato tempo e palla a Bonucci, è andato via in profondità e ha lanciato sul filo del fuorigioco sulla sinistra Strootman che, di prima, ha centrato per Gervinho, bravo a insaccare da due passi al volo, anticipando Storari.
 
LA JUVE CHIUDE CON TRE PUNTE – Conte, che 2’ prima aveva fatto entrare Llorente al posto di Giovinco, ha gettato nella mischia anche Tevez, chiudendo con tre punte, ma la Roma non ha tremato. Anzi, di rimessa ha anche sfiorato il raddoppio in contropiede con lo stesso Gervinho e con Pjanic. Lontana 8 punti dalla vetta in campionato, la Roma, dunque, almeno per una notte sale sul tetto d’Italia. E ora, Napoli permettendo, già sogna una possibile rivincita con la Lazio dopo il cocente ko in finale dello scorso anno.
 
ROMA-JUVENTUS 1-0
Roma (4-3-3): De Sanctis 5.5; Maicon 6.5, Benatia 6.5, Castan 6, Torosidis 6.5, De Rossi 6.5, Strootman 7, Nainggolan 6.5, Totti 6 (37′ st Ljajic sv), Florenzi 6 (29′ st Pjanic 7.5), Gervinho 7. (1 Lobont, 28 Skorupski, 29 Burdisso, 33 Jedvaj, 3 Dodò, 7 Marquinho, 11 Taddei, 94 Ricci, 88 Borriello, 22 Destro). All.: Garcia.
Juventus (3-5-2): Storari 5.5, Barzagli 6, Bonucci 5, Chiellini 6 (1′ st Ogbonna 6.5), Isla 6, Vidal 5, Marchisio 6, Pirlo 5.5, Peluso 6 (35′ st Tevez sv); Quagliarella 5, Giovinco 6 (31′ st Llorente sv). (1 Buffon, 34 Rubinho, 22 Asamoah, 26 Lichtsteiner, 4 Caceres, 20 Padoin, 6 Pogba, 7 Pepe). All.: Conte. Arbitro: Tagliavento di Terni 5.
Reti: 34′ st Gervinho.
Angoli: 5-3 per la Roma.
Recupero: 0′ e 4′.
Ammoniti: Benatia, Florenzi, Peluso per gioco scorretto. Castan e Vidal per proteste.
Spettatori: 56.557 per un incasso di 1.737,883,00 euro.

La Juventus è fuori foto 
Sneijder la manda AFFANCULO  in E.League ORA LA DOMANDA E':COSA SI INVENTERANNO PER FARGLI VINCERE IL CAMPIONATO DEI 32 NEL CULO??
La Juventus è fuori        foto         Sneijder la manda in E.League

Conte: "Questo non è IL calcio che si gioca in Italia e che ci fa vincere sempre ladrando con arbitri,guardalinee e squadre materasso che si genuflettono, purtroppo. E' PER QUESTO CHE NON VINCIAMO UN CAZZO DA 18 ANNI" 
Mancini:
 "Non si doveva giocare"

Napoli-Lazio 1-0, Higuain stende i DETENTORI USCENTI: azzurri contro la Roma

 

Napoli-Lazio 1-0, Higuain stende i biancocelesti: azzurri contro la Roma

 

Un gol del centravanti a 8' dalla fine consente agli uomini di Benitez di volare in semifinale di Coppa Italia. Palo di Jorginho nel primo tempo. Ospiti mai pericolosi in attacco, penalizzati dall'ampio turn-over deciso da Reja
di JACOPO MANFREDI

 

 

NAPOLI – Sarà il Napoli a sfidare la Roma in semifinale di Coppa Italia (l'altra è Udinese-Fiorentina). La Lazio fallisce l’obiettivo di difendere il titolo nel derby arrendendosi nel finale a una rete del solito Higuain, al terzo gol in due partite contro i biancocelesti. Una qualificazione sofferta ma meritata quella degli azzurri che hanno, indubbiamente, fatto qualcosa in più dei rivali, mai pericolosi in attacco.
 
UNA VITTORIA SOFFERTA – Non è stato facile centrare l’obiettivo per un Napoli che ha terribilmente sofferto a mettere in difficoltà una Lazio concreta, disposta in campo in maniera impeccabile ed ordinata da Reja. A nulla sono valse le contromosse di Benitez che ha provato prima a spostare in continuazione le posizione dei tre alle spalle di Higuain e poi ha rimpiazzato Insigne e Hamsik con Mertens e Pandev. La Lazio non ha mai tremato e non è un caso che sia capitolata solo su una carambola, un tiro sbagliato di Callejon deviato nell’angolo di tacco con un colpo di classe da Higuain.

LAZIO, E’ MANCATO L’ATTACCO
 – La Lazio può recriminare su due aspetti. Quello di essere stata costretta a perdere troppo presto per problemi muscolari due dei suoi uomini migliori, Konko e Dias, e quello di non aver avuto la forza di pungere di rimessa. In tal senso, l’assenza di Candreva e Hernanes, al di là di quella prevista di Klose, si è particolarmente sentita. Chissà

 

che Reja non rimpianga la scelta di aver dato fiducia a Perea e Anderson, risultati piuttosto deludenti.
 
REJA FA AMPIO TURN-OVER – Dimostrando di tenere all’appuntamento, Benitez ha finito di schierare un Napoli molto vicino a quello titolare tenendo in panchina solo Britos, Inler e Mertens, rimpiazzati da Fernandez, Jorginho e Insigne. Al contrario, Reja, costretto a rinunciare in partenza a Klose, influenzato, ha attuato un ampio turn-over schierando dal 1’ Ciani, Novaretti, Onazi, Lulic, Anderson e Keita al posto di Biava, Cana, Cavanda, Biglia, Biglia, Candreva ed Hernanes, in odor di partenza.
 
NAPOLI, TROPPI ERRORI IN RIFINITURA – Il Napoli è partito bene, ha impegnato Berisha con un sinistro in girata di Higuain ma col passare dei minuti si è perso, faticando a trovare le misure dell’ultimo passaggio. La Lazio, attenta a chiudere tutti gli spazi, ha ringraziato ma non ha approfittato della circostanza per rendersi insidiosa in ripartenza. Complice, soprattutto, la difficoltà di Anderson e Perea di entrare in partita.
 
PALO DI JORGINHO – Incapace di mettere in moto Callejon e Higuain, il Napoli ha tentato allora, nel finale di tempo, di rendersi pericoloso con i tiri da fuori ma la migliore di tre conclusioni, un destro a giro dal limite di Jorginho, non è stata accompagnata dalla fortuna e ha terminato la propria corsa sul palo esterno.
 
INSIGNE, GESTACCIO AL PUBBLICO – Nella ripresa, iniziata con Gonzalez al posto di Ledesma, il Napoli ha alzato il baricentro ma il ritmo. E, non a caso, nei primi 25’ ha spaventato Berisha solo con un diagonale di Callejon che ha sfiorato il palo. Benitez allora ha deciso di togliere prima un impalpabile Insigne (che, stizzito, ha risposto con un evitabile gesto ai fischi del pubblico) e poi Hamsik, puntando sulle forze fresche di Mertens e Pandev. E da un cross del belga è nata la migliore occasione per sbloccare il risultato, sciupata da Jorginho che non ha trovato lo specchio dal limite su una corta respinta di Berisha.

HIGUAIN BEFFA BERISHA
 – Quando ormai i supplementari sembravano inevitabili ecco che, invece (82′), è arrivato il gol-vittoria: su una corta respinta di Biava, subentrato a Dias, Callejon ha calciato di forza dal limite e sulla traiettoria ha trovato davanti alla porta Higuain che, da bomber di razza, ha spiazzato Berisha con un colpo di tacco nell’angolo. A far festa, dunque, è il Napoli. Il 5 e il 12 febbraio prossimi rinnoverà, così, con la Roma un duello già avvincente in campionato.
 
NAPOLI-LAZIO 1-0 (0-0)
Napoli (4-2-3-1): Reina 6; Maggio 6.5, Fernandez 6.5, Albiol 6.5, Reveillere 6.5, Inler 6 Jorginho 6.5 (45′ st Dzemaili sv); Callejon 6.5, Hamsik 5.5 (30′ st Pandev sv), Insigne 5.5 (23′ st Mertens sv); Higuain 7. (1 Rafael, 15 Colombo, 3 Uvini, 28 Cannavaro, 22 Radosevic, 13 Bariti, 91 Zapata). All.: Benitez.
Lazio (3-4-3): Berisha 6.5, Ciani 6, Novaretti 6.5, Dias 7 (26′ st Biava sv), Konko 6 (33′ pt Cavanda 6), Onazi 6 (1′ st Gonzalez 5.5), Ledesma 6, Lulic 6.5, F. Anderson 5, Keita 6, Perea 5. (22 Marchetti, 95 Strakosha, 5 Biglia, 8 Hernanes, 17 Pereirinha, 27 Cana, 28 Freitas, 87 Candreva). All. Reja.
Arbitro: Banti di Livorno 5.
Reti: nel st 37′ Higuain.
Angoli: 10-3 per il Napoli.
Recupero: 3′ e 3′.
Ammoniti: Jorginho e Higuain per gioco scorretto; Lulic per proteste. Spettatori: 40 mila

 

 

Inghilterra, colpo grosso del Chelsea: City battuto in casa

Si chiude la serie interna dei Citizens, fatta in campionato di sole vittorie: i londinesi di Mourinho si impongono grazie ad un gol di Ivanovic. Entrambe inseguono appaiate l'Arsenal, capolista con 2 punti di margine

 

 

ROMA - E' un colpo di quelli destinati ad incidere come un macigno sulla stagione. Il Chelsea passa sul campo del Manchester City, aggancia i Citizens al secondo posto (davanti c'è l'Arsenal con 2 punti di margine) e soprattutto infligge alla squadra di Pellegrini il primo ko interno in campionato dopo una lunghissima striscia fatta solo di vittorie. Un successo targato Ivanovic, che nel finale del primo tempo indovina l'angolo alla destra di Hart con un perfetto sinistro dal limite dell'area. 

Il successo per la squadra di Mourinho è ampiamente meritato, anche perchè se il City ha esercitato una maggiore pressione, costringendo Cech ad un paio di interventi di notevole valore, i londinesi sono stati micidiali nel gioco di rimessa. Dei contropiede sono stati mancati per il classico ultimo passaggio, altri hanno prodotto occasioni enormi: da segnalare gli incroci dei pali colti da Eto'o e Matic e il palo di Cahill con un colpo di testa su azione da corner. Per finire, citazione su Hazard: il belga, sempre nel vivo del gioco con giocate tecnicamente raffinate ma mai platoniche, è stato il migliore in campo.

 

 

Spagna, Atletico Madrid solo: travolta la Real Sociedad. Real fermato a Bilbao

I Colchoneros battono 4-0 i baschi e staccano di 3 punti il Barcellona, sconfitto sabato dal Valencia: segnano Villa, Diego Costa, Miranda e Diego. I blancos pareggiano 1-1 sul campo dell'Athletic (espulso Ronaldo) e agganciano i blaugrana

MADRID - L'Atletico Madrid non fallisce l'occasione e si porta solitario al comando della Liga. Dopo il ko interno del Barcellona contro il Valencia, i Colchoneros piegano 4-0 la Real Sociedad, staccando di 3 punti i blaugrana e rendendosi irraggiungibili anche dal Real Madrid, che aggancia la squadra del 'Tata' Martino con il pareggio per 1-1 a Bilbao. attualmente impegnato sul campo dell'Athletic Bilbao. 

ATLETICO TRAVOLGENTE - In una gara dominata dal ricordo del grande Luis Aragones, continuamente omaggiato dai tifosi del Calderon, l'Atletico dopo un periodo di studio passa con David Villa, in rete con un tocco ravvicinato. Pochi minuti dopo, inconveniente per lo stesso attaccante, costretto a lasciare il campo per un problema muscolare. Nella ripresa la squadra di Simeone di scatena: Diego Costa in contropiede solitario non sbaglia. Gara chiusa, con Miranda e Diego (nel giorno del suo nuovo esordio in maglia Atletico) che nel finale completano il quadro sul 4-0.

REAL PARI, ESPULSO RONALDO - Il Real Madrid non vince ma aggancia il Barcellona a tre lunghezze dai colchoneros. A Bilbao finisce 1-1: blancos in vantaggio al 20' della riprese con Jesè, otto minuti più tardi l'Athletic pareggia con Ibai Gomez. Poi la squadra di Ancelotti resta in dieci per il rosso a Cristiano Ronaldo (colpo in faccia a Gurpegui e poi rissa sfiorata con Iturraspe) e il San Mames spinge i baschi ma il risultato non cambia.

 

Barcellona-Valencia 2-3


BARCELLONA (4-3-3): Valdes; Dani Alves, Piqué, Mascherano, Jordi Alba; Xavi (19'st Iniesta), Busquets, Fabregas (32'st Tello); Sanchez Messi, Pedro. A disp. Pinto, Bartra, Adriano, Song, Sergi Roberto. All. Martino. 
VALENCIA (4-2-3-1): Diego Alves; Barragan, Ricardo Costa, Mathieu, Bernat; Romeu, Javi Fuego; Feghouli, Parejo 6 (48'st Michel sv), Piatti 6 (42'st Fede); Paco 

Alcacer 6 (28'st Vargas 6). A disp. Guaita, Ruben Vezo, Jonas, Portu. All. Pizzi. 
ARBITRO: Perez Montero 6; guardalinee: Caballero e Labella; quarto uomo: Sanchez Calvo 
MARCATORI: 6'pt Sanchez (B), 43'pt Parejo (V), 3'st Piatti (V), 8'st Messi (rig.) (B), 13'st Paco Alcacer (V) 
ESPULSO: 32'st Jordi Alba (B) per doppia ammonizione 
AMMONITI: Parejo (V), Ricardo Costa (V), Mascherano (B), Diego Alves (V), Busquets (B) 

BARCELLONA - Il Barcellona è tornato sulla terra, ha perso in casa contro il Valencia alla fine di una partita incredibile (3-2) e domani in caso di pareggio dell’Atletico Madrid (che giocherà in casa contro la Real Sociedad) o di vittoria del Real Madrid (impegnato sul campo dell’Atletico Bilbao) perderà il primo posto nella Liga. I blaugrana lo occupano da 59 giornate ovvero dall’inizio della scorsa stagione quando Messi e compagni si rimisero a sedere sul trono lasciato per un’annata (2011-12) al Real Madrid di José Mourinho. Era stato proprio lo Special One a violare nella Liga per ultimo il Camp Nou: correva il 21 aprile 2012 e le merengues si imposero per 2-1 grazie alle reti di Khedira e Cristiano Ronaldo. Dopo quella data, l’impresa era riuscita anche al Bayern Monaco nella semifinale della scorsa Champions League (3-0), ma in campionato tra le mura amiche il Barca non si era più concesso pause da oltre 1 anno e mezzo. Fino a ieri quando ha festeggiato il Valencia dell’ex Pizzi, una formazione che sta convivendo con il cambio di società e che non conquistava i 3 punti in trasferta dal 3 novembre (1-0 sul campo del Getafe). Partita pazza che il Barcellona sembrava aver messo subito in discesa grazie alla rete di Alexis Sanchez, ma gli errori in serie della difesa blaugrana hanno complicato tutto. Valdes colpevole sul 2-1 di Piatti, Piqué irriconoscibile, Dani Alves lacunoso in copertura e Jordi Alba addirittura espulso per doppia ammonizione: là dietro il Barca ha dilapidato quello che i suoi uomini offensivi sono riusciti a costruire. Messi ha segnato su rigore (generoso...) e ha messo lo zampino sull’1-0, ma ha fallito il 3-3 in pieno recupero e se n’è andato negli spogliatoi sconsolato dopo aver iniziato nel peggiore dei modi un febbraio denso di appuntamenti importanti. Oggi Atletico e Real Madrid possono mettere la freccia, mentre il Barcellona si interroga sul perché di una crisi che nella Liga si era già manifestata con 2 pareggi nelle 3 partite precenti il ko di oggi.

 

Inghilterra, il Manchester City travolge il Tottenham e vola in vetta

 

Inghilterra, il Manchester City travolge il Tottenham e vola in vetta
Dzeko festeggia il terzo gol del City

 

La squadra di Pellegrini si impone 5-1 a White Hart Lane e scavalca l'Arsenal. Chelsea rallenta, bloccato 0-0 in casa dal West Ham

LONDRA - Il Manchester City travolge il Tottenham e vola in vetta alla Premier League: a White Hart Lane i Citizens si impongono 5-1 e scavalcano l'Arsenal. Aguero apre le marcature, poi il Tottenham rimane in dieci per il rosso a Rose e la squadra di Pellegrini ne approfitta con Tourè, Dzeko, Jovetic e Kompany. Di Capoue, sempre nel mirino del Napoli, la rete degli Spurs. Non va oltre il pari interno senza gol per il Chelsea di Mourinho contro il fanalino di coda West Ham in cui ha esordito Nocerino. Per il resto vittoria del Sunderland sullo Stoke (1-0) e dell'Aston Villa sul West Bromwich (4-3).


Bruciati 50 milioni in 5 minuti foto

BUFFONE CONTINUA A NON TEMERE NESSUNO???

Sneijder elimina la Juve. Finisce 1-0, ma che rabbia!

Sneijder elimina la Juve.
Finisce 1-0, ma che rabbia!
DECIDE SNEIJDER- Alla ripresa delle operazioni è sempre la Juve ad impostare la manovra. Al 49' ci prova Pogba dalla distanza ma il tiro è centrale e bloccato in due tempi da Muslera. Al 54' arriva la risposta del Galatasaray. Barzagli, forse disturbato dagli attaccanti turchi, sbaglia un rinvio. Dalle retrovie arriva di corsa Sneijder che prova a sorprendere Buffon dai 25 metri ma la palla termina sul fondo. Al 58' occasione colossale per il Galatasaray. Pogba sbaglia un disimpegno a centrocampo per l'infido terreno di gioco, Drogba viene servito perfettamente da Sneijder, l'ivoriano si porta al centro della lunetta e spara di destro a botta sicura ma Buffon si supera e respinge da fenomeno! AL 60' ci prova Yilmaz su punizione ma il suo sinistro a giro finisce alta sopra la traversa. Al 62' Galatasaray ancora pericoloso: ci pensa Eboue a provare la conclusione dai 25 metri ma la sfera va alta sul fondo. Conte si sbraccia e sbraita dalla panchina «Ci stiamo abbassando troppo» urla ma resta impresa impossibile fare gioco, caratteristica tipa della Juve di questi tempi, su un campo infame. Dall'altra parte invece Mancini applaude i suoi, soprattutto Drogba per la grande carica che mette sul campo in ogni singola azione. La Juve però non molla di un centimetro, si appoggia su Tevez che cerca di tenere su la squadra con la sua fisicità. Al 74' corner per i bianconeri e girata al volo di Bonucci ma la palla termina sul fondo. La Juve continua però a guadagnare metri, a tenere alta la sua difesa mettendo in evidenza una grande personalità e un carattere da grande squadra. Il Galatasaray resta schiacciato e al 79' la Juve costruisce una grande palla gol: Tevez viene servito in profondità da Vidal, il cileno appoggia al volo per Marchisio che prova la conclusione al volo ma Muslera è attento e blocca. L'impresa sembra in dirittua d'arrivo ma all'86' arriva, inclemente, la beffa micidiale. Lancio dalle retrovie per Drogba che di testa fa una sponda perfetta per Sneijder che in area di rigore non sbaglia incrociando perfettamente sul secondo palo. Uno a zero per il Galatasaray e pubblico in visibilio sugli spalti. Conte prova il tutto per tutto: fuori Marchisio, dentro Quagliarella per gli ultimi quattro minuti di passione. All'88' Tevez prova il jolly su punizione ma il tiro finisce sulla barriera vanificando la chance per i bianconeri. Al 90' altro cambio per Conte che leva Bonucci ed inserisce Giovinco nel tentativo di risolvere la questione. Ma non c'è più tempo. Proenca fischia la fine e la Juve dice addio alla Champions.

 

ISTANBUL - Ci fosse Mourinho sparerebbe una mitragliata di “perché“, sforacchiando l’Uefa con le domande che galleggiando nella gelida aria di Istanbul, poche ore dopo la rocambolesca fine dell’avventura juventina in Champions League. Una cosa così...

Perché, nonostante la nevicata fosse stata ampiamente prevista da tutti i siti meteo, martedì sera la Turk Telekom Arena, stadio a cinque stelle Uefa, è stata colta di sorpresa? 

Perché nella notte fra ieri e oggi il campo non è stato coperto con i teloni? E perché nella mattinata di oggi si è intervenuto in maniera così devastante per il terreno? 

Perché solo una parte del terreno, la metà campo in cui si sapeva che la Juventus avrebbe giocato 45 minuti su 60, era stata martoriata con un piccolo trattore tracciando profondi solchi e riducendo il manto erboso a un campo dissodato? Solo casualità? 

Perché se la Champions League è la massima competizione europea, fondata sullo spettacolo, si è permesso che il calcio venisse così vilipeso dalla partita di “non-calcio” di oggi pomeriggio? 

Perché, infine, il campo è stato considerato «pericoloso per l’incolumità dei giocatori» ieri sera, quando Proença ha rinviato la partita e praticabile oggi pomeriggio, nonostante entrambe gli allenatori avessero chiesto il rinvio?

Ecco, a quest’ultima domanda si può rispondere: pare, infatti, che l’Uefa avesse il terrore della “X”, intesa come bussolotto anonimo nel sorteggio dei prossimi turni di coppe. Se infatti non ci sarebbero stati problemi in Champions League, gli incroci di teste di serie italiane e squadre turche dell’Europa League avrebbero fatto sballare tutto. Insomma, insieme alla partita si sarebbe dovuto rinviare anche il sorteggio. E questo, a quanto pare, l’Uefa non lo voleva.

Detto ciò, la Juventus avvii in fretta un profondo esame di coscienza. Arrivare a giocarsi tutto all’ultima partita di un girone tutto sommato abbordabile è un peccato mortale, consumato nei pareggi con il Copenaghen e con il Galatasaray in casa. Quando il terreno era in ottime condizioni...

 

CLAMOROSO: L'UDIMERDA MANDA AFFANCULO ANCHE IL MERDAN

Clarence Scemo:"E pensare che avevo risolto tutto..." PER IL MILAN FALLITO IL TRIPLETE....IN FORTISSIMO RISCHIO I PODEROSI INVESTIMENTI DELLA PRESIDENTESSA

MILANO – Arriva la prima amarezza per Clarence Seedorf. Al primo vero esame viene subito bocciato, uscendo a sorpresa dalla Coppa Italia, ultimo obiettivo rimasto al Milan per cercare di raggiungere l’Europa. L’Udinese vola in semifinale passando in rimonta al Meazza e, con un solo colpo di spugna, cancella le amarezze di un campionato che l’ha vista scivolare in piena lotta retrocessione dopo le ultime 3 sconfitte consecutive.

SEEDORF, 4-2-3-1 DA RIVEDERE – All’olandese non si poteva certo chiedere di compiere subito miracoli. Ma sicuramente qualcosa di meglio avrebbe potuto imbastire, considerate soprattutto le condizioni non brillantissime dell’intera squadra. L’Udinese ha dominato il Milan sul piano fisico. E’ venuta fuori alla distanza e, in ripartenza, ha trovato varchi e praterie a volontà senza subire l’opposizione del centrocampo rossonero, a lungo apparso troppo sbilanciato. In parole povere, in questo momento la formula dei tre fantasisti alle spalle di Balotelli non è davvero sostenibile. Tanto più in una serata in cui la squadra, dopo Bonera, ha dovuto rinunciare per infortunio anche a Zapata.

LA RIVINCITA DI GUIDOLIN – Per Guidolin, alle prese con una stagione davvero difficile, arriva la consolazione di aver fatto fuori in coppa, dopo l’Inter, anche il Milan. E stasera ha davvero azzeccato tutto. Da Widmer, preferito a Basta sulla destra, autore dell’azione del pari, ai cambi, vedi quello di 

 

Lopez, autore del gol decisivo. Adesso sotto a Fiorentina o Siena. Con la consapevolezza che i friulani potranno tranquillamente giocarsi le loro carte.

MONTOLIVO E HONDA A RIPOSO – Consapevole dell’importanza della gara, Seedorf ha schierato praticamente la formazione migliore preferendo solo Nocerino e Birsa a Montolivo e Honda, con Rami al posto dell’indisponibile Bonera al centro della difesa. Guidolin ha risposto per le rime dando un turno di riposo solo a Pinzi e Di Natale, lasciati in panchina per dar spazio a Widmer e Fernandes.

E’ SUBITO BALOTELLI – Il Milan è partito a razzo e dopo appena 6’ è passato: Birsa è andato via sulla destra e ha centrato per Robinho che ha lisciato la girata a rete col destro: alle sue spalle, però, è piombato Balotelli che di destro da due passi ha comodamente insaccato.Solo che l'Udinese, spronata da Totò Di Natale "allenatore in seconda" in panchina, si è svegliata dopo 15 minuti e ha messo sotto un Milan troppo spento e poco combattivo. Al 40' la sofferenza del Milan è rappresentata da Emanuelson, che stende in area Widmer. Dal dischetto Muriel non sbaglia anche se Abbiati intuisce. Nella ripresa i rossoneri non si scuotono dal torpore. L'Udinese capisce che può fare il colpaccio e prende fiducia. Il pubblico a San Siro si spazientisce e comincia a fischiare la squadra. È la prima contestazione per Seedorf. Guidolin capisce che è il momento giusto per affondare il colpo e al 74' inserisce Nico Lopez al posto di Muriel. Scelta che si rivela azzeccata perché la freschezza e la velocità dell'ex Roma fa male al Milan. Dopo soli tre minuti l'uruguayano batte Abbiati con un sinistro preciso che si infila all'angolino dopo una percussione centrale. 

SEEDORF, PRIMO KO - Seedorf pietrificato in panchina prova a giocarsi la carta Honda, ma la mossa non produce grandi effetti. Al 91' Balotelli, l'unico del Milan a provare a fare qualcosa, impegna Brkic con un destro a giro dal limite. È l'ultima occasione per i rossoneri. L'Udinese va in semifinale, dove affronterà la vincente tra Fiorentina e Siena. Seedorf fallisce il primo appuntamento importante della sua nuova avventura. Rimane il campionato, e la Champions. Ma per cercare la scalata in classifica e battere l'Atletico servirà un altro Milan.

WIDMER INVENTA, MURIEL TRASFORMA – L’Udinese ha accusato il colpo ma non ha tremato: ha lasciato la sterile iniziativa ai rossoneri e, appena ha potuto, è ripartita con più uomini in velocità. Così, dopo aver mandato qualche timida avvisaglia ad Abbiati con tre conclusioni da fuori di Badu, Fernandes e Muriel, ha trovato lo spunto giusto per pareggiare. Tutto merito di Widmer che è andato via in velocità in area ad Emanuelson che lo ha ingenuamente atterrato: rigore netto che Muriel ha trasformato con freddezza.

SOLO UDINESE NELLA RIPRESA – Chi si aspettava una reazione del Milan nella ripresa è rimasto presto deluso. I rossoneri hanno iniziato a perdere le distanze tra i reparti e ad approfittarne è stata l’Udinese che, di rimessa, si è fatta via via sempre più pericolosa. Prima con Lazzari, che non ha sfruttato un bell’assist smarcante di Muriel, poi col subentrato Pereyra e con Heurtaux che non hanno sfruttato nel migliore dei modi due bei cross dalla sinistra di Gabriel Silva, indiscutibilmente tra i migliori in campo.

LOPEZ, GIOIELLO D’AUTORE – Dai e dai il gol, inevitabilmente, è arrivato. E lo ha segnato al 78’ l’ex romanista Lopez, entrato da appena 3’ al posto di Muriel: è andato via tra le linee e ha dimostrato tutto il suo talento scagliando un sinistro al fulmicotone nell’angolino da 25 mt.

HONDA REGISTA NON BASTA – Il Milan, capace di rendersi pericoloso fino a quel momento solo con un calcio piazzato di Balotelli, ha perso lucidità e a nulla sono valsi i tentativi disperati di Seedorf per rianimarlo. Honda, lanciato nel finale nella mischia a fare il regista di un improbabile 4-3-3, è parso un pesce fuor d’acqua così come De Sciglio, spostato a sinistra per fare tardivamente spazio, all’86’, ad Abate. Segnali che in casa Milan continua a regnare la confusione. Sarà bene fare chiarezza al più presto visto che l’appuntamento con l’Atletico Madrid, dopotutto, è praticamente alle porte.

MILAN-UDINESE 1-2 (1-1)
Milan (4-2-3-1): Abbiati 5.5; De Sciglio 5.5, Zapata 6 (36′ pt Mexes 5), Rami 5.5, Emanuelson 5 (43′ st Abate sv); Nocerino 5 (37′ st Honda sv), De Jong 6, Birsa 6, Kakà 5.5, Robinho 5; Balotelli 6.5. (35 Coppola, 59 Gabriel, 36 Iotti, 21 Constant, 26 Silvestre, 41 Mastalli, 38 Pinato, 42 Modic, 39 Di Molfetta). All.: Seedorf.
Udinese (3-5-1-1): Brkic 6.5; Heurtaux 6.5, Danilo 6, Domizzi 7; Widmer 7, Badu 6.5, Allan 6.5, Lazzari 5.5 (48′ st Pinzi sv), Gabriel Silva 7; Fernandes 6 (24′ st Pereyra 5.5); Muriel 6.5 (29′ st Nico Lopez 7.5). (30 Kelava, 4 Naldo, 6 Bubnjic, 8 Basta, 19 Douglas, 18 Jadson, 94 Zielinski, 70 Maicosuel, 10 Di Natale). All.: Guidolin.
Arbitro: Guida 6.5.
Reti: nel pt 6′ Balotelli, 41′ Muriel (r); nel st 33′ Nico Lopez.
Angoli: 7-1 per l’Udinese.
Recupero: 1′ e 3′.
Ammoniti: Lazzari, Heurtaux, Emanuelson, Birsa, De Sciglio, Danilo, Honda, Mexes per gioco scorretto
Spettatori: 10.227 per un incasso di 126.029,50 euro.

 

 

 

Derby-farsa per paura degli ultrà, la Nocerina esclusa dal campionato

Lo ha deciso la Commissione Disciplinare della Figc sul caso Salernitana-Nocerina, la partita di Lega Pro disputata il 10 novembre 2013 e interrotta dopo 21'. Squalificati 10 tesserati, 3 anni e 6 mesi al tecnico Fontana, Il club ha annunciato che farà ricorso d'urgenza

 

 

ROMA - La Nocerina è stata esclusa dal campionato di Lega Pro. Lo ha deciso la Commissione Disciplinare della Figc, in merito al derby farsa con la Salernitana, disputato lo scorso 10 novembre e interrotto al 21' perché tra cambi e finti infortuni i giocatori in campo erano al di sotto del numero minimo. All'origine le minacce ricevute dai calciatori dagli ultrà. La corte ha disposto anche la squalifica di dieci giocatori.

Il caso riaprì la polemica , e la ferita, dei condizionamenti anche violenti di frange delle tifoserie sulle squadre. Scattò
 un'inchiesta su 200 tifosi, il ct della nazionale Prandelli parlò di una "sconfittadel calcio italiano" e sulla vicenda intervenne anche il premier Letta.

La Commissione, presieduta dall'avvocato Sergio Artico e composta da Massimo Lotti, Franco Matera, Arturo Perugini e Gianfranco Tobia, ha inibito per 3 anni e 6 mesi il presidente della Nocerina Luigi Benevento, il direttore generale Luigi Pavarese e il medico della società Giovanni

 

Rosati. Squalifica di 3 anni e 6 mesi per i tecnici Gaetano Fontana e Salvatore Fusco, squalifiche per un anno per i calciatori Domenico Danti, Edmunde Etse Hottor, Iuzvisen Petar Kostadinovic, Franco Lepore e Lorenzo Remedi. Sono stati prosciolti dagli addebiti contestati i calciatori Davide Evacuo, Luca Ficarrotta, Davide Polichetti, Carlo Cremaschi, Celso Daniel Jara Martinez e Giancarlo Malcore.

IL CLUB ANNUNCIA IL RICORSO - La Nocerina comunque non ci sta e presenterà ricorso. L'annuncio del dg Luigi Pavarese. "Non riesco a spiegarmi - anche lui squalificato - come mai per la giustizia ordinaria sono parte lesa, mentre per quella sportiva sono io il mostro. I nostri avvocati sono già all'opera e stanno studiando il dispositivo della sentenza per poter presentare ricorso con procedura d'urgenza". I tempi saranno ristretti, due giorni
per presentare ricorso e altri cinque a disposizione della Corte di Giustizia presieduta dall'avvocato Gerardo Mastrandrea per fissare una data utile al dibattimento di secondo grado.
 

LE CONSEGUENZE SUL CAMPIONATO - L'articolo 53 delle Norme Organizzative Interne Federali (Noif), al comma 4 parla chiaro: "Qualora una società si ritiri dal Campionato o da altra manifestazione ufficiale o ne venga esclusa per qualsiasi ragione durante il girone di ritorno tutte le gare ancora da disputare saranno considerate perdute con il punteggio di 0-3 [...] in favore dell'altra società con la quale avrebbe dovuto disputare la gara fissata in calendario". Di conseguenza, i risultati ottenuti finora dalla Nocerina sono considerati validi: da domenica prossima (in calendario c'è Frosinone-Nocerina) invece scatterà quindi lo 0-3 a tavolino nei confronti dei campani. Ma c'è il rischio, se il ricorso fosse accettato, che le partite potrebbero essere in futuro recuperate in caso di ribaltone della condanna. Insomma, il derby "farsa" rischia di stravolgere ulteriormente la classifica.

Una intercettazione e un accertamento fiscale sull'ex socio occulto Frank Agrama le carte che dovrebbero cambiare la storia del processo. Ma la nuova mossa potrebbe essere l'ennesima manovra dilatoria: fra due giorni il Senato decider� per la sua decadenza. Gi� lo scorso settembre l'ex presidente del Consiglio aveva annunciato una svolta parlando di una sentenza svizzera risultata inesistente

Un accertamento fiscale negli Usa e una intercettazione. Silvio Berlusconi tenta la carta delle nuove prove per chiedere una revisione del processo Mediaset per cui � stato condannato in via definitiva a 4 anni per frode fiscale. Mentre il governo Letta pone la questione di fiducia sulla legge di Stabilit�, di fatto fissando il voto sulla decadenza il 27 novembre, il leader di Forza Italia annuncia urbi et orbi che questi documenti cambieranno la storia del suo processo e fa sapere che si rivolger� alla magistratura di Brescia. La nuova mossa potrebbe essere l�ennesima manovra dilatoria. Gi� lo scorso settembre l�ex presidente del Consiglio aveva annunciato una svolta parlando di una sentenza svizzera risultata poi inesistente. Il tutto mentre arriva in Italia l�amicoVladimirPutin che, secondo indiscrezioni di stampa, potrebbe avergli gi� consegnato unpassaporto diplomatico che gli permetterebbe di viaggiare all�estero indisturbato. Solo qualche giorno il Cavaliere aveva dichiarato che se avesse avuto i documenti se ne sarebbe andato ad Antigua. Ma c�� chi ha avanzato anche un�altra ipotesi: che l�ex premier possa essere nominato ambasciatore in Vaticano per la Russia.

Berlusconi: �Chieder� la revisione del processo a Brescia�. Le novit� importanti, per quanto riguarda il processo Mediaset, sono che in Usa il fisco americano sta per procedere con una causa verso Frank Agrama e altre persone, ritenute responsabili di evasione fiscale importante, e da queste situazioni emergono testimonianze di importanti dirigenti del gruppo Agrama, che dimostrano come la vicenda che vede il gruppo Agrama protagonista sia una vicenda da cui Silvio Berlusconi � assolutamente, completamente estraneo, altri sono i protagonisti e sono dichiarati in modo chiaro, senza possibilit� che si possa interporre alcun dubbio � spiega l�ex premier parlando in terza persona -. Probabilmente ne legger� anche una parte, e dar� la notizia che noi intendiamo presentare quanto prima una domanda di revisione del processo alla Corte competente, la Corte d�appello di Brescia, fidando sul fatto che questa domanda possa essere assolutamente accolta, per la chiarezza di queste notizie, che oltretutto sono anche confermate da molti testimoni, che i giudici di primo e secondo grado non hanno voluto nemmeno ascoltare. Abbiamo le deposizioni di tutti questi inascoltati testimoni, che fanno riferimento alla realt�, una realt� che mi vede completamento estraneo, che esclude assolutamente ogni mia partecipazione a qualsiasi fatto illegittimo�.

L�intercettazione tra Frank Agrama e Bruce Gordon. Ci sarebbe anche una intercettazione tra il produttore Frank Agrama, condannato in via definitiva a 3 anni dalla Cassazione come �socio occulto� del sistema di frodi ideato dal Cavaliere, e Bruce Gordon, presidente della distribuzione Paramount, tra le carte che dovrebbero cambiare la storia del processo. Una conversazione in cui i due direbbero: �Stiamo diventando veramente ricchi�.  Cosa questo significhi lo spiegher� Berlusconi alle 15.30 in conferenza stampa. Certo � ed � nelle motivazioni della sentenza che la testimonianza di Gordon � tra quelle considerate importanti dai giudici della Cassazione per il verdetto finale. Il 21 dicembre 1993 il top manager in una lettera al collega Lucas aveva confermato �la totale sovrapponibilit� tra Agrama e Berlusconi, posto che non vi � distinzione n� tra le societ� n� tra le persone, n� tra le cifre�. (�) A conferma del legame a doppio filo tra il produttore e il Cavaliere. Ora invece il Cavaliere vorrebbe far pensare che i due avrebbero tramato alle sue spalle per truffarlo. 

I testimoni inascoltati. Era il 26 settembre del 2011 quando il presidente del collegio di primo grado tagli� una decina di testi della difesa. Il giudice Edoardo D�Avossa in quell�occasione aveva parlato di prescrizione ritenendo stringere i tempi perch� il dibattimento era iniziato nel 2006 e ancora non si riusciva a chiudere. I testimoni tagliati all�epoca era tutti residenti all�estero e nonostante le convocazioni da parte del Tribunale non si erano mai presentati in aula. Adesso a processo definito e fuori tempo massimo per� dovrebbero dare il loro contributo. 

Come con la tangente a Bettino Craxi. In passato tante volte il Cavaliere in conferenza stampa ha tentato di sviare l�attenzione sulle indagini che lo hanno coinvolto. Quando i magistrati milanesi scoprirono la mazzetta a Bettino Craxi (processo prescritto grazie alle attenuanti generiche) il Cavaliere, era la fine del 1995, convoc� una conferenza stampa e annunci� l�equivoco: quei soldi erano il pagamento �per la commercializzazione di diritti televisivi� all�imprenditore Tarak Ben Ammar (poi entrato nel consiglio di amministrazione di Mediaset nel 1996 ). Il Tg5 intervist� l�imprenditore franco tunisino che conferm� la versione dell�allora premier. Ma quelle parole non entrarono mai in un verbale: convocato tre volte i magistrati milanesi non sono mai riusciti a interrogarlo. 

Intanto l�Europa, come riporta il Corriere della Sera, ha messo sotto accusa l�Irlanda per il ritardo accumulato, ben sette anni, nel rispondere alla richiesta di assistenza giudiziaria dell�Italia su due societ�: la Olympus trading Ltd e la Olympus trading Ireland Ltd per i processi Mediatrade e Mediaset. Un�altra rogatoria quella di Hong Kong sarebbe stata bloccata per anni grazie ai buoni uffici dell�ex senatore Idv Sergio De Gregorio. L'attaccante, apparso svogliato contro il Genoa, per la seconda volta in fila non rispetta l'orario del raduno. La squadra in vista della delicata sfida di Glasgow contro il Celtic � spronata dalla dirigente. Intanto Seedorf si fa sentire: "Voglio diventare il miglior allenatore del mondo"

"A chi obbediscono i partiti? Ai loro elettori o ai lobbisti? La legge di Stabilit� non � fatta per i cittadini ma per tutelare interessi e affari, caste e cordate. Vi sembra eccessivo? Sentite questa: il Pd, prima firma il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, presenta un emendamento alla stabilit� per salvaguardare le casse dell�Inps. Viene previsto un tetto massimo di 150mila euro fra pensione e altri incarichi, pubblici e privati. Bene. Parte la discussione in commissione che si protrae per la notte. Le trattative fervono nei corridoi. Ma dopo una lunga gestazione, il Pd partorisce una riformulazione che azzera il contenuto della norma: il tetto sale fino a 294mila euro ed � applicabile solo a chi cumula pensione e incarico nella pubblica amministrazione salvando tutti i contratti in vigore. Come dire: �abbiamo scherzato, ci siamo sbagliati�. Cos�� accaduto nel mentre, fra il prima e il dopo? Quale manina � intervenuta? Per capirlo bisogna uscire dalla commissione, farsi un giro, entrare nella saletta fumatori nel cuore di Montecitorio e immergersi nella folla dei lobbisti che assedia il Parlamento. E ascoltare:
Tu non avresti potuto fare niente al di sopra dei 150 mila euro compresa la pensione � si sente dire a una persona che parla al telefono - ho dovuto scatenare mari e monti. � stata una battaglia durissima � spiega compiaciuto mentre tesse le sue stesse lodi - � ehhh, � questo il Parlamento oggi. Io lo potrei portare� scrivere in un manuale come caso di eccellenza di azione di lobby� ho dovuto smuovere tutto�. 
� tutto vero! Ma chi � che parla al telefono? La voce � quella di un vecchio �lupo� di Palazzo, consigliere parlamentare in pensione con un incarico alla Camera dei Deputati. A nome di chi parla lo rivela lui stesso: �Io sono stato questa settimana in full immersion, giorno e notte perch� la commissione ha lavorato giorno e notte per fare cazzate dietro... dietro a queste faccende qua, perch� avevo una marea di gente che mi chiamava in questa condizione, chi per il lavoro autonomo, chi perch� c'hanno privilegi che fanno i Consiglieri di Stato, i professori universitari, ste cose qua, e quindi si sono salvati pure quelli�. 
Il "misterioso" lobbista ha fatto calare la testa al Pd per conto dei detentori di pensioni d�oro, accumulatori seriali di incarichi, professoroni in quiescenza mai andati (veramente) in pensione. Gente come Giuliano Amato e Lamberto Dini.
Ecco a chi obbedito il Pd di Renzi(e, ndr). Mentre le vittime sono i soliti noti. Noi." M5S Camera

IL TACCO DI PALACIO - La partita va a fiammate anche nella ripresa. All’8’ Handanovic respinge un’insidiosa conclusione di Balotelli. L’azione continua ma Poli non riesce ad arrivare in tempo sulla ribattuta. Mazzarri è preoccupato e prova a dare una scossa ai suoi. Fuori Taider, dentro Kovacic. Poi entra anche Kuzmanovic al posto di Zanetti. L’Inter si fa vedere al 21’ con uno spunto personale di Nagatomo, ben controllato da Abbiati. Con il passare dei minuti il ritmo di gioco cala, mentre aumentano gli errori di misura in mezzo al campo. Manca una scintilla che accenda la gara. Al 26’ Balotelli ci prova su calcio di punizione ma la mira non è precisa. Allegri non è contento e cambia. Alla mezz’ora Matri prende il posto di Saponara, ma l’occasione migliore per vincere il derby ce l’hanno i nerazzurri. Al 36’ Palacio si gira bene in area e trova la mano di Abbiati che si oppone quasi sulla linea di porta. Mazzarri fiuta il colpo e getta nella mischia anche Icardi. I nerazzurri premono e al 41’ trovano il guizzo vincente con Palacio che con un perfetto colpo di tacco beffa Abbiati e fa partire la festa interista. Nell’infuocato recupero Muntari viene espulso per un fallo di reazione su Kuzmanovic.

Thohir:  Accettiamo STO

risultato"DI GRAN MERDA

 QUA...per ora........." Con Cagliari di

 merda,Torino,Bologna di merda e

 SampMERDA ben 8 punti buttati

 nella tazza del cesso

Continuiamo in questa valle di lacrime, senza vedere la luce che avremmo sperato di ammirare in questo trittico di partite con le ultime e penultime della classe. D’altronde, prima o poi, ilfamoso coraggio di Mad Zar Akbar doveva emergere in tutto il suo fulgore: avesse potuto giocare senza punte, lo avrebbe fatto, tanto per non rischiare di vincere la partita. Ma un tifoso accorto non poteva avere dubbi: il ritorno del Capitano era un segno fin troppo evidente del declino delle prestazioni.

La partita va come da copione: noi entriamo molli come fichi, la Samp sembra una squadra di calcio, ma il Dio del calcio ci grazia illuminando Guarin che dopo aver sbagliato tutto per 18 minuti spara a 100 all’ora in porta il gol del vantaggio. Alvarez è in grande spolvero ma deve correre per tre, ogni volta che saliamo e i nostri giocatori si volgono a sinistra si trovano di fronte un deserto in cui rotolano balle di rovi trascinate dal vento (che tiene lontano il Capitano che non vuole certo mettere in pericolo il ciuffo). Riusciamo nell’impresa di fare un tiro per ogni tempo di gioco, pur avendo un Cambiasso in ottima forma, un Alvarez tonico e un Palacio che farebbe tre gol se non dovesse correre a destra e a manca per tutto il campo.

Una volta in vantaggio, ogni tifoso interista sa che si deve chiudere il match, forzare la mano e fare il 2-0 della semi tranquillità. Perché la dura legge dell’Inter è che se giochi a non prenderle all’ultimo minuto verrai punito: vincere facile non è sport nerazzurro. Infatti puntualmente tra uno sclero di Guarin che pare dotato di un encefalo adeguato a un sauropode ma non certo della taglia corretta per un mammifero, tantomeno un primate, un Kovacic con le palle sottoterra e sballottato a destra e a manca a coprire i buchi di questo e quello, un Belfodil usato solo come perdita di tempo dall’allenatore e un Mudingayi simbolo del braccino del misté, arriva il fatidico minuto 90 dove regolarmente gli avversari nerazzurri coronano rimonte e insperate vittorie.

Il pari è il minimo che ci siamo meritati, e la partita mostra chiaramente i limiti non solo della rosa (quelli già si conoscevano) ma soprattutto di un allenatore che è rimasto in provincia senza salire di livello per un motivo e non certo per caso. Ottimo per rimetterci in piedi dopo le tragedie degli scorsi anni, ma nulla più. Se vogliamo volare sono altri i soggetti a cui chiedere di metterci le ali.

.

Inter, Thohir a Milano: "E' bello essere qui, cominciamo a lavorare"

Inter, Moratti: "Dite sempre che è l'ultima...". Mazzarri: "Meno brillanti di altre partite"...dal settembre 2006 a novembre 2013...

MILANO - "Quante volte mi avete detto che è la mia ultima partita da presidente...". Massimo Moratti cerca di scherzare nel prepartita di Inter-Livorno, ultima da azionista di maggioranza per lui: nella giornata di venerdì, la società passerà nelle mani di Erick Thohir. "Non c'è particolare emozione, spero di continuare a vedere le partite, è sempre un piacere assistere alle gare dell'Inter". Non manca una frecciatina nei confronti di Rafa Benitez, che aveva attaccato Moratti in settimana: "Può dire che è una questione di simpatia, visto che a Leonardo ho effettivamente comprato alcuni giocatori". Solidarietà, invece, nei confronti di Adriano Galliani. "Gli mando i miei auguri, è un uomo forte e sostenuto dal suo presidente. Per Milano non è la fine di un'epoca, tutto va avanti".

L'OMAGGIO DEI TIFOSI - A salutare Massimo Moratti anche uno striscione esposto dai tifosi della Curva Nord di San Siro, seguito da cori e applausi da parte dell'intero stadio. Questo il testo: "Le gioie più grandi, le sofferenze più imbarazzanti, 18 anni di gestione racchiusi in quelle 12 domande. Spesso l'abbiamo attaccata anche se mai l'abbiamo abbandonata. Nonostante tutto qualcosa ci accomuna, l'amore per l'Inter innegabile. L'essere troppo tifoso a volte è deleterio, ora attendiamo curiosi ma intanto grazie di tutto presidente, se lo merita. In fondo le abbiamo voluto bene".
 

Udinese-Inter 0-3,

show dei nerazzurri

 al Friuli

http://www.video.mediaset.it/video/

sportmediaset/tutti_i_gol/418190/

udinese-inter-0-3.html

 

Decide Crespo, l'Inter sbanca l'OlimpicoRoma-Inter di SupercoppaLa prima sfida scudetto va all'Inter. Con un gol di Hernan Crespo (nella foto Omega) batte 1-0 la Roma all'Olimpico. Ma in testa, da solo, c'è il Palermo, che supera 5-3 il Catania in un derby sicialiano scoppiettante. Il Milan batte 1-0 l'Ascoli: con questa vittoria i rossoneri salgono a quota uno, annullando la penalizzazione ricevuta per Calciopoli. Vincono Fiorentina e Lazio. Toro battuto in casa dal Siena. La Samp rimonta l'Udinese: da 0-3 a 3-3.  (continua)

 

Samp: "No accordo tv, no Juve"

Ultimatum del patron Garrone: "L'ho già detto a Giraudo, verranno a Genova con la loro bella squadra e la loro bella tifoseria: troveranno lo stadio vuoto". NONOSTANTE IL MILIARDARIO ACCORDO STIPULATO ANCHE DA MORATTI, QUESTI NON VIENE MENZIONATO TRA I MONOPOLISTI.

Il patron della Sampdoria, Riccardo Garrone. Ap

GENOVA, 9 febbraio 2006 - "Se le cose non cambiano, sabato 4 marzo non scenderemo in campo con la Juventus, neppure con gli allievi nazionali". Lo ha annunciato questa sera, in relazione ai diritti Tv, il presidente della Sampdoria, Riccardo Garrone, a margine della presentazione della sede della Fondazione intitolata al padre Edoardo.

Tuona, anzi, minaccia il patron blucerchiato: "La Juventus verrà a Genova, l'ho già detto a Giraudo, con la sua bella squadra e la sua bella tifoseria e troverà lo stadio vuoto". Per Garrone "la Juventus è quella che, insieme al Milan, è la leader delle grandi società che hanno impedito in questi anni che le società medio-piccole potessero avere le risorse per sopravvivere. Sembrerebbe che in coppa dei Campioni, un torneo che porta flussi importanti di ricchezza, ci vogliano andare solo loro".

Non è tutto. "Approfitto per parlare ai cosiddetti bene informati - aggiunge - quando dicono non investite. Vorrei sapere cosa sono i quattrini che noi mettiamo a coprire le perdite ogni anno, e sono euro e sono tanti e ho persino vergogna a parlarne rispetto a chi invece conta i soldi a fine mese. Quelli cosa sono? Sono investimenti che permettono di mantenere la società valida. A meno che non cambi. Questa è la battaglia che insieme a Della Valle, Zamparini, agli uomini del Lecce stiamo facendo".

Un vulcano. "Le cose devono cambiare; vogliamo capire, sapere e concludere con patti sottoscritti che tipo di ripartizione ci sarà in futuro sui diritti televisivi. Ci devono essere patti sottoscritti perché una volta bastava una stretta di mano, ora non più", rincara la dose. E a chi gli chiede cosa ne pensa della posizione del presidente del Livorno, Aldo Spinelli, risponde così: "Non so Spinelli che battaglia faccia; ora se la prende con gli allenatori...".

 

Mancini e le proteste: un turno
di stop e multa di 5mila euro
. MANCINI DECIDE DI AUTOESCLUDERSI PER  LA SECONDA VOLTA QUEST'ANNO. Il Mancio forse ha capito che non c'è niente da fare.

Mancini protesta con Paparesta a fine partita

Le frasi ingiuriose sono il sintomo di una impotenza cronica: la sua squadra dimostra di giocare benino, ma è come se svolgesse un compitino. La sua armata babelica infatti non dimostra baldanza aggressiva, somigliando più ad una prima donna viziata piuttosto che ad una armata affamata. Anche il mito delle rimonte svanisce nel nulla, così come si accentua la cronica incapacità di vincere uno scontro diretto : 0 punti con la Juve, 3 con la Fiorentina, 0 con la Roma....l'unica eccezione è il derby cittadino. Ci sarebbero ancora ben 13 partite da giocare, tuttavia queste serviranno da "allenamento" per l'ennesima scoppola in Coppa dei Ricconi, niente affatto facile da vincere, ma fondamentale come scudo per giustificare il diciassettesimo anno di merda in Italia.

 

Svastiche in curva, i nazi-ultrà della Roma

Lo striscione all'Olimpico (Eidon)

ROMA — Allo stadio Olimpico, ieri, per Roma-Livorno, sono tornate le svastiche e gli striscioni di matrice antisemita: «Lazio-Livorno. Stessa iniziale stesso forno», il messaggio esposto per qualche minuto, durante il secondo tempo, dai nazi-ultrà giallorossi in Curva Sud. Poco più sotto, un altro cartello osceno: Gott mit Uns, la scritta famigerata — Dio è con noi — che i soldati di Hitler portavano impressa sui loro cinturoni.
La Comunità ebraica romana, ora, è sconvolta e indignata: «Perché la partita non è stata immediatamente interrotta dall'arbitro?» protesta Riccardo Pacifici, portavoce degli ebrei capitolini. Oggi stesso la comunità romana chiederà un incontro al ministro dell'Interno, Beppe Pisanu e al questore di Roma, Marcello Fulvi: «Perché non è stata applicata la legge Mancino? Perché anche l'ultimo decreto Pisanu sulla violenza negli stadi è rimasto lettera morta? — aggiunge Pacifici —. Molti tifosi romanisti che erano all'Olimpico, ebrei e non ebrei, sono andati subito al posto di polizia di Monte Mario per chiedere che quelle scritte venissero rimosse. Invano. Anzi, sono stati allontanati in malo modo. Incredibile».


Svastiche, croci celtiche, saluti romani, inni al Duce, ritratti di Mussolini: appena 48 ore dopo le solenni celebrazioni della Giornata della Memoria, del ricordo della Shoah. «Roma è la città della deportazione degli ebrei, Roma è la città delle Fosse Ardeatine — durissimo il commento del sindaco Walter Veltroni —. Simili comportamenti non possono essere più tollerati».


Ma la vergogna parte da lontano. Novembre '98, Lazio-Roma: «Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case» fu lo striscione in Curva Nord dei laziali. La Roma ora rischia la squalifica del campo, anche se il presidente giallorosso, Franco Sensi, ha subito preso le distanze con fermezza: «Mi piacerebbe che la politica restasse fuori dagli stadi». Già, sembra facile. Il problema è che in curva, all'Olimpico, si fa politica eccome: un anno fa, in vista delle elezioni regionali, ultrà della Lazio e della Roma scesero in campo con tanto di striscioni in favore di un candidato di An, Giulio Gargano, che poi risultò tra i più votati. Le due curve sono sempre più unite da ideali e affari. L'ultradestra e il merchandising. Le svastiche e i gadget. Poi, quando arriva il Livorno, puntuale scoppia anche la guerra. Perché il Livorno rappresenta il nemico, il pugno chiuso di Lucarelli, le bandiere con Che Guevara e la falce e martello. Non è un caso che il laziale Paolo Di Canio, quest'anno, abbia fatto il suo unico «vero» saluto romano proprio nella gara contro gli amaranto.

La svastiche, di solito, vengono tirate fuori dagli armadi solo per quest'occasione. Con i «comunisti del Livorno» ci sono conti in sospeso. L'odio è profondo. Ieri doveva scattare l'agguato. Gli ultrà della Roma volevano vendicare un loro amico che l'anno scorso, all'Olimpico, per raccogliere un petardo lanciato dai livornesi, si spappolò una mano. Così, avevano già preparato lo striscione di rivendicazione da esporre, poi, in curva: «V'avemo bruciati tutti». Ma è stato scoperto e sequestrato nel pre-partita, insieme a un borsone con 6 bottiglie molotov.
Insomma, c'era un piano. Un attentato che la polizia è riuscita a sventare solo perché ha cambiato all'ultimo il tragitto dei tifosi toscani, li ha fatti scendere dai treni alla stazione Aurelia anziché a Termini e ha scortato i torpedoni lungo itinerari inconsueti. Fuori dallo stadio è scoppiata comunque una sassaiola, tre tifosi romanisti sono stati arrestati e un minorenne denunciato. Ma la Digos ha filmato tutto e i responsabili degli striscioni antisemiti non la faranno franca. Se i poliziotti non sono subito intervenuti — dicono in Questura — è stato solo per evitare altri disordini. Ma Damiano Tommasi, centrocampista della Roma, la pensa diversamente: «L'arbitro — dice — avrebbe dovuto chiedere la rimozione dello striscione».


Le curve a Roma fanno politica, proseliti. E il gioco si fa sempre più pericoloso. Per Enzo Foschi, consigliere Ds alla regione Lazio, «sarebbe il caso di indagare senza tentennamenti per scoprire i mandanti, i
grandi vecchi che utilizzano come manovalanza tifosi poco più che ragazzini». Riccardo Pacifici, vicepresidente della comunità ebraica, sospetta qualcosa: «All'esterno dello stadio ora ci sono più filtri, hanno messo i tornelli. Eppure certi striscioni continuano a passare. Forse questa gente ha dei complici all'interno».
 

La spot tax di De Benedetti passa grazie a Renzie

 

"Nessuna web tax, si ad una piccola e brutta spot-tax. Si � chiusa cos�, nella notte, in Commissione Bilancio, la partita che ormai da settimane tiene banco, tra addetti ai lavori e non, e della quale, nell�ultimo weekend, si erano occupati anche il neo-eletto Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi e Carlo de Benedetti, Patron del Gruppo L�Espresso, contrario il primo e favorevole il secondo. La Commissione parlamentare, infatti, ha approvato solo il secondo comma della proposta di legge � poi trasformatasi in un emendamento alla Legge di stabilit� � presentata da Francesco Boccia (Pd). Niente obbligo generalizzato, dunque, di acquisto online di servizi solo da fornitori dotati di partita Iva italiana ma si a tale obbligo quando si tratter� di comprare �spazi pubblicitari online� e �link sponsorizzati�visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili�. La web tax, in sostanza, esce ridimensionata e ribattezzata dal dibattito parlamentare ed extra parlamentare degli ultimi giorni. Qualcuno, nelle prossime ore, gioir� del risultato e qualcun altro se ne rammaricher� ma la realt� � che non ha vinto nessuno ed abbiamo perso tutti. La legge che l�Assemblea di Montecitorio si avvia ora ad approvare � una brutta legge, anti-europea, di dubbia legittimit� costituzionale, sostanzialmente inapplicabile ed anacronistica. Tanto per cominciare, infatti, � evidente che la tagliola che si � abbattuta sul testo scritto e pensato dall�On. Boccia non ne ha modificato l�impianto sostanziale ma solo ridimensionato l�ambito di applicazione con l�ovvia conseguenza che tutte le perplessit� ed i dubbi sollevati da pi� parti circa l�incompatibilit� di un�iniziativa tricolore su una materia di evidente interesse comunitario restano valide cos� come inalterati rimangono i dubbi sollevati dallo stesso Ministero dell�Economia circa la legittimit� della norma rispetto alla libert� di impresa costituzionalmente garantita. Il Parlamento, quindi, si avvia a pronunciare il si definitivo su una legge che potrebbe costare al Paese l�apertura di una procedura di infrazione comunitaria con condanna al pagamento della relativa sanzione ed essere poi dichiarata costituzionalmente illegittima. Difficile, in questo contesto, condividere l�urgenza con la quale si � ostinatamente voluto approvare un brandello dell�originaria web tax. Tale difficolt� � resa ancor pi� tangibile se si pone mente al fatto che � a prescindere da ogni altra considerazione � il ridimensionamento dell�ambito di applicazione della norma ai soli servizi promozionali, riduce significativamente i benefici per l�Erario. Senza voler entrare nella guerra dei numeri che ha, sin qui, diviso favorevoli e contrari al varo della web tax, infatti, � ovvio che se prima il maggior gettito sperato dalla tassazione tricolore di tutti i servizi venduti via web in Italia era modesto, ora diviene davvero marginale. C��, quindi, da chiedersi se sia valsa davvero la pena assumere un�iniziativa marcatamente anti-europea e di dubbia legittimit� costituzionale per portare a casa, forse, una manciata di euro in pi�. Ma la pi� importante ragione per la quale quella che il Parlamento si avvia a varare con il voto in aula sar� ricordata come una delle peggiori leggi sul web � un�altra. La legge, infatti, � interamente costruita su un�idea di web che non esiste se non nella fantasia della mano che ha scritto il disegno di legge: un web nel quale vi sarebbero contenuti accessibili dall�Italia e contenuti inaccessibili dal nostro Paese e si potrebbe assoggettare la circolazione dei primi ad un regime fiscale diverso da quella dei secondi. Qualcosa del genere � e per ragioni egualmente poco nobili ma, almeno, pi� rilevanti in quelle subculture politiche �lo hanno, sin qui pensato solo regimi autoritari come quello cinese, spingendosi ad ergere una �grande muraglia digitale� nel fallito tentativo di impedire ai propri cittadini l�accesso a contenuti provenienti dall�estero. Difficile immaginare come i supporter della nuova spot tax pensino di implementare il rispetto della loro creatura. Quando un imprenditore italiano comprer� spazi pubblicitari o link sponsorizzati, infatti, dovr� chiedere l�emissione di una fattura con partita Iva italiana per quei contenuti che saranno poi effettivamente �cliccati� dal nostro Paese e fattura senza partita Iva � come avviene oggi � quando i contenuti in questione saranno �cliccati� da un consumatore francese, tedesco o inglese al quale abbia legittimamente scelto di far arrivare il proprio messaggio promozionale. E� ovvio, infatti, che per lo stesso principio alla base della spot tax, se un imprenditore italiano vuole far arrivare il suo messaggio in altri Paesi europei, il servizio non potr� essere tassato in Italia. Tempi duri per i pochi grandi nomi dell�industria italiana: auto, prodotti alimentari, turismo e moda. Da domani comprare pubblicit� online diventer� maledettamente pi� complicato. Ci siamo rinchiusi � con le nostre mani � in un guscio nazionale in un sistema sempre pi� globale." dal blog di Guido Scorza

Renzi tagli i finanziamenti al pd 

Renzie vuole tagliare un miliardo di euro di costi della politica. La parola di Renzie è sacra. Gli voglio credere. Inizi dai soldi del partito di cui è segretario. Rinunci ai finanziamenti pubblici. E' sufficiente una firma. La lettera l'ho preparata io. Capitan Findus Letta ha raccontato balle su balle sul taglio dei rimborsi elettorali che si è puntualmente intascato a luglio insieme agli altri partiti: una rata di 91 milioni. Renzie rinunci ai 45 milioni di euro, comunque illegittimi. E, per finire l'opera, restituisca il malloppo di circa un miliardo di euro che il pdmenoelle si è intascato dal 1993, l'anno in cui gli italiani votarono per l'abolizione dei finanziamenti con un referendum.
Il MoVimento 5 Stelle ha rinunciato ai finanziamenti pubblici: 42.782.512,50 di euro che appartengono ai cittadini, in virtù di un referendum come ha stabilito laCorte dei Conti. 
Non è necessaria una legge, è sufficiente che Renzie dichiari su carta intestata, come ha fatto il M5S, la volontà di rifiutare i rimborsi elettorali con una firma. Ho aggiornato il documento che Bersani si era rifiutato di firmare e che Renzie sicuramente firmerà (qualcuno può dubitarne?) per ufficializzare il rifiuto.#Renziefirmaqui!

Dinosauri alla riscossa

C'� qualcosa di simbolico, di catartico, di segno di fine dei tempi nell'attacco al M5S da parte dei dinosauri del Potere. La discesa in campo del trio d'attacco dei novantenni, Napolitano, Sartori, Scalfari, "NaSaSca", una riedizione mummificata del celebre "GreNoLi" del Milan degli anni '50, ha in s� qualcosa di struggente, di echi di mondi lontani che non vogliono cedere il passo, di chi si crede immortale nelle sue eterne convinzioni. Sartori 1924, Scalfari 1924, Napolitano 1925, quasi 270 anni in tre, hanno sferrato un attacco frontale, geriatrico al M5S, definito anticostituzionale, che porter� il Paese alla rovina, chese ne frega dei problemi dell'Italia. Loro che in questo Paese hanno vissuto una lunghissima vita, che ne hanno tratto indubbi benefici, che hanno avuto ruoli di potere e di influenza sembrano riverginati, come se lo sfascio italiano non gli appartenesse, come se fossero italiani per caso, di passaggio, immuni da qualsiasi coinvolgimento e colpa. Mi sento come Gorbaciov che vuole laperestrojka attaccato simultaneamente da Andropov, Cernienko e Breznev mentre mi rinfacciano il fallimento dell'Unione Sovietica. Surreale, catafalchi che hanno contribuito a costruire e ad alimentare per pi� di settanta anni la situazione attuale vengono usati come truppe d'assalto dal Sistema. In guerra, alla disperata, contro le forze avversarie che avanzavano, si arruolavano i tredicenni, le ultime leve. In Italia per evitare il cambiamento si schierano invece i novantenni d'assalto. Forse � la prima volta che accade nella Storia, un caso unico di necrofila politica, di Pantere Bianche alla riscossa. Trovo inquietante dover fronteggiare un plotone di dinosauri, di quasi centenari, che si battono per il loro futuro (?) mentre all'orizzonte una linea di fuoco annuncia il meteorite che li travolger�. I poteri forti del Corriere e della Repubblica e i partiti si nascondono dietro a degli anziani signori. Non hanno vergogna di sfruttare cos� dei poveri vecchi? Mai tentare di vendere un meteorite a un dinosauro. Perderesti il tuo tempo e irriteresti il dinosauro.

Lettera aperta ai responsabili delle forze dell'Ordine

"Mi rivolgo a voi che avete la responsabilità della sicurezza del Paese. Questo è un appello per l'Italia. Il momento storico che stiamo vivendo è molto pericoloso.Le istituzioni sono delegittimate. La legge elettorale è stata considerata incostituzionale. Parlamento, Governo e Presidente della Repubblica stanno svolgendo arbitrariamente le loro funzioni. E' indifferente che qualche costituzionalista, qualche giornalista, qualche politico affermi il contrario, questi sono i fatti, questo è il comune sentire della nazione. I partiti sono anch'essi delegittimati dai continui scandali, dalla trattativa Stato - mafia, dalla contiguità di alcuni loro membri con la criminalità organizzata, dall'indifferenza verso i problemi del Paese, dall'appropriazione indebita di 2,3 miliardi di euro di finanziamenti pubblici bocciati dalla volontà popolare attraverso un referendum. La gestione della cosa pubblica, dei servizi sociali, dalla sanità alla scuola allasicurezza è allo sbando. L'economia è al tracollo, la disoccupazione, in particolare giovanile, sta arrivando a livelli intollerabili, la piccola e media impresa sta scomparendo. Il Governo è inesistente, capace solo di continue dichiarazioni di ottimismo subito smentite dai fatti il giorno seguente. I partiti hanno occupato ogni spazio, dall'economia, all'informazione, alla destinazione dei soldi pubblici per foraggiare le lobby da cui provengono spesso i loro appartenenti. L'Italia ha perso la sovranità monetaria, la sovranità fiscale e si appresta a perdere ben presto anche quella economica con l'ipotesi più che probabile di essere strangolata dalle politiche recessive del Fondo Monetario Internazionale. Gran parte dei cittadini è tenuta all'oscuro della reale situazione in cui versa il Paese grazie a un regime di disinformazione che pone l'Italia al70esimo posto per la libertà di stampa dopo molti Stati del cosiddetto Terzo Mondo. I disordini di ieri in tutta Italia sono per la maggior parte dovuti a gente esasperata per le sue condizioni di vita e per l'arroganza, la sordità, il menefreghismo di una classe politica che non rinuncia ad alcun privilegio, tesa soltanto a perpetuare sé stessa. La protesta di ieri può essere l'inizio di un incendio o l'annuncio di future rivolte forse incontrollabili. Alcuni agenti di Polizia e della Guardia di Finanza a Torino si sono tolti il casco, si sono fatti riconoscere, hanno guardato negli occhi i loro fratelli. E' stato un grande gesto e spero che per loro non vi siano conseguenze disciplinari. Vi chiedo di non proteggere più questa classe politica che ha portato l'Italia allo sfacelo, di non scortarli con le loro macchine blu o al supermercato, di non schierarsi davanti ai palazzi del potere infangati dalla corruzione e dal malaffare. Le forze dell'Ordine non meritano un ruolo così degradante. Gli italiani sono dalla vostra parte, unitevi a loro. Nelle prossime manifestazioni ordinate ai vostri ragazzi di togliersi il casco e di fraternizzare con i cittadini. Sarà un segnale rivoluzionario, pacifico, estremo e l'Italia cambierà.

Trapattoni-Strunz, pace 15 anni dopo la celebre sfuriata

MONACO – Sono passati 15 anni da quella celebre conferenza stampa in cui Giovanni Trapattoni, all'epoca allenatore del Bayern Monaco, si era infuriato con un suo giocatore, Thomas Strunz accusato di essere la "pecora nera" della squadra. Una conferenza stampa che in poche ore fece il giro del mondo e che ancora oggi viene ripresa di tanto in tanto dai vari telegiornali sportivi. Dopo tre lustri i due si ritroveranno faccia a faccia nel corso del programma tedesco "Markus Lanz" sulla Zdf per seppellire l'ascia di guerra.

PECORA NERA 'STRUUUUNZ' - Nel '98 il tecnico di Cusano Milanino apostrofò in un tedesco maccheronico con "Was erlaube Struuunz!!!" ("Cosa si permette questo Strunz"). Lo stesso giocatore in un'intervista ha rivelato che il Trap lo prese di mira per errore in quanto a differenza dei compagni Mario Basler e Mehmet Scholl non lo aveva mai criticato per essere rimasto in panchina. "Giovanni era sotto pressione per i nostri cattivi risultati, senza aver fatto un gol in cinque partite e con l'eliminazione in Champions League", ha rievocato alla Sueddeusche Zeitung, "io avevo solo detto di non aver capito una decisione che comunque andava accettata, ma Giovanni ci mise tutti e tre nel calderone e picchiò duro". Il fatto di essere stato additato come la pecora nera dal suo allenatore "all'inizio fu spiacevole, anche se in effetti ha poi aumentato il mio grado di popolarita'. Per tutti ero diventato il sinonimo del calciatore viziato e sempre 

 

infortunato. In seguito le cose sono cambiate e da zimbello del Paese sono diventato un apprezzato giocatore della nazionale, cosa che mi rende fiero".

 

BEPPE GRILLO ATTACCA NAPOLITANO AL VDAY: VIDEO

Durissimo attacco di Beppe Grillo a Napolitano nel corso del VDAY. Ecco cosa ha detto il leader del Movimento...

Oggi i 200.000 di Genova, la mia città, mi hanno commosso. E' stata una partecipazione popolare straordinaria, nonostante il freddo e la tramontana, a un evento reso possibile da 11.464 cittadini che hanno contribuito spontaneamente donando 257.767,77 euro. Questa giornata non la dimenticherò mai. Un grazie ad ognuno di voi. Grazie Genova!

I 7 punti della modesta proposta di Beppe Grillo:

- Referendum per la permanenza nell'euro
- Abolizione del Fiscal Compact
- Adozione degli Eurobond
- Alleanza tra i Paesi mediterranei per una politica comune finalizzata eventualmente all'adozione di un Euro 2
- Investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio
- Finanziamenti per attività agricole finalizzate ai consumi nazionali interni
- Abolizione del pareggio di bilancio

Tutte le informazioni su OLTRE V3day.

"Nel novembre 2009, il signor X, un comune «cittadino elettore», conveniva in giudizio la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell’Interno perché nelle elezioni 2006 e 2008 era stato costretto a votare con modalità – previste nel Porcellum – contrarie alla Costituzione. In particolare, secondo il signor X, l’impossibilità di esprimere la preferenza ai singoli candidati sarebbe stata in contrasto con il diritto al «voto personale e diretto» e l’attribuzione di un premio di maggioranza avrebbe violato il principio di uguaglianza del voto.
Il Tribunale di Milano respingeva le domande, giudicando inoltre «manifestamente infondate» le eccezioni di incostituzionalità sollevate. La Corte d’Appello rigettava a sua volta l’appello, ribadendo l'infondatezza della questione di costituzionalità.
È stata invece la Corte di Cassazione a riaprire i giochi, valutando l'eccezione di incostituzionalità. La Cassazione ha preso posizione sulla «possibile obiezione secondo cui quella in esame sarebbe un’azione di mero accertamento con l’unico fine di ottenere dal giudice solo un “visto di entrata” per l’accesso al giudizio costituzionale, in tal modo rivelandosi la sua pretestuosità». Il pregiudizio concreto, in realtà, esisterebbe: «lo stato di incertezza» riguardo l’espressione del voto sarebbe, infatti, «fonte di un pregiudizio concreto», come tale «sufficiente per giustificare la meritevolezza dell'interesse ad agire in capo ai ricorrenti».
Ci interessa però, soprattutto la questione dal punto di vista politico. Sia il Presidente della Repubblica che la Corte hanno più volte fatto pressione sul Parlamento affinché fossero le Camere ad intervenire sulla legge elettorale. Non è un caso che Gaetano Silvestri, appena nominato nuovo presidente della Consulta, avesse da subito avvertito che vi erano «aspetti problematici rispetto al premio di maggioranza che non prevede una soglia minima», biasimando però la «tendenza a scaricare sul potere giudiziario decisioni che il potere politico non riesce a prendere». Il “Fate presto” di Napolitano è stato, poi, ripetuto più volte, dall’inizio della sua rielezione («Non sono intenzionato a rivivere, da Presidente della Repubblica, l’incubo dei mesi […] in cui si è pestata l’acqua nel mortaio e non si è stati capaci di partorire nessuna riforma elettorale»), sino ad oggi: «Stiamo giungendo a un nuovo limite estremo a questo riguardo: l’esame della questione cui la Corte costituzionale è stata chiamata e che essa condurrà nell'udienza fissata per il 3 dicembre. La dignità del Parlamento e delle stesse forze politiche si difende non lasciando il campo ad altra istituzione, di suprema autorità ma non preposta a dare essa stessa soluzioni legislative, a questioni essenziali per il funzionamento dello Stato democratico» (23 ottobre 2013).
Politicamente, sia il Presidente della Repubblica che la stessa Corte non vorrebbero che la questione elettorale passasse per la via della giustizia costituzionale. Cosa farà quindi la Corte? Dichiarerà inammissibile il ricorso? Non andrà, al limite, «oltre un monito»? Come pronunciarsi in tema di legislazione elettorale?
Se sotto il profilo giuridico una pronunzia di incostituzionalità potrebbe sollevare diverse critiche e dubbi, è certo che, dal punto di vista politico, nessuno – compresa la Corte – sembra aver interesse a condannare il Porcellum. Paradosso difficile: la Consulta costretta a pronunziarsi su una questione che nessuno avrebbe mai voluto sollevare e, soprattutto, che nessuno – di fatto – ha mai sollevato.
Eliminare la legge elettorale per via giudiziaria significherebbe, poi, registrare la fine dell’operazione politica voluta da Napolitano. La rottura, di fatto, delle “larghe intese” – con il passaggio di Forza Italia all’opposizione – potrebbe favorire paradossalmente, come Letta pensa, la stabilità del Governo e, di conseguenza, l’intervento delle Camere sulla legge elettorale. È possibile, allora, che la Corte non si pronunzi. Decisione che sarebbe ineccepibile, sotto molti aspetti, sul piano giuridico. Ma a chi rivolgerebbe, a quel punto, i suoi moniti?
Ed ecco il secondo è più difficile paradosso: la Corte potrebbe non pronunciarsi per salvare le larghe intese, proprio quando le larghe intese non esistono più di fatto, ma solo secondo una finzione giuridica (formalmente il Governo Letta può vantarsi di esprimere un accordo tra Centrosinistra e Centrodestra – seppur un Centrodestra di berlusconiani senza Berlusconi, nuovo ircocervo della politica italiana)." Paolo Becchi

Nota. Per un approfondimento delle questioni relative all’ordinanza di remissione della Corte di Cassazione, si vedano, tra gli altri, gli atti del seminario Le Corti e il voto. Seminario sull’ordinanza di remissione della Corte di Cassazione e le prospettive dell’innovazione elettorale in Italia, 12 giugno 2013, in «Nomos», 1/2013. Si vedano anche: R. Romboli, La costituzionalità della legge elettorale 270/05: la Cassazione introduce, in via giurisprudenziale, un ricorso quasi diretto alla Corte costituzionale?, in «Il Foro italiano», 6, 2013, pp. 1836-1838; F. Dal Canto, La legge elettorale dinanzi alla Corte costituzionale: verso il superamento di una zona franca?, in «Quaderni costituzionali», 3, 2013, pp. 624-627; D. Carrarelli, Legge elettorale e sindacato di costituzionalità, in «Giurisprudenza italiana», 6, 2013, pp. 1462-1469; E. Olivito, Fictio litis e sindacato di costituzionalità della legge elettorale. Può una finzione processuale aprire un varco nelle zone d’ombra della giustizia costituzionale?, in «Costituzionalismo.it», 2, 2013; G. Repetto, Il divieto di fictio litis come connotato della natura incidentale del giudizio di costituzionalità. spunti a partire dalla recente ordinanza della corte di cassazione in tema di legge elettorale, in «www.associazionedeicostituzionalisti.it», 21 settembre 2013; P. Ziccchittu, L’incostituzionalità della legge elettorale ovvero quando il giudice comune “confonde” Corte costituzionale e Parlamento, in «www.associazionedeicostituzionalisti.it», novembre 2013; R. Balduzzi – P. Costanzo (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. Il giudizio delle leggi, Torino, 2007.

 

Testimone di giustizia: "Stato e
'ndrangheta mi hanno distrutto"

 

 
Testimone di giustizia: "Stato e 'ndrangheta mi hanno distrutto"

Pietro Di Costa, imprenditore calabrese che ha denunciato la cosca Mancuso e che continua ad aiutare le forze dell'ordine, denuncia: "Abbandonato dalle istituzioni"

 
 

 

Uk, "militare inglese uccise talebano
in Afghanistan": rischia l'ergastolo

 
Uk, "militare inglese uccise talebano  in Afghanistan": rischia l'ergastolo

Il caso del Sergente A. spacca l'opinione pubblica britannica. Il premier Cameron: "Non mettiamo a repentaglio l’immagine dei marines per questa vicenda"

 

 

Caselli va in pensione. Una carriera
dalle Brigate rosse ai No tav
 

 
Caselli va in pensione. Una carriera dalle Brigate rosse ai No tav 

Il procuratore capo di Torino, 74 anni, lascerà la toga a fine anno. Protagonista della magistratura, da sempre impegnato nel dibattito sulla legalità, si è occupato di terrorismo e mafia

 
Lavitola: 8 milioni e non 3 per sabotare governo Prodi

Lavitola: 8 milioni e non 3
per sabotare governo Prodi

Nuove rivelazioni del faccendiere
sulle tangenti a De Gregorio

 

Battaglia sulla prima casa e Irpef
E spunta una norma salva-Silvio
 

Pdl propone condono fiscale, Fassina frena
Esenzione a 12mila euro, proposta la Tuc
Rep tv Giannini Gli avvoltoi sulla stabilità

 

La Samp esonera Rossi  Ora in pole c'è Mihajlovic

La Samp esonera Rossi 
Ora in pole c'è Mihajlovic

 

Djokovic, terzo titolo  Nadal sconfitto in due set    Monday's Net   di C. GIUA

Djokovic, terzo titolo
Nadal sconfitto in due set

 

Vento, allagamenti, freddo due morti a Pesaro   foto   disagi in tutta Italia

Vento, allagamenti, freddo
due morti a Pesaro 
foto 
disagi in tutta Italia

Navi bloccate in Sardegna foto 
Treni a singhiozzo sulla Adriatica  

 
Filippine, 4 milioni i bambini colpiti   foto   L'Onu: "Diecimila morti solo a Tacloban" 'Contattati 3 italiani irraggiungibili'   video

Filippine, 4 milioni i bambini colpiti foto 
L'Onu: "Diecimila morti solo a Tacloban"
'Contattati 3 italiani irraggiungibili' 
video

Foto Prima e dopo il tifone / I primi aiuti 
Video Marine e sfollati / Parto tra le macerie foto 
Foto Le barche distrutte / Video Il reporter eroe 
Scheda Come aiutare le popolazioni / Rnews

 
Namibia, la furia dell'elefante ippopotamo difende cucciolo   

Namibia, la furia dell'elefante
ippopotamo difende cucciolo

 
Pravettoni: "Vendesi coscienza di Scilipoti"
REPUBBLICA TV

Pravettoni: "Vendesi
coscienza di Scilipoti

 

Espresso: Sfida diritti tv Galliani vuole tutto
 

Espresso: Sfida diritti tv
Galliani vuole tutto

 

Spartak, scontri allo stadio i tifosi con la svastica    Il video    
LE IMMAGINI / RUSSIA

Spartak, scontri allo stadio
i tifosi con la svastica
 
Il video 
 

 

Thohir: "Ho scelto l'Inter per la sua storia. Mercato con Moratti e Mazzarri"
 

Thohir: "Ho scelto l'Inter per la sua storia. Mercato con Moratti e Mazzarri"

 

Rigori e fuorigioco   foto      arbitri e la corsa scudetto    "Abbiamo sbagliato"
 

Rigori e fuorigioco foto    
arbitri e la corsa scudetto
"Abbiamo sbagliato"

di MATTEO PINCI e FULVIO BIANCHI

 

 

Testament

I THE LEGACY, LA LORO MIGLIORE CANZONE.....Testament sono un gruppo thrash metal statunitense, nato a San Francisco nel 1983. Originariamente la band comprendeva il chitarrista e fondatore Eric Peterson, il cantante Steve “Zetro” Souza, il chitarrista solista Derrick Ramirez, il bassista Greg Christian e il batterista Mike Ronchette. Il gruppo, nel giro di poco tempo, subì un cambiamento, con l’arrivo del giovanissimo chitarrista Alex Skolnick che prese il posto di Ramirez. Anche Ronchette si ritira, sostituito da Louie Clemente. Il quintetto produsse un demo nel 1985 (quando ancora si chiamava Legacy), ciò catturò l’attenzione della Megaforce Records che ammirava le potenzialità della giovane band. Souza fu rimpiazzato da Chuck e così, verrà formata la prima formazione ufficiale della band (Billy, Peterson, Skolnick, Clemente e Christian). Con la rinnovata line up, il 1987 è caratterizzato dall’uscita del loro primo album, “The Legacy” . Il disco è un concentrato di thrash metal veloce e possente, dove si sente molto l’impronta degli Stayer. Poco dopo la pubblicazione, il quintetto parte per un tour, supportando gli Anthrax . L’anno successivo esce “The New Order” e nel 1989 viene pubblicato “Practice What You Preach” che permette al quintetto di vincere un disco di platino.
“Souls of Black” (1990), è un altro successo commerciale, il quale mostra una band che ha saputo evolvere il proprio sound, distaccandosi dalle influenze prettamente “slayeriane” degli esordi.

Slayer

Los Angeles (1982 – presente)

Gli Slayer sono un gruppo thrash metal statunitense, formatosi a Los Angeles nel 1982.

Sono ritenuti tra i principali sviluppatori del loro genere, insieme a Metallica, Megadeth ed Anthrax. La musica degli Slayer è molto conosciuta per l’uso di assoli e grooves batteristici velocissimi, tremolo picking e doppia cassa martellante, caratteristiche che hanno reso loro, secondo i critici, gli iniziatori del metal estremo (assieme a Venom, Celtic Frost e Mercyful Fate).

La band è, inoltre, nota per il suo contenuto dei testi, i quali toccano argomenti riguardanti satanismo, nazismo, guerra, serial killers e religione. Dall’inizio della loro carriera, sono sempre stati al centro dell’attenzione, ricevendo una moltitudine di critiche di presunte idolatrie nazi/sataniste e sono stati “citati” in vari fatti di cronaca nera. Tutto ciò ha generato varie discussioni nei loro confronti che ancora oggi sono in atto.

Il gruppo si formò, ufficialmente, agli inizi (si presume di marzo) del 1982 ad Huntington Park, un sobborgo sudorientale di Los Angeles, ad opera dei chitarristi Kerry King e Jeff Hanneman.

L’incontro tra i due fu fortuito, in quanto King, per caso, lo sentì suonare nella sua abitazione. Così King conobbe il suo futuro collega, allora un adolescente amante dell’hardcore punk. Grazie ad Hanneman, King iniziò ad apprezzare questo genere musicale, il quale contribuì in buona parte alla nascita e allo sviluppo del quartetto californiano.
 

Megadeth

In

I Megadeth sono un gruppo thrash metal statunitense, formatosi a Los Angeles nel 1983.

Sono considerati tra i capofila del loro genere, insieme a Metallica, Slayer ed Anthrax. L’unico componente stabile del gruppo è il cantante, chitarrista e fondatore Dave Mustaine, che scrive anche la stragrande maggioranza dei brani.

Hanno venduto più di 20 milioni di dischi, di cui quasi la metà nei soli Stati Uniti.

Dave Mustaine, dopo essere stato cacciato dai Metallica per la sua tendenza ad abusare di alcool e droghe (secondo James Hetfield e Lars Ulrich, anche se Mustaine parla di abbandono per “divergenze artistiche”), decide di non mollare, ma di cercare musicisti per formare una nuova band.

Fondò il suo primo complesso, i “Fallen Angels”, che venne sciolto immediatamente per motivi sconosciuti. Dopo poco tempo, creerà la sua nuova formazione, i Megadeth. Il nome Megadeth, ha una origine tra il macabro e lo humour nero, anche se Mustaine voleva riferirsi soprattutto alla potenza sonora sprigionata dalla band, difatti un “megadeath” corrisponde al potenziale distruttivo di una testata nucleare capace di provocare la morte di almeno un milione di persone. Il nome fu trovato su un articolo di giornale relativo conseguenze di un’esplosione atomica che Mustaine lesse su un pullman mentre tornava a Los Angeles (c’è chi dice proprio dopo la cacciata dai Metallica).

Texas, Stati Uniti (1981 – presente)

Pantera

I Pantera sono stati uno dei gruppi più importanti della scena degli anni Novanta, formatosi nel 1981 nel Texas e scioltisi nel 2001.

La line-up è formata da Phil Anselmo (voce), Rex Brown (basso) e dai fratelli Abbott, Dimebag Darrell (chitarra) e Vinnie Paul (batteria).

Inizialmente le loro influenze dimostrano un origine glam rock sul genere Motley Crue e Dokken, rintracciabile nei loro primi album “Metal Magic”, “Projects in the Jungle”, “I am the Night” e “Power Metal” (i primi tre realizzati con Terry Glaze alla voce). Grazie a questi dischi (soprattutto l’ultimo, il primo con Anselmo) ottennero un discreto successo, ma la loro vera fortuna inizia dal 1990 con Cowboys From Hell. Album caratterizzato da un sound molto più duro e veloce rispetto agli inizi, una chitarra abbastanza distorta e un cantato piu’ aggressivo. Il disco contiene numerosi brani famosi del repertorio dei Pantera, tra cui le velocissime AscoltaHeresy, AscoltaShattered e AscoltaThe Art of Shredding, AscoltaCemetery Gates brano dall’introduzione acustica caratterizzato dai particolari cambi di tempo, AscoltaDomination, AscoltaClash With Reality e AscoltaPsycho Holiday.
Due anni dopo tornano con un altro successo: Vulgar Display of Power, dove il suono si fà ancora più pesante, veloce e complesso e troviamo altri cavalli di battaglia dei Pantera, in particolare AscoltaMouth For War, AscoltaA New Level, AscoltaWalk, AscoltaThis Love e AscoltaFucking Hostile.
Nel 1994 esce Far Beyond Driven, disco sempre molto duro con buoni spunti come AscoltaI’m Broken, AscoltaBecoming, Ascolta5 Minutes Alone e AscoltaUse My Third Arm.

 

Metallica

Los Angeles (1981 – presente)

I Metallica sono un gruppo thrash metal statunitense, formatosi nel 1981 a Los Angeles (California).

Sono ritenuti i musicisti metal di maggiore successo commerciale, con 100 milioni di dischi venduti. Inoltre sono annoverati tra i principali sviluppatori del loro genere, insieme a Megadeth, Slayer ed Anthrax.

Il gruppo fu fondato il 28 ottobre 1981 da James Hetfield e Lars Ulrich, conosciutisi tramite un annuncio sulla rivista statunitense The Recycler. Ai due si aggregarono inizialmente il bassista Ron McGovney, ed alcuni chitarristi transitori (Brad Parker, Jeff Warner). La loro prima sessione fu eseguita nel garage di Ulrich, da quest’ultimo, da Hetfield e da Lloyd Grant. A suggerirgli il moniker (al posto di “Metal Mania”, da un’idea di Lars Ulrich) fu Ron Quintana, un agente di spettacolo specializzato nel lancio di gruppi metal.

Nei primi mesi del 1982, i Metallica registrarono “Hit the Lights”, per la compilation Metal Massacre (e inserita, l’anno successivo, nella lista tracce di “Kill ‘em All”). Il chitarrista Lloyd Grant fu incaricato di comporre degli assoli per il brano, ma non fu mai componente stabile del gruppo. Successivamente Ulrich chiamò alla chitarra Dave Mustaine, proveniente da Huntington Beach e già nei Panic.

Pochi mesi dopo, i Metallica registrarono il demo No Life ‘Til Leather. A causa di litigi con Mustaine, in quel periodo McGovney se ne andò dalla band e fu sostituito dall’ex bassista dei Trauma Cliff Burton, originario di Castro Valley. In seguito, si trasferirono a San Francisco.
 
DICHIARAZIONI D'AMORE DEL TERZO MILLENNIO: ""Kri, ti vengo dietro, mi scimmi troppo: sono flesciatissimo. So che sei sposata,e io mi sento giga rebonzo a stripparti. però io non ci sto più dentro: faccio una gamba di broda e passo a prenderti bello crasto quando vuoi. TVUMDB".
  Duran Duran in dvd
Vecchie glorie ritornano. I Duran Duran, dopo la breve tournée in Italia di alcuni mesi fa, hanno fatto uscire un nuovo dvd intito [...]
 
  Tornano i Noir Desir
A due anni dalla tragedia Trintignant, oggi, con Cantat ancora in carcere, escono un Cd e un Dvd dei Noir Desir che, all'epoca del [...]
 
  Altra data per i Depeche Mode
Attesi da tempo, i Depeche Mode hanno subito infilato un tutto esaurito in poche ore. Così, vista l'alta richiesta di biglietti, [...]
 
 

Gli Stones in 10 righe: inviate la vostra recensione
Ascolta

.05.20: E' in rotazione nelle radio il nuovo singolo di FRANKIE HI NRG MC "Dimmi dimmi tu" anteprima del nuovo cd live RAPCITAL
.05.20: E' uscito il 13 maggio 2005 il nuovo Album di Luca Nesti dal titolo "HO CAMBIATO IDEA".
allmusic
 ALLMUSIC
Vai al sito

Guarda
  La casa di Hendrix al cimitero
Quando si dice feticcio si pensa sempre a qualche stravaganza per accaparrarsi un cimelio di rara importanza. Ma una casa spostata [...]
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Al Cinema

 

 

 

 

 

 

 

 
Eventi
 
   
   
 
 
 
 
 
IL VIZIETTO DEL GOL (23-01-2004)

Centrocampisti nerazzurri in difficoltà per i tanti infortuni e anche per l'incredibile caso di Cristiano Zanetti. La lunga assenza del centrale nerazzurro sarebbe dovuta a un intervento di lifting compiuto nelle feste da un'equipe americana. L'operazione, splendidamente riuscita, è consistita in un ritocco alle palpebre, alle rughe del collo e altre piccole correzioni estetiche. Nella foto, Zanetti si presenta alla Pinetina per la sessione di allenamenti sulla sabbia.
HOMBRE ORIZONTAL (11-11-2003)

Un pettegolezzo scuote l'Europa: il membro di una dinastia regale del continente sarebbe un cachi neri. Considerando chi si tromba attualmente detto misterioso personaggio, potrebbe sicuramente essere considerato un passo avanti. L'eco della notizia rimbomba anche alla Pinetina: un noto calciatore di una squadra italiana sarebbe in rotta con la sua partner storica. La relazione con la gnocca va avanti da maggio, quando lui volle forse dimenticare l'uscita in Champions (alla faccia nostra che dopo quell'avvenimento riprendiamo solo ora a riavere funzioni erettili). Per dimenticare la dolorosa separazione, questo personaggio avrebbe cercato di consolarsi amando un giocatore rottamato da un'altra squadra della stessa città. Di questo secondoprotagonista si ha a disposizione solo un identikit: nella foto l'indizio.
BUTTARLA IN VACCA (17-03-2004)

Abbiamo provato a buttarla in vacca, ma i lettori si sono ribellati: secondo l'opinione più diffusa lo scudetto del Milan non è coperto di fango. E vista la reazione nelle email, per fortuna questo cesso di sito web non ha una faccia da perdere. In un ultimo moto di ribellione, agli amici del giaguaro ricorderemo le ragioni che ci spingono a pensare che l'annata rossonera sia un disastroso fallimento: sconfitta nella Supercoppa Italiana e nella Coppa Intercontinentale, superamento del primo turno di Champions e dunque mancata qualificazione alla Coppa Uefa, uscita dalla Coppa Italia, sconfitta interna con l'Udinese (per 1-2, pfui, ridicoli). i corsi di autostima fatti in società (grazie Fabry) e ancora perché Tiziano Crudeli era interista (mp3 272K, grazie Michele). Nella foto, dei bellissimi esemplari di vacca.
MONTEROCKY BALBOA (03-12-2003)

Che poi ci dicono che ce l'abbiamo con la Juve: ma quando mai!? Certo sotto interrogatorio potremmo ammettere che Paolo Montero non raccoglie numerosi consensi presso le 15 stanze sul fiume Potomac che compongono la nostra redazione. Nonostante la grassa vittoria di sabato, non abbiamo dimenticato la permissività dell'arbitro Trefoloni (che comunque Dio lo abbia in gloria) nei confronti del boxeur uruguaiano. Non ammonito in occasione della punizione che ha portato al gol di Cruz (Martins andava da solo in area) e non espulso per la manata in faccia a Emre nel finale di partita. Il difensore si sarebbe anche reso protagonista di una lite con Toldo iniziata negli spogliatoi in modo sospetto; il compagno Tacchinardi lo difende: "Montero è uno che le cose le dice davanti". Nella foto, una volta in cui Montero l'ha detta di fianco.
ADRIANO, ADRIANOO, ADRIANOOO (19-01-2004)

Fuori dalla Champions League, un centravanti che decide a quali partire presenziare, un presidente prezzemolino, una sconfitta contro l'ultima in classifica. In queste condizioni qualcuno difende comunque Moratti e la squadra, altri no. Gloria: "Sono stanca di andare a vedere partite che sono giocate come se fossimo all'oratorio! (...) Se io fossi il presidente inizierei a far capire che non siamo più una grande famiglia e chi sbaglia paga: perdi? Non ti pago; pareggi? Ti pago la metà; vinci? Ti pago...forse!". Luca: "Proposta alternativa: c'è un modo per allontanare Moratti dall'Inter almeno come presidente? (Io lo vorrei ancora ma come proprietario...finchè caccia solo i soldi va bene)". GD: "Possibile che non si renda conto che lei non sa fare il presidente! I suoi (tanti) soldi non l'autorizzano a disporre della salute di tanti onesti cittadini (tifosi di una squadra bellissima) e che lei sta dimostrando di non amare rimanendo a fare il presidente". Arkispazio: "E avanti così nel segno della coerenza di un presidente che rilascia 100.000 interviste, poi un giorno si arrabbia con i giornalisti che distorcono le sue verità, salvo poi ricominciare il giorno dopo rilasciandone un'altra decina.Senza dubbio un uomo che impara dai propri errori". Nella foto, in ogni caso, abbiamo bisogno di nuova speranza: assoldato.
SUONA IL TELEFONO (25-04-2004)

La serie di "sono tutte finali" prosegue con un bel pareggiotto, risultato che ci farà soffrire come sempre fino all'ultima giornata. Tra i dettagli c'è la coppia Vieri-Adriano che fa sfracelli, sfracellando le palle a mezzo stadio fino alla sostituzione di Bobo, sgridato da San Siro per i suoi capricci. Ma per fortuna la ribellione di Vieri è negata da Zaccheroni in conferenza stampa: all'Inter non è successo nulla in settimana. A conferma di questa tesi, stasera interverranno alla chat-line di Controcampo numerosi dipendenti nerazzurri: oltre alle solite telefonate del tecnico, del direttore alla comunicazione e del centravanti, prenderanno la linea in diretta anche l'addetto logistica dello stadio, il responsabile dell'area commerciale e alcuni giocatori per confermare che il gruppo è unito anche se ha diversi numeri di telefono. Nella foto, la pubblicità della chat-line fornita dalla trasmissione di Mediaset.
CHI NON MUORE NON SEMPRE SI RIVEDE (16-02-2006)

E' arrivato in mattinata a Riace, scortato dai convogli dei trasporti eccezionali, il corpo di Alvaro Recoba, che verrà conservato nel museo locale accanto ad altri pezzi pregiati ripescati dal mare. Con una procedura ricalcata dalla task force che condusse il sommergibile Toti nell'abitato milanese, l'ex calciatore ha viaggiato protetto dai colpi e riparato dalle intemperie. Nonostante le cautele, nel tragitto l'uruguayano ha rimediato: un risentimento alla coscia, una sofferenza al bicipite femorale, un leggero fastidio al muscolo, una frattura composta malleolo-tibiale, dell'ansia da prestazione, un eccesso di abbronzatura, le doppie punte e frequente forfora. Il giocatore verrà definitavamente impagliato. Nella foto, il carico con l'attaccante esce dalla Pinetina su una piattaforma dei genieri della brigata Aosta.
FESTA DEL BIRRALE, PRIMI COMMENTI (19-12-2003)

Ci scrive un assente, Kalle: "Groningen, ah! quanti ricordi. Una capocciata di Collovati che piega(!) le mani al portiere ma soprattutto Bagni che con la manina va a fare segno 5 pappine alla panchina olandese". Un testimone GabrieleC (protagonista di incomprensibili trasferte in stadi stranieri) sviscera un tema affrontato ieri: Geronimo Barbadillo. "Chiude la carriera da professionista nell'85/86 in forza all'Udinese con 22 presenze e due reti.Si stabilisce in Italia e gioca ancora qualche anno da dilettante nella Sanvitese di San Vito al Tagliamento per poi intraprendere la carriera di tecnico. Collabora con il Milan". Era meglio morire alcolizzati. Nella foto, Nenina (una delle due donne reduci), assieme a un goleador davvero prolifico.
"A TUTTE LE UNITA': LA CAPRA FILIPPA STA SZOCCOLANDO VERSO IL SETTORE 17" (12-01-2006)

Che classe, che stile! Invece di chiuderla in un cassetto, l'Inter rimette signorilmente in palio la Coppa dell'Italia, che ormai detiene in modo incontrastato da diversi mesi. Per il massimo trofeo nazionale, Mancini rispolvera tutti i suoi giocatori a chilometri zero: da Kily a Mihajlovic, le rimanenze di magazzino vengono estratte dalle forme in polistirolo e usate come baluardi. Quando al 60' Cristiano Zanetti prova il tiro in porta, sfiorando la sonda Soyuz ferma nella costellazione del Capricorno, Mancini giudica una buona idea l'inserire due titolari: prima Stankovic, poi un Martins dotato di radiocollare, che servirà agli scienziati per capire che cazzo voglia fare il nigeriano quando corre. Per il resto, la gara vive nell'attesa dell'ingresso di Matteo Momenté, il quale, dando credito a un gossip da noi abilmente inventato, si sarebbe preso una cotta dura per la bellissima Cristina Parodi, conduttrice del TG5 e affascinante colonna del giornalismo italiano. Dal momento che il virgulto tenerone non entra, le massime autorità del calcio decidono di distribuire nuove pene ai tifosi dell'Inter. Dopo la spettacolare e sproporzionata condanna comminata a quattro (!) supporter nerazzurri a seguito del caso Zoro, altri provvedimenti sono nell'aria: a un signore del primo arancio sarà ritirata la licenza media per aver gridato "Martins sei brocco: cosa hai sbagliato!?" con 'hai' senza l'acca, mentre la Curia di Milano ha già annunciato che in futuro rifiuterà l'estrema unzione a un pagante, che in occasione di un errore di Zanetti avrebbe menzionato ripetutamente il nome della Madonnina invano. Nella foto, la capra Filippa, presente a San Siro e rintracciata dagli investigatori solo grazie alle telecamere di sicurezza previste dal decreto Pisanu.
FRANCO PALEARI: INCHINIAMOCI ALLA STORIA (29-01-2006)

Bando alle rimonte quando la storia bussa prepotentemente alla porta: il Lecce presenta infatti in panchina il nuovo allenatore Franco Paleari, al secolo "il mago degli undici metri", estremo difensore di quella Cavese che fu corsara a San Siro quando il Milan dominava nelle partite rustiche della seconda serie. L'esordio in panca della Paletta di Nerviano viene trasmessa solo sul digitale terrestre: persino il sito del canale di Stato cinese, che abitualmente manda le gare del campionato italiano in diretta streaming, è terrorizzato dalle azioni legali di Sky e preferisce programmare il match del Real. Franco Paleari schiera una squadra armata di cazzuola, betoniera e calcestruzzo per erigere un muro di malta sulla linea di porta, e fino al 70' l'Inter riesce solo a scalfire l'intonaco della barra di armatura filettata sui pali. Poi tocca a Luis Figo accoltellare Paletta e a Stankovic seppellirlo ingiustamente. Nella foto, Franco Paleari e i suoi due storici baffetti da sparviero.
IL GRANDE PENSATORE (08-01-2004)

5 dicembre: "Stankovic arriva?" "Penso di ". 8 gennaio: "Comprerete qualcuno?" "Penso di no". Massimo Moratti continua a distribuire a casaccio i suoi "penso". Dal "Penso che Cuper resterà" al "Penso che elementi come x, y, Franchini, Napolitano e Rebecchi non debbano essere mandati via a migliorare", il presidente più verbalmente destabilizzante della serie A continua ad ingrassare le pagine dei giornali con dichiarazioni a casaccio. Nella foto Baxter the Bobcat, un altro grande pensatore.
LA RESA DI VERONA (02-11-2003)

Finalmente si gioca al calcio: Zac distrugge il Chievo mentre le capoliste si fermano e noi cominciamo la fuga succhiandogli la ruota ormai bucata. A Verona partita tesa fino al al 35' quando Marchegiani si carica di Semtex e si immola da ultimo uomo per abbattere Vieri: espulsione. Il Chievo è ridotto in dieci, ma Zaccheroni ha i riflessi di un bradipo e cambia la squadra solo venti minuti dopo. E' solo un particolare, perché l'Inter comincia l'assedio e succede di tutto: bring, bum, bam, sbong come nelle vecchie puntate del telefilm Batman. Finalmente Recoba crossa giusto e Vieri insacca una giabella. Poi Recoba raddoppia e fa la pace con tutti. Nella foto una battuta evergreen: Daniela Pestova e io speriamo che me la Chievo.
PICCOLE E TRASCURABILI QUESTIONI APERTE (14-05-2004)

Manca ancora una partita da giocare ma tra Veron e Mancini, non c'è davvero tempo per pensare a quei brocchi dell'Empoli che ci hanno battuto all'andata in casa nostra. L'allenatore Perotti ci crede: "Aspettiamo a fare il funerale". Ma come si può pensare che per questa Inter orgogliosa l'ultima giornata non sia solo un dettaglio? Nella foto, aguzza la vista e trova le 12 differenze.
OCCHIO DI BUE, LATTE SCREMETO: PROTEGGI QUESTA CHESA DALL'INNOMINETO (13-02-2006)

Dopo lo splendido trittico di vittorie contro Reggina, Treviso e Lecce, una battuta d'arresto ci può stare. Ancora scossa dalla prova di carattere dei nerazzurri a Firenze, la Juventus arriva a San Siro per tenere vive le ultime speranze di scudetto, ormai ridotte al lumicino. I tifosi ospiti godono di un viaggio confortevole sull'autostrada Milano-Torino, la cui unica corsia è tirata a lucido per le Olimpiadi in corso. Il match inizia nel segno del fairplay, con i capitani che si scambiano in avvio i dossier sui reciproci favori arbitrali: Thuram consegna a Zanetti un DVD, mentre l'argentino porge le chiavi di dodici tir con triplo rimorchio parcheggiati nell'antistadio. Arbitra il gatto nero Paparesta: quante altre partite si dovranno perdere per colpa di questo iettatore, prima di decidersi a ricusarlo? Passano pochi minuti e l'influsso negativo del direttore di gara si abbatte su Veron, costretto a lasciare il campo per un infortunio causato dal passaggio di Nettuno nella settima casa. Per Mancini è il momento di rilasciare un importante attestato di fiducia: il tecnico guarda Pizarro e fa entrare Kily Gonzalez, però stimando molto il cileno. La partita scorre vivace fino alla prima punizione dal limite per l'Inter. Nessuno è intorno e il pallone è fermo: almeno questo Adriano non può mancarlo. Infatti sarebbe gol, ma Paparesta tiene curiosamente il braccio alzato, non per parare eventuali fulmini, ma per indicare una regola che tutto lo stadio, i giocatori e i telecronisti sembrano ignorare. Da lì in poi è Cordoba-show. Prima dimentica di marcare il pregiudicato svedese centravanti avversario, che si presenta solo di fronte a Julio Cesar e segna. Poi, a pareggio raggiunto, tenta un esperimento: posto che mancano cinque minuti al termine e che Del Piero è appena entrato, toccando da dietro un Nedved di spalle alla porta e ai sedici metri, quante possibilità ci sono che il ceco resista alla carica e tenga gagliardamente vivo il gioco? Più o meno quante ce ne sono che i vigili urbani di Arosio si impossessino della bomba atomica e tentino di invadere la Mesopotamia. Arriva così la rete che libera finalmente le energie per la passerella sugli Champs-Elysées verso la finale europea di Parigi. Nella foto, ego me baptizo contro il malocchio.
IO STO CON GLI ELEFANTI (01-10-2004)

Entra nel vivo l'infame processo indiziario per doping istituito ai danni della Juventus. Oggi in aula si è trattato il tema di fantomatiche mutazioni genetiche dei tesserati bianconeri, legate ad un utilizzo improprio ed eccessivo di farmaci. La società bianconera si è potuta finalmente difendere con la forza degli argomenti dagli assalti volgari della pubblica accusa. Da sottolineare però che l'arringa difensiva di Roberto Bettega ha destato qualche perplessità nella giuria. Nella foto, il dirigente perora la causa in modo veemente.
PESSIMISMO E FASTIDIO (19-01-2004)

Raffaele e la difesa di Moratti scuote i lettori. Domanda lecita di Massimo a chi difende la dirigenza: "Sareste così cortesi da segnalarmi se per voi esiste un limite temporale oltre il quale, in mancanza di vittorie, sia lecito mettere in dubbio la presidenza di Moratti? Se esiste, mi fareste anche la gentilezza di definirlo, almeno nell'unità di misura (anno, lustro, decennio, secolo, era ...)?". GiorgioG ammonisce: "Fin quando verrà sperperato tempo alla ricerca di salvatori della patria (vedi Ronaldo, Vieri, Adriano etc.) senza capire che neppure Pelè e Maradona risolverebbero i problemi di costruzione di gioco dell’Inter, prenderemo batoste ed umiliazioni". La Patrizia furiosa: "E' totalmente incredibile che ci sia qualcuno che ancora ha il coraggio di difendere l'indifendibile. E' chiaro che ognuno può pensarla come crede ma Raffaele, che parla di reazioni "uterine", si rende conto? Di chi sarebbero le colpe allora... di TUTTI gli ultimi 5000 allenatori o di tutti gli ultimi 8000 giocatori che abbiamo avuto in questi 8 anni? Per sua informazione non ci stiamo autocommiserando...... stiamo solo cercando di difenderci!". Ma Fabry torna e rilancia: "Il presidente della juve degli anni dall' 86 al 95 era lo stesso dei 10 anni dopo, eppure non hanno vinto nulla se nn una coppa Uefa e una coppa Italia, com'è possibile?". Nella foto una splendida Barbara Bouchet.
MODENARO BUTTATO (25-01-2004)

E' un pareggio che fa gridare allo scandalo quello centrato dal Modena contro l'Inter nel primo turno del girone di ritorno del campionato di Serie A. Dopo aver subito per tutti i novanta minuti il ritmo forsennato imposto dai centrocampisti nerazzurri, il club emiliano è infatti riuscito a racimolare un punticino per la propria miserrima classifica capitalizzando al massimo l'esiguo volume di gioco espresso. Al vantaggio di Recoba, subito in gol nella settimana che ne ha fatto registrare le dimissioni dal reparto di terapia intensiva del Policlino di Milano, risponde un ignoto erede di Abebe Bikila, che ovviamente sceglie di segnare la prima rete in carriera proprio contro i nerazzurri. Esordio positivo per Adriano: ancora una decina di innesti tra i titolari e la squadra potrà competere per i più alti traguardi. Nella foto, una meravigliosa topina per tirar su il morale.
FUORI DI ROSA, FUORI TI PESTO (13-05-2005)

Stephane Dalmat come Alberto Fontana. Il portiere messo fuori squadra ha tracciato un solco che viene ora seguito dal fantasista francese ("fantasista" perch? ci voleva della fantasia per schierarlo). Ma se Jimmy Fontana ? dovuto ricorrere al turpiloquio contro il suo allenatore, a Stephane Dalmat ? bastato dichiarare: "L'anno prossimo torno all'Inter", minaccia che evidentemente in Francia risulta essere una grave offesa. Nella foto, Vanessa Paradis canta il suo hit del momento: "Si tu me fait le corn, je vais a Int?r".
LA TELA DELLA RETE DI CRUZ (20-05-2004)

Cruz non partirà, sembrerebbe. La recente visita in sede ha portato chiarezza sui destini nerazzurri del giocatore che dopo un inizio di stagione da Pallone d'Oro, ha dovuto far posto a Vieri e Adriano per perdersi poi nelle brume della panca. La delusione per il mancato impiego nell'ultima parte del campionato ha aggravato la situazione emotiva del centravanti reduce dalla brutta rottura del suo rapporto amoroso. Nella foto Cruz festeggia il gol all'Arsenal.
FACCIAMOCI DEL MALE (02-12-2003)

Si è tenuta ieri l'annuale Gran Soirée nerazzurra dedicata agli sponsor della società. Alla presenza di dirigenti, giocatori e partner commerciali, Massimo Moratti ha illustrato le strategie di potenziamento del marchio Inter in ambito promozionale per la stagione 2004. Azzeccatissima la scelta della città che ha ospitato l'evento: Campione d'Italia. La ridente località italosvizzera si è aggiudicata il Galà battendo la concorrenza di Campione d'Europa, Pallone d'Oro, Scudetto e Capo Cannoniere. Nella foto, il Presidente anima la serata concedendosi un karaoke sulle note di My Way.
NIENTE PALLONE D'ORO, MA LA CORONA E' VICINA (03-11-2003)

Continuano le celebrazioni per Paolo Maldini mentre la sua carriera si macchia di comportamenti non in linea con il suo brillante (duro ammetterlo) curriculum. Da un paio d'anni il capitano rossonero ha perso la testa: due espulsioni per reazioni violente e qualche intervento pericoloso che se avesse commesso Materazzi sarebbe stato abbattuto come un rottweiler goloso di infanti. Ancora sabato sera, nell'indifferenza generale Maldinazzi ha schienato Nedved con un laccio americano degno di Mister Fudo della Tana delle Tigri. Nella foto, un altro vecchio che combatte ancora: Giant Baba, qui nella locandina del match contro il mitico Jack Brisco nel 1974.
BASTA ATALANTA, PER QUEST'ANNO (17-02-2005)

Inter avanti in Tim Cup. Con la gloriosa affermazione dei propri uomini nei quarti di finale della manifestazione, Roberto Mancini prosegue fiero il proprio cammino verso un successo nel trofeo dei patrioti. Per rendere omaggio ai quattromila ospiti minorenni della società, il tecnico interista schiera una formazione con tante seconde linee e qualche brocco di prim'ordine, ottenendo di far sentire meno soli gli impresentabili avversari atalantini. Ma tanto basta per andare in vantaggio già alla mezzora: come un epigono del De Niro ammirato in Risvegli, Recoba si riprende dal proprio abituale stato catatonico e salta tre avversari con l'agilità di un oro olimpico del dressage, scambiando con Cruz prima di insaccare il gol dell'1-0. Passano pochi minuti e tocca ad Emre raddoppiare: slalom secco fra i paletti della difesa bergamasca e diagonale preciso sui cui il portiere non può nulla. Nella ripresa è tutta accademia: Carini legge con tono stentoreo il IV canto dell'Inferno di Dante, Karagounis mette i brividi con una monumentale interpretazione di Jago nell'Otello di Shakespeare e Cruz segna il 3-0 con un colpo di testa in corsa da campionato degli oratori salesiani. Appuntamento per le semifinali in aprile, contro la vincente di Sampdoria-Cagliari. Nella foto, le frecce tricolori festeggiano il successo interista nella coppa intitolata al nostro bel Paese.
INTERVISTE DI KALADZE A PAGAMENTO (16-12-2003)

Il Milan conferma la deriva fondamentalista di internet: da oggi su acmilan.com la Videogallery (pronuncia Videoghelleri), la Fotogallery (perché non Photogallery?) e l'audio della telecronaca saranno a pagamento. Siccome nel 2000 quando te lo mettono nel culo te lo dicono in inglese per lubrificarti, questa mossa è chiamata "in chiave pay". Per leggere le notizie basta invece essere schedati. Già il Milan, attraverso l'avv. Cantamessa, fu protagonista di un orrendo episodio di diffida ai siti dei tifosi, fatto in modo volgare e intimidatorio ("attività di concorrenza sleale", "grave confusione con il sito del Milan A.C.", "sviamento di clientela", "La Vostra condotta illecita ha già generato pregiudizio al Milan A.C. S.p.A.", "trasferire a titolo gratuito la titolarità del dominio al Milan A.C"): erano tifosi, bastava scrivere "Ué raga, vi spiace cambiare dominio?", ma certo loro ragionano con il loro metro per cui siamo 'clientela'. Ad aggiungere un tocco di classe, il tentativo di mascherare la mossa dietro la vittoria di un trofeo che poi non è arrivata. Nella foto, il tifoso modello per le società di calcio.
I PAY, I PRETEND (21-04-2004)

Ranieri e Abramovich scazzano mica poco. Il tecnico rompe le catene come Spartaco: "Abramovich non sa nulla di calcio. Questo è il vero problema. Se si fosse reso conto di quello che la squadra è stata capace di fare in questa stagione, avrebbe avuto per me una considerazione ben diversa. Non è stato facile mettere insieme tanti giocatori che non si conoscevano, fare in modo che esprimessero un gioco. Abramovich non lo capisce. Lui pensa 'compro questo, questo e quest'altro e vinco'". Finalmente fuori dall'ipocrisia, ma ha ragione chi paga o chi è pagato? Nella foto, uno scoop del nostro sito: Abramovich è il fratello di Riccardo Schicchi, noto allevatore di puledre.
QUALCUNO ASCOLTA? 9 (26-11-2003)

Ale: "Ragazzi è andata una m*, sembrava ci stessimo finalmente ripigliando e poi abbiamo fatto la classica fine delle botte a muro ma non disperiamo! (...) Sono deluso quanto tutti ma non piangiamoci addosso come sempre...trasformiamo la nostra delusione in rabbia e sabato sera TROMBIAMOCI LA VECCHIA SIGNORA!!!!!" MaxBer: "Carissimi, la situazione ormai rasenta la follia, non capisco piu` nulla se e` vera questa realta` oppure se Matrix in realta` e un programma ideato da un gobbaccio schifoso che ha mappato il mio dna scoprendo che sono interista e vuole farmi impazzire.Fatto sta che io e il mio amico coccodrillo bianco delle fogne di new york ne abbiamo parlato a lungo la notte scorsa in un`atmosfera densa di tristezza. Ho deciso di non incazzarmi più (...) Bisognerebbe lasciare vuoto San Siro, non connettersi al sito il nulla il silenzio. Magari si scuotono. (...) E` cosi` difficile chiuderli in ritiro con ronde armate intorno al perimetro di appiano?? Hai famiglia?? La fidanzata??? chi cazzo se ne frega.... quanto guadagni??? (...)Io ho perso il senno, il sonno e il fegato loro nulla se non due lacrimucce schifose il 5 maggio e da li in poi tutte le volte che ci hanno deluso e ferito". Pipporosso: "La sapete una cosa, ragazzi? Io questo Filucchi (l'amico poliziotto) l'ho conosciuto un sei-sette anni fa a Castiglioncello. (...) A me sembrava un pistola. (raccolto dalla stanza di un blog: ma Moratti dove ca**o li va a trovare?)". Contericci: "L'Inter di Cuper era accusata di essere "grande" con le piccole e "piccola" con le grandi. Quella di Zaccheroni invece è piccola con le grandi e grande con le piccole. Non noto nessuna differenza particolare". Infine, il Salvao e le grandi citazioni: "Lei, ieri, ci ha fatto prendere 5 pappine. Sia gentile".
CENTRALE DI BUON FIUTO (15-12-2003)

Con Cruz è la sorpresa vera della stagione: Daniele Adani è un'iraddiddio. Dopo l'ennesima partita trionfale a Bologna c'è stato però il primo stop: il difensore si è rotto il "naso nasale" come ieri raccontava Inter.it (nella foto segnalataci da molti). Oggi il difensore è stato operato con una tecnica nuovissima: a seguito dell'esclusione dalla Champions, il dirigente Massimo Moretti gli ha fatto impiantare il muso di un cane Lagotto da tartufo. Adani sarà utilizzato nella stagione per ricercare i prelibati tuberi a peridio verrucoso e avrebbe già dimostrato una notevole attitudine.
JUVENTUS, SE NON HAI PAURA DI QUESTO, FATTI AVANTI - Basta con le menzogne sulla Juventus. E' la voce dei lettori di interisti.org ad alzarsi per difendere la gloriosa compagine bianconera. Ci scrive Marine: "Prima battiamoli, poi eventualmente cominciamo a lamentarci pure della direzione del vento. Guai a farlo prima". E seguono sulla stessa linea altre email. Mauro che richiama tutti all'ordine, ricordandoci che un'espulsione non vale una vita: "Il calcio di oggi non ha cuore! Tutti a parlare del fallo di Muntari (quello di Wome è comunque un'altra cosa) e nessuno si preoccupa delle condizioni di Nedved. Guardando lo schianto terrificante si può supporre un attacco di osteoporosi totale con sbriciolamento delle ossa e anche liquefazione di tutti i muscoli. Chissà se ne uscirà. Povero ragazzo." Nella foto, il lettore Steylor si scalda: "Lasciate in pace la Juve. NON ERA FUORIGIOCO!!! Le immagini sono chiare: ci sono ben 9 giocatori dell'Udinese che tengono in gioco Del Piero"


Eventi clamorosi: Mughini difende Cordoba a Controcampo, Vieri segna, il Mullah Omar vive a Busto Garolfo
IL NIGERIANO DA SEI MILIONI DI DOLLARI - Nwanko Kanu ancora alla ribalta della scienza dopo l'infortunio alla testa che ha determinato la convocazione di Obinna, il nigeriano contattato dall'Inter per sopperire ai problemi legati alle convocazioni della Nigeria per la Coppa d'Africa. Durante il match di FA Cup tra West Brom e Reading, Kanu ha subito un colpo in testa che costretto la sua equipe aeronautica a riportarlo in ospedale per un nuovo check-up. Con l'intervento alla capoccia, il centravanti dovrebbe essere ormai definitivamente bionico: al posto del cranio gli è stato infatti applicato un componente di satellite per le orbite basse, il Wester VI, con un tessuto schiumoso coibente che impedirà la formazione di ghiaccio sul cuoio capelluto. Negli occhi sono stati inseriti da frammenti di telescopio Hubble, per migliorare la vista notturna del giocatore. Ricordiamo che il suo cuore fu sostituito nel 1998 da un motore Rotax 582 da 64 hp, capace di 1800 battiti cardiaci per minuto. Anche la gamba destra fu rimpiazzata nel 2001 da un razzo a propellente solido, alimentato da un vano di carico esterno al ginocchio, che, in pura teoria, potrebbe consentire a Kanu persino dei rifornimenti in volo. E con la modifica del braccio sinistro, datata 2003, con dei pezzi di una vecchia navetta sovietica BOR-4, il valore di mercato del calciatore è ormai schizzato alle stelle nell'aerospaziale. Dopo l'operazione, Kanu, gridando fortissimo con i subwoofer Alpine impiantatigli nella laringe, ha richiesto al selezionatore nigeriano di essere richiamato per la Coppa d'Africa.


Monaco.
Quasi.
Il vecchio scarpone campione dello SCOLO si accasa a Montecarlo. Lascia inconsolati a Milanello Janku, Johann e Ele.
 
Con il panettone sullo stomaco, non si va oltre al pareggio a Siena: come affrontare il futuro? (nella foto: "E' bello stare dietro alla signora")
 


Milan, Alì Agca: "I precedenti non parlano per me, ma credo comunque di avere più mira di Vieri"
 
 
 
 
L'anno calcistico 2005 è concluso. Scegli, fra quelle proposte, la vicenda che meno t'aspettavi (nella foto: Gerrard, Smicer, Xabi Alonso)
 
 


"C'è chi spende 120 milioni all'anno senza vincere niente"
Un sacco di soldi andati in fumo.


Oggi esordiva Silvestre,
detto anche "Mi è semblato di vedele un pilla".


Lo scoop di Hae: non solo Martins ha 58 anni ma secondo il sito dei Rangers non è neppure nigeriano.
E se fosse una pensionata del cuneese?
 
 


Giraudo lascia la Juve.
Conferme dagli ambienti dell'FBI
.
 
Il CONI ha intenzione di fissare al 50% il minimo dei giocatori di formazione italiana in lista. A quale commento ti associ? (nella foto: Ofelio Martini)
 
 
 
 
 
 
 
 
Addio a Robert Wise, che rese famoso il musical.
Si è spento all'età di 89 anni Robert Wise, il regista che ha dato fama al Musical [..]
 
 
Recensioni: "I fantastici quattro" e gli altri film in uscita...
E' sempre meglio essere uno dei primi a scatenare [..]
altIntervista: Good night, and

Venezia, aspettando gli italiani in concorso
Tra conferme e delusioni, si conclude il primo weekend della 62ma mostra del cinema di Venezia. Aspettando i film degli italiani in concorso.

AFP
 

Tutti nudi nel porto di Lione. L'ultima opera del fotografo Usa Tunick Foto 

 

 

Miss International
A Tokyo ragazze
da 54 Paesi di tutto il mondo
Foto 

 

MFF, a Milano il meglio del cinema indipendente
I trailer 

 
 
[bottone131]
[bottone180]
 
 
 
 
 
 
Coming Soon

 

 

 
MONAMOUR
 
CREEP
 
I FANTASTICI QUATTRO
 
RED EYE
 
I GIORNI DELL'ABBANDONO
 
GABRIELLE
 
MUST LOVE DOGS
 
LA FABBRICA DI CIOCCOLATO
 
VITA DA STREGA
 
 
 
 
 
 
Arte in the Bar
 
 
 
 
Lipstick Legends
SIMON NORFOLK
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Occasioni
 
 
 
Auto Usate Vendita
Occasioni auto usate di tutte le marche e modelli!
www.kuanto.it
Auto Moto Camper
Prezzi e foto online. finanziamenti, permute.
www.autopapini.com
Auto Moto Camper
Prezzi e foto online. finanziamenti, permute.
www.autopapini.com
 

Parti subito
Grandi offerte

 
 

Spazio web ILLIMITATO a soli €20,66+iva l'anno. Aruba.it

 

 [bottone163]
 
 
 
 
 
 
 SKY
Abbonati
ONLINE e avrai GRATIS 1 mese +Decoder e Parabola!

E in più se scegli Sport è